Alla vigilia del summit Ue sul lavoro che si terrà a Milano mercoledì 8 ottobre, i sindacati europei rilanciano da Roma, dove hanno tenuto un vertice lunedì 6 ottobre, la proposta di un
nuovo corso per l’Europa , un Piano del lavoro che nei prossimi
dieci anni porti il continente fuori dalla crisi e dalla sofferenza industriale, e che sia alimentato da
2.500 miliardi di euro (250 miliardi l’anno),
pari al 2% del Pil europeo .
I leader dei maggiori sindacati europei, nonché i vertici della Confederazione europea dei sindacati, si sono ritrovati oggi nella capitale, adottando al termine dei lavori la ‘Dichiarazione di Roma’ ( QUI IL TESTO INTEGRALE ) per sottolineare come l’Europa abbia bisogno di “ voltare pagina, rispetto a una conduzione dell’economia basata su politiche di austerità e di solo rigore contabile ”. Per farlo mettono al centro una proposta: appunto ‘Un nuovo corso per l’Europa’, ossia “un piano straordinario europeo di investimenti per la crescita sostenibile e l’occupazione”. E su questo punto rilanciano “il dialogo sociale tra le parti sociali, rinnovato e rafforzato nel suo significato e nel suo valore”, che è “architrave del modello sociale europeo e uno dei pilastri su cui si è fondato, nei decenni alle nostre spalle, il successo dell’economia europea”.
Per quanto riguarda nello specifico i temi del lavoro, i sindacati europei nella dichiarazione di Roma ricordano come interventi legislativi sul lavoro e sul mercato del lavoro, operati senza il confronto con le parti, “hanno provocato aumento della disoccupazione e delle disuguaglianze di trattamento dei lavoratori, diminuzione delle tutele e delle protezioni, indebolimento degli accordi e della contrattazione collettiva”. Per questo ribadiscono che “il lavoro stabile dignitoso e di qualità deve essere il punto di riferimento per il futuro, che la flessibilità non può né deve trasformarsi in precarietà, che la contrattazione dei salari e delle condizioni di lavoro deve rimanere autonoma responsabilità delle parti sociali, che i diritti e le tutele fondamentali dei lavoratori non devono essere oggetto di interventi unilaterali e non concordati”. Ecco perché, si chiude la dichiarazione di Roma, “solo attraverso la contrattazione collettiva si potranno negoziare le riforme che ci consentiranno di uscire dalla crisi e perseguire la giustizia sociale. Ciò è indispensabile affinché i lavoratori si possano sentire parte del progetto europeo”.
“ L’illusione che la finanza e le esportazioni fossero sufficienti a un nuovo sviluppo è stata un fallimento sotto gli occhi di tutti , mentre in Europa si continua a discutere dei compiti a casa, indebolendo, se non cancellando le politiche espansive”. Così il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso , nell’aprire il vertice ospitato nella sede della confederazione ( LEGGI L’INTERVENTO INTEGRALE DI CAMUSSO ). “Siamo quasi a metà del semestre europeo e dalla presidenza italiana non è arrivato ancora nessun cenno di dialogo sociale con i sindacati”, ha detto il segretario generale della Cgil. “Accadde una sola volta in altri semestri europei – ha ricordato Camusso – in un periodo unico di non dialogo sociale: quello di madame Thatcher ”. Dai sindacati nazionali e dalla Ces sono arrivate innumerevoli richieste di incontro e dialogo – ha ricordato il segretario generale Cgil – per ora rimaste inevase. Ma le organizzazioni dei lavoratori non rinunciano a “mettere in campo la loro proposta” per un dialogo sociale che costruisca un’”agenda del buon lavoro” e per uscire dal “modello del rigore europeo” e dell’austerità, che ha “tradito” lo spirito sociale della Carta d’Europa. Da qui parte la proposta per un nuovo corso: “Non bisogna rinunciare – sottolinea Camusso – a cambiare davvero verso alla politica europea”. Il piano della Ces prevede 10 anni di investimenti per creare lavoro: “Innovazione è per noi economia della conoscenza, industria verde, alta tecnologia, tutti investimenti che generano buon lavoro e non precarietà”. Come finanziare questa spesa? “Anzitutto con la tassazione europea sulle rendite finanziare e con un fisco che universalizzi la patrimoniale e le rendite improduttive”. E poi con “lo scorporo degli investimenti” dalle manovre nazionali unito alla lotta “all’evasione e ai paradisi fiscali”.
“Abbiamo sentito che il futuro Presidente della Commissione Juncker parla di 300 miliardi in 3 anni. Seppur meglio dell’assenza di scelte della Commissione precedente sono troppo pochi per poter cambiare l’Europa. Pochi e inadeguati alla fase che stiamo vivendo. Quanto all’Italia, Camusso ricorda il mancato confronto tra il premier Renzi, presidente del semestre europeo, e i sindacati continentali. “In questi giorni – aggiunge – c’è forse un cambio di orientamento, speriamo che sia un vero e serio ripensamento , perché l’idea del Jobs Act è di riduzione globale dei diritti e dei salari. Noi pensiamo al ‘buon lavoro’ e all’occupazione di qualità, alla cancellazione della precarietà, agli investimenti sul lavoro. Preoccupa, invece, l’idea del governo di restringere il ruolo dei sindacati e dell’autonomia delle parti nella contrattazione. Siamo pronti al confronto – precisa – ma altrettanto al conflitto. Al solito ritornello ‘ce lo chiede l’Europa’, vogliamo controbattere con ‘Lo facciamo in e con l’Europa’, cioè con un vero piano del lavoro”.
In Europa, ha detto il segretario della Ces, Bernadette Ségol , “ci sono oltre 25 milioni di disoccupati , è come se fosse il 29simo Stato europeo. Aumentano i rischi di povertà, le situazioni personali drammatiche e non solo in Grecia e Spagna, ma anche in paesi come il Regno Unito dove i salari sono sempre più bassi”. La Ces – ha proseguito Ségol – “non è più disposta ad accettare dai leader politici l’idea che la crisi è superata. La crisi sarà superata solo quando avremo raggiunto la piena occupazione e un lavoro dignitoso per tutti. I sindacati ritengono che l’economia debba essere al servizio della società. Non vogliamo una società al servizio dei mercati. Se non esiste un’Europa sociale – ha aggiunto – al servizio dei cittadini, a medio e lungo termine fallirà anche l’Europa politica”. Secondo il segretario della Ces, le proposte della Commissione Ue per creare occupazione “sono completamente sbagliate” perché “la soluzione di rendere il lavoro precario e flessibile crea concorrenza fra i paesi, in particolare sui salari”. “Al presidente del Consiglio Matteo Renzi abbiamo chiesto un incontro ma non è stato ancora convocato”. Così Ségol ha risposto ai giornalisti che le chiedevano un commento sul semestre italiano di presidenza europea, aggiungendo: “è necessario che lo faccia, non si può parlare di dialogo sociale e poi ignorarlo. Ma non ci rinunciamo, la presidenza del Consiglio europeo è ancora all’inizio”.
Nel suo intervento, Ignacio Fernández Toxo , segretario delle Comisiones Obreras spagnole e presidente Ces, ha auspicato che i prossimi vertici europei non siano deludenti come accadde nel 2012, all’epoca dei cosiddetti “piani anticrisi”. Toxo ha ricordato che “l’Europa non sta uscendo dalla crisi” e che anzi c’è “il rischio di una terza recessione, o della ‘giapponesizzazione’ dell’economia . Nella migliore delle ipotesi, l’Europa potrebbe restare in stagnazione. I sindacati – ha aggiunto – non possono rassegnarsi al fatto che l’austerità, una gestione ideologica della crisi, sia l’unica via. Ci sono alternative e dobbiamo essere noi a promuoverle”, ha detto.
Nel corso del dibattito, Candido Mendez (UGT-E) ha esposto la situazione drammatica del mondo del lavoro spagnolo , e ha ricordato lo sforzo del sindacato nel sottoscrivere un impegno per la reindustrializzazione e per togliere dalla povertà 500mila famiglie, oltre che a favore del potere d’acquisto degli stipendi.
Mehrad Payandeh (DGB Germania) ha sottolineato che la situazione europea è “molto pericolosa e che i paesi esportatori, come la Germania, hanno bisogno di stabilità”. Le conseguenze dell’austerità – ha aggiunto – sono recessione, deflazione, povertà, disoccupazione giovanile e instabilità politica. “In Germania – ha concluso – dopo 10 anni di politiche del lavoro volte alla riduzione del costo del lavoro, abbiamo capito che dovevamo fermarci e che era necessario istituire un nuovo salario minimo”.
“ L’economia inglese si è fermata al 4% sotto i livelli pre-crisi – ha detto Billy Hayes del Tuc britannico – e il potere d’acquisto è diminuito. I nostri salari sono scesi dell’8% rispetto al passato. La crisi del settore pubblico ha portato a un aumento del 19% dei lavoratori autonomi, ma anche del part time, e a una crisi degli impieghi a tempo pieno”.
Josef Středula (Repubblica Ceca – Čmkos) ha ricordato che “abbiamo troppi mondi nella Ue : il sud, il nord, l’est, l’ovest. Nella Repubblica Ceca, dopo 10 anni di governi di destra, la situazione è che il nostro salario minimo non supera i 320 euro al mese e siamo prossimi al collasso”.
Una situazione analoga è stata esposta da Plamen Dimitrov (CITUB Bulgaria) , secondo il quale la “catena di produzione europea deve essere distribuita in modo più equo (…) e la solidarietà tra di noi dev’essere concreta”.
Yvan Ricordeau (della CFDT francese) ha sottolineato l’importanza della “sfida del dialogo sociale in Francia, e di negoziare qualsiasi riforma”. Inoltre ha ricordato “le misure da applicare immediatamente, come ad esempio il programma Garanzia giovani”.
Augusto Praça (CGTP-IN portoghese) ha elencato i disastri della Troika (Fmi, Bce, Banca Mondiale) che controlla il governo del Portogallo: “Ci hanno rovinati – ha detto. Siamo al 15,8% di disoccupazione. Il 20% dei portoghesi è emigrato. Siamo sempre più poveri e abbiamo gli stessi problemi che avevamo nel 2008. Dobbiamo investire sull’economia reale, anche con la spesa pubblica”.
Su RadioArticolo1 si possono ascoltare i podcast di tutti gli interventi .