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Catania 30 novembre 2014 -Festa del tesseramento ANPI e solidarietà al p.m. Nino Di Matteo e la sua scorta
CATANIA: 30 novembre 2014 tesseramento ANPI P. Stesicoro ore 9.00 -13.00
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Prima Pagina Donne (17-23 novembre 2014) da: ndnoidonne
Alessandra Moretti e ladylike, Samantha Cristoforetti verso la stazione spaziale,Le donne e la sentenza che assolve l’Eternit,i drammi della cronaca che vedono le donne non solo vittime e poi..la condanna a morte di Asia Bibi in Pakistan fino a..
inserito da Paola Ortensi
Prima Pagina Donne 45 (17-23 novembre 2014)
Prima di passare ad altro un augurio a Samantha e a quelle sue scarpe da ginnastica rosa ricevute come dono inaspettato e gentile dai colleghi per entrare nella sala simulatore, in preparazione del viaggio nello spazio, e che fatto il giro dell’informazione l’hanno costretta molto gentilmente anche suo malgrado a misurarsi con l’essere riconosciuta e ammirata anche come donna. Una realtà che sembra non avesse considerato. Donne dunque che come individui singoli emergono e fanno parlare di sé in rapporto al ruolo forte che ricoprono ma che non devono o forse non dovrebbero in nessun modo togliere righe e parole alle molte donne che in seguito alla sentenza sulla ”Eternit” di Casale Monferrato che ha dichiarato come le colpe siano cadute in prescrizione in quanto le morti (tremila morti di mesotelioma pleurico) sono avvenute a fabbrica chiusa, hanno urlato la loro indignazione per una scelta che ha assolto l’ultimo erede proprietario della fabbrica aperta nel 1906 in più sedi in Italia.
Se la tragedia ovviamente riguarda uomini, donne, intere famiglie di due figure femminili fortemente significative voglio parlare. Si tratta di: Romana Blasotti Pavesi, simbolo della lotta contro l’Eternit. Ha 85 anni e avendo perso con la terribile malattia il marito, una figlia, una sorella, una nipote e una cugina, dopo avere urlato la sua delusione, rabbia e stanchezza ha dichiarato che comunque bisogna andare avanti anche per garantire giustizia a chi continua a morire. L’ultima vittima è stata solo un mese fa: una giovane di solo 28 anni, Jessica Canevaro, nata quando l’Eternit stava chiudendo. La sua morte dimostrerebbe come il disastro ambientale è incredibile pensare si potesse considerare andato in prescrizione, come da sentenza, alla chiusura della fabbrica. Il dramma di queste famiglie di lavoratori merita risposte adeguate, in primis dallo Stato in termini di giustizia e c’è da pensare anche in termini di un lavoro sano e disponibile.
Lavoro divenuto l’argomento principale sia del governo che, seppur in termini antagonistici, del sindacato che come sappiamo conferma come CGIL e UIL lo sciopero generale per il 12 dicembre. Si astiene la CISL. Susanna Cammusso continua il suo forte attacco a Renzi e ai contenuti del suo governo. Mentre in Italia grandi questioni politiche e sociali s’impongono e “divorano” l’informazione; la spicciola vita quotidiana continua a segnare storie preoccupanti di cui donne sono protagoniste talvolta anche negative. Una madre spara 7 colpi per eliminare il compagno della figlia, attualmente gravissimo, che a lei non piace per età e condizione familiare, un’infermiera è accusata di aver eliminato molti pazienti e di farsi degli autoscatti mentre rideva, intanto continua il mistero della donna sparita a Sora e Nency, la figlia di una donna uccisa dal marito, uccisosi poi a sua volta poco più di un anno fa, anche a nome dei suoi fratellini denuncia la solitudine e l’abbandono in cui ci si può ritrovare dopo avvenimenti terribili come è capitato a lei, oggi orfana di tanta tragedia e che comunque non rinuncia a sognare di fare il magistrato proprio per dare il suo contributo a “costruire” giustizia.
Per non rinunciare come d’abitudine ad uno sguardo oltre confine, agli orrori aggiungiamo la morte per mano del fidanzato di Miss Honduras, alla speranza affidiamo un risultato positivo dell’appello del marito di ASIA BIBI perchè sia salvata dalla pena di morte a cui è condannata in Pakistan. Asia Bibi, cristiana, è stata condannata per blasfemia per aver preso un bicchier d’acqua al pozzo del villaggio e aver litigato e bestemmiato, fatto che nega assolutamente. Per finire scelgo, fra le tante che non riesco a citare, una piccola grande notizia che ci invita ad andare avanti sempre e comunque con positività e direi anche fantasia. A Roma un concorso (il rammendo delle periferie) pensato da Renzo Piano e dedicato alle periferie appunto, da svolgersi con un tema, all’esame di stato 2014 ha visto assegnato il premio a una giovane Moldava/Italiana: Vladlena che vive alla Borghesiana da quando aveva 13 anni. Lei in un albero di ciliegio che ha visto crescere vicino ai cassonetti e che ammira in fiore a primavera ha affidato le sue speranze per il futuro del quartiere, definendolo il suo Colosseo. L’evento è stato anche l’occasione di estendere il dibattito al malessere delle periferie di cui gli episodi ultimi di Tor Sapienza sono stati esemplari. Guardiamo, infine, al prossimo martedì 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza alle donne, come un’occasione di confronto costruttivo e di nuove idee utili per combattere la violenza contro le donne e contro tutti .
| 23 Novembre 2014
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CATANIA 30 novembre 2014: SIT-IN BOMB JAMMER PER NINO DI MATTEO E LA SCORTA. ORE 9.00-13.00
NEL 70° ANNO DELLA RESISTENZA DURANTE LA FESTA DEL TESSERAMENTO ANPI CATANIA.
L’ANPI OSPITERA’ IL SIT-IN IN SOLIDARIETA’ AL P.M. NINO DI MATTEO E LA SUA SCORTA.
PAX CHRISTI SARA’ PRESENTE CON UN SUO BANCHETTO.
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La storia proibita di Mario Mori dal Sid alle aule dei tribunali da: l’ora quotidiano
INCHIESTA. La carriera del generale, nei documenti che la Corte d’appello di Palermo ha scartato riaprendo l’istruttoria dibattimentale nel processo per la mancata cattura di Provenzano. Il promettente debutto del giovane capitano nel Sid nel ’72 e l’allontanamento improvviso nel ’75. L’ex 007 Maletti dal Sudafrica: “Era vicino all’estrema destra”

Questa è una storia che non doveva essere raccontata, che doveva rimanere segreta, dimenticata nei rivoli di un passato vecchio di quarant’anni, custodita negli archivi polverosi dei servizi segreti. Una storia che conosciamo soltanto perché i pm Antonino Di Matteo e Roberto Tartaglia hanno preteso di entrare negli archivi dell’Aisi, l’agenzia informazioni per la sicurezza interna, acquisendo il fascicolo personale di Mario Mori, l’ex generale del Ros, imputato nel processo sulla Trattativa Stato – mafia. Quei documenti, che ricostruiscono il segmento iniziale della carriera del generale, rimarranno però fuori dal processo d’appello in corso a Palermo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano: in primo grado l’ex generale è stato assolto. “Mori ha sempre mantenuto il modus operandi tipico di un appartenente a strutture segrete, perseguendo finalità occulte” ha detto il pg Roberto Scarpinato chiedendo la riapertura della fase dibattimentale del procedimento. Una richiesta accolta in parte, dato che il presidente della corte Salvatore Di Vitale ha deciso di tenere fuori dal processo i documenti che ricostruiscono la carriera di Mori al Sid, il servizio informazioni della difesa, l’antenato del Sismi. Ecco cosa raccontano le carte sequestrate negli archivi dell’Aisi e in possesso dei pm di Palermo.
La P2, Gelli e i rapporti con Pecorelli nei verbali dell’ex 007 Venturi
Prima dell’arresto di Totò Riina, prima della mancata perquisizione del covo del capo dei capi, prima della carriera nell’antiterrorismo al seguito di Carlo Alberto Dalla Chiesa, Mori era infatti un giovane e brillante capitano dei carabinieri, che nel 1972 viene chiamato a lavorare nei servizi da Federico Marzollo, il capocentro del Sid a Roma. All’epoca il direttore del Sid è il generale Vito Miceli, iscritto alla P2, poi coinvolto nell’inchiesta sul Golpe Borghese. “Mori venne mandato a lavorare nel mio ufficio ma rispondeva soltanto a Marzollo stesso: era il suo pupillo” ha raccontato ai pm Mauro Venturi, capo della segreteria raggruppamento centri di controspionaggio a Roma negli anni ’70. L’ex 007, deceduto poche settimane fa, agli inquirenti ha raccontato anche altro. Come i rapporti che Mori avrebbe intrattenuto con Mino Pecorelli, il direttore di Op, il periodico Osservatore Politico, considerato vicino ai servizi, poi assassinato nel 1979. “Mori – sostiene Venturi – aveva un vizio per gli anonimi: si recava presso l’agenzia di Mino Pecorelli per scriverli”. Le peculiarità del futuro generale però non si fermano qui: ”Mori – prosegue Venturi – eseguiva intercettazioni abusive sui suoi superiori”. E secondo l’ex collega 007 ci sarebbe anche un fil rouge che collegherebbe l’allora giovane 007 a Licio Gelli. “Mori – dice – cercava di convincermi ad iscrivermi alla P2, dicendo che non era una loggia come le altre del passato. Mi disse che in quel momento storico Licio Gelli era intenzionato come non mai ad affiliare personale del Sid. Mi propose di andare a trovare Gelli, dicendomi che io da toscano gli sarei stato simpatico. Visto che io ero titubante, mi disse che gli appartenenti al Sid per garanzia sarebbero stati iscritti in liste riservate”.
Il dottor Amici, Ghiron e i rapporti coi neri
L’ex 007 Venturi è stato interrogato dai pm palermitani dopo l’acquisizione del fascicolo personale di Mori negli archivi dei servizi. Un fascicolo che gli inquirenti hanno potuto ricostruire nel dettaglio, dopo avere scoperto che il generale, negli anni ’70, utilizzava una falsa identità con tanto di patente di guida, intestata al dottor Giancarlo Amici: negli archivi degli apparati, alcuni documenti erano protocollati solo con quel criptonimo, senza alcun riferimento alle vere generalità di Mori. Una falsa identità era nelle disponibilità anche di Gianfranco Ghiron, fonte fiduciaria di Mori, nome in codice “Crocetta”, vicino agli ambienti della destra eversiva, fratello di Giorgio Ghiron, che anni dopo diventerà l’avvocato di Vito Ciancimino. Ed è proprio da un verbale reso da Gianfranco Ghiron a Brescia nel 1975 che gli inquirenti trovano traccia di una triangolazione tra Mori, Gelli e lo stesso Miceli. Durante quell’interrogatorio, Ghiron mostra agli inquirenti bresciani una lettera, datata 5 novembre 1974, firmata da un tale Piero, criptonimo di Amedeo Vecchiotti, estremista nero che in quegli anni era una fonte dei servizi. “La settimana prossima – si legge nell’appunto recuperato dai pm – Licio Gerli (probabile refuso per Gelli n.d.a.) scapperà all’estero tra la Francia e l’Argentina: la prego di avvisare il dott. Amici (ovvero il criptonimo Mori n.d.a.). Ciò perché se la partenza di Gerli danneggia Mister Vito (inteso Miceli n.d.a) lo fermino, oppure se è meglio che se ne vada lo lascino andare”.
Il gruppo dei sei, l’ostracismo forzato e il processo Borghese
Tra i documenti top secret recuperati dagli inquirenti c’è anche una relazione, redatta dalla fonte dei servizi Gian Sorrentino negli anni ’70, che rivela l’esistenza di un gruppo organico e attivo all’interno del Sid, nato per ostacolare le indagini del reparto D, ovvero il controspionaggio, sulla destra eversiva. Di quel gruppo avrebbero fatto parte sei persone, tra cui Marzollo, Ghiron e lo stesso Mori. Messo a conoscenza di quella relazione dai pm di Palermo volati in Sudafrica per interrogarlo, Gianadelio Maletti, l’ex capo del reparto D del Sid negli anni ’70, ha dichiarato di non averla mai vista e di non essere mai stato a conoscenza dell’esistenza di quel gruppo segreto. “Le inclinazioni politiche di Mori, però, mi erano chiare” ha detto Maletti, riferendosi alla vicinanza del generale con l’estrema destra. Nell’archivio dell‘Aisi, infatti, gli inquirenti hanno trovato un appunto redatto dallo stesso Maletti nel 1975. Contiene la richiesta indirizzata al direttore del Sid Mario Casardi (che aveva preso il posto di Miceli) per allontanare dai servizi Mori e tenerlo lontano dalla capitale. Una richiesta inedita, perché accompagnata appunto da quel divieto a prestare servizio nella capitale: perché a Mori viene interdetto persino di prestare servizio a Roma? Casardi accetta la richiesta di Maletti, e anche l’Arma dei carabinieri segue l’ordine del Sid: nel 1975 Mori viene quindi spostato al nucleo radiomobile di Napoli. Poi nel 1978, tre anni dopo l’ostracismo, l’Arma prova di nuovo a spostarlo a Roma. Prima, però, in maniera abbastanza irrituale, chiede il parere del Sid. Che risponde con un appunto in cui spiega che Mori non potrà rientrare in servizio nella capitale prima della fine del processo sul Golpe Borghese. Per quale motivo? Rimane un mistero. All’epoca il processo sul golpe organizzato e mai attuato dal principe Junio Valerio Borghese inglobava anche l’inchiesta sulla Rosa dei Venti, aperta dal pm di Padova Giovanni Tamburino e poi “scippata” dalla Cassazione e affidata al pubblico ministero romano Claudio Vitalone. Uno degli ultimi atti compiuti da Tamburino prima dello ”scippo” è proprio la richiesta al Sid di una fototessera di Mario Mori. Che arriverà a Padova quando l’inchiesta sarà ormai approdata a Roma. Alla fine del processo sul golpe Borghese tutti gli imputati usciranno assolti nel luglio del 1978. Pochi mesi prima Mori è già tornato a lavorare a Roma, dove va a comandare la sezione antiterrorismo del reparto operativo. Il primo giorno di servizio è il 16 marzo del 1978, quando in via Fani le Br rapiscono Aldo Moro, massacrando la scorta.
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Roma, destra e leghisti ancora insieme nella protesta razzista all’Infernetto Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org
Ieri Borghezio – che alle ultime Europee ha fatto campagna nelle periferie romane – era stato contestato al corteo dell’Eur contro la prostituzione e pregato di mettersi in coda. Tra i manifestanti anche esponenti del centrodestra, come il deputato di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli, l’ex vicesindaco del Pdl Sveva Belviso – ora leader di Altra Destra – e Luciano Ciocchetti di Forza Italia. Un avvicinamento tra il centrodestra e il Carroccio dimostrato pure dall’attivismo di Marco Pomarici, ex presidente Pdl dell’Assemblea capitolina e ora consigliere comunale a Roma della ‘Lega dei Popoli con Salvini’. Ha annunciato la costituzione del gruppo anche ad Anzio e Albano, in provincia di Roma.
“Qui oggi in piazza ci sono gli italiani stanchi che non si arrendono – sottolinea Simone Di Stefano, già candidato alle scorse
regionali con Casapound -. Non accettiamo di essere continuamente additati come razzisti, siamo solo incazzati”. “Alcuni italiani non si arrendono”, si legge sul grosso striscione tricolore, mentre i manifestanti hanno urlato slogan come “Difendiamo la nazione, non vogliamo immigrazione” e “Il centro accoglienza non lo vogliamo”.
Forza Nuova ieri ha fatto parlare di sé per il manichino impiccato trovato sul cavalcavia adiacente la stazione di Lido Nord, a Ostia. “Il blitz di Forza Nuova a Ostia è un gesto ignobile che va condannato con fermezza da tutti. Si tratta di pura istigazione all’odio e al razzismo, che non affronta in alcun modo i temi dell’immigrazione e dell’integrazione. Sono certo che nessun cittadino dell’Infernetto si senta rappresentato da chi strumentalizza situazioni di disagio per veicolare contenuti razzisti inaccettabili.”, ha dichiarato il vicesindaco di Roma Capitale Luigi Nieri.
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Parla Juan Fernandez: «Dal nostro movimento, una pedagogia della pace» | Fonte: Il Manifesto | Autore: Geraldina Colotti

Cos’è il Congreso de los pueblos?
È un movimento sociale e politico nato quattro anni fa in Colombia che trae origine dalle lotte della Minga social y comunitaria e che è cresciuto man mano attraverso le mobilitazioni nel 2004, nel 2006, fino a che, nel 2010, diverse organizzazioni si sono unite per dar vita al Congreso. Un’organizzazione composta soprattutto da indigeni e contadini, ma anche da sindacalisti, da comunità afrodiscendenti e da movimenti urbani. È completamente orizzontale, un processo più lento ma più sicuro. Ha quattro portavoce a livello nazionale e uno per ogni tema: di genere, contadino, indigeno… Vengono eletti in un’assemblea annuale e confermati ogni sei mesi. La commissione internazionale dipende da quella politica, il massimo organo del Congreso, poi ci sono la commissione sui diritti umani e quella sul tema della pace.
Quali sono le posizioni del Congresso rispetto alle due cinquantennali guerriglie colombiane, Eln e Farc?
Siamo un movimento sociale e funzioniamo su mandato proveniente da un congresso nazionale. Vi sono stati due congressi, uno su terra e territorio dal quale abbiamo tratto le direttive e le modalità di funzionamento nei territori e un secondo che si è svolto a Bogotà a cui hanno partecipato 25.000 persone che ha deliberato sul tema della pace, prioritario oggi in Colombia. Uno spazio che sta crescendo e che incontra la mobilitazione di altre organizzazioni popolari. Molte confluiscono nel Frente Amplio che si è costituito durante le elezioni. Noi non abbiamo ancora deciso se farne parte perché il Frente è nato nella congiuntura politica elettorale per appoggiare la rielezione del presidente neoliberista Manuel Santos e abbiamo paura che questo possa limitare o soffocare le mobilitazioni popolari. In ogni caso siamo consapevoli che non dobbiamo trascurare la partecipazione a uno spazio politico più grande e ne stiamo discutendo.
Ai tavoli di pace le organizzazioni di guerriglia hanno insistito perché vi fosse una partecipazione dei movimenti sociali. A che punto stanno le cose?
La questione è stata ripetutamente posta, ma il governo non ha voluto cedere, finora hanno potuto partecipare solo associazioni delle vittime.
In Colombia c’è anche il movimento Marcia patriottica, quali sono i vostri rapporti?
In Colombia, nel 2013 e nel 2014 vi sono stati due grandi scioperi, soprattutto contadini e popolari, il primo nell’agosto-settembre dell’anno passato. E che è stato duramente represso: 14 morti e oltre 200 detenuti. Da allora tutte le organizzazioni hanno cominciato a porsi il problema dell’unità, a lavorare insieme e a dicembre hanno organizzato un grande incontro. Da lì è arrivato un accordo firmato a marzo a Bogotà che si chiama la Cumbre in cui 12 organizzazioni si sono unite, tra queste noi, Marcia patriottica, movimenti cristiani, l’Unione nazionale indigeni (Unic), tutti i settori che avevano organizzato gli scioperi, e che hanno da lì negoziato uniti con il governo: a maggio giugno di quest’anno e poi dopo le elezioni, in un incontro il 13 ottobre. Con Marcia patriottica abbiamo ottimi rapporti e lo stesso obiettivo – il socialismo – ma anche percorsi diversi.
Marcia Patriottica si presenta alle amministrative, e voi?
Il Congresso per ora non ha candidati. Bisogna però dire che c’è già un senatore che fa riferimento a noi, Alberto Castilla. Il Congresso non avalla ufficialmente nessun candidato né spazi politici tradizionali perché le sue origini sono al di fuori delle istituzioni e da noi anche solo parlare di movimento politico richiama un percorso elettorale e viene rifiutato, sarebbe come negare quel che pensa la base. Però tutti sanno da dove viene Castilla, un dirigente contadino, uno dei fondatori del Congresso del popolo molto conosciuto e apprezzato.
Che pensa della cattura del generale Dario Alzate da parte delle Forze armate rivoluzionarie colombiane? Persino Santos ha fatto notare che un generale della sua levatura non poteva addentrarsi senza armi e in abiti civili nelle zone controllate dalla guerriglia
C’è un settore di estrema destra convinto che la guerra possa finire solo con la distruzione dell’altro e che bisogna fare come gli Usa in Vietnam: terra bruciata. Un settore legato a Uribe, che non a caso ha annunciato il sequestro molto prima del governo. Crediamo che questi settori di cui fanno parte anche grossi pezzi dell’esercito vogliano interrompere il dialogo. Un generale sa come ci si comporta in zona di guerra. E uno come lui, con i suoi trascorsi, era senz’altro un prigioniero di guerra molto ambito. I compagni delle Farc hanno però dato una grande dimostrazione di pace proponendo di liberarlo per non interrompere il dialogo. Il Congreso e gran parte della società chiede un cessate il fuoco bilaterale.
Tutte le volte che la guerriglia ha ottenuto un accordo e ha partecipato alla vita politica è poi finita in tragedia, con un massacro come nel caso della Union Patriotica. Quali garanzie possono nascere invece oggi dai tavoli di pace?
Non crediamo vi siano garanzie per i movimenti sociali all’interno della politica tradizionale, al massimo si può trovare un accordo sul conflitto armato e si deve trovare. Noi pensiamo che una volta trovato l’accordo arriva il periodo del post-accordo: un periodo di forte mobilitazione sociale per arrivare a cambiamenti strutturali che nessuno farà per decreto: ci vorranno altri 10–15 anni di mobilitazioni popolari prima di vedere davvero una svolta. Marcia Patriottica spinge per arrivare a un’Assemblea costituente, ma qui noi non siamo d’accordo: non crediamo che esistano le condizioni in un paese in cui abbiamo solo 5 deputati di sinistra. Ci vuole un processo di educazione. La Colombia è un paese in guerra da cinquant’anni. Per un contadino, un indigeno, è normale far parte della guerriglia, praticare il sacrosanto diritto alla rivolta contro la violenza dello stato. Uno stato che controlla tutto: i mezzi di produzione, la struttura militare. Parlare ora di Costituente mi sembra prematuro e rischioso. Per questo il Congresso ha deciso di iniziare il percorso per una pedagogia della pace. Ma per metterla in pratica ci vorrà molto tempo. Sempreché non ci ammazzino e ci facciano scomparire.
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Toscana a tutto incenerimento Fonte: Il Manifesto | Autore: Riccardo Chiari
Visto con gli occhi del Pd toscan-renziano, il nuovo piano dei rifiuti urbani appena approvato dal consiglio regionale è un gran passo avanti nella gestione “virtuosa” del settore. L’assessora all’ambiente Anna Rita Bramerini ricorda in ogni occasione che solo il 10% finirà in discarica, e che l’obiettivo è addirittura il 70% di raccolta differenziata nel 2020, con solo il 20% da destinare alla “termovalorizzazione”. A prima vista desta quindi sorpresa la critica della sempre più esigua minoranza dem, che anche dopo l’approvazione del piano insiste a chiedere un cambio di rotta nelle politiche sui rifiuti. Ma forse succede perché perfino quelli dell’area cuperliana, dopo almeno 15 anni di ostinati silenzi sull’argomento, ormai costretti a giocare in difesa osservano che sei, forse sette inceneritori sono davvero tantissimi. A maggior ragione in una regione come la Toscana, i cui abitanti complessivi (3 milioni e 700mila) sono pari a quelli dell’area vasta milanese, o di Roma con i comuni contermini.
Per giunta, ai cinque impianti di incenerimento da tempo in funzione — Ospedaletto a Pisa, Picchianti a Livorno, Poggibonsi nel senese, San Zeno ad Arezzo e Montale a Pistoia – il piano dei rifiuti dà l’ennesimo via libera al grande “termovalorizzatore” di Case Passerini, alla porta di ingresso nord-ovest di Firenze. Un fattore decisivo, agli occhi di una Sel che pure è nella maggioranza che sostiene la giunta di Enrico Rossi, per dare un giudizio negativo sul piano. “Dispiace dover dare un voto contrario – ha fatto sapere sul sito di Sel Toscana il consigliere Mauro Romanelli — ma purtroppo due fatti troppo grossi lo hanno reso inevitabile. Non si può tacere su vicende come Case Passerini, e sulla non previsione di ridurre la produzione”.
Su quest’ultimo aspetto – decisivo anch’esso — della questione, Monica Sgherri di Rifondazione sgombra il cielo dalla nuvola del verosimile: “Sulla produzione dei rifiuti, in Toscana si parte da dati di gran lunga superiori a quelli che già oggi registrano regioni come la Lombardia, il Veneto, il Piemonte e altre ancora. Ma quel che balza all’occhio è che le previsioni al 2020 contenute nel piano sono di circa 100, 150 chili annui per abitante superiori ai dati del 2012, forniti dall’Ispra, di queste regioni. In altre parole il piano si pone formalmente obiettivi anche ambizioni, quelli del 70% di differenziata e del solo 10% da destinare alla discarica. Poi però li svuota, in primis a causa del sovradimensionamento della produzione dei rifiuti indicata. Tutto quanto è naturalmente funzionale alla realizzazione, e all’attività, degli impianti di incenerimento”.
L’approvazione dell’aula a una risoluzione della stessa Sgherri che “invita” tutti i comuni toscani a dotarsi della tariffazione puntuale di pagamento del servizio rifiuti, “invitando” al tempo stesso gli Ato ad agevolarla con la raccolta domiciliare, non mitiga il giudizio del Prc: “Il piano conferma che è stato interrotto il confronto partecipato sul tema dei rifiuti, promesso e poi negato dal presidente Rossi”. Per giunta incombono le forti spinte toscane ad “assimilare” nella gestione di quelli urbani anche quelli speciali. E in parallelo lo “Sblocca Italia”, che nei fatti dà il via libera allo smaltimento negli inceneritori dei rifiuti provenienti da altre province, e addirittura da altre regioni. Una libera circolazione della monnezza che ad esempio, agli otto inceneritori emiliani, aggiunge i sei, sette toscani. Con una potenziale concorrenza devastante per le buone pratiche del riciclaggio e del riuso, oltre che dell’ambiente.
Filed under: Ambiente | Tagged: Enrico Rossi, inceneritori, Monica Sgherri, Toscana | Leave a comment »