Terni Donne, l’orrore della guerra a Kobane / La resistenza delle donne ai tagliagole dell’Isis da: UIKI

Terni Donne, l’orrore della guerra a Kobane / La resistenza delle donne ai tagliagole dell’Isis

Grozny e Sara Montinaro mettono a nudo le crudeltà della battaglia “Guerriglieri assumono viagra per poter stuprare più donne possibile”

Si è tenuto sabato scorso alle 17.00, alla Casa delle Donne di Terni, l’incontro con l’attivista della Campagna Rojava Calling, Sara Montinaro e il giornalista freelance Ivan “Grozny” Compasso. “Kobane la resistenza e le donne” questo il titolo dell’evento durante il quale i due ospiti, attingendo alle esperienze fatte in prima persona sul campo, hanno proposto al pubblico una contro-narrazione di quella che è la realtà di Kobane e della resistenza contro l’Isis, molto più complessa e particolarizzata rispetto a quella offerta dai media nazionali mainstream, ponendo sotto la lente alcuni aspetti per lo più sconosciuti al grande pubblico.

Sara Montinaro, è membro di “Ya Basta!” Bologna, organizzazione no profit che ha aderito al progetto della Campagna Rojava Calling a sostegno del Rojava, regione a nord­est della Siria che si è proclamata autonoma e di cui fa parte Kobane. “Alla base di Rojava c’è stata una vera e propria rivoluzione nella quale le donne hanno avuto un ruolo fondamentale, hanno scelto di partire dalla ridefinizione del concetto di donna e di onore per dare vita ad una nuova forma di governo alternativa al modello dello stato nazione” – ha detto Sara Montinaro.

Il Rojava si basa su quattro pilastri fondamentali: 1. il confederalismo democratico, in base al quale tutte le etnie convivono pacificamente in un sistema piramidale in cui la massima autorità è costituita da due governatori (un uomo e una donna) che esercitano il potere tenendo conto delle esigenze e delle problematiche delle Comuni (micro­entità di circa 50 abitazioni), 2. l’autodifesa (di qui la costituzione delle guerriglie Ypg, costituite da uomini e donne e Ypj, in cui combattono solo donne, per difendersi dall’avanzata degli uomini in nero), 3. un modello di economia distributiva antitetico a quello capitalistico e la 4. ridefinizione del ruolo della donna. “Le donne hanno avviato in queste zone una vera e propria rivoluzione a 360 gradi dal punto di vista sociale, culturale e politico, mediante la quale sono riuscite a sdoganarsi dal ruolo di succubi dell’uomo e ad inserirsi in tutti i contesti della vita quotidiana e non solo. C’è un detto curdo che recita ‘non importa se un leone è uomo o donna, un leone è sempre un leone’ e questo penso valga più di molte parole”, ha spiegato Sara Montinaro. Prima di concludere il suo intervento, l’attivista non ha risparmiato un affondo contro i media occidentali, colpevoli, a suo dire, di affrontare ben poco alcuni aspetti rilevanti dell’avanzata dell’Isis e della resistenza curda, uno fra tutti il ruolo della Turchia. “La verità è che purtroppo la Turchia sta aiutando in vari modi l’avanzata dell’Isis, attraverso il controllo militarizzato del confine, acquistando il petrolio dai tagliagole del califfato, senza contare che gli uomini di al­Baghdadi spesso, se feriti, vanno a farsi curare in Turchia. Già nel 2013 poi, il confine turco attraverso cui passavano i jihadisti occidentali per unirsi alle file dell’Isis era scarsamente controllato. Ora la Turchia fornisce a Francia e Germania i nominativi dei jihadisti occidentali, ma sembra farlo più che altro per ‘contentino’”.

“Non sono un eroe, ho fatto solo il mio lavoro come ritengo giusto che vada fatto” così ha iniziato il suo racconto Ivan “Grozny” Compasso, uno dei pochi giornalisti ad aver passato la frontiera raggiungendo così Kobane, dove è rimasto dal 6 al 12 dicembre. Per arrivare alla città simbolo della resistenza curda, il giornalista si è affidato ad un trafficante di uomini che l’ha condotto in auto insieme ad altri reporter ed è giunto nella parte ovest della città, dove si trovano ancora seimila civili adulti e mille bambini che sono rimasti per scelta o per necessità, “non tutti vogliono finire in un campo profughi curdo senza contare che per lasciare Kobane bisogna affidarsi ai contrabbandieri che chiedono circa 400 dollari a persona, molte famiglie non possono permetterselo”. Durante la settimana di permanenza nella città siriana, Ivan “Grozny” Compasso ha avuto l’opportunità di vivere a stretto contatto con le milizie curde dell’Ypg e dell’Ypj, impegnate in una estenuante ed eroica resistenza contro l’Isis. In questa battaglia un ruolo fondamentale è ricoperto dalle donne che hanno scelto di impugnare le armi per difendere in prima persone se stesse e la propria terra. A Kobane, come spiega il giornalista “c’è una cooperazione reale, ognuno fa la sua parte, uomini e donne vanno a combattere, mentre i più giovani (sotto i 21 anni) e gli anziani si occupano di tenere pulite le strade e di portare viveri e sigarette ai guerriglieri”.

Oltre ad essere numericamente inferiori, i combattenti curdi dispongono di armi piuttosto obsolete, fatta eccezione per quelle che riescono a sottrarre dai miliziani dell’Isis uccisi in battaglia. Dopo uno scontro, infatti, i guerriglieri curdi recuperano i corpi degli avversari. Questa pratica è giustificata da varie motivazioni, quella sanitaria prima di tutto, ma anche per una questione di rispetto, i cadaveri dei miliziani, infatti vengono disposti dai curdi in fosse comuni, uno accanto all’altro, in modo da poter essere restituiti ai familiari nel caso venissero a reclamarli. Recuperare i corpi dei nemici, inoltre, ha permesso ai guerriglieri di acquisire molte informazioni sui militanti dell’Isis. Si è scoperto ad esempio che questi fanno uso di droghe prima di commettere le atrocità per cui sono tristemente noti e che assumono Viagra in modo da poter violentare il maggior numero di donne possibile. E questo purtroppo non è tutto, come ha raccontato Ivan “Grozny” la guerra dell’Isis è una guerra che punta molto sulla componente mediatica, per questo durante la loro avanzata, i miliziani seguono una sorta di orrorifica procedura “standard”, raggiungono un villaggio e sterminano nei modi più atroci l’intera popolazione fatta eccezione per un anziano e un bambino ai quali viene poi consegnato il filmato contenente tutte le esecuzioni in modo che i superstiti possano mostrarlo agli abitanti dei villaggi vicini contribuendo così a seminare il terrore.

Circa 377 villaggi sono già stati massacrati. Nonostante la strategia dell’orrore messa in atto dall’Isis a colpi di atrocità, esecuzioni sommarie e violenze sessuali, i guerriglieri dell’Ypg e dell’

Ypj non si sono arresi e la scorsa settimana sono riusciti a liberare la loro Kobane dai Dais (“quelli là”, come i curdi chiamano gli uomini dell’Isis). Terminato, non senza un forte coinvolgimento emotivo, il suo racconto, il giornalista ha passato di nuovo la parola a Sara Montinaro che ha illustrato alcuni dei progetti che la Campagna Rojava Calling intende mettere in atto, come la costituzione di uno spazio educativo e ricreativo per i bambini e gli adolescenti sfollati presso il campo profughi di Suruc (Turchia).

di Giulia Argenti, Tuttooggi Info

Il “ruolo” della Turchia nella liberazione di Kobanè non deve essere dimenticato! da: UIKI

Il “ruolo” della Turchia nella liberazione di Kobanè non deve essere dimenticato!

Mentre continuano gli effetti prodotti dalla liberazione di Kobanè che è stata portata a compimento grazie alla leadership delle forze YPG/YPJ dopo 134 giorni di storica resistenza, l’ attenzione è rivolta alle spiegazioni riguardanti la vittoria di Kobanè fornite dai membri dell’ AKP ed in particolare dal Presidente Recep Tayyip Erdoğan.

Il portavoce del governo Bülent Arınç ha reso una dichiarazione subito dopo la vittoria e ha parlato del “ruolo” dello Stato turco e del governo dell’AKP nella liberazione di Kobanè: “Spero che non dimenticheranno il ruolo positivo che la Turchia ha rivestito in questa questione”. Questo discorso rivela ancora una volta l’approccio incostistente dell’AKP rispetto alla resistenza di Kobanè. Ad ogni modo, il Presidente Recep Tayip Erdoğan non avverte l’esigenza di nascondere il suo approccio ostile nei confronti di Kobanè e ha dichiarato in un programma televisivo andato in onda ieri : “Non capisco perchè Kobanè sia costantemente all’ordine del giorno. Perchè parliamo soltanto di Kobanè?”, rivelando ancora una volta come la sua attidudine avversa a Kobanè non sia cambiata.

Lo Stato turco fornisce equipaggiamento militare
Secondo fonti locali a GirêSpî (Til-Ebyad), mentre venivano effettuati gli attacchi su Kobanè su tre fronti, il 17 Settembre 2014 un treno trasportò armamenti militari nel villaggio di Silîb Qeran, usato come base militare da Daesh e che è uno dei punti di confine tra il Rojava e il Kurdistan del Nord. Fonti locali hanno anche riportato che, nonostante non sia presente una stazione in questo villaggio, il treno si fermò e furono scaricati materiali in scatole pesanti che si ritiene fossero bombe, granate e altro equipaggiamento militare. Anche le persone presenti sul luogo e provenienti dal Rojava verificarono che il treno aveva consegnato materiale militare appartenente allo Stato turco a Daesh.

La TV in diretta riporta un video sul “sostegno” turco!
Anche IMC TV trasmise in diretta il 1 Ottobre 2014 un servizio riguardante un ulteriore sostegno a Daesh da parte dello Stato turco mentre gli attacchi a Kobanè si facevano intensi. Membri di Daesh passavano attraverso la linea della ferrovia di fronte ai soldati turchi che si trovavano sul confine del Rojava e si dirigevano poi verso la collina Zorava. Sei membri di Daesh che avevano usato la linea ferroviaria appartenente alla Turchia furono fermati dai combattenti YPG/YPJ.

Stato di emergenza in Kurdistan
Nel periodo in cui gli attacchi a Kobanè si intensificarono, miglialia di persone parteceparono a proteste di solidarietà per Kobanè e furono presi come bersaglio dalla polizia turca e lo Stato turco annunciò il coprifuoco in molte città tra cui Diyarbakir.

La polizia turca (Hizbulcontra) co-diresse operazioni che portarono alla morte di oltre 40 persone. Più di 2000 persone furono trattenute in stato di fermo in seguito a operazioni di genocidio politico e 500 furono messe agli arresti. Anche questo sarà ricordato come un “ruolo indimenticabile” giocato dalla Turchia nella resistenza di Kobanè.

L’attacco a Miştenur: uno degli indimenticabili “interventi di sostegno” della Turchia nella resistenza di Kobanè
Il 15 Settembre 2014, quando gli attacchi a Kobanè iniziarono ad intensificarsi, la polizia turca sgomberò diversi villaggi per cosidette “ragioni di sicurezza”. Questi villaggi furono in seguito occupati dai terroristi di Daesh e il 29 Ottobre 2014 i terroristi usarono il valico di confine di Mürşitpınar per bombardare e diedero inizio ad un feroce attacco a Kobanè tramite mezzi dell’Esercito turco. Mentre da un lato i soldati turchi si limitavano ad osservare gli attacchi su Kobanè da parte dei membri di Daesh, dall’altro gettavano gas lacrimogeni contro i propri concittadini che volevano attraversare il confine per Kobanè e aggiungersi alla resistenza. Anche questo incidente sarà ricordato tra gli “indimenticabili interventi di sostegno” dello Stato turco nella resistenza di Kobanè.

Membri di Daesh curati negli ospedali turchi
Una delle questioni che è stata messa in evidenza riguardo alla collaborazione tra la Turchia e Daesh è stata quella dell’assistenza medica fornita negli ospedali turchi ai membri di Daesh feriti. Recentemente, il 16 Gennaio 2015, l’agenzia DIHA ha raccolto le registrazioni di due membri di Daesh che non hanno sentito l’esigenza di nascondere la propria identità presso l’Ospedale Mehmet Akif İnan di Urfa. Nuovamente a dimostrazione del sostegno dello Stato turco, questo incidente sarà annoverato tra i molti indimenticabili “ruoli” della Turchia nella resistenza a Kobanè.

Soldati scortano la loro fuga!
La settimana scorsa la gente del villaggio di Swêdê che si trova sulla linea di confine a Suruç, ha riferito che membri di Daesh hanno incontrato soldati turchi e sono entrati in un veicolo militare lasciando la zona scortati da un elicottero.

Rojda Korkmaz-DIHA

Kobane libera. Intervista a Ozlem Tanrikulu da: ndnoidonne

Intervista a Ozlem Tanrikulu, presidente di UIKI-Onlus, l’Ufficio di informazione sul Kurdistan in Italia.

inserito da Marta Facchini

Il 26 gennaio, dopo 134 giorni di resistenza agli attacchi di ISIS, Kobane è stata liberata dalle forze di difesa del popolo YPG e YPJ. Dopo quattro mesi di combattimenti, le donne e gli uomini dell’Unità di protezione popolare sono riusciti a prendere il controllo di Kobane, ricacciando i miliziani jihadisti nei sobborghi est della città. Una vittoria importante e simbolica non solo per la sconfitta di IS ma anche, e forse soprattutto, per la riconquista di quella libertà da sempre rappresentata dal sistema del Rojava.

Contro l’avanzata dello Stato Islamico, Kobane ha combattuto potendo contare solo sulle sue forze. Perché la Turchia ha impedito non solo ai profughi di varcare la frontiera ma anche il passaggio di armi e aiuti per chi continuava a resistere. E perché i raid della coalizione, anche se interessavano le aree intorno alla città, non raggiungevano una precisione tale da poter fermare l’avanzata di ISIS. Oltre alla solidarietà di movimenti internazionali, solo il Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, è intervenuto inviando armi e combattenti contro l’avanzata islamista.

Con la bandiera che sventola sulla collina di Mistenur, e prende così il posto di quella dello Stato Islamico, Kobane liberata è il segno della possibilità di sconfiggere l’ISIS. Non solo; è il simbolo della difesa dell’uguaglianza, della giustizia e dell’autodifesa del proprio territorio, il Rojava, e in questo costituisce un’alternativa politica radicale.

Ozlem Tanrikulu è la presidente di UIKIonlus, l’Ufficio di informazione sul Kurdistan in Italia, impegnato a denunciare la repressione e la violazione dei diritti cui è sottoposto il popolo kurdo, a promuovere la pace e la solidarietà tra i popoli attraverso attività di sensibilizzazione e informazione. A Roma per discutere della resistenza kurda nel Rojava, Ozlem ci parla del significato della liberazione di Kobane e del ruolo, centrale, che le guerrigliere kurde hanno ricoperto nella lotta contro l’ISIS.

Le guerrigliere kurde sono state in primo piano nella lotta contro l’IS. Puoi parlarci del ruolo che le donne ricoprono nella cultura kurda e nella lotta armata?

Nel movimento curdo, le donne stanno prendendo parte alla lotta per l’autodeterminazione in tutti i settori della società. Le forze di difesa sono solo uno dei vari ambiti. Il lavoro di controinformazione e di denuncia, il lavoro di cura e di sostegno insieme al lavoro per la pace – come quello svolto dalle organizzazioni sociali delle donne, dalle cooperative, dalle “madri per la pace” ad esempio -, seppure possa essere visto come l’esercizio di un ruolo più tradizionalmente femminile, mostra la strada verso nuovi rapporti di genere basati sulla libertà e liberi dall’oppressione. Ne fa parte anche la scelta della co-presidenza, ossia la doppia rappresentanza di genere per ciascun incarico di responsabilità, dal punto di vista militare così come per le cariche elettive. Nelle sue analisi, il nostro presidente Öcalan ha chiarito come la donna sia sottoposta a una doppia oppressione, come curda e come donna, un’oppressione trasversale, ma come nell’antichità non fosse così, poiché le donne godevano di molta libertà e autonomia. A livello pratico, nell’attività politica rivoluzionaria all’interno del movimento kurdo, le donne hanno trovato uno spazio di libertà che ha permesso loro di conquistare rispetto e dignità e di affrancarsi dai ruoli subordinati tradizionali. Le donne hanno saputo dimostrare di valere quanto e anche più dei loro compagni maschi. C’è ancora molto da fare ovviamente, perché la mentalità feudale saldata alla modernità capitalistica è molto pervasiva, nessuna e nessuno ne è totalmente immune.

A tuo parere, che conseguenze comporta la liberazione di Kobane?

La liberazione di Kobane è un bellissimo risultato al quale siamo arrivati grazie alla determinazione e all’eroica resistenza della popolazione, della città e dei tanti che sono accorsi in suo sostegno, nonostante le difficoltà poste al confine dalla Turchia. Ma non è finita qui. I villaggi intorno alla città sono ancora in mano a ISIS così come proseguono i combattimenti per liberare la regione di Şengal in Iraq, il monte sacro agli Ezidi, e le altre zone in mano ai terroristi. Dunque, sono ancora valide e urgenti le richieste di un corridoio umanitario per portare aiuti alla popolazione civile e per ricostruire oggi la città di Kobane. Riconoscere i cantoni del Rojava e ciò che a livello sociale stanno praticando, e isolare quei paesi che ancora sostengono e supportano le bande di ISIS, paesi che non hanno a cuore la pace e i diritti dei popoli, ma che perseguono i propri interessi. Serve, dopo la liberazione di Kobane, un cambiamento nella politica della regione senza il quale non si potrà arrivare alla pace e alla stabilità.

L’intervista integrale a Ozlem Tanrikulu sarà pubblicata sul numero cartaceo di marzo.

| 09 Febbraio 2015

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Un’ anziana madre di 114 anni: Kobane è la mia vita da: UIKI

Un’ anziana madre di 114 anni: Kobane è la mia vita

Una madre di 114 anni fuggita da Kobane afferma che la storia di Kobane è la storia della sua vita e l’unica cosa che desidera è vedere Kobane prima di morire.

La madre Selbî Turkî lascia Kobane insieme a sua figlia nel 2002. Proviene dal villaggio di Xanê a Est di Kobane. Sta in quel villaggio con suo marito Mihemed Hebeş e le figlie Fatme e Zeho dal 2002. Dopo che le figlie si sono sposate sono vissuti da soli dal momento che non c’era nessuno che si prendesse cura di loro.
Mihemed Hebeş perse la vita nel 2000 e Selbî Turkî ha vissuto da sola per due anni. Successivamente la figlia maggiore Fatme le chiede di andare a Serêkaniyê e vivere lì insieme.

Parlando col giornalista di ANHA Ronahî Xelîl la madre Selbî sottolinea che l’unica cosa che vuole è tornare a Kobane. “Voglio passare i miei ultimi giorni a Kobane e morire nella mia terra. Tutti i miei buoni ricordi sono a Kobane. Il popolo di Kobane resiste contro ISIS come degli eroi e se me lo chiedessero prenderei le armi anche io e andrei a combattere a Kobane. Kobane è la mia vita. Credo che i giovani vinceranno a Kobane. Ho speranza” dice la madre.

Una dottoressa argentina a Kobanê da: UIKI

Una dottoressa argentina a Kobanê

Maria Claudia Garcia, una dottoressa argentina che è venuta a Kobanê per fornire cure mediche, ha invitato i suoi colleghi argentini a sostenere la ‘ epica resistenza’ a Kobanê.

L’interesse internazionale per la resistenza Kobanê è in aumento nel settore dei servizi sanitari e sociali, oltre che in quello militare. La dottoressa argentina Maria Claudia Garcia sta fornendo cure mediche e cercando di conoscere la resistenza. Maria Claudia Garcia, nata a Buenos Aires, è membro del Comitato di Solidarietà con il Kurdistan in Sud America e del Partito socialista di Argentina. Ha parlato con ANF delle sue impressioni su Kobanê.

Come mai hai deciso di venire a Kobanê?

Dopo i primi attacchi contro Kobanê ho cominciato a seguire quello che stava accadendo. Ho cominciato a studiare la storia del Kurdistan e le teorie di Abdullah Öcalan. Stando qui sto vedendo come la teoria viene messa in pratica. Prima di venire a Kobanê sono andata nei campi profughi a Çınar e Sisre ad Amed. Sono venuta qui dieci giorni fa perché volevo vedere la resistenza e osservare lo stato dei servizi medici. Il lavoro dei medici qui è parte cruciale della resistenza. Lavorano in condizioni incredibilmente difficili. Volevo anche vedere il ruolo delle YPG/YPJ. Tengo un diario in modo che possa condividere tutto con gli amici in America Latina. Una parte è già stata pubblicata. Desidero che esperti in vari settori si interessino a quello che sta succedendo qui. Soprattutto per convincere la gente a dare un contributo in modo che il cibo e le medicine necessari siano forniti alla gente di qui.

Quali sono le tue impressioni su Kobanê?

Si tratta di una resistenza eroica ed epica, e quali altri aggettivi devo scegliere, basta questo. Il mondo ha bisogno di saperlo. Le persone stanno lottando contro ISIS che dispone di armi moderne, e che è stato creato dai governi internazionali e regionali. La lealtà e il rispetto delle YPG-YPJ è un riflesso della loro coscienza. Stanno lottando per una rivoluzione sociale e la libertà delle donne.

Qual è la situazione dei civili, le loro condizioni di salute?

Contrariamente a quello che dice il governo turco, il posto è pieno di civili. I servizi sanitari sono limitati. Un numero ridotto di medici sta cercando di fornire servizi in un ospedale da campo. Sempre più civili stanno tornando, il che significa che c’è bisogno di più medici. I bambini e gli anziani sono i più colpiti da queste condizioni. Ci sono malattie causate dal freddo, e infezioni e malanni causati da una alimentazione insufficiente.

C’è qualcos’altro che vorresti aggiungere?

L’Argentina è conosciuta per la lotta condotta dall’internazionalista Che Guevara, stiamo cercando di seguire le sue orme. Il nome della mia organizzazione è Convergencia Socialista (Unità Socialista). Io continuerò a rimanere a Kobanê e contribuire alla lotta. Invito i miei colleghi a unirsi a me qui. E’ anche necessario che gli internazionalisti siano a conoscenza della situazione dei prigionieri politici in Turchia, in particolare quella di Abdullah Öcalan.

di SEDAT SUR ANF

A Kobanê sono necessari medici volontari e medicine da: UIKI

A Kobanê sono necessari medici volontari e medicine

Nella città del Rojava di Kobanê ,nel Kurdistan occidentale,la quale è stata è stata continuamente presa di mira dagli attacchi delle bande di ISIS durante gli ultimi 114 giorni durante i quali i combattenti delle YPG/YPJ hanno realizzato una resistenza eroica,il servizio sanitario per migliaia di civili e per i combattenti feriti delle Unita di difesa è stato fornito non dalle strutture sanitarie ma da medici e dallo staff medico di Kobanê che non hanno lasciato la loro città natale.

Le cure per i civili che sono rimasti feriti negli attacchi di mortaio e per i combattenti delle YPG/YPJ feriti durante gli scontri, sono fornite da medici volontari in un improvvisato e unico ospedale che è stato costituito dalla solidarietà dei medici e della popolazione locale.

Le attrezzature mediche e le medicine raccolte in ospedale comprendono quelle salvate dagli ospedali della città in rovina e quelle raccolte attraverso la solidarietà.Di fronte ai numerosi infortuni provocati dagli attacchi di ISIS sul centro città e durante gli scontri con le bande permane l’urgente necessità di attrezzature mediche,medicine e specialisti.

Il radiologo Dr. Mehmet Arif Elî,uno dei medici che presta servizio a Kobanê, ha affermato che sin dall’intensificazione degli attacchi da parte di ISIS hanno fornito un servizio a migliaia di persone locali e ai combattenti delle YPG/YPJ

Elî ha affermato che hanno utilizzato tutte le possibilità per essere in grado di fornire cure alla popolazione di Kobanê dopo che l’ospedale ed il centro di cura improvvisato che avevano successivamente costituito,sono statti anch’essi presi di mira e distrutti dagli attacchi di ISIS.

Egli ha sottolineato che hanno lavorato in condizioni dure e hanno affrontato in primo luogo la mancanza di attrezzature mediche,di personale e di medicine.

Eli ha inoltre sottolineato che l’intera infrastruttura della città è stata danneggiata a seguito degli attacchi,e recentemente, le condizioni stanno diventando difficili con l’inizio dell’inverno.

Ha chiesto a tutti di fare la propria parte al fine di soddisfare questa urgente necessità di Kobanê.

Menaf Kitkanî,dirigente di Heyva Sor a Kurdistan Kobanê,ha chiesto a tutti i lavoratori curdi della sanità,in particolare a quelli di Kobanê,di venire e fornire servizio alla popolazione di Kobanê. Menaf Kitkanî ha detto che c’è una particolare esigenza di chirurghi,ortopedici, internisti e medici dei bambini.

M.Z.ÇİÇEK/Ç.KAPLAN -ANF

Cittadini di Kobanê tornano a casa da: UIKI

Cittadini di Kobanê tornano a casa

Cittadini di Kobanê costretti a lasciare la loro città natale di fronte alla minaccia di strage da parte delle bande barbariche di ISIS continuano a tornare a casa via via che le forze delle YPG/YPJ conquistano ulteriori posizioni durante l’operazione in corso per la vittoria nella città di Kobanê in Kurdistan occidentale, Rojava.

Altri 50 civili di Kobanê che hanno soggiornato a Suruç e villaggi sono tornati a casa ieri, dopo aver attraversato il varco del confine di Mürşitpınar (Kobanê Serxet). I civili, molti dei quali hanno baciato la terra mentre entravano nella loro città natale sono stati accolti dai dirigenti della Mala Gel (Casa del Popolo).

I cittadini di Kobanê hanno detto che da tempo volevano tornare, ma sono riusciti a farlo solo ieri, esprimendo inoltre la gioia di portare i loro figli nella loro terra.

I cittadini ritornati, i cui nomi sono stati annotati e registrati presso la Mala Gel, saranno sistemati in aree sicure della città.

Kurdistan iracheno/ Nujin Yousif: Kobane e dintorni da: ndnoidonne

Incontriamo Nujin Yousif, co-segretaria del PYD, in Rojava per parlare di democrazia paritaria e della resistenza di Kobane

inserito da Emanuela Irace

Nujin Yousif viene da Afrin uno dei tre cantoni del Rojava, letteralmente: “paese dove tramonta il sole”, enclave kurda nel nord della Siria. Nujin ha 48 anni e non è sposata. Vive a Sulaymanyya, nel Kurdistan iracheno, ai confini con l’Iran. Ci incontriamo nella sede del PYD, il Partito dell’unione democratica, dove Nujin ricopre il ruolo di co-segretaria in base ai criteri di democrazia paritaria applicati dal popolo kurdo sia in ambito amministrativo che politico: “La co-gestione è una delle caratteristiche del nostro movimento. L’obiettivo è creare unità di donne a tutti i livelli, non soltanto per la difesa militare ma anche per la gestione politica e per tutti i comparti dell’organizzazione sociale”.

Sui media occidentali e soprattutto italiani si è dato molto spazio al fatto che in Rojava e in Iraq ci fossero eserciti composti esclusivamente da donne, dando più enfasi al folclore che ai contenuti…
La nostra è una ideologia forte alternativa ai modelli autoritari applicati in medio Oriente e per questo scomoda. Stiamo realizzando la democrazia paritaria in maniera concreta. Crediamo fortemente che l’unica riforma possibile per gli Stati nazionali debba basarsi sulla democrazia diretta, l’uguaglianza di genere e l’ecologia. Se ci pensi, sono tre fattori concatenati tra loro.

Già, noi ne parliamo e voi la mettete in atto, c’è un detto in Italia che dice: “fare i fatti e non le chiacchiere”…
Si, credo di aver capito, (ride) noi dalla fine degli anni ’90 abbiamo messo in cima alle nostre priorità quel che consideriamo l’unica strada percorribile per il futuro del nostro popolo. Crediamo razionalmente, come ha scritto Ocalan (il leader kurdo che dal 1999 è in isolamento nel carcere prigione turco nell’isola di Imrali, ndr) che la politica sia del popolo e non delle oligarchie. L’economia deve essere un mezzo al servizio di tutti. E le risorse devono essere equamente distribuite. Per questo vogliamo la partecipazione diretta dei cittadini alla politica, il rispetto per l’ambiente e l’uguaglianza tra uomini e donne.

E nonostante la guerra ci siete riusciti..
Sono 4 anni che si combatte nel Rojava, prima contro Al Nusra poi contro lo Stato Islamico. Ciò nonostante, o forse grazie a cio’, siamo stati capaci di creare una alternativa, “la terza via”: ossia né con Assad né con gli islamisti. Poi questo modello di autonomia democratica è cresciuto, da gennaio 2014 abbiamo la nostra Costituzione, ogni cantone ha il proprio Parlamento e l’intero Rojava è diventato un laboratorio per uscire dalla crisi, ma anche un modello per l’intero Medio Oriente.

Per questo nessuno ne parla, per paura del “contagio”?
E’evidente che siamo scomodi. Lo siamo sempre stati. E’ dal 1923, dal trattato di Losanna che le Potenze Occidentali hanno deciso di ignorare la nostra esistenza e combatterci. Genocidi e pulizia etnica sono stati la costante necessaria per l’edificazione degli Stati nazione disegnati col compasso. Poi le due Guerre Mondiali. Le promesse non mantenute. Siamo diventati “apolidi” a casa nostra. Divisi e senza diritti in Turchia, Siria, Iraq e Iran. Darci ascolto avrebbe significato riconoscere anche i diritti all’esistenza di altre comunità perseguitate, come i palestinesi per esempio.

Che situazione c’è adesso in Rojava e soprattutto nel cantone di Kobane?
Per la prima volta la questione kurda è diventata nota al grande pubblico. Nel Kurdistan occidentale, ossia nel Rojava, vivono 2 milione e mezzo di kurdi, in tutta la Siria i kurdi sono 3 milioni. Questo territorio che segue il tracciato dell’antica ferrovia Berlino-Baghdad tra Turchia e Siria, ha difficoltà di collegamento. Molte città sono in mano ai jiadisti dello Stato islamico. Kobane è il cantone più piccolo, 600mila abitanti, ma il sistema dell’autonomia democratica è tra i piu avanzati e funzionanti. Cristiani e altre etnie si sono dati da fare per realizzarlo insieme a noi, per questo è stato attaccato, la risposta è stata la resistenza del popolo che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo. Il problema resta la Turchia. Erdogan, da aprile Presidente dello Stato turco, non vuole riconoscere l’autonomia del Rojava, perché non ha mai riconosciuto l’identità kurda in Turchia e la cosa gli creerebbe problemi. Sono circa 20 milioni i kurdi in Turchia che vorrebbero vedere riconosciuto il proprio status.

Da un punto di vista internazionale cosa non siete riusciti a fare?
Avremmo voluto partecipare ai negoziati di Ginevra 1 e Ginevra 2. Ma a quel tavolo non ci siamo arrivati. E non abbiamo potuto dire la nostra né raccontare il nostro modello. Devi considerare che in tutti e tre i Cantoni del Rojava, ossia Efrin, Kobane e Cizre inizia tutto dal basso. La democrazia si realizza in forma diretta a cominciare dai quartieri fino al Parlamento. Ci sono comitati popolari e ognuno presta la propria opera volontariamente, uomini e donne, secondo le proprie competenze e possibilità. Anche Cristiani e arabi stanno utilizzando questo sistema di partecipazione democratica.

Come avviene il reclutamento dal basso e cosa chiedete alla Comunità internazionale?
I rappresentanti delle assemblee del popolo siedono in Parlamento. Sono 28 i partiti che hanno partecipato alle elezioni. Se non ci fosse stata questa guerra avremmo fatto nuove consultazioni. Ma ci sono altre emergenze umanitarie. Siamo in inverno e i bisogni crescono. C’è un campo con 8.000 profughi yazidi scappati dalla guerra. Alla comunità internazionale chiediamo di aiutare anche le popolazioni cristiane e dare uno stop all’embargo. Abbiamo bisogno di cibo e medicine e dell’apertura di nuovi varchi per portare aiuti umanitari. Siamo abituati a convivere con altre etnie e siamo per la fratellanza tra popoli. Vogliamo una Siria democratica che accetti la nostra autonomia regionale. Questo chiediamo alla comunità internazionale, che ci ascolti.

Emanuela Irace

| 02 Dicembre 2014

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Kobane, oggi in piazza a Roma in appoggio e solidarietà con la resistenza curda Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Le poche e frammentate notizie che arrivano da Kobane parlano di un rovesciamento di fronte. L’Isis si sarebbe ritirato da quasi tutte le aree occupate. I Curdi sono sicuri che Kobane sarà “liberata presto”. Intanto cresce la solidarietà internazionale verso i guerriglieri curdi. Oggi è in programma una iniziativa a Roma, in piazza Argentina dalle 16 alle 19. Disarmare ISIS e isolare gli Stati che lo sostengono (Arabia Saudita, Qatar, Turchia); aprire immediatamente un corridoio al confine turco che consenta aiuti umanitari e rifornimenti alle forze di difesa kurde delle YPG/YPJ; .riconoscere l’autonomia democratica del Rojava (Kurdistan occidentale) in Siria, “esempio di autogoverno e convivenza pacifica fra popoli, religioni, culture diverse, contro il totalitarismo di ISIS”: sono questi gli obiettivi del presidio.
Pochi giorni fa a scendere in piazza è stata la rete di solidarietà di Torino, “per far sentire il proprio grido di rabbia e di amore per i resistenti di Kobane”. Centinaia di compagni e compagne insieme atanti giovani, donne, bambini, della comunità curda di Torino hanno risposto all’appello lanciato dalle diverse anime del movimento antagonista torinese per un presidio di solidarietà, presto trasformatosi in un corteo di almeno cinquecento persone che hanno attraversato il centro della città.

Il sito curdo Rudaw ha scritto di centinaia di persone emigrate in Europa che nelle ultime settimane si sono unite ai peshmerga del Kurdistan iracheno e ai miliziani siriani dell’Ypg, le Unità per la protezione del popolo, nella lotta contro i jihadisti dell’Is. Il reportage parla soprattutto di curdi partiti dal nord dell’Europa, ma “è naturale – dice M., originario di Urfa, provincia turca sul confine con la Siria – che anche dell’Italia siano partiti in tanti”. Ed è allo stesso modo “naturale” che la comunità curda in Italia “raccolga fondi per i nostri fratelli di Kobane. Se il vostro paese fosse in pericolo, non lo fareste anche voi italiani?”.

Nasce “Support Kobane”, una piattaforma di solidarietà con i Curdi che lottano contro l’Isis | Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

La solidarietà per la lotta dei Curdi contro l’Isis si arricchisce di Support Kobane (pagina Facebook), una piattaforma creata per movimenti europei e singoli cittadini il cui obiettivo con il preciso obiettivo di dare un segno tangibile del supporto al popolo Curdo. L’idea è quella di “consegnare contributi in sostegno alla resistenza di Kobane, che si combatte sul doppio fronte di chi lotta – Kurdi, siriani di altre etnie, attivisti ed attiviste turche – contro lo Stato Islamico ma anche di chi affronta l’esodo da Kobane: piccole municipalita’ al confine, dove il partito di Erdogan non e’ riuscito a vincere alle elezioni e il Governo si limita a mandare carri armati e convogli di polizia”. La’ si affollano e accalcano in ogni angolo qualcosa come 160mila persone in citta’ che a malapena ne ospitavano 50mila. Senza contare la privatizzazione selvaggia dei servizi sanitari, della quale l’ospedale di Suruç fra i tanti paga il prezzo insieme ai volontari giunti da ogni lato della Turchia. Per qualsiasi donazione, non importa quanto simbolica, basta specificare su Paypal l’indirizzo supportkobane@riseup.net come destinatario. Tuttavia Support Kobane non nasce come una raccolta di aiuti. “Il paradigma della carita’ alla vittima passiva non ci pertiene. Questa e’ una piattaforma di solidarieta’ pratica, di supporto fra lotte per lotte – in questo caso, quella che e’ e rimane una lotta politica, e non una semplice tragedia. Kobane ha scelto di resistere. Le donne e gli uomini che resistono da quasi un mese stanno difendendo un modello di autorganizzazione e di convivenza oltre che di laicismo. E la popolazione lungo il confine – la municipalita’ di Suruç, i volontari arrivati da ogni lato della Turchia – hanno scelto di sostenerla”.
Quanto raccolto assicurano gli organizzatori verra’ consegnato a gruppi politici, soggetti attivi schierati politicamente e legati al territorio e alla volonta’ delle popolazioni di quel territorio che si stanno autorganizzando per rispondere ad un’emergenza che vede piu’ di 160mila persone in fuga da Kobane nelle condizioni di cui si e’ parlato in questi giorni. Grazie al modello di democrazia diretto perseguito in quelle zone, la decisione di come distribuire i fondi viene mediata a livello orizzontale in base a bisogni reali – coperte, servizi igienici, medicinali, e cosi’ via.
“Per questo, e anche perche’ la situazione peggiora di ora in ora, – scrivono ancora gli organizzatori – abbiamo scelto il sistema della donazione diretta piuttosto che del convoglio, e di fare appello ai movimenti perche’ la solidarieta’ sia un veicolo di coinvolgimento collettivo verso una lotta che parla il nostro linguaggio politico”.