Piccolo spaccio, «pene da ridurre» da: il manifesto.it

Droghe. Viene dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione, l’ultimo colpo all’incostituzionale legge Fini-Giovanardi. Da scarcerare almeno 4 mila detenuti ma senza amnistia i tribunali si intaseranno

Antiproibizionisti contro la legge Fini-Giovanardi

«Affer­ma­tiva». È que­sta la rispo­sta delle Sezioni unite della Cas­sa­zione alla domanda se fosse diritto delle per­sone con­dan­nate per pic­colo spac­cio in via defi­ni­tiva, anche se reci­di­vanti, chie­dere uno sconto della pena in ese­cu­zione dopo la recente sen­tenza della Con­sulta che dichiara inco­sti­tu­zio­nale la legge Fini-Giovanardi e che va ad aggiun­gersi all’altro pro­nun­cia­mento emesso dalla Corte costi­tu­zio­nale nel 2012 con­tro una norma con­te­nuta nella cosid­detta ex Cirielli, la legge ad per­so­nam nata per sal­vare Pre­viti e Berlusconi.

Per avere infor­ma­zioni più pre­cise sulla moda­lità del rical­colo biso­gnerà atten­dere il dispo­si­tivo com­pleto, ma nell’«informazione prov­vi­so­ria» dira­mata ieri dal primo pre­si­dente Gior­gio San­ta­croce i giu­dici supremi hanno rispo­sto chia­ra­mente, acco­gliendo il ricorso pre­sen­tato dalla pro­cura di Napoli con­tro una sen­tenza che aveva negato ad un con­dan­nato per spac­cio di poche dosi di cocaina e di can­na­bis l’attenuante della lieve entità sull’aggravante della reci­diva. Al momento, stima l’amministrazione peni­ten­zia­ria, sono circa 3 o 4 mila i dete­nuti che potreb­bero bene­fi­ciare degli effetti di que­sta sen­tenza, tra i 14 mila in car­cere per la sola vio­la­zione dell’articolo 73 della legge sulle dro­ghe («23 mila, di cui il 40% stra­nieri, quelli per vio­la­zione dell’intera nor­ma­tiva», secondo il sin­da­cato di poli­zia peni­ten­zia­ria Sappe) pre­sen­tendo però al giu­dice dell’esecuzione la richie­sta di revi­sione della pena.

«Il giu­dice dell’esecuzione, ove ritenga pre­va­lente sulla reci­diva la cir­co­stanza atte­nuante», scrive la Cas­sa­zione a Sezioni unite, ai fini della ride­ter­mi­na­zione della pena dovrà pren­dere in con­si­de­ra­zione il testo di legge pre­ce­dente alla Fini-Giovanardi, can­cel­lata nel feb­braio scorso, «senza tenere conto di suc­ces­sive modi­fi­che di legge». Ossia, senza con­si­de­rare il “decreto Loren­zin” che tra­sforma la cir­co­stanza atte­nuante dello spac­cio di lieve entità in fat­ti­spe­cie auto­noma di reato, innal­zando però le pene edit­tali per le dro­ghe leg­gere. In que­sto modo, i giu­dici supremi di Piazza Cavour smen­ti­scono l’orientamento giu­ri­spru­den­ziale che vor­rebbe le sen­tenze pas­sate in giu­di­cato intangibili.

Il ver­detto della Cas­sa­zione «inci­derà signi­fi­ca­ti­va­mente» sul sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio, ha detto ieri il mini­stro di Giu­sti­zia, Andrea Orlando. «Non sap­piamo dire esat­ta­mente con quali numeri», ha aggiunto il Guar­da­si­gilli, ma «que­sto ci fa dire che l’uscita dall’emergenza sarà pro­ba­bil­mente più rapida». In realtà, senza un inter­vento poli­tico si dila­tano a dismi­sura i tempi per la libe­ra­zione di chi ingiu­sta­mente sta scon­tando una con­danna per effetto di una norma penale dichia­rata inco­sti­tu­zio­nale anche se, come spiega l’informativa della Cas­sa­zione, «diversa dalla norma incri­mi­na­trice ma che incide sul trat­ta­mento san­zio­na­to­rio». «Aumen­te­ranno a dismi­sura i cari­chi dei giu­dici ordi­nari che dovranno affron­tare i pro­ce­di­menti came­rali attra­verso i quali si dovrà rical­co­lare al ribasso la pena di migliaia di dete­nuti», avverte Rita Ber­nar­dini. La segre­ta­ria dei Radi­cali ita­liani invita le isti­tu­zioni ad «atti­varsi imme­dia­ta­mente per un prov­ve­di­mento di amni­stia e di indulto che, libe­rando le scri­va­nie dei magi­strati, con­sen­ti­rebbe di indi­riz­zare mag­giori forze per per­se­guire i reati gravi e farebbe uscire dal car­cere chi deve scon­tare gli ultimi due o tre anni di deten­zione fra i quali le migliaia di reclusi vit­time della Fini-Giovanardi». Anche l’Unione delle camere penali parla di «sovrac­ca­rico sul sistema giu­di­zia­rio» e sot­to­li­nea la dispa­rità di trat­ta­mento che si potrebbe creare a causa della discre­zio­na­lità dei giu­dizi. Per i pena­li­sti «l’applicazione di que­sta sen­tenza non risolve» il pro­blema del sovraf­fol­la­mento car­ce­ra­rio e «non spo­sta nulla rispetto alla neces­sità di un prov­ve­di­mento di cle­menza generalizzato».

Una sen­tenza, que­sta, che «mette l’Italia al passo con la giu­ri­spru­denza di Stra­sburgo –ha spie­gato Giu­seppe Maria Ber­ruti, diret­tore dell’Ufficio del Mas­si­ma­rio della Cas­sa­zione – e, insieme alle due sen­tenze della Con­sulta, ci mette più in regola con la Carta di diritti dell’uomo. Il diritto non è immo­bile – ha aggiunto – cam­bia a seconda del qua­dro sto­rico di rife­ri­mento e que­sta vicenda dimo­stra che il qua­dro sto­rico è mutato rispetto a quando la legge Fini-Giovanardi venne ema­nata». Otto anni, migliaia di con­dan­nati e per­fino qual­che morte fa.

Altro che Italicum, la Cassazione a Napolitano: tornare subito al voto da: affaritaliani.it

Altro che Italicum, la Cassazione a Napolitano: tornare subito al voto

ESCLUSIVO AFFARITALIANI.IT/ Sentenza clamorosa della Cassazione. Dopo la Consulta, che a gennaio aveva dichiarato incostituzionale l’attuale legge elettorale, arriva il pronunciamento decisivo della Suprema Corte. Che mette nero su bianco una serie di considerazioni che potrebbero portare, secondo gli avvocati che hanno patrocinato la causa, addirittura a una impossibilità da parte del Parlamento a cambiare la legge elettorale

Mercoledì, 30 aprile 2014 –

Sentenza clamorosa della Cassazione. Dopo la Consulta, che a gennaio aveva dichiarato incostituzionale l’attuale legge elettorale, arriva il pronunciamento decisivo della Suprema Corte. Che mette nero su bianco una serie di considerazioni che potrebbero portare, secondo gli avvocati che hanno patrocinato la causa, addirittura a una impossibilità da parte del Parlamento a cambiare la legge elettorale. Insomma, l’Italicum di Renzi potrebbe essere approvato solo a fronte di nuove elezioni. Gli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani, in una lettera al presidente della Repubblica, scrivono: “Vorremmo attirare la Sua attenzione sulla importantissima recente sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, n. 8878/14 del 4 aprile 2014, nella quale, con l’efficacia del “giudicato erga omnes ” è stato accertato e dichiarato che “…i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento…”.

Dopo questa premessa, arriva la parte decisiva: “Il principio di continuità dello Stato non può legittimare fino alla fine della legislatura le Camere elette in violazione della libertà di voto e che sono il frutto della grave ferita inferta “alla logica della rappresentanza consegnata dalla Costituzione”. Ciò comporterebbe una grave violazione del giudicato costituzionale e di quello della Corte di Cassazione, nonché una persistente inammissibile violazione della Costituzione. Si tratta di pronuncia che è destinata a spiegare i propri effetti proprio per il futuro e che, quindi, non può essere ignorata, poiché ha accertato con forza di giudicato l’avvenuta violazione del diritto di voto di tutti gli elettori italiani, non soltanto dei ricorrenti. Ne consegue che l’attuale Parlamento, stante ” la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”, non ha alcuna legittimazione democratica per apportare modifiche alla vigente Costituzione, né per  modificare la legge elettorale risultante dalla sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale. Auspichiamo, pertanto, che Lei, preso atto dell’ineludibile giudicato e dell’obbligo giuridico di darvi pronta attuazione, promuova gli atti necessari affinché il Popolo Italiano sia finalmente messo in grado di “esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto secondo il paradigma costituzionale”.

Venezuela, presentate le intercettazioni sul tentato golpe Fonte: Il Manifesto | Autore: Geraldina Colotti

“Biso­gna eli­mi­nare que­sta por­che­ria, comin­ciando dalla testa, appro­fit­tando del clima mon­diale con l’Ucraina e ora con la Thai­lan­dia. Prima si fa, meglio è”. Parole di Maria Corina Machado, ex depu­tata vene­zue­lana di estrema destra. Le avrebbe scritte all’ex amba­scia­tore all’Onu Diego Arria, espo­nente del car­tello di oppo­si­zione Mesa de la uni­dad demo­cra­tica (Mud).Ancora più espli­citi i mes­saggi rivolti da Machado ai nazi­sti del gruppo Juven­tud Activa Vene­zuela Unida (Javu), finan­ziati da Hen­ri­que Salas Romer, eco­no­mi­sta e fon­da­tore del par­tito Proyecto Vene­zuela, ex gover­na­tore dello stato Cara­bobo: “La lobby inter­na­zio­nale è nel suo miglior momento”, avrebbe scritto Machado aiz­zando gli oltran­zi­sti. Il governo vene­zue­lano ha pre­sen­tato le inter­cet­ta­zioni nel corso di una con­fe­renza stampa coor­di­nata ieri sera dal sin­daco del muni­ci­pio Liber­ta­dor, Jorge Rodri­guez. Un’occasione per denun­ciare “il colpo di stato” delle destre durante la quale è emersa una rete di com­pli­cità che include, tra gli altri, il ban­chiere Eli­gio Cedeno, l’avvocato costi­tu­zio­na­li­sta Gustavo Tarre Bir­ceño (della locale Demo­cra­zia cri­stiana) e diplo­ma­tici Usa (in par­ti­co­lare l’ambasciatore in Colom­bia, Kevin Whitaker).

Intanto, negli Stati Uniti, 14 depu­tati demo­cra­tici hanno espresso il loro disac­cordo al pro­getto di legge per imporre san­zioni al Vene­zuela. Lo hanno fatto con una let­tera aperta al pre­si­dente Barack Obama prima che si aprisse la discus­sione sul tema alla Camera dei rap­pre­sen­tanti. Il testo che pre­vede di bloc­care i visti e i beni ai fun­zio­nari del governo vene­zue­lano “che hanno vio­lato i diritti umani” è già stato appro­vato dalla Com­mis­sione esteri della camera e del Senato. I 14, gui­dati dal rap­pre­sen­tante per il Michi­gan John Conyers, chie­dono invece a Obama di ripri­sti­nare le rela­zioni bila­te­rali fra i due paesi, con­ge­late da quat­tro anni. Come gesto di disten­sione, il pre­si­dente del Vene­zuela, Nico­las Maduro, si è detto pronto a inviare un nuovo amba­scia­tore, già nomi­nato. Nes­suna rispo­sta, però, da Washing­ton, anche se John Kerry ha recen­te­mente usato toni distensivi.

Le destre vene­zue­lane pre­mono per l’intervento esterno attra­verso i loro fidi a Miami e tuo­nano con­tro “il castro-madurismo”. Nella let­tera a Obama, i depu­tati demo­cra­tici espri­mono invece il loro soste­gno all’azione intra­presa dall’Unione delle nazioni suda­me­ri­cane (Una­sur), che sta mediando nel con­flitto in corso da feb­braio tra governo e oppo­si­zione (42 morti e oltre 800 feriti). Un con­flitto che regi­stra il rifiuto della Mud di pro­se­guire senza prima aver otte­nuto “l’amnistia” per gli arre­stati. Fra que­sti, il com­mis­sa­rio Ivan Simo­no­vis, coin­volto nel colpo di stato con­tro Hugo Cha­vez del 2002, che ha ini­ziato uno scio­pero della fame.

Il mini­stro degli Esteri, Elias Jaua, ha denun­ciato l’ingerenza degli Stati uniti davanti ai rap­pre­sen­tanti del Movi­mento dei paesi non alli­neati (Mnoal), nel ver­tice che si con­clude oggi in Alge­ria: “Il popolo vene­zue­lano merita di vivere in demo­cra­zia”, ha detto davanti agli 80 dele­gati dei 120 paesi che for­mano l’organismo inter­na­zio­nale. L’anno pros­simo, il sum­mit si terrà a Cara­cas e il Vene­zuela assu­merà la pre­si­denza del Mnoal fino al 2018. Jaua ha pre­sen­tato una denun­cia ana­loga nella riu­nione straor­di­na­ria della Una­sur, che si è tenuta in Ecua­dor lo scorso 22 e 23 maggio.

Stessa cosa intende fare davanti ad altri orga­ni­smi inter­na­zio­nali, molti dei quali sono già in pos­sesso di un cor­poso fasci­colo che docu­menta “il colpo di stato stri­sciante” ad opera della destra vene­zue­lana. Il 14 e il 14 giu­gno par­lerà al G77 + Cina in pro­gramma a Santa Cruz, in Boli­via e davanti alla Comu­nità degli stati lati­noa­me­ri­cani e carai­bili (Celac) che riu­ni­sce 33 paesi lati­no­ca­rai­bili. Oggi, Jaua va a Mosca per incon­trare il suo omo­logo Ser­gei Lavrov, per con­so­li­dare i mec­ca­ni­smi di coo­pe­ra­zione e le rela­zioni poli­ti­che con la Russia.

Dal ver­tice del Mnoal, il pre­si­dente boli­viano Evo Mora­les ha pro­te­stato con­tro “i ten­ta­tivi inva­sori degli imperi” e ha difeso il Vene­zuela socia­li­sta. “Il cam­mino delle san­zioni è un fal­li­mento come lo è stato il blo­queo e la per­se­cu­zione degli Stati uniti con­tro Cuba – ha detto Maduro durante il suo pro­gramma tele­vi­sivo set­ti­ma­nale — spe­riamo che Obama ascolti il cla­more dei popoli e instauri nuove rela­zioni di rispetto, per­ché qua­lun­que san­zione si espor­rebbe al ripu­dio internazionale”

Precari storici traditi dal D.M. 356? Fonte: La Tecnica della Scuola | Autore: Lucio Ficara

Molti si erano fidati delle rassicurazione della stessa moglie del premier Renzi. Ma adesso si torna al punto di partenza. Per svuotare le graduatorie ci vorrà sempre più tempo.

Ma che fine ha fatto Agnese Landini, che avrebbe dovuto consigliare il marito Matteo Renzi per il bene della scuola pubblica e in modo particolare dei precari storici?

L’attenzione della first lady al mondo del precariato storico della scuola è dovuta alla sua conoscenza del problema, essendo lei stessa un’insegnante precaria di italiano e latino inserita nelle graduatorie ad esaurimento della provincia di Firenze e in prima fascia per le graduatorie d’istituto.

Ricordiamo alcune dichiarazioni recenti della moglie di Renzi, che affermava: “Quello della scuola è un argomento molto importante, di cui parlo con mio marito. In questo modo posso portare ai suoi occhi la piena conoscenza di tante aspettative che, specialmente i precari, hanno sulla scuola e sull’operato del Governo in tal senso”.

Queste parole hanno rassicurato molti precari storici, inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, che hanno creduto in una fase politica che avrebbe risolto definitivamente il problema atavico di quel limbo chiamato “precariato storico”. Ed invece ecco arrivare una cocente delusione per tutti quei precari che da anni, se non da decenni, stanno aspettando il fatidico ruolo. Di quale delusione stiamo parlando? Si tratta del decreto ministeriale n. 356 del 23 maggio, composto da un solo articolo che penalizza le graduatorie ad esaurimento a vantaggio dei docenti idonei, ma non vincitori, del concorso bandito con D.D.G. n. 82 del 2012. Altro che svuotamento in quattro anni delle graduatorie ad esaurimento promesse dal primo Ministro Renzi!

Con il decreto n. 356 del 23 maggio 2014, le graduatorie ad esaurimento non riusciranno a svuotarsi prima di qualche decennio. Nel provvedimento c’è scritto che il candidati inseriti a pieno titolo nelle graduatorie di merito del concorso ordinario per il reclutamento di personale docente bandito con il decreto del Direttore generale per il personale scolastico 24 settembre 2012 n.82, ma non collocati in posizione utile tale da risultare vincitori, hanno titolo, a decorrere dall’anno scolastico 2014/15 ad essere destinatari di contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, in subordine ai vincitori, fermo restando il vincolo della procedura autorizzatoria di cui all’art. 39, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, nei limiti del 50 per cento dei posti previsti per il concorso ai sensi dell’articolo 399, comma 1, del decreto legislativo n. 297 del 1994 e fermo restando quanto previsto dell’articolo 400 del suddetto decreto legislativo”.

Questo significa che la destinazione del 50% dei posti per le immissioni in ruolo non potrà, una volta esauriti i posti decretati per i vincitori del concorso bandito ai sensi del D.D.G. n. 82 2012, tornare alle graduatorie ad esaurimento, ma resterà a disposizione dei docenti idonei al suddetto concorso che quindi potranno entrare in ruolo senza magari essere mai entrati in una classe a fare anche un solo giorno di supplenza.

I precari storici sono furiosi per questa decisione che ha cambiato le regole del gioco durante lo svolgimento della partita e si chiedono dove è finita Agnese consigliera maldestra di un Premier, che di scuola e precariato storico non capisce proprio nulla.

Erri De Luca: “Il sostegno spontaneo contro la mia incriminazione va alla lotta della Val di Susa” Autore: isabella borghese.da: controlacrisi.org

Attenzione, preoccupazione e solidarietà in questi giorni per Erri De Luca, da parte di attivisti, lettori, operatori culturali e tutti coloro che come lo scrittore si sono sempre dichiarati contro la Tav. Siamo infatti tutti in attesa del 5 giugno quando, presso il Tribunale di Torino, si terrà l’udienza preliminare del processo allo scrittore.
Ripercorriamo in breve i passaggi salienti della vicenda che ha come protagonista Erri De Luca sulla questione Tav e che ha portato lo stesso scrittore a ricevere una denuncia. Poi lasceremo spazio a un’intervista che oggi ci ha concesso con la sua solita e impeccabile disponibilità.

E’ stato proprio De Luca a Ottobre 2013 ad aver dichiarato: “Un intellettuale deve essere coerente e mettere in pratica ciò che sostiene, per questo anch’io ho partecipato a forme di sabotaggio in Val di Susa”. Di lì a poco è arrivata la denuncia della Lyon-Turin ferroviaire (Ltf), la società che dovrebbe realizzare la tratta comune della linea a alta velocità Torino-Lione. Ed è stata proprio la procura di Torino ad aprire un fascicolo contro lo scrittore Erri De Luca.
Alberto Mittone, avvocato della società francese, a suo tempo ha dichiarato: “Riteniamo che De Luca abbia quantomeno istigato a commettere sabotaggi”. Lo scrittore in questione ha subito tenuto a precisare: “Il termine sabotaggio fa parte di una lunghissima tradizione di lotte del movimento operaio e sindacale – ha spiegato – Ho fatto una constatazione: in una valle che vive uno stato d’assedio e militarizzata per difendere un’opera inutile e dannosa, e dove non ci sono altri modi per farsi ascoltare, si ricorre al sabotaggio. Io non uso le parole a caso. Le parole hanno un peso”.

“Da scrittore – ha poi dichiarato – essere denunciato per aver espresso pubblicamente le mie convinzioni, rappresenta un riconoscimento, una sorta di premio letterario. Si tratta di un procedimento che ribadisce la giustezza delle mie convinzioni”.

Intervista a Erri De Luca 

Il 5 giugno presso il Tribunale di Torino si terrà l’udienza preliminare del processo per istigazione al sabotaggio in merito alla questione Tav di cui già ne avevamo parlato insieme (collego intervista passata). Di recente hai dichiarato, in merito: “Se mi condannano per istigazione alla violenza non farò ricorso in appello. Se dovrò farmi la galera per avere espresso una opinione, allora la farò”. Mancano pochi giorni al 5, cos’altro vuoi/puoi aggiungere…

La piazza è il luogo della democrazia quanto lo è un’ assemblea. Il diritto di manifestare non è revocabile né trattabile. Da noi si torna a praticare repressione di movimenti di massa che interferiscono con lo spreco di denaro pubblico. Questa opposizione non è ammessa dall’intreccio di politica e affari, di appalti truccati e gonfiamento di costi. Da qui la repressione che ha una catena di comando unificante tra polizia, magistratura, prigione. A Torino per la repressione della NOTAV in Val di Susa si è costituita per la prima volta, dopo gli anni ’70 e ’80, questa macchina repressiva. La differenza è che in quegli anni un ceto intellettuale e artistico si schierava aperta e militante con le lotte pubbliche, mentre oggi è inerte come un surgelato.

In Italia vige la repressione e si vuole ammutolire il dissenso. lo racconta quanto è accaduto a te e lo conferma quanto sta accadendo ai movimenti per il dirtto alla casa: gli arresti dei leader, di nuovo ai domiciliari dal 22 maggio, non fanno che confermare questa pratica che vuole mettere a tacere l’opposizione. La piazza resta ancora l’unica forma di protesta per dare voce alle lotte dei cittadini?

Non è la piazza a stare dalla mia parte, ma io dalla parte di qualche buona piazza e delle sue ragioni. Il sostegno spontaneo del 4 giugno va alla lotta della Val di Susa, della quale la mia incriminazione è un piccolo episodio, ma utile a dimostrare il livello di intransigenza della macchina di affari che governa la vita pubblica.

Siamo in un momento politico in cui per la sinistra, chi lo sa, speriamo anche italiana!, si intravede della speranza. Il superamento dello sbarramento da parte della lista Tsipras e la sua entrata dunque nel parlamento europeo, chiarisce la volontà, di una parte della sinistra italiana di voler andare verso un’unità. Si tratta di un percorso che fino ad oggi non è stato possibile praticare. Come giudichi questo momento politico? nonostante la spaccatura di Sel di cui si sta già parlando.
Intanto mi fa piacere che gli italiani siano diventati insondabili e che mentiscano ai sondaggi. Questo strumento che sostituisce la politica, il sondaggio appunto, deve essere sabotato. Le elezioni europee non significano granché, non coinvolgono gli interessi locali che sono quelli che maggiormente formano pacchetti di voti. Inoltre, più che quello che succede nella sinistra, mi interessa la disarticolazione della destra.

A SOSTEGNO DI ERRI DE LUCA IL 4 GIUGNO SI TERRANNO NUMEROSE LETTURE, PER INFO CONSULTARE L’EVENTO DI FACEBOOK:
https://www.facebook.com/events/247911452067176/

LUOGHI ED EVENTI FISSATI AL MOMENTO DOVE PARTECIPARE:
Roma: Casetta Maribel Rossa spa, Via Giovanni Battista Magnaghi, 14, (06 8936 0511), Carmen Iovino, Sergio Palumbo;
Roma: Refugee ScART, “I Rifugiati leggeranno “Solo andata” di Erri De Luca, Via Montagnola 39;
Montecelio (Rm), Piccolo Teatro dei Sassi, Compagnia Degli Innamorati Erranti;
Maccarese (Rm), Sala del Buttero, via del Buttero 3
Formia (LT) Sede SPSF _ Via Maiorino, 31
Rieti, Libreria Gulliver, via Roma 61, Ines Millesini
Ancona: Casa delle Culture, via Vallemiano 46
Catanzaro:Libreria Ubik Via del Progresso
Piacenza: Libri d’altri tempi Book Bank, Mecgele Dabergami;
Castiglione delle Stiviere (Mn) Libreria MR Libro, Via Garibaldi 6, Antonella Auzino;
BRESCIA Caffè Letterario di Brescia (Francesca Garioni, Gianluigi Bergognini e Barbara Favaro ) con la collaborazione di Claudia Capra. In arrivo la locandina;
Bologna, Libreria Trame, Via Goito 3 c, Alessandra Gruppioni e Chiara Burani;
NAPOLI:
Libreria Dante & Descartes, Piazza Gesù Nuovo, 14 (081 4202431) Giancarlo Di Maio;
Libreria di U’; Via Consalvo Carelli 19 (Vomero), Valentina Castellano;
Libreria L’Ibrido, via Nilo 29 (081 55 20 798) Roberto;
Il Mantegno, Vineria, Piazzetta Nilo 19, Gigi Esposito;
Evaluna, Caffè Letterario, Piazza Bellini, Lia Polcari;
Libreria Berisio, Via Port’Alba, Rosaria De Angelis;
Avellino: Libreria L’Angolo delle Storie, Fosso S. Lucia 4 (0825 628256) Consiglia;
Benevento: Cinema San Marco, Elide Apice;
Aversa, Caserta: Letti Sfatti e Associazione Bianca D’Aponte all’AUDITORIUM Bianca D’Aponte, Letti Sfatti Sfatti;
Salerno: Gianni Sciancalepore da definire lo spazio;
Piscinola (NA)Teatro Area Nord di Piscinola
Termoli, Libreria Fahreneit, via Cina 34
MATERA: a Casa Cava, Titti Santabarbara;
Potenza: Libreria Ubik, Via Pretoria, Luca Rando;
Bari: Mariella Soldo da definire lo spazio;
Bitonto (BA) Libreria SECOPSTORE
Grumo Appula (Ba), Il Presidio del Libro, Maria Amoruso;
Barletta (Ba) Concerto di testi Libreria Cialuna, Via Nazareth 24, Cosimo Damiano Damato;
Isole Tremiti, al Cafè Wine RA ORA, Lettura pubblica per Erri De Luca,
Sant’Agata di Militello, Messina, : Libreria Francesco Zuccarello, via Generale Liotta Aurelio 19, (0941 702748), Claudio Masetta Milone;
Cagliari: in preparazione…;
Alghero: Libreria “Il Labirinto” – Mondadori, via Carlo Alberto n. 119,dalle ore 19.00 Pier Luigi Alvau, Claudia Soggiu, Anna Borghi e Davide Casu;
Genova, Mauro Milani…;
Pistoia: Libreria Feltrinelli, in Via degli ORAFI 31-33,
AOSTA – c/o Espace Populaire – Via Mochet, 7
Torino: Libreria Feltrinelli Piazza C.L.N. 51, Bibiana Rizzo;
MILANO: Libreria del Mondo Offeso, Corso Garibaldi 50, Laura Ligresti (02 365 20 797);
COMO: La Feltrinelli Libreria, via Cesare Cantù 17
FRANCIA, Lyon, Grande Giusi Aliperta, mercredi 4 juin Atelier de création libertaire 1er ore 19;
INGHILTERRA, London Mercoledì 4 giugno alle ore 18.30 in UTC+01
L’orecchietta – Coffee Shop & Restaurant a London, United Kingdom

Sciopero del trasporto aereo, la denuncia del sindacato: “Meridiana ha noleggiato aerei ed equipaggi esterni”Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Dalla mezzanotte è in atto il nuovo sciopero dei trasporti di 24 ore, proclamato da Filt Cgil, Fit Cisl e Ugl Trasporto Aereo, che interessa il gruppo Meridiana, ma anche gli assistenti di volo di Easyjet e Alitalia. Secondo quanto denuncia il sindacato, l’azienda, che ha intenzione di procedere a licenziamenti di massa, sta ricorrendo all’affitto di vettori ed equipaggi esterni pur di effettuare il servizio. La Cgil in una nota parla di comportamento sindacale e si dice pronta a denunciare il tutto alla magistratura. “Si celebra oggi l’ennesima pagina nera della vita di un’azienda in piena deriva antisindacale e dalla quale ormai ci si può aspettare di tutto”, dice il segretario nazionale della Filt Cgil Mauro Rossi, spiegando che “l’azienda, avendo stimato un adesione praticamente totale allo sciopero, peraltro verificatasi, ha noleggiato equipaggi e aeromobili di altre compagnie, anche straniere, ed i passeggeri che oggi riusciranno a volare Meridiana si troveranno su aeromobili di altre aziende e probabilmente senza nessuno dell’equipaggio che parla la lingua italiana”.
Secondo il dirigente sindacale della Filt nazionale “i costi vertiginosi di queste iniziative, gli aeromobili Meridiana a terra, gli atti sempre più in spregio delle normative vigenti segnano un punto di non ritorno e siamo costretti a denunciare quanto in atto alla Magistratura e all’Ente Nazionale Aviazione Civile. La dirigenza di questa azienda è pericolosa – denuncia infine Rossi – ed evidentemente ha mandato dall’Aga Khan di procedere alla distruzione di una realtà economica irrinunciabile per la Sardegna e per il trasporto aereo nazionale”. A Cagliari-Elmas i dipendenti Meridiana hanno esposto uno striscione per richiamare l’attenzione sulla vertenza dei 1.200 esuberi annunciati dalla compagnia aerea dell’Aga Khan.

Borsellino quater, ascoltato il pentito Romeo: “Le stragi furono volute da Berlusconi” da: giornale siracusa

 

pentito-romeo

Si è appena conclusa un’udienza durata quasi 8 ore, presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia di Roma, del processo Borsellino quater, nel quale i pubblici ministeri di Caltanissetta Sergio Lari, Domenico Gozzo, Stefano Luciani e Gabriele Paci, indagano sulla morte del giudice Paolo Borsellino, ucciso nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992 insieme agli agenti della sua scorta – Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina .

Tra gli imputati Salvatore Madonia, Vittorio Tutino, Vincenzo Scarantino, Francesco Andriotta e Calogero Pulci.

Oggi sono stati ascoltati i pentiti Gaspare Mutolo, Agostino Trombetta e Pietro Romeo.

Gaspare Mutolo ha delineato uno scenario, che rimanda immediatamente al clima dei racconti di Leonardo Sciascia, di tacito accordo e di pacifica convivenza fra mafia, forze dell’ordine e chiesa cattolica. In questo periodo storico durato fino ai primi anni ‘80, i mafiosi non erano visti come delinquenti ma, semplicemente, come persone in grado di mantenere un ordine incutendo una giusta dose di timore, motivo per cui ci si guardava bene dall’arrestarli. Poi le cose iniziarono a cambiare e Mutolo, che ha ancora un retaggio che vede sopravvivere il mito di un’etica della mafia, ha dichiarato di aver iniziato a collaborare “quando i corleonesi iniziarono a uccidere le donne e i bambini che non si toccano e io non mi sentivo più un uomo d’onore”. All’inizio della sua collaborazione, Mutolo avrebbe voluto affidarsi a Falcone, che stava però già a Roma, per parlare soprattutto del coinvolgimento del giudice Signorino e di Contrada, ma da Falcone stesso viene rimandato a Borsellino, che era a Marsala.

“L’incontro, inizialmente ostacolato da Giammanco, avvenne il giorno 1 luglio del 1992 e fu tormentato. Io dissi che dovevamo partire dall’indebolire il potente ‘esercito armato della mafia’ che metteva in pericolo perché controllava tutti i rioni. Doveva essere un incontro segreto, ma il dottor Borsellino riceve una telefonata dal ministro Nicola Mancino che, quindi, sapeva dov’era e interrompiamo l’interrogatorio perché Borsellino va da Mancino” continua Mutolo “Al ritorno, Borsellino era agitato e nervoso al punto di avere acceso due sigarette, una in bocca e una nella mano. Mi porta i saluti di Contrada, che aveva incontrato all’uscita del ministero, e mi riferisce che gli ha detto, con tono sarcastico, che per qualsiasi cosa mi potevo rivolgere a lui, ma in verità voleva dirmi di non parlare”. Mutolo, che è il collaboratore con il quale nasce la Dia e che ne diventa consulente, durante l’udienza di oggi, ha fatto riferimento, per la prima volta, a personaggi importanti di Palermo dai quali lui stesso cercava informazioni e che spingeva a collaborare fra il 1991 e il 1992. “Non posso fare i nomi così pubblicamente” ha risposto a una richiesta di ulteriore approfondimento “li farò se me li chiede un giudice. Comunque, non li cercavo per favori personali ma allargavo il mio campo d’azione per la Dia” e, su di loro, ha aggiunto soltanto che “sono professionisti pacifici che oggi continuano a lavorare, persone per bene che già allora rischiavano”.

Dopo la morte di Borsellino – che Mutolo ha definito uno che non sentiva le redini – i giudici Natoli e Lo Forte continuano a indagare con l’inchiesta ‘Golden Market’, così denominata a partire dalle iniziali del nome e cognome di Gaspare Mutolo.

Il secondo teste di oggi è Agostino Trombetta che apparteneva al mandamento di Brancaccio ed era l’autista di Gaspare Spatuzzagaspare-spatuzza-2009-12-4-17-41-43che all’epoca era capomandamento di Brancaccio – e lo proteggeva durante la sua latitanza cercandogli posti sicuri.

Trombetta decide di collaborare con la giustizia dall’aprile del 1996, la sera stessa in cui viene arrestato.

Interrogato a proposito delle sue attività lecite, dichiara: “avevo un’autofficina e un’autolavaggio in società con Maurizio Costa; lui era il vero e proprio meccanico, io facevo rubare o rubavo le macchine per montare i pezzi e poi rivenderle”. Trombetta viene ascoltato soprattutto in merito alla Fiat 126 e racconta che “una mattina cercavo Maurizio nei vari bar del quartire perché non riuscivo a trovarlo, poi lo vedo arrivare da una stradella di campagna che collega un magazzino dove facevamo riparazioni e smontavamo macchine rubate. Mi dice che è stato in giro a comprare cose che gli aveva commissionato Gaspare Spatuzza dandogli anche centomilalire: doveva sistemare i freni di una Fiat 126 vecchissima che aveva la carrozzeria malridotta e pure un fanale rotto. Mi dice pure che aveva notato qualcosa di strano, tipo un ripetitore sotto il sedile e che Spatuzza lo aveva bruscamente tirato fuori dalla macchina. Spatuzza diceva che la macchina voleva ripararla per la sorella, ma era strano che non mi avesse coinvolto e che, tirchio com’era, avesse uscito anche centomilalire”.

Purtroppo, è chiaro immediatamente a tutti di quale Fiat 126 stiamo parlando.

Per concludere, Trombetta ha risposto affermativamente alle domande riguardanti la sua conoscenza di Vincenzo Scarantino, del quale ha detto essere “uno spacciatore che si sentiva  un grande mafioso ma era un grande infamone” e di Vittorio Tutino che “era il killer della famiglia Graviano”.

Agostino Trombetta ha concluso la propria dichiarazione con delle forti lamentele riguardanti la sua attuale situazione di collaboratore di giustizia che dal 2004, essendo stato capitalizzato, non ha più diritto al programma di protezione.

Come ultimo collaborante è stato ascoltato Pietro Romeo, appartente al gruppo di fuoco di Brancaccio che, poi, dal 1995 ha deciso di collaborare con la giustizia perché “mi volevo liberare da tutto quello che avevo fatto e volevo cambiare vita”.

La sua dichiarazione vale tutte le 8 ore dell’udienza di oggi.

Interrogato a proposito delle motivazioni delle stragi del 1993 e sui rapporti fra Cosa nostra e gli esponenti politici, ha raccontato che “dopo che Pasquale De Filippo aveva fatto arrestare Nino Mangano e Bagarella, io ho assistito a un incontro fra Francesco Giuliano e Gaspare Spatuzza durante il quale Giuliano chiese: «Chi è il politico che ha fatto mettere le bombe, Andreotti o Berlusconi?» e Spatuzza rispose «Berlusconi, quello di canale cinque». In effetti, Berlusconi era in contatto diretto con i fratelli Graviano, i quali andavano a Milano per discutere con lui di queste cose” e sui motivi di questo contatto, Romeo ha dichiarato: Berlusconi aveva promesso ai Graviano che si sarebbe interessato per le questioni del 41 bis”.

Il processo è stato rinviato all’udienza di domani, 27 maggio, alle ore 9.30 sempre presso l’aula bunker del carcere di Rebibbia di Roma e verranno ascoltati Ferrante, Grigoli, Sinacori e Drago.

Subcomandante Marcos: “ultime parole in pubblico prima di smettere di esistere”| Fonte: Comitato Chiapas “Maribel” | Autore: Sub-comandante Marcos

La lettera completa di addio del Subcomandante Insurgente Marcos.

TRA LUCE ED OMBRA

La Realidad, Pianeta Terra

Maggio 2014

Compagna, compañeroa, compagno:

Buona notte, sera, giorno, qualunque sia la vostra geografia, tempo e modo.

Buone albe.

Chiedo in particolare alle compagne, compagni e compañeroas della Sexta che vengono da altre parti, ai media liberi compagni, di avere pazienza, tolleranza e comprensione per quello che dirò, perché queste saranno le mie ultime parole in pubblico prima di smettere di esistere.

Mi rivolgo a voi e a coloro che attraverso di voi ci ascoltano e ci guardano.

Forse all’inizio, o durante questo discorso, potrebbe nascere nel vostro cuore la sensazione che qualcosa sia fuori luogo, che qualcosa non quadri, come se mancassero dei tasselli per dare un senso al rompicapo che vi si sta delineando. Come se mancasse qualcosa.

Forse dopo, giorni, settimane, mesi, anni, decenni si capirà quello che diciamo ora.

Le mie compagne e compagni dell’EZLN a tutti i livelli non mi preoccupano, perché questo è il nostro modo: camminare, lottare, sapendo che manca sempre ancora qualcosa.

Inoltre, nessuno si offenda, ma l’intelligenza delle/dei compas zapatisti è molto al di sopra della media.

Per il resto, ci inorgoglisce che sia davanti a compagne, compagni e compañeroas, sia dell’EZLN che della Sexta che si comunica pubblicamente questa decisione collettiva.

Ed è bello che sarà attraverso i media liberi, alternativi, indipendenti di questo arcipelago di dolori, rabbie e degna lotta che chiamiamo “la Sexta“, che verrete a conoscenza di quello che dirò dovunque vi troviate.

Se a qualcun altro interesserà sapere che cosa è successo in questo giorno dovrà rivolgersi ai media liberi per saperlo.

Bene dunque. Benvenute e benvenuti nella realtà zapatista.

I.- Una decisione difficile.

Quando nel 1994 con sangue e fuoco irrompemmo ed interrompemmo, per noi zapatisti non iniziava la guerra.

La guerra dell’alto, con la morte e la distruzione, la spoliazione e l’umiliazione, lo sfruttamento ed il silenzio imposti al vinto, la stavamo già subendo da secoli.

Quello che per noi inizia nel 1994 è uno dei molti momenti della guerra di quelli che stanno in basso contro quelli che stanno sopra, contro il loro mondo.

Quella guerra di resistenza che si svolge giorno per giorno per le strade di ogni angolo dei cinque continenti, nelle campagne e sulle montagne.

La nostra, come quella di molti e molte del basso, era ed è una guerra per l’umanità e contro il neoliberismo.

Contro la morte, noi chiedevamo vita.

Contro il silenzio, esigevamo la parola ed il rispetto.

Contro l’oblio, la memoria.

Contro l’umiliazione e il disprezzo, la dignità.

Contro l’oppressione, la ribellione.

Contro la schiavitù, la libertà.

Contro l’imposizione, la democrazia.

Contro il crimine, la giustizia.

Chi con un po’ di umanità nelle vene potrebbe o può contestare queste richieste?

Ed in quei momenti molti ascoltarono.

La guerra che iniziammo ci diede il privilegio di raggiungere ascolti e cuori attenti e generosi in geografie vicine e lontane.

Mancava certo qualcosa, e manca ancora, ma allora ottenemmo lo sguardo dell’altro, il suo ascolto, il suo cuore.

Allora ci vedemmo nella necessità di rispondere ad una domanda decisiva:

“Che cosa fare?”

I tetri conti della vigilia non includevano la possibilità di porci domande. Cosicché questa domanda ne portò altre:

Preparare quelli che seguiranno il cammino della morte?

Formare altri e migliori soldati?

Investire impegno nel migliorare la nostra malconcia macchina da guerra?

Fingere dialoghi e predisposizione alla pace, ma continuare a preparare nuovi colpi?

Ammazzare o morire come unico destino?

O dovevamo ricostruire il cammino verso la vita, quello che avevano rotto e rompono dall’alto?

La strada non solo dei popoli originari, ma anche di lavoratori, studenti, maestri, giovani, contadini, oltre a tutte le differenze che si celebrano in alto, e sotto si perseguono e si puniscono.

Dovevamo segnare col nostro sangue il cammino che altri dirigono verso il Potere, o dovevamo rivolgere il cuore e lo sguardo verso quelli che siamo e quelli che sono quello che siamo, i popoli originari, guardiani della terra e della memoria?

Nessuno allora sentì, ma con le nostre prime incerte parole avvertimmo che il nostro dilemma non era tra negoziare o combattere, bensì tra morire o vivere.

Chi allora avesse inteso che quel precoce dilemma non era individuale, forse avrebbe capito meglio quello che è successo nella realtà zapatista negli ultimi 20 anni.

Ma vi dicevo che ci imbattemmo in quella domanda e quel dilemma.

Ed abbiamo compiuto una scelta.

Invece di formare guerriglieri, soldati e squadroni, abbiamo formato promotori di educazione, di salute, e sono state lanciate le basi dell’autonomia che oggi stupisce il mondo.

Invece di costruire quartieri militari, migliorare il nostro armamento, innalzare muri e trincee, sono state costruite scuole, ospedali e centri di salute, abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita.

Invece di lottare per occupare un posto nel Partenone delle morti individualizzate del basso, abbiamo scelto di costruire la vita.

Tutto questo in mezzo ad una guerra che non perché sorda fosse meno letale.

Perché compas, una cosa è gridare “non siete soli”, ed un’altra affrontare solo col proprio corpo una colonna blindata di truppe federali, come successe nella zona degli Altos del Chiapas, e sperare che con un po’ di fortuna qualcuno lo venga a sapere, e sempre con un po’ di fortuna sperare che chi lo viene a sapere si indigni, e che con un altro poco più di fortuna chi si indigna faccia qualcosa.

Nel frattempo, i blindati vengono fermati dalle donne zapatiste, ed in mancanza d’altro è stato con improperi e pietre che il serpente di acciaio dovette tornare indietro.

E nella zona nord del Chiapas subire la nascita e lo sviluppo delle guardias blancas, riciclate allora come paramilitari; e nella zona Tzotz Choj le aggressioni continue di organizzazioni contadine che di “indipendente” a volte non hanno nemmeno il nome; e nella zona della Selva Tzeltal la combinazione di paramilitari e contras.

Ed una cosa è gridare “tutti siamo marcos” o “non tutti siamo marcos”, a seconda del caso o cosa, ed un’altra la persecuzione con tutto il macchinario di guerra, l’invasione dei villaggi, il “rastrellamento” delle montagne, l’uso dei cani addestrati, le pale degli elicotteri blindati che agitano le cime delle ceibe, l’ordine “vivo o morto” lanciato nei primi giorni di gennaio del 1994 e che raggiunse il suo livello più isterico nel 1995 e nel resto del sessennio dell’allora impiegato di una multinazionale, e che questa zona di Selva di Confine ha patito dal 1995 ed al quale si somma poi la stessa sequenza di aggressioni di organizzazioni contadine, l’uso di paramilitari, la militarizzazione, la persecuzione.

Se c’è un mito in tutto questo non è il passamontagna, ma la menzogna che si ripete fin da quei giorni, perfino ripresa da persone molto istruite, e cioè che la guerra contro gli zapatisti è durata solo 12 giorni.

Non farò un resoconto dettagliato. Qualcuno con un po’ di spirito critico e serietà può ricostruire la storia, e sommare e sottrarre per ottenere il risultato, e dire se sono stati e sono più i giornalisti dei poliziotti e soldati; se sono state più le lusinghe delle minacce e gli insulti, se il prezzo offerto era per vedere il passamontagna o per catturarlo “vivo o morto”.

In quelle condizioni, a volte solo con le nostre forze ed altre con l’appoggio generoso ed incondizionato di gente buona di tutto il mondo, si è andati avanti nella costruzione ancora incompiuta, certo, ma già definita di quello che siamo.

Non è dunque solo una frase, fortunata o sfortunata, a seconda se la si guardi dall’alto o dal basso, questa “siamo qui i morti di sempre, che muoiono di nuovo, ma ora per vivere“. È la realtà.

E quasi 20 anni dopo…

Il 21 dicembre del 2012, quando politica ed esoterismo coincidevano come altre volte nel predire catastrofi che cadono sempre sui soliti, quelli in basso, abbiamo replicato il colpo di mano del 1° gennaio ’94 e, senza sparare un solo colpo, senza armi, col nostro solo silenzio, abbiamo di nuovo rovesciato la superbia della città culla e nido del razzismo e del disprezzo.

Se il primo gennaio 1994 migliaia di uomini e donne senza volto attaccarono e presero le guarnigioni che proteggevano le città, il 21 dicembre 2012 sono state decine di migliaia di persone a prendere senza parole gli edifici da dove si celebrava la nostra scomparsa.

Il solo fatto inappellabile che l’EZLN non solo non si era indebolito, e tanto meno era scomparso, ma che era cresciuto quantitativa e qualitativamente, sarebbe stato sufficiente a qualsiasi mente mediamente intelligente per rendersi conto che, in questi 20 anni, qualcosa era cambiato all’interno dell’EZLN e delle comunità.

Forse più di qualcuno penserà che sbagliammo nella scelta, che un esercito non può né deve impegnarsi per la pace.

Per molte ragioni, certo, ma la principale era ed è perché con una scelta diversa avremmo finito per sparire.

Forse è vero. Forse abbiamo sbagliato a scegliere di coltivare la vita invece di adorare alla morte.

Ma noi abbiamo scelto senza ascoltare quelli di fuori. Non ascoltando quelli che chiedono ed esigono sempre la lotta fino alla morte, quando i morti però li mettono gli altri.

Abbiamo scelto guardandoci ed ascoltandoci, come il Votán collettivo che siamo.

Abbiamo scelto la ribellione, cioè, la vita.

Questo non vuol dire che non sapessimo che la guerra dell’alto avrebbe cercato e cerca di imporre di nuovo il suo dominio su di noi.

Sapevamo e sappiamo che avremmo sempre dovuto difendere ciò che siamo e come siamo.

Sapevamo e sappiamo che continuerà ad esserci la morte affinché ci sia la vita.

Sapevamo e sappiamo che per vivere, moriamo.

II.- Un fallimento?

Da quelle parti dicono che non abbiamo ottenuto niente per noi.

Non smette di sorprendere come si manipoli con tanta impudenza questa posizione.

Pensano che i figli e le figlie dei comandantes e comandantas dovrebbero godere di viaggi all’estero, di studi in scuole private e poi posti di rilievo in aziende o in politica. Che invece di lavorare la terra per strapparle il cibo con sudore e fatica, dovrebbero esibirsi sui social network mentre si divertono nei locali ed esibire il lusso.

Forse i subcomandanti dovrebbero procreare e passare in eredità ai loro discendenti le cariche, le prebende, le scene, come fanno i politici di ogni dove.

Forse dovremmo, come i dirigenti della CIOAC-H e di altre organizzazioni contadine, ricevere privilegi e soldi in progetti ed aiuti, tenercene la maggior parte e lasciare alle basi solo qualche briciola in cambio di eseguire gli ordini criminali che vengono dall’alto.

Ma è vero, non abbiamo ottenuto niente di tutto questo per noi.

Difficile da credere che 20 anni dopo quel “niente per noi“, adesso si scopre che non era uno slogan, una frase buona per cartelloni e canzoni, ma una realtà, la realtà.

Se l’essere conseguenti è un fallimento, dunque l’incoerenza è la strada per il successo, per il Potere.

Ma noi non vogliamo prendere quella strada.

Non ci interessa.

Su queste basi preferiamo fallire che vincere.

III.- L’avvicendamento.

In questi 20 anni nell’EZLN c’è stato un avvicendamento molteplice e complesso.

Alcuni hanno notato solo il fattore evidente: quello generazionale.

Adesso chi era piccolo o non era nemmeno nato all’inizio dell’insurrezione, lotta e guida la resistenza.

Ma alcuni studiosi non hanno notato altri avvicendamenti:

Quello di classe: dall’originale classe media istruita, all’indigeno contadino.

Quello di razza: dalla dirigenza meticcia alla dirigenza nettamente indigena.

Ed il più importante: l’avvicendamento di pensiero: dall’avanguardismo rivoluzionario al comandare ubbidendo; dalla presa del Potere dall’Alto alla creazione del potere dal basso; dalla politica professionale alla politica quotidiana; dai leader, ai popoli; dall’emarginazione di genere, alla partecipazione diretta delle donne; dallo scherno per l’altro, alla celebrazione della differenza.

Non mi dilungherò oltre, perché il corso “La Libertad según l@s zapatistas” è stata proprio l’occasione di constatare se nel territorio organizzato vale più il personale della comunità.

A livello personale non capisco perché gente pensante che afferma che la storia la fanno i popoli, si spaventi tanto di fronte all’esistenza di un governo del popolo dove non ci sono gli “esperti” del governare.

Perché li terrorizza che siano i popoli a comandare, a muovere e dirigere i propri passi?

Perché scuotono il capo con disapprovazione di fronte al comandare ubbidendo?

Il culto della personalità trova nel culto dell’avanguardismo il suo estremo più fanatico.

Ed è esattamente questo, che gli indigeni comandino e che ora un indigeno sia il portavoce e capo, ciò che li atterrisce, li allontana, ed alla fine li spinge via alla ricerca di qualcuno che necessiti di avanguardie, capi e leader. Perché c’è razzismo anche nella sinistra, soprattutto in quella che si crede rivoluzionaria.

L’ezetaellenne non è di quelli. Per questo non tutti possono essere zapatisti.

IV.- Un ologramma cangiante e a modo. Quello che non sarà.

Prima dell’alba del 1994, ho trascorso 10 anni in queste montagne. Ho conosciuto ed avuto a che fare personalmente con alcuni con la cui morte siamo morti in molti. Conosco ed ho a che fare da allora con altri ed altre che oggi sono qui come noi.

Molte albe mi sono trovato io stesso a cercare di assimilare le storie che mi raccontavano, i mondi che disegnavano con silenzi, mani e sguardi, la loro insistenza nell’indicare qualcosa più in là.

Quel mondo così altro, così lontano, così alieno, era un sogno?

A volte pensavo che erano troppo avanti, che le parole che ci guidavano e guidano venivano da tempi per i quali non c’erano ancora calendari adeguati, persi com’erano in geografie imprecise: il sud degno sempre onnipresente in tutti i punti cardinali.

Poi mi sono accorto che non mi parlavano di un mondo inesatto e, pertanto, improbabile.

Quel mondo procedeva già col suo passo.

Voi non l’avete visto? Non lo vedete?

Non abbiamo ingannato nessuno del basso. Non nascondiamo che siamo un esercito, con la sua struttura piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall’alto verso il basso. Non neghiamo quello che siamo per ingraziarci i libertari o per moda.

Ma chiunque adesso può vedere se il nostro è un esercito che soppianta o impone.

E devo dire questo, ho già chiesto l’autorizzazione di farlo al compagno Subcomandante Insurgente Moisés:

Niente di quello che abbiamo fatto, nel bene o nel male, sarebbe stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione nazionale, non si fosse sollevato contro il malgoverno esercitando il diritto alla violenza legittima. La violenza del basso di fronte alla violenza dell’alto.

Siamo guerrieri e come tali sappiamo quale è il nostro ruolo ed il nostro momento.

All’alba del giorno primo del primo mese dell’anno 1994, un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo al suo passaggio.

Solo pochi giorni dopo, col sangue dei nostri caduti ancora fresco per le strade cittadine, ci rendemmo conto che quelli di fuori non ci vedevano.

Abituati a guardare gli indigeni dall’alto, non alzavano lo sguardo per vederci.

Abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione.

Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio con addosso un passamontagna, ovvero, non guardavano.

Allora i nostri capi e cape dissero:

“Vedono solo quanto sono piccoli, creiamo qualcuno piccolo come loro affinché lo vedano ed attraverso lui vedano noi”.

Iniziò così una complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meraviglioso, un malizioso trucco del nostro cuore indigeno, la saggezza indigena sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione.

Incominciò allora la costruzione del personaggio chiamato “Marcos”.

Vi chiedo di seguirmi in questo ragionamento:

Supponiamo che ci sia un altro modo per neutralizzare un criminale. Per esempio, creandogli la propria arma micidiale, facendogli credere che è efficace, e sulla base della sua efficacia fargli costruire un piano, e far sì che nel momento in cui si prepara a sparare, “l’arma” torni ad essere quello che è sempre stata: un’illusione.

L’intero sistema, ma soprattutto i suoi mezzi di comunicazione, giocano a costruire notorietà per poi distruggerle se non si piegano ai loro propositi.

Il loro potere risiedeva (ora non più, per questo sono stati soppiantati dai social network) nel decidere che cosa e chi esisteva nel momento in cui sceglievano cosa dire e cosa tacere.

Infine, ma lasciamo stare, come è stato dimostrato in questi 20 anni, io non so niente di mezzi di comunicazione di massa.

Il fatto è che il SupMarcos è passato dall’essere un portavoce all’essere un elemento di distrazione.

Se la strada della guerra, cioè, della morte, ci ha preso 10 anni; quella della vita ci ha preso più tempo e richiesto più sforzi, per non parlare del sangue.

Perché, anche se non lo credete, è più facile morire che vivere.

Avevamo bisogno di tempo per essere e per trovare chi sapesse vederci per quello che siamo.

Avevamo bisogno di tempo per trovare chi ci guardasse non dall’alto, non dal basso, che ci guardasse di fronte, che ci guardasse con sguardo compagno.

Vi dicevo che incominciò allora la costruzione del personaggio.

Marcos un giorno aveva gli occhi azzurri, un altro li aveva verdi, o marroni, o miele, o neri, a seconda di chi faceva l’intervista o scattasse la foto. Era riserva in qualche squadra di calcio, commesso in qualche negozio, autista, filosofo, cineasta, e gli eccetera che potete trovare sui media prezzolati di quei calendari ed in diverse geografie. C’era un Marcos per ogni occasione, cioè, per ogni intervista. E non è stato facile, credetemi, allora non c’era wikipedia e se venivano dallo Stato Spagnolo doveva sapere se il corte inglés [la più importante catena di grandi magazzini in Spagna – n.d.t.], per esempio, era un taglio d’abito tipico dell’Inghilterra, un negozio di generi alimentari, o un supermercato.

Se posso definire il personaggio Marcos, direi senza indugio che è stata una montatura.

Per intenderci, diciamo che Marcos era un Mezzo non Libero (attenzione: non è la stessa cosa di un media prezzolato).

Nella costruzione e mantenimento del personaggio abbiamo fatto alcuni errori.

“Errare è umano”, si dice.

Durante il primo anno esaurimmo tutto il possibile repertorio dei “Marcos“. Quindi all’inizio del 1995 eravamo in difficoltà ed il processo di autonomia dei popoli muoveva i suoi primi passi.

Dunque nel 1995 non sapevamo più cosa fare. È proprio quando Zedillo, PAN alla mano, “scopre” Marcos con lo stesso metodo scientifico con cui trova gli scheletri, cioè, per delazione esoterica.

La storia del tampiqueño ci diede un po’ di respiro, benché la frode successiva della Paca de Lozano ci fece temere che la stampa prezzolata mettesse in dubbio anche lo “smascheramento” di Marcos e scoprisse che si trattava di un’ulteriore frode. Fortunatamente non fu così. Come con quella, i media continuarono a bersi altre simili fandonie.

Qualche tempo dopo, il tampiqueño venne in queste terre. Insieme al Subcomandante Insurgente Moisés andammo a parlargli. Gli proponemmo di convocare una conferenza stampa congiunta così da potersi liberare dalla persecuzione dato che sarebbe stato evidente che lui e Marcos non erano la stessa persona. Non accettò. Venne a vivere qua. Qualche volta ha viaggiato e la sua faccia appare nelle fotografie delle veglie funebri dei suoi genitori. Se volete potete intervistarlo. Ora vive in una comunità, a…. Ah, non vuole nemmeno che si sappia dove vive. Non diremo nient’altro fino a che non sarà lui, se un giorno lo vorrà, a raccontare la storia che ha vissuto dal 9 febbraio del 1995. Da parte nostra non ci resta che ringraziarlo di averci passato informazioni che ogni tanto abbiamo usato per alimentare la “certezza” che ilSupMarcos non è quello che in realtà è, una montatura o un ologramma, ma un professore universitario originario dell’attuale dolente Tamaulipas.

Nel frattempo continuavamo a cercare, a cercarvi, voi che adesso siete qui e chi non è qui ma c’è.

Abbiamo lanciato mille iniziative per incontrare l’altro, l’altra, l’altro compagno. Diverse iniziative per trovare lo sguardo e l’ascolto di cui necessitiamo e che meritiamo.

Nel frattempo, proseguiva il progredire delle nostre comunità e l’avvicendamento di cui si è parlato molto o poco, ma che si può constatare direttamente, senza intermediari.

Nella ricerca dell’altro abbiamo spesso fallito.

Quelli che trovavamo, o ci volevano guidare o volevano che li guidassimo.

C’era chi si avvicinava e lo facevano per usarci, o per guardare indietro, sia con la nostalgia antropologica, sia con la nostalgia militante.

Così per qualcuno eravamo comunisti, per altri trotzkisti, per altri anarchici, per altri maoisti, per altri millenaristi, e tralascio altri “isti” che lascio a voi completare.

Così è stato fino alla Sesta Dichiarazione dalla Selva Lacandona, la più audace e la più zapatista delle iniziative che abbiamo lanciato fino ad ora.

Con la Sexta finalmente abbiamo incontrato chi ci guarda di fronte e ci saluta e abbraccia, ed è così che si saluta e abbraccia.

Con la Sexta finalmente abbiamo incontrato voi.

Finalmente qualcuno che capiva che non cercavamo né pastori che ci guidassero, né greggi da condurre nella terra promessa. Né padroni né schiavi. Né capi né masse senza testa.

Ma mancava di vedere se eravate in grado di guardare ed ascoltare quello che siamo.

All’interno, i progressi delle comunità erano impressionanti.

Poi è arrivato il corso “La Libertad según l@s zapatistas”.

In 3 turni ci siamo accorti che c’era orami una generazione che poteva guardarci negli occhi, che poteva ascoltarci e parlarci senza aspettarsi guide o leadership, né pretendere sottomissione né controllo.

Marcos, il personaggio, non era più necessario.

La nuova tappa della lotta zapatista era pronta.

È successo allora quello che è successo e molte e molti di voi, compagne e compagni della Sexta, lo conoscono in maniera diretta.

Si potrà dire che la faccenda del personaggio fu oziosa. Ma uno sguardo onesto su quei giorni rivelerà quante e quanti ci hanno guardato, con piacere o fastidio, a causa dei travestimenti di una macchietta.

Quindi l’avvicendamento non è per malattia o morte, né per trasferimenti interni, purghe o epurazione.

Segue la logica dei cambiamenti interni all’interno dell’EZLN.

So che questo non quadra con i rigidi schemi dell’alto, ma questa è la pura verità.

E se questo rovina l’indolente e povera elaborazione dei rumorologi e zapatologidi Jovel, pazienza.

Non sono né sono stato mai malato, non sono né sono mai morto.

O sì, benché tante volte mi hanno ucciso, tante volte sono morto, e di nuovo sono qui.

Se abbiamo alimentato queste voci è stato perché così conveniva.

L’ultimo trucco dell’ologramma è stato simulare una malattia terminale, comprese tutte le morti sofferte.

Infatti, il commento “se la salute glielo permette” che il Subcomandante Insurgente Moisés ha usato nel comunicato annunciando l’incontro con il CNI, era l’equivalente di “se il popolo lo chiede” o “se i sondaggi mi favoriscono” o “se dio vorrà” ed altri luoghi comuni che sono stati il ritornello della classe politica negli ultimi tempi.

Se mi permettete un consiglio: dovreste coltivare un po’ di più il senso dell’umorismo, non solo per la salute mentale e fisica, ma anche perché senza senso dell’umorismo non capireste lo zapatismo. E chi non comprende, giudica; e chi giudica, condanna.

In realtà quella è stata la parte più semplice del personaggio. Per alimentare la diceria è stato solo necessario dire alle persone giuste: “ti svelo un segreto ma prometti di non dirlo a nessuno“.

Ovviamente l’hanno detto.

I principali collaboratori involontari delle voci sulla malattia e morte sono stati gli “esperti in zapatologia” che nella superba Jovel e nella caotica Città del Messico vantano la loro vicinanza allo zapatismo e la sua profonda conoscenza, oltre chiaramente ai poliziotti pagati come giornalisti, giornalisti pagati come poliziotti, e giornalist@ solo pagati, e male, come giornalisti.

Grazie a tutte e tutti loro. Grazie per la loro discrezione. Hanno fatto esattamente come supponevamo avrebbero fatto. L’unico lato negativo di tutto questo, è che adesso dubito che qualcuno confidi loro qualche segreto.

È nostra convinzione e nostra pratica che per ribellarsi e lottare non sono necessari né leader né capi né messia né salvatori. Per lottare c’è bisogno solo di un po’ di vergogna, un tanto di dignità e molta organizzazione.

Il resto, o serve per l’insieme collettivo o non serve.

È stato particolarmente comico quanto provocato dal culto della personalità tra i politologi ed analisti dell’alto. Ieri dicevano che il futuro di questo popolo messicano dipendeva dall’alleanza di 2 personalità. L’altro ieri dicevano che Peña Nieto si emancipava da Salinas de Gortari, senza accorgersi che se criticavano Peña Nieto, passavano dalla parte di Salinas de Gortari; e che se criticavano quest’ultimo, appoggiavano Peña Nieto. Ora dicono che bisogna scegliere da che parte stare nella lotta dell’alto per il controllo delle telecomunicazioni, quindi o stai con Slim o stai con Azcárraga-Salinas. E più su, o con Obama o con Putin.

Chi aspira e guarda in alto può continuare a cercare il proprio leader; può continuare a pensare che si rispetteranno i risultati elettorali; che Slim appoggerà la sinistra; che appariranno i draghi e le battaglie di Game of Thrones; che Kirkman sarà fedele al fumetto originale della serie televisiva The Walking Dead; che gli oggetti fatti in Cina non si romperanno al primo utilizzo; che il calcio sarà uno sport e non un affare.

Sì, forse in qualche caso avranno ragione, ma non bisogna dimenticare che in tutti questi casi si tratta di meri spettatori, cioè, consumatori passivi.

Coloro che hanno amato e odiato il SupMarcos ora sanno che hanno odiato ed amato un ologramma. Il loro amore e odio sono stati quindi inutili, sterili, vacui, vuoti.

Non ci saranno dunque case-museo o targhe di metallo con su scritto qui è nato e cresciuto. Né ci sarà chi dirà di essere stato il subcomandante Marcos. Né si erediterà il suo nome o il suo incarico. Non ci saranno viaggi pagati all’estero per tenere conferenze. Non ci saranno trasferimenti né cure in ospedali di lusso. Non ci saranno vedove né eredi. Non ci saranno funerali, né onori, né statue, né musei, né premi, né niente di quello che il sistema fa per promuovere il culto della personalità e per sminuire la collettività.

Il personaggio è stato creato ed ora i suoi creatori, gli zapatisti e le zapatiste, lo distruggono.

Se qualcuno comprende la lezione delle nostre compagne e compagni, avrà compreso uno dei fondamenti dello zapatismo.

Così negli ultimi anni è successo quello che è successo.

Dunque ci siamo resi conto che la montatura, il personaggio, l’ologramma, non era più necessario.

Abbiamo più volte pianificato e poi più volte aspettato il momento adatto: il calendario e la geografia precisi per mostrare quello che in realtà siamo a chi in realtà è.

Poi è arrivato Galeano con la sua morte a marcare la geografia ed il calendario: “qui, a La Realidad; adesso: nel dolore e la rabbia”.

V.- Il Dolore e la Rabbia. Sussurri e grida.

Quando siamo arrivati qui nel caracol della Realidad, senza che nessuno ce lo dicesse abbiamo cominciato a parlare sussurrando.

Il nostro dolore parlava sommessamente, sommessamente la nostra rabbia.

Come se cercassimo di evitare che Galeano fosse disturbato dai rumori, dai suoni a lui estranei.

Come se le nostre voci ed i nostro passi lo chiamassero.

“Aspetta compa”, diceva il nostro silenzio.

“Non andartene”, sussurravano le parole.

Ma ci sono altri dolori ed altre rabbie.

In questo preciso momento, in altri angoli del Messico e del mondo, un uomo, una donna, uno/a altro/a, una bambina, un bambino, un uomo anziano, una donna anziana, una memoria, vengono picchiati crudelmente e impunemente, circondati dal crimine vorace che è il sistema, bastonati, machetati, sparati, finiti, trascinati via fra lo scherno, abbandonati, il loro corpo poi raccolto e pianto, la loro vita sepolta.

Solo qualche nome:

Alexis Benhumea, assassinato nell’Estado de México.

Francisco Javier Cortés, assassinato nell’Estado de México.

Juan Vázquez Guzmán, assassinato in Chiapas.

Juan Carlos Gómez Silvano, assassinato in Chiapas.

El compa Kuy, assassinato nel DF.

Carlo Giuliani, assassinato in Italia.

Aléxis Grigoropoulos, assassinato in Grecia.

Wajih Wajdi al-Ramahi, assassinato in un Campo profughi nella città della Cisgiordania di Ramalla. 14 anni, assassinato con un colpo a schiena sparato da un posto di osservazione dell’esercito israeliano, non c’erano marce, né proteste, non c’era nulla in strada.

Matías Valentín Catrileo Quezada, mapuche assassinato in Chile.

Teodulfo Torres Soriano, compa della Sexta desaparecido a Città del Messico.

Guadalupe Jerónimo e Urbano Macías, comuneros di Cherán, assassinato in Michoacán.

Francisco de Asís Manuel, desaparecido a Santa María Ostula

Javier Martínes Robles, desaparecido a Santa María Ostula

Gerardo Vera Orcino, desaparecido a Santa María Ostula

Enrique Domínguez Macías, desaparecido a Santa María Ostula

Martín Santos Luna, desaparecido a Santa María Ostula

Pedro Leyva Domínguez, assassinato a Santa María Ostula.

Diego Ramírez Domínguez, assassinato a Santa María Ostula.

Trinidad de la Cruz Crisóstomo, assassinato a Santa María Ostula.

Crisóforo Sánchez Reyes, assassinato a Santa María Ostula.

Teódulo Santos Girón, desaparecido a Santa María Ostula.

Longino Vicente Morales, desaparecido in Guerrero.

Víctor Ayala Tapia, desaparecido in Guerrero.

Jacinto López Díaz “El Jazi”, assassinato a Puebla.

Bernardo Vázquez Sánchez, assassinato in Oaxaca

Jorge Alexis Herrera, assassinato in Guerrero.

Gabriel Echeverría, assassinato in Guerrero.

Edmundo Reyes Amaya, desaparecido in Oaxaca.

Gabriel Alberto Cruz Sánchez, desaparecido in Oaxaca.

Juan Francisco Sicilia Ortega, assassinato in Morelos.

Ernesto Méndez Salinas, assassinato in Morelos.

Alejandro Chao Barona, assassinato in Morelos.

Sara Robledo, assassinata in Morelos.

Juventina Villa Mojica, assassinata in Guerrero.

Reynaldo Santana Villa, assassinato in Guerrero.

Catarino Torres Pereda, assassinato in Oaxaca.

Bety Cariño, assassinata in Oaxaca.

Jyri Jaakkola, assassinato in Oaxaca.

Sandra Luz Hernández, assassinata in Sinaloa.

Marisela Escobedo Ortíz, assassinata in Chihuahua.

Celedonio Monroy Prudencio, desaparecido in Jalisco.

Nepomuceno Moreno Nuñez, assassinato in Sonora.

Le/i migranti fatti sparire e probabilmente assassinati in qualche parte del territorio messicano.

I carcerati che si vogliono ammazzare in vita: Mumia Abu Jamal, Leonard Peltier, i Mapuche, Mario González, Juan Carlos Flores.

La continua sepoltura di voci che erano vive, messe a tacere dal cadere dalla terra su di loro e dal chiudersi delle sbarre.

E la più grande beffa è che con ogni palata di terra lanciata dallo sbirro di turno, il sistema dice: “Non conti niente, nessuno piangerà per te, nessuno si infurierà per la tua morte, nessuno seguirà le tue orme, nessuno può trattenere la tua vita“.

E con l’ultima palata sentenzia: “anche se prenderanno e puniranno quelli che ti hanno ucciso, ne troveremo sempre un altro, un’altra, altri, che tenderanno un’imboscata e ripeteranno la danza macabra che ha posto fine alla tua vita”.

E dice “La tua giustizia piccola, nana, fabbricata affinché i media pagati mentano per calmare le acque dopo il caos suscitato, non mi spaventa, non mi danneggia, non mi punisce”.

Che cosa diciamo a quel cadavere che, in ogni angolo del mondo del basso, viene sepolto dall’oblio?

Che solo il nostro dolore e rabbia contano?

Che solo la nostra indignazione significa qualcosa?

Che mentre sussurriamo la nostra storia, non sentiamo il suo pianto, il suo urlo?

Ha tanti nomi l’ingiustizia e sono tante le grida che provoca.

Ma il nostro dolore e la nostra rabbia non ci impediscono di sentire.

Ed i nostri sussurri non sono solo per piangere la caduta dei nostri morti ingiustamente.

Sono per poter ascoltare altri dolori, fare nostre altre rabbie e proseguire così nel complicato, lungo e tortuoso cammino di trasformare tutto ciò in un urlo che diventi lotta liberatrice.

E non dimenticare che, mentre qualcuno sussurra, qualcun’altro grida.

E solo l’udito attento può sentire.

Mentre ora parliamo ed ascoltiamo, qualcuno grida di dolore, di rabbia.

E così come bisogna imparare a rivolgere lo sguardo, l’ascolto deve trovare la direzione che lo renda fertile.

Perché mentre qualcuno riposa, c’è chi prosegue la salita.

Per vedere questo impegno, basta abbassare lo sguardo ed elevare il cuore.

Ce la fate?

Ce la farete?

La giustizia piccola somiglia tanto alla vendetta. La giustizia piccola è quella che distribuisce impunità, punendo uno, ne assolve altri.

Quella che vogliamo noi, per la quale lottiamo, non si esaurisce con la scoperta degli assassini del compa Galeano e forse della loro punizione (che se avverrà, nessuno si faccia trarre in inganno).

La ricerca paziente e tenace vuole la verità, non il sollievo della rassegnazione.

La giustizia grande ha che vedere col compagno Galeano sepolto.

Perché noi ci chiediamo non che cosa fare della sua morte, ma che cosa dobbiamo fare della sua vita.

Scusate se entro nel paludoso terreno dei luoghi comuni, ma quel compagno non meritava di morire, non così.

Tutto il suo impegno, il suo quotidiano sacrificio, puntuale, invisibile per chi non era noi, era per la vita.

E vi posso dire che era un essere straordinario ed inoltre, e questo è quello che stupisce, ci sono migliaia di compagne e compagni come lui nelle comunità indigene zapatiste, con la stessa dedizione, identico impegno, uguale chiarezza ed unico destino: la libertà.

E facendo conti macabri: se qualcuno merita la morte è chi non esiste né è esistito, se non nella fugacità dei mezzi di comunicazione prezzolati.

Il nostro compagno capo e portavoce dell’EZLN, il Subcomandante Insurgente Moisés, ci ha detto che assassinando Galeano, o uno chiunque degli zapatisti, quelli di sopra volevano assassinare l’EZLN.

Non come esercito, ma come ostinato ribelle che costruisce vita dove loro, quelli di sopra, desiderano la desolazione delle industrie minerarie, industrie petrolifere, turistiche, la morte della terra e di chi l’abita e lavora.

Ed ha detto che siamo venuti qui, come Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, a dissotterrare Galeano.

Pensiamo che sia necessario che uno di noi muoia affinché Galeano viva.

E per soddisfare la morte impertinente, al posto di Galeano mettiamo un altro nome affinché Galeano viva e la morte non si porti via una vita, ma solo un nome, poche lettere prive di senso, senza storia propria, senza vita.

Quindi abbiamo deciso che Marcos da oggi smette di esistere. Lo prenderanno per mano il guerriero ombra e la piccola luce affinché non si perda lungo il cammino. Don Durito se ne andrà con lui, e così anche il Vecchio Antonio.

Non mancherà alle bambine ed ai bambini che gli si facevano intorno per ascoltare i suoi racconti, perché sono ormai grandi, hanno giudizio, lottano per la libertà, la democrazia e la giustizia, che è il compito di ogni zapatista.

Il gatto-cane, e non un cigno, intonerà il canto di addio.

Alla fine chi capirà, saprà che non se ne va chi non c’è mai stato, né muore chi non ha vissuto.

E la morte se ne andrà via ingannata da un indigeno col nome di lotta di Galeano, e sulle pietre posate sulla sua tomba tornerà a camminare ed ad insegnare, a chi lo vorrà, la base dello zapatismo, cioè, non vendersi, non arrendersi, non tentennare.

Oh morte! Come se non fosse evidente che libera quelli di sopra da ogni responsabilità al di là della preghiera funebre, l’omaggio blando, la statua sterile, il museo controllore.

A noi? Beh, perché noi la morte ci impegna alla vita che contiene.

Quindi siamo qui, a deridere la morte nella realtà.

Compas:

Detto questo, alle ore 02:08 del 25 maggio 2014 sul fronte di combattimento sudorientale dell’EZLN, dichiaro che smette di esistere il noto come Subcomandante Insurgente Marcos, l’autodenominato “subcomandante di acciaio inossidabile”.

È tutto.

Per mia voce non parlerà più la voce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Bene. Salute e a mai più… o hasta siempre, chi ha capito sa che questo non ha più importanza, non ne ha mai avuta.

Dalla realtà zapatista.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 24 maggio 2014

P.S.1.- “Game is over”?

P.S.2.- Scacco Matto?

P.S.3.- Touché?

P.S. 4.- Fatevene una ragione, raza, e mandate tabacco.

P.S. 5.- Mmm… e questo sarebbe l’inferno… Quel Piporro, Pedro, José Alfredo! Come? Quei machisti? Naah, non credo, ma se io non ho mai…

P.S.-6.- Quindi, senza travestimento, adesso posso andarmene in giro nudo?

P.S. 7.- Eih, è buio qui, datemi un po’ di luce.

(…)

(si sente una voce fuori campo)

Compagne e compagni vi auguro buone albe. Il mio nome è Galeano,Subcomandante Insurgente Galeano.

Qualcun altro si chiama Galeano?

(si alzano voci e grida)

Oh, mi avevano detto che quando sarei rinato lo avrei fatto collettivamente.

Così sia dunque.

Buon viaggio. Abbiate cura di voi, e di noi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, maggio 2014

Ora e sempre… CHE COS’E’ L’ANPI?

Smuraglia: “Cosa ci aspettiamo dal governo Renzi” :l’analisi del risultato elettorale per le votazioni europee da parte del presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia.

Smuraglia: “Cosa ci aspettiamo dal governo Renzi”

Qui di seguito l’analisi del risultato elettorale per le votazioni europee da parte del presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia.

Su tutta la stampa imperversano i commenti ai risultati delle recenti votazioni. Non spetta a noi unirci al coro delle diagnosi, delle prognosi e delle valutazioni politiche. Noi possiamo fare soltanto alcune considerazioni, in modo rapido e consono alle nostre finalità riservandoci – semmai – di tornare sui vari aspetti in una sede più adatta.

Ecco, dunque, le nostre prime, essenziali notazioni:

a)   Queste erano votazioni europee. Quindi, i risultati vanno applicati prima di tutto alla realtà europea e poi (ma solo virtualmente) a quella italiana, come indici di una tendenza, che non corrisponde tuttavia ai “numeri” esistenti tuttora in Parlamento;

b)  Su un piano generale, non c’è dubbio che il Partito Democratico abbia riportato un grande successo, di cui è ben difficile trovare i (remoti) precedenti. Un successo in termini di voti, in modo addirittura imprevisto; e un successo – su un terreno più immediato – per la riconquista di due regioni importanti (Piemonte e Abruzzo) e di molti Comuni di rilievo, col consolidamento anche di posizioni acquisite da tempo.

c)   Si registra, conseguentemente, un arretramento (tre milioni di voti in meno) del Movimento 5 stelle, con la dimostrazione palese che il grido e l’insulto, alla fine, non pagano, a fronte di un Paese che spera di avere risposte e soluzioni positive.

d)  Ci sono partiti (minori) addirittura scomparsi ed altri – invece – che compaiono, raccogliendo una parte della “sinistra”, che trova una prima ricomposizione.

e)   Tutto questo, a livello europeo, è importante perché assegna all’Italia un ruolo preminente, tanto più a fronte del disastro accaduto in Francia, per il partito socialista (letteralmente crollato) e per l’affermazione di Marine Le Pen (e non solo).

Resta sempre in testa il PPE, ancorché un po’ indebolito, e avanza il partito di Schultz. Non vincono, come si temeva, le forze antieuropeiste, anche se occorrerà costruire un fronte compatto per contrastarle e cambiare.  Molti pensano ad un’intesa tra socialisti e popolari, speriamo per dar vita ad una politica nuova; le premesse ci sono e a questo fine anche l’Italia potrà esercitare un ruolo importante, contro il rigore e l’austerità a tutti i costi. Resta l’incognita della Presidenza della Commissione, che si giocherà tra Schultz e Junker; e ne vedremo i risultati nei prossimi giorni.

Si rafforza il ruolo della BCE, che nel prossimo periodo dovrà vincere alcune timidezze e adottare provvedimenti che agevolino il rilancio, lo sviluppo e la crescita.

f)    In Europa, si confermano le tendenze favorevoli ad una destra nera, forse non nella misura da loro sperata, ma sempre in modo preoccupante (perfino l’ingresso di un nazista nel Parlamento europeo). Anche questo è un problema che le nuove istituzioni europee dovranno affrontare, assieme a quello dei crescenti populismi e autoritarismi ed alla complessa e delicata problematica relativa all’Ucraina.

Per quanto riguarda, più direttamente il nostro Paese,  ho detto che non è il caso di entrare nell’analisi e nella prospettiva di nuovi (o vecchi) scenari.

E’ indubbio che l’affermazione del Partito democratico dà al partito stesso e al suo segretario, che è anche il Capo del Governo, responsabilità nuove e maggiori, che richiedono precise risposte se si vorrà, come è ovvio, consolidare il risultato e trasferirlo sul piano politico interno. Noi possiamo dire soltanto ciò che ci aspettiamo dal “nuovo corso” che sembra uscire da questa valutazione:

–        Un cambiamento radicale della “politica”; quella che va mandata in soffitta è la vecchia politica, quella che allontana i cittadini, e si è fatta detestare per la mancanza di valori e per il perseguimento di finalità non sempre corrispondenti all’interesse della collettività; deve affermarsi, invece, un nuovo “costume” politico e un nuovo modo di essere dei  partiti;

–        Un programma concreto e preciso d’azione, concomitante con la svolta da imprimere all’Europa, che aiuti ad uscire dalla crisi e favorisca la creazione di nuove attività produttive, di nuovi posti di lavoro, di una nuova dignità delle persone, sia che lavorino, sia che abbiano cessato ogni attività lavorativa.

–        L’assunzione di una linea (di principio e di azione) nettamente democratica e antifascista, che blocchi nostalgie, speranze di ritorno al passato, tendenze autoritarie e populistiche, venti di razzismo e discriminazione;

–        L’avvio di una seria riforma dell’Amministrazione pubblica e della burocrazia, confrontata o concordata con le Organizzazioni sindacali;

–        La modifica della legge elettorale (“Italicum”) per garantire più democrazia, più possibilità e libertà di scelta per  i cittadini, maggiore espansione della rappresentanza;

–        Una riforma costituzionale che – nel differenziare il lavoro delle due Camere – conservi, tuttavia, al Senato la funzione di garanzia e di equilibrio; un  Senato elettivo e qualificabile davvero come “Camera Alta”, dotata di poteri reali e di competenze sostanziali, nel solco del complessivo disegno costituzionale;

–        Una riforma del titolo V della Costituzione, correggendo i difetti della riforma del 2001 e ricostruendo un quadro di autonomie reali, nel contesto complessivo di una Repubblica veramente unita.

–        Una riforma istituzionale e costituzionale che aumenti gli spazi di democrazia, attribuendo maggiori ed effettivi poteri alla volontà popolare, soprattutto per ciò che attiene alle varie forme di iniziativa popolare  (e relative garanzie di effettiva presa in considerazione da parte del Parlamento).

–        Un impegno reale per la diffusione della “cultura della cittadinanza”, attraverso strumenti di formazione e di apprendimento moderni, aggiornati e finalizzata soprattutto a creare cittadini partecipi, responsabili e solidali.

–        Un impegno veramente forte e deciso contro la illegalità e contro la corruzione, nella consapevolezza che non basta la normativa penale (ancorché rinnovata, come si spera, ripristinando il reato di falso in bilancio e l’autoriciclaggio e riconducendo ai livelli “normali” la disciplina della prescrizione), ma occorre puntare sulla prevenzione, sui controlli (senza deroghe) e soprattutto su un clima di “tolleranza zero” rispetto a qualsiasi atto o comportamento in contrasto con l’etica pubblica e privata.

Sono soltanto, come ho detto, sommarie indicazioni – rigorosamente fondate sui princìpi e sui valori costituzionali – che ci permettiamo di sottoporre alla responsabilità ed all’attenzione di chi, “premiato” dal consenso di molti cittadini, ha la possibilità e il dovere di utilizzarlo – al Governo, nel Parlamento e nella vita politica – come una vera opportunità di cambiamento e rinnovamento del Paese.

Carlo Smuraglia