Eros Barone *
04/04/2016
Riprendiamo, in occasione dell’anniversario dell’uccisione per mano nazista il 5 febbraio 1945
La memoria non è solo una scelta, ma è anche un dovere, talché i caduti della Resistenza, che è stata innanzitutto lotta armata contro il nazifascismo, vanno non solo ricordati, ma anche onorati. Sottolineare, pertanto, la militanza comunista di Walter Fillak non è un gesto settario, ma è in primo luogo una necessità storiografica, perché significa porre al centro della ricostruzione storica della Resistenza la classe operaia e il suo partito, il PCI, senza il cui fondamentale apporto la Resistenza, a partire dagli scioperi che ebbero luogo tra il marzo e il luglio del 1943, non sarebbe nemmeno iniziata o si sarebbe svolta in modo assai differente da come si è svolta.
A questo proposito, è importante considerare che dopo l’8 settembre del 1943 le città operaie del triangolo industriale potevano contare su qualche migliaio di comunisti. Così, a Milano erano circa duemila i militanti attivi e organizzati, a Torino erano un migliaio, a Genova erano almeno 1400 per la provincia, oltre a 450 di un gruppo guidato da Gaetano Perillo, che venivano anch’essi inquadrati nell’organizzazione comunista. A partire dall’armistizio l’azione dei comunisti si sviluppò in due tempi: collegamento con le formazioni di ribelli che si erano costituite sulla montagna e organizzazione delle lotte operaie, tra ottobre e dicembre del 1943. Come è noto, le uniche avanguardie dell’antifascismo che avevano maturato, nel corso dei lunghi anni della clandestinità e nel vivo della partecipazione alla guerra di Spagna, la coscienza della necessità della lotta armata, erano quella comunista e quella azionista: così, all’origine di una banda armata si trovava sempre un quadro di partito, fosse esso un ‘civile’ oppure un ufficiale del regio esercito, che aveva compiuto la scelta dell’antifascismo. In Liguria, rispettivamente sui monti di Chiavari e nel circondario di Sassello, vi erano due gruppi: quello di Favale, nucleo generatore della famosa banda Cichero, guidato da un comunista ex garibaldino di Spagna, “Marzo” Canepa, e quello, costituito da una dozzina di uomini, che si trovava a pian Castagna.
Qui emerge un dato di grande interesse: di questi dodici nove erano prigionieri di guerra alleati evasi e chi li organizzava era uno studente comunista, torinese di origine ma genovese di adozione, quel Walter Fillak, amico di Giacomo Buranello e, come questi, studente di ingegneria e attivo nei GAP, che diverrà uno degli eroi della Resistenza. Fillak non era un partigiano prodotto dall’8 settembre: egli aveva due precedenti altamente significativi, l’espulsione dal regio liceo scientifico “Cassini” di Genova per attività antifascista nel 1938 e l’arresto per attività sovversiva nel 1938. Sennonché le circostanze testé ricordate permettono di porre in risalto la dimensione internazionale della Resistenza italiana: non solo russi, inglesi, polacchi e disertori cechi saranno tra i più intrepidi partigiani, ma accanto a questi vi saranno ufficiali italiani che in Russia, nei Balcani o in Francia, avevano dovuto fare la guerra ai partigiani e avevano così imparato le leggi della guerriglia. Per converso, non bisogna dimenticare che rilevante fu il contributo degli italiani al ‘maquis’: 5000, di cui 2000 caduti.
Nel contesto della lotta armata contro il nazifascismo si incontravano due figure ideal-tipiche: da un lato, il comunista legato al Partito; dall’altro, il giovane, il soldato, l’ufficiale, lo studente, che si sentiva comunista o antifascista e cercava il collegamento con il Partito. In questa fase, peraltro, l’iniziativa individuale aveva un grande peso e il capo partigiano era anche uomo d’avventura, caratterizzato dal coraggio fisico e dal carisma. Stupenda è poi l’amicizia che, fin dai banchi di scuola, legò tra loro Giacomo Buranello e Walter Fillak, e fece delle loro esistenze due mirabili “vite parallele”: l’uno comandante dei GAP di Genova, al cui fianco, nelle pericolose missioni dei GAP, vi era quasi sempre l’inseparabile amico; l’altro commissario politico di una brigata partigiana operante nella Val d’Aosta: entrambi caduti, entrambi medaglie d’oro alla memoria. A questo proposito, Ugo Pecchioli, dirigente di primo piano del Partito comunista e capo partigiano, nella commemorazione di Walter Fillak tenuta nel 1975 nella cittadina di Cuorgnè, dove Walter Fillak fu impiccato, ebbe a ricordare che in quella Val d’Aosta in cui Fillak si era recato a organizzare i garibaldini, 3000 partigiani fronteggiavano 5000 tedeschi.
Orbene, che cosa merita di essere sottolineato nella breve ma intensissima vita di Walter Fillak? La risposta è: “un ideale chiaro e potente”, come ha ben detto nel suo intervento la compagna Paola Vada, rappresentante della Sezione ANPI di Sampierdarena. «Il comunismo, grande ideale che appassiona e fa diventare migliori gli uomini, che entusiasma i giovani», come ebbe a dire in una sua testimonianza il partigiano “Nando” della 76ª Brigata Garibaldi). Del resto, ricordare Walter Fillak, la sua formazione, la sua militanza comunista e partigiana, il suo sacrificio, non avrebbe senso se ci si limitasse alla semplice commemorazione senza riflettere sugli ideali comunisti che animarono la sua come l’azione di tanti altri valorosi combattenti caduti nella Resistenza. Né sarebbe intellettualmente onesto sottacere le contraddizioni che esistevano fra le diverse (e a volte avverse) componenti del movimento partigiano, così come nel rapporto tra questo e il PCI (si pensi alla straordinaria esperienza di guerriglia urbana rappresentata dai GAP e alla taccia di estremismo settario attribuita a Buranello e allo stesso Fillak, sulla quale ritornerò nella conclusione di questo intervento): contraddizioni in cui si rispecchiava il contrasto esistente all’interno del PCI tra la linea togliattiana e quella secchiana, tra l’esigenza dell’unità delle forze antifasciste, ivi comprese quelle facenti capo alla monarchia e ad una frazione della borghesia, e la prospettiva rivoluzionaria del proletariato comunista.
In questo senso, è opportuno, per chiarire questo aspetto politico-ideologico che non fu per nulla marginale nella Resistenza, riportare la lettera indirizzata dall’ing. Ferruccio Fillak ad Agostino Novella, che ho scoperto consultando presso l’ILSREC (Istituto ligure per la Storia della Resistenza e dell’età contemporanea) il fascicolo contenente la documentazione su Walter Fillak.
Ing. Ferruccio Fillak
Milano 10/I/46
Via Reina 5
Caro compagno A. Novella
Circa un mese fa, trovandomi a Genova, mi capitò sott’occhio il rapporto della Federazione Genovese al Congresso Provinciale.
In seguito a tale lettura venni a cercarti due volte desiderando parlarti, ma eri occupato in seduta. Speravo di trovarti in altra occasione; senonché non capitai più a Genova, e neppure prevedo prossimo un mio viaggio in cotesta città. Perciò ti scrivo.
Mi colpì la parte (pag. 8) che riguarda il movimento nel periodo in cui funzionò il Comitato composto da Buranello, da mio figlio Walter, ecc. A parte altre considerazioni, osservo che si è voluto minimizzare l’attività di quei Giovani, non solo, ma quello che è peggio, è stata posta in una falsa luce. Sono certo che tu non hai colpa alcuna di questa deformazione della verità. Mi rivolgo a te come Segretario Federale affinché tu richiami i tuoi collaboratori ad un senso di maggiore responsabilità quando trattano argomenti che si riflettono sul patrimonio morale e spirituale del Partito. Perché, te lo assicuro, chi ha conosciuto mio Figlio è rimasto molto male leggendo la relazione. Non so se tu sai le vicende di Walter, come è morto, e certamente non sai quanti giovani si sono ispirati al Suo entusiasmo per la causa del Popolo lavoratore, non sai tutto il lavorio che Esso fece per spargere il seme comunista in seno alla massa tipicamente borghese degli studenti e altrove. In proposito potrebbero esserti più precisi, Galeazzo, Catanzaro, Codignola, Lazzaretti, ecc., per limitarmi agli studenti comunisti di Genova. Dovunque capitava diventava il centro propulsore di un’attività comunista concreta e fattiva. Infatti numerosi sono stati i giovani che si affiancarono a Lui sulla via della lotta e molti lo hanno preceduto o seguito nel supremo sacrificio. Sarà stato forse questo il suo estremismo?
Abbi pazienza, senza volerlo ho deviato.
L’azione di Buranello, Walter e Compagni è stata superiore ad ogni critica per ciò che concerne spirito, organizzazione e risultato. L’addebito di faciloneria e di estremismo nel Loro lavoro e il soffermarsi su questi lati negativi, senza peraltro precisare le circostanze, mi sembrano argomenti di pessima fattura. Non servono neppure come autocritica, ma non voglio tediarti con una dimostrazione, tanto è evidente questa mia affermazione. Servono unicamente a screditarci presso coloro i quali cominciavano a ricredersi dell’opinione, purtroppo ancora tanto diffusa causa certe nostre deficienze, che Comunismo significa soffocamento dei valori spirituali. Circa l’imprudenza, per cui nel 1942 furono arrestati, mi pare siano da deprecare anzitutto le diffidenze e i dubbi di alcuni vecchi elementi, i quali in tal modo indussero i Giovani a conservare gli incartamenti per poter dimostrare in qualunque momento la regolarità e serietà della loro amministrazione. Ci fosse stato da parte dei suddetti anziani uno spirito più aderente alla realtà e, diciamolo pure, un po’ meno di prevenzione, Buranello e Compagni forse non sarebbero stati arrestati o, comunque, il loro arresto avrebbe avuto limitate conseguenze. Del resto vorrei sapere chi mai non ha sbagliato nel corso di iniziative politiche e cospirative, e come è possibile evitare i pericoli quando si agisce. I pericoli sono in proporzione dei rischi. Solo chi non arrischia non corre pericoli.
Per abbreviare, concludo che nella relazione il lavoro di Buranello, Figuccio, Walter, ecc. doveva figurare in ben altro modo. Il prestigio del Partito ne avrebbe guadagnato.
Non ti parlo con risentimento, ma non ti posso nascondere un po’ di amarezza se penso che Essi hanno amato il loro Ideale più della vita. Ti unisco a questo proposito copie dei tre biglietti che mio Figlio scrisse prima di morire. Credeva di venire fucilato invece lo impiccarono. Fu il 5 Febbraio 1945, ore 15, a Cuorgnè (Aosta)
Saluti fraterni.
Si tratta, come risulta con estrema evidenza, di una rivendicazione, nobile non meno che implacabile, dell’onore comunista di Walter Fillak e di Giacomo Buranello – “Essi hanno amato il loro Ideale più della vita”, scrive l’ing. Ferruccio Fillak con tacitiana concisione – di fronte alle critiche di settarismo ed estremismo mosse nei loro confronti. A questo riguardo e a titolo di conclusione provvisoria, merita allora di essere riproposto, per il suo significato laicamente materialistico e per la luce che getta su quella che lo storico Claudio Pavone ha definito “moralità nella Resistenza”, quanto scrive Giovanni Pirelli nella prefazione all’antologia che raccoglie le testimonianze dei condannati a morte della Resistenza europea, testimonianze fra cui vi è quella di Walter Fillak: «Il senso della vita sta nella gioia non nel dolore e nel lutto. Se in date circostanze è giusto assumere rischi, affrontare pericoli, se può essere inevitabile ammazzare o farsi ammazzare, non parliamone mai come di cose belle, esemplari o invidiabili. Parliamone come di gravi necessità a cui l’uomo cosciente non può sottrarsi. Sacrificarsi ha senso, comunque, ad una sola condizione: che ci si sacrifichi perché venga una società umana dove il sacrificarsi non avrà più senso».
*) Intervento pronunciato dal prof. Eros Barone, Presidente del Circolo Culturale Proletario di Genova, in occasione della celebrazione di Walter Fillak svoltasi il 4 aprile 2016 presso l’ARCI “La Ciclistica” sito a Genova-Sampierdarena in via Walter Fillak, 98r
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