AUGURI A TUTTI: Santina Sconza e il comitato provinciale Anpi augura buon anno regalando a tutti il più bel discorso Discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955

5 gennaio 2014 -parole e musica per ricordare Pippo Fava presso GAPA

AUGURI RESISTENTI_ BUON ANNO_2014 sarà l’anno della sinistra

Unione dei comuni, la critica dei Cobas ad alcune esperienze in Toscana Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

L’Unione dei comuni è sostanzialmente un ente territoriale normato da leggi e “spinto” dalla legge di Stabilità. Una grande macchina amministrativa che da una parte cancella tradizioni secolari e, dall’altra, sforna privatizzazioni e tagli del personale. Su questo i Cobas di Pisa hanno elaborato un loro punto di vista che “legge” il processo in alcuni comuni della Toscana dal punto di vista dei lavoratori.

A che punto è la situazione?
Se lo chiedono tanti lavoratori e lavoratrici dipendenti dai comuni più piccoli destinati a Unioni tra più comuni, spesso frutto anche di processi di fusione con tanto di referendum che ha visto i sindacati confederali silenti, attivi fautori delle fusioni tramite ampie alleanze bipartisan (dal Pd al Pdl) A questa santa alleanza si sono sottratti solo comunisti e Cobas che in Toscana hanno avviato prima una campagna contro la fusione dei comuni, poi stanno aprendo vertenze locali a sostegno dei lavoratori. Vorremmo soffermarci su 2 aspetti salienti: – le fusioni vengono presentate come riduzione dei costi della politica e per questo motivo tra i fautori troviamo anche il 5 stelle. Le fusioni in realtà cancellano servizi destinandoli alle privatizzazioni come accaduto nel comune di Lari (Pi). Una proposta per ridurre i costi della politica noi l’abbiamo: abroghiamo l’art 90 del testo unico enti locali che permette di assumere personale con rapporto fiduciario per l’intero mandato. Fatti due conti ci sono migliaia di lavoratori \trici alle dipendenze della politica, assunti per i programmi dei sindaci non per accrescere servizi. Se solo la metà di loro non fosse assunta destinando l’altro 50% ai servizi comunali avremmo due risultati apprezzabili: maggoori servizi e meno spesa per la politica. magari si potrebbero stabilizzare parte dei precari ai quali gli Enti locali non rinnovano i contratti.

 

Le fusioni sono favorite da 5 anni di non applicazione dei patti di stabilità
Qui il ragionamento deve essere diverso: i patti di stabilità strangolano i Comuni e andrebbero rivisti anche da un’ottica moderata escludendo dai tetti le spese per l’istruzione, la gestione del territorio, la sanità. Perchè nessuno prende l’iniziativa? Le fusioni determinano non solo la cancellazione di servizi tramite accorpamenti (e di posti di lavoro in prospettiva perchè le piante organiche saranno al ribasso) ma stravolgono quel rapporto democratico tra cittadini e amministratori decidendo di gestire gli enti locali come una sorta di spa

 

Potete fare esempi concreti?
Intanto guardiamoci gli atti e senza prestare grande aspettative nella Giustizia inviamo ove ci siano gli stremi esposti come abbiamo fatto a Lari. Vediamo i lavoratori di Lari che da società in house stanno per passare a una società prvata con contratto che da autonomie locali passa al multiservizi. Questo accade dopo che in campagna elettorale il Pd ha parlato della fusione dei comuni come modello di sviluppo dei servizi, salvo poi, nel giro di due o 3 settimane, privatizzare parte del comune con tanto di cessione di ramo di azienda. I sindacati confederali hanno preso in giro i lavoratori perchè In Prefettura sospendendo o stato di agitazione hanno rinunciato anche allo sciopero (visto che a ridosso del Natale scatta il periodo in cui gli scioperi sono vietati dall’infame legge) disattendendo gli impegni assunti con i lavoratori

 

Altri esempi?
Parliamo poi dei comandati da tempo all’ Unione della Valdera operanti nei servizi di refezione, trasporto scolastico, e polizia locale. Gli accordi stipulati anni fa per il loro passaggio in comando all’ Unione riconoscevano il diritto a poter scegliere se rimanere nel proprio comune o essere trasferiti in via definitiva all’ Unione Valdera. Oggi, pare che non sia più così. Ma allora chi ha abrogato questi accordi contrattati fra la parte pubblica e quella sindacale? Non sarà stato lo stesso sindacato confederale che li ha firmati dimostrando di non capire più che a dover essere tutelati sono i lavoratori e le lavoratrici e non i Comuni con il loro sistema di potere? Visto cosa hanno fatto CGIL, CISL, Uil sul contratto decentrato dell’ Unione Valdera, ormai è evidente che “non sanno quello che fanno” e tutto può essere accaduto, soprattutto perchè il personale interessato al trasferimento è disinformato e abbandonato al suo destino! Tutti gli accordi che tutelavano i comandati sembrano rimessi in discussione. Pare, perché fra Comuni e Unione Valdera assistiamo ad un continuo rimpallarsi di responsabilità e chiacchiere tipiche del “renzismo” dilagante.

 

Nessuno ha il coraggio di uscire allo scoperto e di dire cosa intendono fare con chiarezza assumendosi responsabilità ed esponendosi alle azioni conseguenti.Le Amministrazioni Pubbliche si esprimono con gli atti, e non a discorsi, e allora è possibile che non ci sia alcun atto a pochi giorni alla fine dell’ anno? Anzi alcuni comuni, per adeguarsi alle modifiche del nuovo Statuto dell’ Unione Valdera in ordine alle funzioni attribuite, hanno nel frattempo riconfermato i comandi senza assumere decisioni sul trasferimento definitivo all’Unione. Della serie, nell’ incertezza meglio attendere! Oppure si deciderà con qualche atto allo scoccare della mezzanotte per mettere tutti di fronte al fatto compiuto? L’ Unione Valdera non è ovviamente la stessa cosa di una societò privata, la distinzione è necessaria ma in queste Unioni si pensa ormai prevalentemente alle funzioni di vertice a discapito del personale dei più bassi livelli esecutivi e amministrativi che all’occorrenza potrà essere esternalizzato e ceduto come ramo di azienda soprattutto con l’avento di Renzi alla guida del Pd . Del resto è già iniziata la migrazione verso le sponde Renziane e il loro elemento caratterizzante è proprio l’attacco ai lavoratori previo smantellamento della pubblica amministrazione. Il sindacalismo confederale è sempre più lontano dai bisogni di lavoratrici e lavoratori e sempre più vicino agli interessi della politica che indirettamente li sovvenziona, basti vedere il silenzio in queste ore decisive, un ruolo non conflittuale e perfino privo di elementi critici . Noi invece di fronte ai tentativi di “autoritarismo padronale” dei datori di lavoro pubblici e dei Sindaci ,rispondiamo in un modo solo: rivendicando i diritti e sostenendo le vertenze, a partire dai luoghi di lavoro a partire dai territori.

Israele, la mission impossible di Kerry mentre a Gaza è emergenza umanitaria | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

 

Israele, con la sua “escalation militare contro Gaza”, sta tentando di far fallire i tentativi di pace del segretario di Stato statunitense John Kerry. Le dichiarazioni dell’ambasciatore palestinese a Roma, Mai Alkaila, a commento dei bombardamenti israeliani nei giorni scorsi sulla Striscia, in cui e’ rimasta uccisa anche una bimba palestinese di tre anni sono solo un tassello della complessa situazione in MO a pochi giorni dall’inizio della nuova missione nella regione di Kerry.
Si tratterà del suo decimo viaggio in Israele e Cisgiordania dal marzo 2013. Israele ce la sta mettendo tutta per spostare il più avanti possibile militarmente la situazione a suo favore. E così mentre poche ore fa ha liberato 26 prigionieri palestinesi, come previsto dalla road map, dall’altra va avanti il processo di annessione della valle del Giordano, che tra l’altro ha spaccato il governo israeliano. Senza contare le continue vessazioni verso la popolazione palestinese di Gaza, senza energia elettrica a causa del blocco ai varchi.

“La pressione delle lobby su Kerry”
La rappresentante diplomatica palestinese ha definito la mediazione di Kerry “imparziale e coraggiosa” in quanto mira a stabilire due Stati, uno israeliano e l’altro palestinese. “Il segretario di Stato Usa – ha sottolineato Mai Alkaila- sta subendo pressioni immense sia da parte di Israele che della lobby ebraica statunitense, ma finora ha mantenuto una linea di neutralita’ tra le due parti che noi palestinesi apprezziamo molto”. Se le foto e i servizi giornalistici di Natale si sono concentrati per lo piu’ su una Gerusalemme imbiancata dalla neve, c’e’ un’altra realta’, tutt’altro che idilliaca, rimasta in ombra.Un disperato appello per la campagna di solidarietà
Alkaila lancia un disperato appello per raccogliere aiuti – attraverso movimenti, strutture di base, singoli cittadini italiani – da destinare alla popolazione della Striscia, in piena catastrofe non solo per l’embargo israeliano, l’escalation militare delle ultime ore ma, sopratutto, per un’ondata di maltempo che ha colpito la regione, con una forza mai vista negli ultimi 70 anni. “Ci rivolgiamo alla solidarieta’ degli italiani, per impedire che si consumi un’ennesima ragedia”, ha spiegato ai giornalisti l’ambasciatrice palestinese, illustrando l’iniziativa “Una coperta per Gaza”.

Emergenza umanitaria
A Gaza, le piogge e le nevicate dei giorni scorsi hanno fatto saltare il precario sistema fognario, allagando cittadine e villaggi, travolgendo case, scuole, infrastrutture mai del tutto riparate dopo l’operazione “Piombo Fuso” del 2008-2009: acque pulite si sono mischiate alle acque nere, con il risultato che non vi e’ piu’ un rubinetto di acqua potabile nella Striscia, dove vivono un milione e 800 mila palestinesi. In tutto cio’, ha denunciato l’ambasciatrice palestinese, Israele non solo ha continuato a mantenere un embargo totale che impedisce persino il transito di medicinali, ma ha persino aperto le sue due dighe, attraverso cui passano gli scarichi dello Stato israeliano verso il Mediterraneo, contribuendo a mandare in tilt tutto il sistema di smaltimento e inondando di melma putrida Gaza. La situazione e’ al di fuori di ogni controllo, ha rimarcato l’ambasciatrice, la quale ha invocato “una mobilitazione internazionale” per la gente della Striscia, rimasta in gran parte senza un tetto, cibo, acqua potabile, riscaldamento. “Piu’ della meta’ della popolazione di Gaza, vive tra l’altro nei campi profughi, ovvero in tende o abitazioni di fortuna”, ha ricordato Alkalia.
In questo quadro, l’unica centrale elettrica della Striscia sta per cessare le proprie attivita’ per una grave penuria di combustibile dovuta alla chiusura del valico di Kerem Shalom con Israele. L’erogazione della corrente elettrica sara’ ulteriormente tagliata, a solo 6 ore al giorno, con la prospettiva di bloccarsi del tutto, entro, al massimo, una settimana, ha avvertito l’ambasciatrice.
“Una coperta per Gaza” mira a raccogliere fondi che verranno gestiti per fronteggiare le emergenze piu’ drammatiche e sostenere le famiglie di Gaza, specie i bambini. Le donazioni (20 euro a coperta) andranno indirizzate a “Una coperta per Gaza”/ Missione diplomatica palestinese/Iban: IT 36 E 02008 05211 000021004086.

La Svizzera: Torino-Lione inutile, non ci sono più merci | Fonte: libreidee.org

L’ultima barzelletta sulla Torino-Lione la raccontano gli svizzeri, solitamente noti per la loro austera serietà. E infatti non si scherza neanche stavolta: perché all’appello non mancano i binari, ma le merci. In valle di Susa, si apprende, transita appena un decimo del carico che già ora potrebbe essere tranquillamente trasportato. Attenzione: a essere semi-deserta è la linea ferroviaria attuale, la Torino-Modane, appena riammodernata. Inappellabile la sentenza dei numeri: il traffico alpino Italia-Francia è letteralmente crollato. Anziché nuove linee, servirebbero treni da far circolare sulla ferrovia che già esiste. E invece – questa è la “barzelletta” – il governo italiano pensa sempre di costruire ex novo il più costoso e inutile dei doppioni, la famigerata linea Tav a cui la valle di Susa si oppone da vent’anni con incrollabile determinazione, confortata dai più autorevoli esperti dell’università italiana. Tutti concordi: la super-linea Torino-Lione (il doppione) sarebbe devastante per l’ambiente, pericolosa per la salute e letale per il debito pubblico, dato che costerebbe almeno 26 miliardi di euro. Ma soprattutto: la grande opera più contestata d’Italia sarebbe completamente inutile.L’ennesima conferma ufficiale viene dall’ultimo rapporto dell’Uft, l’ufficio federale dei trasporti elvetico. Si tratta della raccolta totale dei dati delle merci – su strada e su ferrovia – che attraversano annualmente tutti i valichi alpini, da Ventimiglia fino a Wechsel, a sud di Vienna. Da giugno 2002, questo studio è seguito anche dall’Osservatorio del traffico merci nella Regione Alpina dell’Unione Europea. Su tutti i valichi italo-francesi (Ventimiglia, Monginevro, Moncenisio, Fréjus e Monte Bianco) sono passati complessivamente 22,4 milioni di tonnellate di merci, sia su strada che su ferrovia, rispetto al totale di 190 milioni dell’intero arco alpino. Quanto alla valle di Susa, lo stesso osservatorio tecnico istituito dal governo italiano ha stabilito in 32,1 milioni di tonnellate annue la capacità della attuale ferrovia a doppio binario, la linea “storica” che già collega Torino a Lione attraverso Modane. La valutazione risale al 2007, ma ora la linea è stata ulteriormente ammodernata: nel traforo del Fréjus possono transitare treni con a bordo Tir e grandi container. Il “problema”? Presto detto: nell’ultimo anno, in valle di Susa sono transitate appena14 milioni di tonnellate di merci. E di queste, solo 3,4 su ferrovia.

«I numeri parlano chiaro», commenta Luca Giunti, attivista No-Tav e referente tecnico per la Comunità Montana valsusina: «Il traffico globale tra Italia e Francia avrebbe potuto tranquillamente essere ospitato soltanto sull’attuale ferrovia, e senza neppure riuscire a saturarla completamente. Invece, sulla direttrice della val Susa è transitato appena un decimo delle merci trasportabili». E il confronto con i rapporti degli anni precedenti, tutti disponibili sul sito svizzero, conferma un trend in continua diminuzione sul versante occidentale delle Alpi, iniziato ben prima della crisi del 2008, mentre a crescere è il trasporto transalpino verso Svizzera e Austria. Motivo: «Italia e Francia hanno economie mature, interessate soltanto da scambi commerciali di sostituzione, mentre il percorso nord-sud collega il centro e l’est Europa con i mercati orientali in espansione». Per contro, la frontiera di Ventimiglia ha accolto, da sola e quasi interamente su strada, 17,4 milioni di tonnellate, 3 in più di quelle piemontesi. «Laggiù la ferrovia ha stretti vincoli e andrebbe ammodernata, con spese e disagi tutto sommato contenuti perché si lavorerebbe a livello del mare e senza dover traforare le montagne. Inspiegabilmente, invece, quel passaggio è trascurato da ogni politica».

Anziché potenziare il valico di Ventimiglia, il governo italiano insiste – contro ogni ragionevolezza – nel voler realizzare ad ogni costo il “doppione” valsusino: cioè il progetto «più difficile, più costoso e lapalissianamente più inutile». Decine di miliardi di euro, con benefici attesi soltanto per il lontanissimo 2070, «ma solo se le mostruose previsioni di incremento dei traffici saranno rispettate: ed evidentemente non lo sono!». Ne tiene conto sicuramente la Francia, che ha già escluso la Torino-Lione della sua agenda lavori: l’opera verrà ripresa in considerazione, eventualmente, solo dopo il 2030. In Italia è aperto solo il mini-cantiere di Chiomonte: da quella galleria però non transiterà mai nessun treno, perché quello in via di realizzazione è solo un piccolo tunnel geognostico. Terminato il quale, il buon senso consiglierebbe di fermarsi, tanto più che – a valle di Susa – la stessa progettazione operativa della futura linea, verso Torino, è praticamente ancora inesistente. «Quando si prenderà finalmente atto che il progetto della Torino-Lione è vecchio, inutile ed esoso?», conclude Giunti. «Quando, semplicemente, si rispetteranno i documenti ufficiali e gli atti governativi?». Parlano chiaro persino quelli italiani: le iniziali previsioni di incremento si sono rivelate pura fantascienza, messe a confronto con la realtà. Già oggi, conferma la Svizzera, in valle di Susa il traffico potrebbe crescere del 900%. E senza bisogno di nuove ferrovie.

L’Italia del lavoro è in ginocchio Fonte: rassegna

Stipendi bloccati, disoccupazione al galoppo, sempre più poveri e pensioni basse. E’ questa l’Italia del lavoro che emerge dal Rapporto sulla Coesione Sociale del 2013 stilato da Inps, Istat e Ministero del Lavoro.

Giovani disoccupati . Il tasso di disoccupazione nel 2012 ha raggiunto il 10,7%, con un incremento di 2,3 punti percentuali rispetto al 2011 (4 punti percentuali in più rispetto al 2008). Il tasso di disoccupazione giovanile supera il 35%, con un balzo in avanti rispetto al 2011 di oltre 6 punti percentuali (14 punti dal 2008), e i disoccupati sono 2 milioni 744 mila, 636 mila in più rispetto al 2011. Il tasso di disoccupazione della popolazione straniera si attesta nel 2012 al 14,1% (+2 punti percentuali rispetto al 2011). I valori più alti si registrano al Nord dove il tasso raggiunge il 14,4% (16,3% per la componente femminile).

Pensionati sotto 1000 euro . Quasi un pensionato su due (46,3%) ha un reddito da pensione inferiore a mille euro, il 38,6% ne percepisce uno fra mille e duemila euro, solo il 15,1% dei pensionati ha un reddito superiore a duemila euro. Dal 2010 al 2012 il numero di pensionati diminuisce mediamente dello 0,68%, mentre l’importo annuo medio aumenta del 5,4%. Al 31 dicembre 2012 i pensionati sono 16 milioni 594mila; di questi, il 75% percepisce solo pensioni di tipo Invalidità, Vecchiaia e Superstiti (Ivs), il restante 25% riceve pensioni di tipo indennitario e assistenziale, eventualmente cumulate con pensioni Ivs.

Italiani poveri . Nel 2012 si trovava in condizione di povertà relativa il 12,7% delle famiglie residenti in Italia (+1,6 punti percentuali sul 2011) e il 15,8% degli individui (+2,2 punti): sono i valori massimi dagli inizi della serie storica, del 1997. La povertà assoluta colpisce invece il 6,8% delle famiglie e l’8% degli individui. I poveri in senso assoluto sono raddoppiati dal 2005 e triplicati nelle regioni del Nord (dal 2,5% al 6,4%). Nel corso degli anni, la condizione d povertà è peggiorata per le famiglie numerose, con figli, soprattutto se minori, residenti nel Mezzogiorno e per le famiglie con membri aggregati, in cui convivono più generazioni. Fra queste ultime una famiglia su tre è relativamente povera e una su cinque lo è in senso assoluto. Un minore ogni cinque vive in una famiglia in condizione di povertà relativa e uno ogni dieci in una famiglia in condizione di povertà assoluta, quest’ultimo valore è più che raddoppiato dal 2005. Segni di miglioramento si registrano invece per la condizione di povertà relativa fra gli anziani.

Stipendi bloccati . Sempre lo scorso anno, la retribuzione mensile netta è risultata di 1.304 euro per i lavoratori italiani e di 968 euro per gli stranieri. Rispetto al 2011, il salario netto mensile è rimasto quasi stabile per gli italiani (4 euro in più) mentre risulta in calo di 18 euro per gli stranieri, il valore più basso dal 2008. In media, la retribuzione degli uomini italiani è più elevata (1.432 euro) di quella corrisposta alle connazionali (1.146 euro). Il divario retributivo di genere è più accentuato per la popolazione straniera, con gli uomini che percepiscono in media 1.120 euro e le donne soltanto 793. I lavoratori sovra istruiti (cioè in possesso di un titolo di studio più elevato rispetto a quello prevalentemente associato alla professione svolta) sono il 19% circa dei lavoratori italiani mentre la quota supera il 40% fra i lavoratori stranieri e raggiunge il 49% fra le occupate straniere.

Occupati . Nel 2012 gli occupati sono 22 milioni 899 mila, 69 mila in meno rispetto alla media del 2011. Il tasso di occupazione della popolazione 20-64 è pressochè stabile da qualche anno (61% nel 2012, 61,2% nel 2011), ma è sceso di due punti percentuali dal 2008. Il calo più vistoso è quello registrato dal tasso di occupazione per la classe di età 15-24, che dal 2008 ha perso 5,8 punti percentuali, passando dal 24,4 al 18,6%. Gli occupati a tempo determinato sono 2 milioni 375mila, il 13,8% dei lavoratori dipendenti. Si tratta in gran parte di giovani e donne. Gli occupati part-time sono invece 3 milioni 906 mila, il 17,1% dell’occupazione complessiva. In quest’ultimo caso prevale nettamente la componente femminile.

Niente posto fisso . Negli ultimi anni si è ridotta la capacità dell’università di attrarre giovani: il tasso di passaggio (ovvero il rapporto percentuale tra immatricolati all’università e diplomati di scuola secondaria superiore dell’anno scolastico precedente) è sceso al 58,2% nell’anno accademico 2011/2012 dal 73% del 2003/2004, anno di avvio della Riforma dei cicli accademici. Per i giovani, il posto fisso è ormai un miraggio: “Il numero medio di lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato nel 2013 è diminuito rispetto all’anno precedente (-1,3%). Il fenomeno ha riguardato soprattutto i lavoratori gli under30, diminuiti del 9,4%”.

Flores d’Arcais: “Alle elezioni europee una lista della società civile con Tsipras” | Fonte: micromega

“Oggi c’è una sola forza politica di sinistra in Europa e si chiama Syriza. Per questo pensiamo che in Italia alle prossime elezioni europee una lista dei movimenti e della società civile, totalmente autonoma (ed estranea alle forze organizzate del “Partito della sinistra europea”), con Tsipras candidato alla presidenza, potrebbe avere un buon risultato”. Pubblichiamo un’intervista del quotidiano greco “Avgì” (Aurora), molto vicino a Syriza, al direttore di MicroMega.

colloquio con Paolo Flores d’Arcais di Argiris Panagopoulos

In Italia sembra che esista una forte maggioranza a sostegno del governo Letta, al punto che il premier insiste che finirà il suo mandato…

Il governo Letta è debolissimo nel paese perché inviso alla schiacciante maggioranza dei cittadini. È debole anche nelle istituzioni, in parlamento, dal momento che il nuovo segretario del Partito Democratico Matteo Renzi, eletto attraverso le primarie e personaggio di destra “alla Blair” ma fuori dagli schemi tradizionali dei vecchi apparati del partito (è popolare per questo) non ha nessuna intenzione di appoggiare a lungo questo governo.
Il realtà la forza di questo governo è duplice. In primo luogo, non è il governo Letta ma il governo Napolitano, cioè del Presidente della repubblica, che si comporta come un vero e proprio sovrano attribuendosi poteri che la Costituzione non gli dà. In secondo luogo le forze dell’opposizione sono debolissime: l’unica forza di opposizione oggi presente in parlamento è il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo, una grande forza politica di massa (rappresenta grosso modo il 25% dei votanti) ma strutturata in modo debolissimo e soprattutto con un gruppo dirigente fatto di due persone, Beppe Grillo e un personaggio molto inquietante, che si chiama Casaleggio. Il M5S ondeggia perciò a seconda degli umori di questi due capi. Insomma, la vera forza di Letta è la debolezza dell’opposizione.

Il governo Letta, o del Presidente della Repubblica, non trova appoggi anche come “longa manus” di Bruxelles e Berlino?

“Longa manus” può essere fuorviante. Diciamo che c’è una strettissima convergenza di interessi fra l’establishment delle istituzioni europee e l’establishment italiano rappresentato da Napolitano e da Letta.
Ma se la gigantesca opposizione che c’è nel paese trovasse modo di avere anche una sua rappresentanza politica parlamentare la situazione cambierebbe radicalmente.

Manca una sinistra di opposizione? Non ha fatto nessun riferimento a SEL.

In Italia – a livello politico organizzato – la sinistra non esiste. Ma non esiste da molti anni. Esiste invece nella società civile. E la distanza e lo scarto tra una sinistra sempre meno esistente nella politica ufficiale e una sinistra sempre più forte nella società civile continua ad aumentare.
Non esiste la sinistra come forza politica perché il PD esiste ma non è più di sinistra. Non aveva più nulla di sinistra con D’Alema e Veltroni, che hanno realizzato una vera mutazione antropologica del partito, rendendolo parte dell’establishment. Con Renzi non potrà essere peggio, ma sarà solo una sostituzione dentro l’establishment.
SEL e gli altri piccoli partiti non contano più nulla. SEL forse (molto forse) supererà lo sbarramento elettorale. Il suo leader Vendola sempre di più si trova implicato in inchieste che ormai stanno distruggendo la sua reputazione. Rifondazione, i Verdi e gli altri gruppi politici non rappresentano nulla. Se non si capisce questo non si capisce la situazione italiana.

Però la sinistra sociale rimane forte e non da oggi…

Quasi trent’anni, quando ho fondato “MicroMega” (1986), la chiamavo “sinistra sommersa”. Ma questa sinistra sommersa negli ultimi quindici anni è diventata una sinistra di piazza. In Italia la società civile ha auto-organizzato davvero da sola, senza sindacati e partiti, manifestazioni gigantesche. In quattro persone (ma una era Nanni Moretti, con un peso mediatico molto forte) abbiamo portato a piazza san Giovanni a Roma nel 2002 un milione di persone. Abbiamo fatto da catalizzatori di una voglia di autoorganizzazione che era gigantesca e che è durata svariati mesi. Abbiamo avuto negli anni successive manifestazioni del “popolo viola” e tante altre.

Avete avuto anche le vittorie dei referendum sul nucleare e sull’acqua.

Certo. In Italia da oltre dieci anni c’è una capacità di autoorganizzazione della società civile attraverso personalità diverse e una miriade di associazioni che è gigantesca. Allo stesso tempo questa opposizione civile e sociale non ha rappresentanza politica. I suoi militanti si sentono cittadini orfani di rappresentanza. Tutto questo si può chiamarlo sinistra in senso tradizionale? Non esattamente.
Perché credo che sia qualcosa di più e di diverso dalla sinistra tradizionale. Rifiuta l’idea del partito, e credo con ragione. Perché ha potuto sperimentare che la struttura di partito inevitabilmente in tempi molto rapidi ripropone (magari in forma soft) le degenerazioni dei partiti di establishment. Sa che c’è bisogno di una forma nuova di rappresentanza. Trent’anni fa avevo scritto che dobbiamo passare dalla politica come mestiere alla politica come bricolage. Gli ultimi quindici anni confermano che questa è la vera sfida. Inventare delle forme organizzative anche di rappresentanza che pero facciano meno della politica come professione, che realizzino quasi unicamente la politica come bricolage.
Il Movimento di Beppe Grillo entrerà in crisi, in due o tre anni. Si devono perciò creare le premesse di una nuova forza politica che abbia le virtù del Movimento Cinque Stelle (la politica bricolage) ma non i suoi gravissimi vizi. Altrimenti l’Italia si troverà in una situazione rischiosissima, perché a questo punto ci sarà lo spazio per una proposta eversiva di destra. Ci sono state “zone rosse” che in questi anni hanno visto vittorie elettorali di Berlusconi. Se in Grecia non ci fosse Syriza potrebbe dilagare Alba Dorata.

Che tipo di sinistra o di opposizione dobbiamo costruire?

La parola sinistra rischia di esser equivoca oggi. Paradossalmente non usarla è meno equivoco che usarla. Perché a volte sinistra indica anche l’opposto dei due suoi ideali fondamentali, giustizia e libertà. Noi abbiamo bisogno di una forza politica Giustizia e Libertà (oltretutto era il nome del movimento della Resistenza non comunista, perche antistalianiano). “Sinistra” per qualcuno richiama a volte ai regimi più antioperai che siano esistiti, quelli stalinisti. “Sinistra” ricorda in periodi più recenti il PCI e le sue continue trasformazioni, che sono state una non-opposizione al berlusconismo, che hanno permesso al berlusconismo di fiorire. “Sinistra” ricorda ora i partitini che si definiscono neocomunisti e sono una parodia.

Come si crea lo strumento politico “Giustizia e Libertà”?

Le forze politiche non nascono a tavolino. Nascono se ci sono dei gruppi e delle elite capaci di cogliere le occasioni. Non servono professionisti e burocrati. Con i girotondi abbiamo perduto una occasione. Nanni Moretti pensava che l’area dell’attuale PD fosse ancora recuperabile e lo crede anche ora appoggiandolo. E noi, che non avevamo più questa illusione, non abbiamo avuto il coraggio di dare un seguito organizzato ai girotondi.
Di recente abbiamo perso un’altra occasione con la FIOM, che ha cercato di lanciare con tutti i movimenti della società civile una grande manifestazione. Ma non ha voluto dare alla iniziativa i contenuti coerenti alla situazione. Non ha voluto contrapporsi frontalmente al governo Letta, al PD e al presidente Napolitano. Non si può difendere in modo generico la Costituzione italiana, che in effetti è una delle più avanzate del mondo, ma bisogna indicare chi cerca di distruggerla oggi. Molti movimenti chiedevano che la FIOM facesse la manifestazione con obiettivi politici molto più espliciti dicendo che i nemici della Costituzione oggi non sono solo le destre ma anche Letta, il PD e il presidente Napolitano. Se ci fosse stato questo la manifestazione sarebbe stata gigantesca con effetto di mobilitazione straordinario. E oggi non avremmo moimenti sociali ambigui come il movimento dei Forconi.
Ora abbiamo un’altra occasione con le elezioni europee. Se a maggio ci fossero le elezioni politiche direi che l’unica cosa da fare è votare Beppe Grillo, perche non ci sarebbe spazio reale per una lista nuova di Giustizia e Libertà.
Ma per le elezioni europee si vota con sistema proporzionale puro. Le posizioni di Grillo sull’Europa sono molto ambigue e non è molto credibile.
Con la nuova legge elettorale si può presentare un candidato alla presidenza europea. Per tutti noi che abbiamo partecipato negli ultimi quindici anni a tutti i movimenti possibili di lotta della società civile c’è oggi una sola forza politica di sinistra in Europa e si chiama Syriza (negli altri paesi o non sono di sinistra o non sono “forze”). Per questo pensiamo che una lista rigorosamente della società civile con Tsipras potrebbe avere un buon risultato.
Pensiamo che si possa ipotizzare una lista della società civile, esclusivamente della società civile, che avendo Tsipras come candidato possa essere credibile anche solo nei pochi mesi che abbiamo in avanti e anche in una situazione politica italiana in qui ovviamente le condizioni per una lista nuova sono molto difficili, perché dal punto di vista mediatico tutto ciò che non è contro l’establishment è focalizzata sul nuovo segretario del PD e tutto ciò che è opposizione dal punto di vista mediatico è focalizzata su Beppe Grillo e il suo movimento.
E tuttavia, con le europee si può tentare. Perché questo tentativo abbia un minimo ragionevole di possibilità e non sia destinato già ad una funzione minoritaria ci sono però svariate condizioni. La prima, che Tsipras sia interessato ad essere il candidato di una forza politica della società civile, totalmente autonoma e estranea alle forze organizzate dei partiti della sinistra europea e specialmente dei suoi partitini in Italia.

Syriza, il Partito della Sinistra Europea e i partiti che vi aderiscono hanno un progetto comune per ricostruire l’Europa…

Syriza è una forza. Negli altri paesi i partiti della sinistra non sono una forza. In Italia solo una lista che raccolga esperienze e movimenti della società civile può evitare l’ennesimo fallimento minoritario. Con molti punti del programma del “Partito della sinistra europea” la consonanza può essere molto grande, ma una questione ancora più cruciale è: con quali strumenti? E dal punto di vista degli strumenti (partito, liste, storie ideologiche, rifiuto dei politici di professione) la differenza è enorme.
In Italia, per essere molto espliciti, una qualsiasi lista che poniamo potenzialmente avesse il 10% dei voti se si allea anche con Rifondazione o i Verdi o i Comunisti Italiani prenderebbe il 5%. Una lista autonoma che avesse potenzialmente il 5% dei voti se si allea con Rifondazione e gli altri prenderebbe il 2%. Oggi allearsi con qualsiasi di questi partitini invece di produrre una somma produce una sottrazione. Perche godono di una credibilità negativa.
La seconda condizione è verificare quante delle personalità che in questi anni sono stati punti di riferimento di queste lotte sono convinte della necessità di una lista autonoma e quanti ancora si illudono che si possa trasformare il PD dall’ interno, che si possa trasformare SEL o far rinascere una specie di lista Ingroia. Bisognerà perciò verificare se almeno un centinaio di persone eminenti nei vari campi, scrittori, filosofi, sociologi, scienziati, personalità del cinema, della musica ecc., condividano la nostra ipotesi.
Se saranno in tanti a pensare che la lista abbia senso e “necessità” dovremmo fare un terzo passo: vedere se tutti i movimenti oggi attivi si riconoscono in un progetto di questo genere. Perché alle volte purtroppo questi movimenti sono molto importanti e molto interessanti ma in taluni loro settori ritengono che la rappresentanza parlamentare non sia una cosa fondamentale. Se ci sarà una convinzione molto diffusa tra questi movimenti della necessità di questa lista si farà il quarto passo: una grande assemblea di tutti.
Per avere una successo e non rappresentare una forza minoritaria e sfondare sarà comunque decisivo il quinto passo, la nascita spontanea di nuovi club e associazioni. Ricordo che quando Occhetto sciolse il PCI, la proposta di una “sinistra dei club” vide la nascita di centinaia di gruppi locali in poche settimane. E con i girotondi stava succedendo lo stesso fenomeno.
Naturalmente, anche così non ci sarebbe certezza di un successo elettorale. Ma correre il rischio sarebbe ragionevole, se davvero si vedesse che nella società civile c’è un spinta dell’opinione pubblica per organizzarsi in gruppi in vista delle elezioni per il Parlamento Europeo che va oltre i militanti organizzati nelle varie lotte come per l’acqua, per i beni comuni, contro la TAV, ecc., e gli intellettuali di riferimento. E ovviamente i militanti anche dei piccoli partiti avrebbero tutto lo spazio per dare il loro contributo nell’impegno elettorale in mille modi. Il problema è che questa lista sia autonoma. Organizzata da questi movimenti della società civile. Si tratta di convincere milioni di persone dell’opinione pubblica. Milioni di persone per le quali Rifondazione Comunista o SEL sono dei marchi negativi e neanche per motivi ideologici.

Forse li considerano come arnesi inutili…

Appartengono ad un’altra era geologica.

Tsipras però è il presidente di un partito politico …

Syriza rappresenta un miracolo. E’ il frutto di un’impresa eccezionale: partire da realtà ideologiche e decisamente minoritarie, rissose, di piccoli gruppi burocratici e di piccole gelosie e inventare il crogiuolo che le ha trasformate. Tsipras e Syriza hanno convinto l’opinione pubblica greca di aver realizzato una entità nuova, non come la somma di tante piccole realtà. Tsipras ha preso dei rottami di ferro e ne ha prodotto acciaio nuovo. In Grecia si è fatta una trasmutazione che è riuscita molto bene. Invece in Germania Die Linke ha perso il momento giusto, perché sono molto ideologici, molto burocratici e sembrano un vecchio ceto politico che ripropone la forma vecchia del partito. In Italia non esistono proprio e il problema non c’è. Naturalmente ci sono alcune migliaia di militanti di questi piccoli partiti, capaci magari di entusiasmo. Ma non sempre l’entusiasmo supera il settarismo ideologico.
In Italia abbiamo un elettorato mobilissimo. Il PCI aveva il suo elettorato. Da quando ero bambino quando andava malissimo prendeva dal 23% al 24%. Nel momento massimo della espansione con Berlinguer è arrivato al 34%. C’era un quarto o un terzo dell’Italia che votava PCI. Poteva cambiare di volta in volta di qualche piccola percentuale. C’era una fedeltà elettorale. In Italia da vent’anni non c’è più la fedeltà elettorale. Due anni fa Grillo prendeva il 3% in varie città. Nel giro di alcuni mesi ha superato il 25%. Ma può tornare al 3% in un momento. E’ questo vale per chiunque.

Il futuro di questa lista dipenderà dal risultato elettorale?

Per andare al parlamento europeo dovremo superare il 4%. Se questa lista prende un risultato intorno al 5% non avrà futuro. Sarà una manifestazione di testimonianza. Se per caso esplode e arriva a percentuali che superano simbolicamente il 10% avrà un futuro. Comunque quello che interresa a tutti noi è impegnarsi in un’azione politica non minoritaria, se riusciamo a crearne le condizioni, e non fare i Nostradamus.

(28 dicembre 2013)

SPINELLI Con Tsipras contro l’Europa dell’austerità

Migranti, 14 anni fa la strage al Vulpitta: quelle chiavi che ancora non si sono trovate | Autore: stefano galieni da: controlacrisi.org

Accadde la notte del 28 dicembre 1999, a Trapani, nell’allora Centro di Permanenza Temporanea “Serraino Vulpitta” (oggi chiuso). Accadde quando non c’era la Bossi Fini e questi centri erano stati introdotti in Italia nel 1998 mediante una legge che porta il nome dell’allora ministro dell’Interno e ora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Rabah, Nashreddine, Jamel, Ramsi, Lofti e Nasim in quel centro erano stati rinchiusi e avevano provato a fuggire. Si erano calati con una corda fabbricata con le lenzuola, si era immediatamente scatenata la caccia all’uomo, li avevano ripresi e condotti in cella. Uno dei reclusi aveva probabilmente dato fuoco ad un materasso scatenando l’incendio. Le chiavi non si trovavano, gli estintori erano rotti, nessuno volle prendersi la responsabilità di farli uscire. Ma uscirono, in 3 già morti e gli altri destinati alla stessa fine, dopo una tremenda agonia. Altri due ragazzi rinchiusi nella stanza si salvarono, ma portano i segni del rogo ancora addosso.

Accoglienza, le chiavi ancora non si sono trovate
Anni e anni di indagini, mai nessuno pagò per queste morti oscene, neanche l’allora prefetto. Solo un misero risarcimento, mentre l’allora ministro dell’Interno (succeduto a Napolitano), l’onorevole Enzo Bianco, ora sindaco di Catania, dichiarava che il “Vulpitta era un albergo a 5 stelle”. Una strage di centro-sinistra che dà inizio ad una stagione senza ritorno, di cui le vicende di questi giorni costituiscono un continuum mai interrotto, indipendentemente dai governi. Chi ha seguito non ha fatto altro che inasprire le condizioni di vita dei trattenuti perché privi di permesso di soggiorno (quindi non per un reato commesso ma per ciò che si è), aumentando il numero di centri, cambiando loro nome, accrescendo i tempi massimi di trattenimento, inibendo l’accesso ai giornalisti. E poi, di fronte all’incapacità strutturale di gestire i movimenti di persone dall’Africa Sub-sahariana prima e dal Magreb poi, dopo le rivoluzioni e le dinamiche innestate dalla crisi, ancora tentativi miseri di proibizionismo: esternalizzazione delle frontiere con i campi in Libia, missioni militari congiunte, respingimenti al di fuori di ogni norma internazionale, processi a chi tentava di salvare naufraghi e infine, centri di accoglienza di dubbia natura. Da Lampedusa spesso trasformata in carcere a cielo aperto fino agli ultimi spazi requisiti e utilizzati per strutture ubicate in un vero e proprio limbo giuridico, a volte di detenzione, poi di ospitalità per richiedenti asilo, poi di prima accoglienza, tutto affidato all’improvvisazione e alla discrezionalità delle prefetture.

Nell’epoca di mezzo
Per ora tanto il sistema dei Cie che quello dell’accoglienza stanno franando miseramente. Non sono più un affare per gli enti gestori che vincono le gare di appalto, un tempo si riusciva ad avere – è il caso di Modena – 72 euro al giorno, pro capite per trattenuto, oggi si vincono le gare al ribasso, a meno di 30 euro. Quindi diminuisce il numero dei dipendenti, delle persone che è possibile detenere, e peggiorano le condizioni di vita. Aver portato inutilmente a 18 mesi i tempi massimi di trattenimento ha acuito la trasformazione in penitenziari dei centri, sbarre e gabbie sono una condizione umana ed esistenziale in cui non si regge. E allora continue e mai cessate rivolte, atti di autolesionismo, suicidi riusciti o meno. Oggi dei 13 centri previsti ne sono in funzione 6. Crotone è stato chiuso questa estate dopo la morte per cause non ancora chiarite di un 32enne. Gradisca d’Isonzo ha avuto lo stesso destino a novembre, dopo che in estate, durante una rivolta, un altro recluso era caduto dal tetto e da allora è in coma irreversibile all’ospedale di Trieste. Prima erano stati chiusi i centri di Lamezia Terme, il “Vulpitta” di Trapani, il “Restinco” di Brindisi, poi quelli di Bologna e Modena. E proprio da Modena è giunta in questi giorni la nota ufficiale con decreto del Ministro dell’Interno, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in data 23 dicembre. In attesa di futura(?) ristrutturazione la Prefettura ha avviato le procedure per la disdetta del contratto di locazione dell’immobile e dei contratti di manutenzione per la gestione degli impianti del Centro. Insomma in maniera ambigua ma soppresso. In questi giorni la potente protesta delle “bocche cucite” nel Cie di Ponte Galeria a Roma ha fatto irruzione negli schermi e nell’agenda politica. Si è parlato meno, perché più periferici di quanto accadeva a Bari e a Torino, scioperi della fame e sommosse e in molti hanno cominciato a parlare di revisione del sistema ma la confusione regna sovrana. In parlamento, prima delle rivolte, era stata approvata con i voti di Pd, Sc e Ncd, una mozione che dichiarava di voler cambiare tutto ma non interviene nell’immediato su nulla. Al Viminale, il Ministro dichiara che la Bossi Fini non si tocca, il suo vice parla di rapida e drastica riduzione dei tempi di trattenimento, nello stesso Pd si fronteggiano posizioni diverse e disparate. Durante il precedente governo, una task force del Viminale aveva poi redatto un rapporto, curato dal sottosegretario Ruperto, che per certi versi inaspriva le condizioni di vita nei centri con la boria di volerli rendere più efficienti. La Campagna LasciateCIEntrare (www.lasciatecientrare.it) ha prodotto un documento che è stato inviato a tutti i parlamentari dal titolo diretto, “Mai più Cie”.

“Torneremo a farci sentire”
Ma sono tante le forze esterne o interne ad essa che chiedono di chiudere l’ignobile capitolo della detenzione amministrativa. Competenze collettive organizzate, da associazioni umanitarie a quelle direttamente antirazziste, hanno comprovato come sia impossibile riformare tali istituzioni, la sola via è quella che non si vuole intraprendere. Un coraggioso stop. Del resto, per stessa ammissione del Ministero, ad oggi, causa l’inagibilità di parte delle stesse strutture aperte, nei Cie italiani ci sono 440 persone. Una questione quindi politica e non numerica. Si è in un momento di transizione, se prevarrà l’inerzia, i reclusi che hanno scritto tanto al Papa che a Napolitano, torneranno rapidamente a farsi sentire. Non torneranno indietro, sono determinati, non hanno nulla da perdere. A Ponte Galeria c’è chi ha tranquillamente garantito che si impiccherà e chi intende cucirsi anche le palpebre oltre che la bocca. I dipendenti degli enti gestori si sentono sulla bocca di un vulcano.

La fine dell’accoglienza
Accolti da chi? Il crollo dei Cie è nulla rispetto a quanto si è verificato e si sta verificando anche in queste ore in Sicilia sul fronte dell’accoglienza. C’è voluta la clamorosa e giusta iniziativa di protesta di Khalid Chaouki, parlamentare Pd, per far uscire dall’inferno del Cpsa di Lampedusa, buona parte dei profughi da mesi in attesa di conoscere il proprio destino. Sono rimasti, in condizioni pessime i 17, fra cui una donna in stato di grave prostrazione, sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre. Sono testimoni e si attendono le decisioni della magistratura per deciderne nuova allocazione. Alcuni legali, Alessandra Ballerini, Michele Passione, Fulvio Vassallo Paleologo, hanno realizzato un esposto per denunciare un trattenimento collettivo illegale. Il testo, da inviare al Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa, alla Commissione Europea e ad altre autorità comunitarie, costituisce un duro atto di accusa nei confronti del governo italiano. Saranno in molti, fra associazioni e individui, ad inviarlo a proprio nome, ovviamente anche il Prc procede in tal senso. Accanto a questo un appello, firmato da LasciateCientrare e Asgi, rivolto a tutto il tessuto politico e sociale. Le immagini fortunosamente giunte e trasmesse al Tg2 non possono essere cancellate.

L’inferno contiene altri inferni
Ma l’inferno contiene altri inferni. Quello del Cara (Centro Accoglienza Richiedenti Asilo) di Mineo, in provincia di Catania, 4000 persone rinchiuse in un luogo che ne può contenere 2000, minorenni costrette alla prostituzione per pochi euro con la compiacenza dei gestori. Lì si può restare anche oltre 18 mesi prima di conoscere il proprio destino di richiedente asilo, li si può finire come è accaduto ad un ragazzo eritreo di 21 anni, di aspettare da maggio una risposta, non poterne più e poi decidere di impiccarsi. Un’altra morte assurda ed evitabile, punta di iceberg di condizioni di disumanizzazioni collettive, con centri improvvisati messi in piedi dalle prefetture, senza medici o mediatori, da cui la gente può solo fuggire. A Messina, circa 200 profughi si son ritrovati sommersi dall’acqua. Erano in una tendopoli realizzata a forza, contro il parere del Comune, guai ad utilizzare le strutture turistiche. Son dovuti intervenire i vigili del fuoco per drenare l’acqua e mettere delle passerelle in legno fra le tende. Alcuni hanno accettato di farsi ospitare in un convento, gran parte sono rimasti nel fango. Hanno chiesto al Comune e l’assessore era con loro, volevano anche intraprendere uno sciopero della fame che per ora sembra interrotto. Non è colpa del maltempo, di certo prevedibile in questa stagione se il campo da baseball dove è posta la tendopoli, in Viale dell’Annunziata, si è allagato. È perché l’idea stessa di accoglienza non esiste, nonostante fra fondi europei e nazionali, fiumi di denaro si impieghino in nome di questa. Anche sapere che fine fa quel denaro, come quello dei Cie, potrebbe essere una risposta necessaria. L’anno finisce insomma con storie di sofferenza e di morte. E non è un buon augurio, ripensando a quel rogo di 14 anni fa.