Germania, le ragioni della svolta da: il manifesto

Germania, le ragioni della svolta

Può cam­biare tutto nel giro di poche set­ti­mane o addi­rit­tura di pochi giorni? La stampa euro­pea fa mostra di cre­derci. L’egemonia tede­sca sull’Europa sem­bra essersi tra­sfor­mata d’incanto in una lumi­nosa guida morale. I «valori della cul­tura euro­pea» met­tono in ombra quelli della borsa, la respon­sa­bi­lità sto­rica prende il soprav­vento su quella con­ta­bile, dall’ultimo rifu­giato siriano fino alla can­cel­liera Mer­kel tutti insieme into­nano l’«Inno alla Gioia». Per qual­cuno la «pal­lida madre» avrebbe addi­rit­tura rispol­ve­rato lo spi­rito di Hoel­der­lin e Heine. L’esagerazione è il pane quo­ti­diano dei media. Eppure qual­cosa di nuovo è accaduto.

Ber­lino, sia pure con molti distin­guo di cui non è ancora chiara l’entità, ha rimesso in que­stione una delle sue crea­ture più care: quell’accordo di Dublino che costrin­geva i richie­denti asilo a rima­nere nel primo paese di approdo. Ha chia­mato a un grande sforzo nazio­nale per fron­teg­giare l’emergenza dei pro­fu­ghi, ha dichia­rato di voler inve­stire sei miliardi dei suoi pre­ziosi risparmi per la siste­ma­zione e l’integrazione dei nuovi arri­vati, indi­rizza l’Unione euro­pea verso poli­ti­che respon­sa­bili di aper­tura e di accoglienza.

Que­sta cor­re­zione di rotta è stata deter­mi­nata da quat­tro fat­tori ben più razio­nali che emotivi.

Il primo, deci­sivo, è la con­sa­pe­vo­lezza che la pres­sione migra­to­ria era ormai inar­re­sta­bile. Il governo di Ber­lino ha dovuto infine pren­dere atto che non esi­ste bar­riera mate­riale o legi­sla­tiva in grado di argi­nare la mol­ti­tu­dine in movimento.

Si tratta, dun­que, di una vit­to­ria dei migranti, otte­nuta a caris­simo prezzo, di un risul­tato della loro straor­di­na­ria determinazione.

Le fron­tiere non sono state sem­pli­ce­mente aperte dalla bene­vo­lenza dei «padroni di casa», ma tra­volte da decine di migliaia di per­sone che eser­ci­ta­vano, prima che qual­cuno glielo avesse rico­no­sciuto, il loro «diritto di fuga» e riven­di­ca­vano la libertà di movi­mento. Inol­tre biso­gnava fare in fretta poi­ché tutto poteva acca­dere in quell’Ungheria dai tratti sem­pre più mar­ca­ta­mente fasci­sti che l’Europa tol­lera nel suo seno. Aprire la fron­tiera più che una scelta è stata una necessità.

Il secondo ele­mento è la sco­perta che i sen­ti­menti xeno­fobi e raz­zi­sti non sono affatto mag­gio­ri­tari e nean­che così ampia­mente dif­fusi come si cre­deva. La straor­di­na­ria mobi­li­ta­zione spon­ta­nea a soste­gno dei rifu­giati da Vienna a Monaco a Ber­lino ha dis­si­pato le ombre dis­se­mi­nate in Ger­ma­nia dai patrioti anti­sla­mici di Pegida (ridotti a spa­ruti grup­pu­scoli asse­diati in ogni città tede­sca) e dai nazio­na­li­sti solo un po’ meno impre­sen­ta­bili di Alter­na­tive fuer Deu­tschland.

Di con­se­guenza il timore che l’apertura agli stra­nieri dovesse com­por­tare un cospi­cuo costo elet­to­rale a favore della destra è stato for­te­mente ridi­men­sio­nato. Alla fine potrebbe addi­rit­tura tra­dursi in un gua­da­gno per la Cdu di Angela Merkel.

Il terzo fat­tore era la neces­sità di restau­rare l’immagine della Ger­ma­nia in Europa, gran­de­mente dan­neg­giata dalla gestione della crisi greca. Il paese non doveva più essere iden­ti­fi­cato con il volto arci­gno della Bun­de­sbank. Tut­ta­via, nel sot­to­li­neare più volte il fatto che la Ger­ma­nia è un paese forte e sano, Angela Mer­kel lascia inten­dere che solo l’esercizio ordi­na­rio del rigore per­mette l’esercizio straor­di­na­rio della solidarietà.

Severa o sol­le­cita che sia, la lea­der­ship con­ti­nua risie­dere a Ber­lino. In ogni modo l’operazione di imma­gine, a giu­di­care dagli osanna che si levano in mezza Europa e tra le file più foto­gra­fate dei pro­fu­ghi, è per­fet­ta­mente riu­scita. Senza peral­tro dovere ricor­rere ai pro­clami bel­lici di Lon­dra e di Parigi.

Il quarto fat­tore è la con­sa­pe­vo­lezza del fatto che, debi­ta­mente gover­nata, l’immigrazione, se a breve ter­mine rap­pre­senta un costo, sul lungo periodo costi­tui­sce una for­mi­da­bile risorsa, soprat­tutto per un modello eco­no­mico come quello tede­sco. Si tratta allora di met­tere a punto gli stru­menti e i fil­tri neces­sari a que­sto governo e dun­que un diritto di asilo euro­peo secondo schemi fun­zio­nali alla poli­tica migra­to­ria della Bundesrepublik.

Il lavoro è appena comin­ciato e c’è intanto da fare i conti con i nazio­na­li­smi più o meno xeno­fobi dell’Est euro­peo lun­ga­mente coc­co­lati da Ber­lino. Ma, soprat­tutto, ci sono da sta­bi­lire i cri­teri di ammis­sione e di esclu­sione. In un primo momento sem­brava che le porte della Ger­ma­nia si doves­sero aprire ai soli siriani. Una discri­mi­na­zione rispetto ad altre aree di con­flitto armato non ammessa dalla Costi­tu­zione tedesca.

Tut­ta­via non è ancora chiaro chi avrà diritto allo sta­tus di rifugiato.

Di certo non chi pro­viene dai paesi bal­ca­nici (Alba­nia, Ser­bia, Kosovo, Bosnia) dichia­rati sicuri. Il cri­te­rio è sem­plice: una volta dichia­rato un paese «sicuro» il rim­pa­trio sarà imme­diato. Ma que­sta defi­ni­zione si pre­sta alle più arbi­tra­rie e inte­res­sate sem­pli­fi­ca­zioni. Tanto più che in molti paesi la «sicu­rezza» garan­tita alla mag­gio­ranza, spesso non lo è altret­tanto per le minoranze.

C’è da scom­met­tere che, se que­sto sarà il discri­mine, il mondo si sco­prirà pre­sto molto più sicuro di quanto non immaginasse.

E, tut­ta­via, una dispo­ni­bi­lità al cam­bia­mento, al rin­no­va­mento delle società euro­pee con il con­tri­buto dei migranti sem­bra essersi ormai dif­fuso tra i cit­ta­dini del Vec­chio Con­ti­nente e trova una qual­che eco per­fino nelle parole della Can­cel­liera alquanto ine­briata dal suo stesso, inat­teso, suc­cesso di pubblico.

Una brec­cia è stata aperta su entrambi i lati della fron­tiera, una brec­cia che inve­ste l’intero spa­zio pub­blico euro­peo e che, su que­sta scala, deve essere allargata.

La cancellazione della Storia www.resistenze.org – cultura e memoria resistenti – linguaggio e comunicazione – 12-05-15 – n. 543

 


Manlio Dinucci | ilmanifesto.info

L’arte della guerra

11/05/2015

Il settantesimo anniversario della vittoria sul nazismo, il 9 maggio a Mosca, è stato boicottato su pressione di Washington da tutti i governanti della Ue, salvo il presidente greco, e messo in ombra dai media occidentali, in un grottesco tentativo di cancellare la Storia. Non privo di risultati: in Germania, Francia e Gran Bretagna risulta che l’87% dei giovani ignora il ruolo dell’Urss nella liberazione dell’Europa dal nazismo. Ruolo che fu determinante per la vittoria della coalizione antinazista.

Attaccata l’Urss il 22 giugno 1941 con 5,5 milioni di soldati, 3.500 carrarmati e 5.000 aerei, la Germania nazista concentrò in territorio sovietico 201 divisioni, cioè il 75% di tutte le sue truppe, cui si aggiungevano 37 divisioni dei satelliti (tra cui l’Italia). L’Urss chiese ripetutamente agli alleati di aprire un secondo fronte in Europa ma Stati Uniti e Gran Bretagna lo ritardarono, mirando a scaricare la potenza nazista sull’Urss per indebolirla e avere così una posizione dominante al termine della guerra.

Il secondo fronte fu aperto con lo sbarco anglo-statunitense in Normandia nel giugno 1944, quando ormai l’Armata Rossa e i partigiani sovietici avevano sconfitto le truppe tedesche assestando il colpo decisivo alla Germania nazista. Il prezzo pagato dall’Unione Sovietica fu altissimo: circa 27 milioni di morti, per oltre la metà civili, corrispondenti al 15% della popolazione (in rapporto allo 0,3% degli Usa in tutta la Seconda guerra mondiale); circa 5 milioni di deportati in Germania; oltre 1.700 città e grossi abitati, 70mila piccoli villaggi, 30mila fabbriche distrutte. Questa pagina fondamentale della storia europea e mondiale si tenta oggi di cancellare, mistificando anche gli eventi successivi. La guerra fredda, che divise di nuovo l’Europa subito dopo la Seconda guerra mondiale, non fu provocata da un atteggiamento aggressivo dell’Urss, ma dal piano di Washington di imporre il dominio statunitense su un’Europa in gran parte distrutta.

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Anche qui parlano i fatti storici. Appena un mese dopo il bombardamento nucleare di Hiroshima e Nagasaki, nel settembre 1945, al Pentagono già calcolavano che occorrevano oltre 200 bombe nucleari per attaccare l’Urss.

Nel 1946, quando il discorso di Churchill sulla «cortina di ferro» apriva ufficialmente la guerra fredda, gli Usa avevano 11 bombe nucleari, che nel 1949 salivano a 235, mentre l’Urss ancora non ne possedeva. Ma in quell’anno l’Urss effettuò la prima esplosione sperimentale, cominciando a costruire il proprio arsenale nucleare.

In quello stesso anno venne fondata a Washington la Nato, in funzione antisovietica, sei anni prima del Patto di Varsavia costituito nel 1955.

Terminata la guerra fredda, in seguito al dissolvimento nel 1991 del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, su spinta di Washington la Nato si è estesa fin dentro il territorio dell’ex Urss. E quando la Russia, ripresasi dalla crisi, ha riacquistato un ruolo internazionale stringendo crescenti rapporti economici con la Ue, il putsch in Ucraina, sotto regia Usa/Nato, ha riportato l’Europa a un clima da guerra fredda.

Boicottando sulla scia degli Usa il settantesimo anniversario della vittoria sul nazismo, l’Europa occidentale (quella dei governi) cancella la storia della sua stessa Resistenza, che tradisce sostenendo i nazisti andati al governo a Kiev. Sottovaluta la capacità della Russia di reagire, quando viene messa alle corde.

Si illude di poter continuare a dettare legge, quando la presenza a Mosca dei massimi rappresentanti dei Brics, a partire dalla Cina, e di tanti altri paesi conferma che il dominio imperiale dell’Occidente è sulla via del tramonto.

Il prezzo economico della vittoria sovietica nella Grande Guerra Patriottica da: www.resistenze.org – cultura e memoria resistenti – storia – 09-05-15 – n. 543

 

Valentin Katasonov | strategic-culture.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

06/05/2015

L’Occidente sconfessa imperterrito l’importante contributo dell’URSS nella sconfitta della Germania nazista e dei paesi satelliti. Ma non esiste prova documentale che possa corroborare qualsiasi speculazione a riguardo: basti pensare al prezzo economico sostenuto dal popolo dell’Unione Sovietica per la vittoria.

Il danno finanziario causato dalla guerra all’Unione Sovietica ha raggiunto livelli astronomici. Il 2 novembre 1942, il Presidium del Soviet Supremo dell’URSS emanava un decreto che istituiva la Commissione statale straordinaria per identificare e valutare i crimini perpetrati dagli invasori nazisti e dai loro complici, e il danno inflitto ai cittadini, alle fattorie collettive, alle organizzazioni sociali, alle imprese statali e alle istituzioni dell’Unione Sovietica durante la Grande Guerra Patriottica. Dopo la guerra, la Commissione pubblicò le seguenti statistiche: gli invasori nazisti e i loro complici avevano raso al suolo 1.710 città e oltre 70.000 villaggi, privando circa 25 milioni di persone di un riparo. Avevano distrutto circa 32.000 fabbriche, 84.000 scuole e altre istituzioni educative, demolito e saccheggiato 98.000 fattorie collettive. Inoltre avevano distrutto 4.100 stazioni, 36.000 infrastrutture per la comunicazione, 6.000 ospedali, 33.000 ambulatori e centri di cura, 82.000 scuole primarie e secondarie, 1.520 scuole specializzate superiori, 334 istituti di istruzione superiore, 43.000 biblioteche, 427 musei e 167 teatri. Nel settore agricolo si erano appropriati o avevano ammazzato 7 milioni di cavalli, 17 milioni di capi di bestiame, decine di milioni di suini, ovini, caprini e pollame. Le infrastrutture di trasporto del paese furono danneggiate per 65.000 chilometri di linee ferroviarie e 13.000 ponti ferroviari furono gravemente danneggiati, rubate oltre 15.800 locomotive a vapore e a benzina, 428.000 vagoni ferroviari e 1.400 navi.

Le imprese tedesche come Friedrich Krupp AG, Reichswerke Hermann Göring, Siemens-Schuckert, e IG Farbenindustrie saccheggiarono i territori occupati dell’Unione Sovietica.

I danni materiali inflitti all’Unione Sovietica dagli invasori nazisti sono stati pari a circa il 30% della ricchezza nazionale del Paese. Questo dato è salito al 67% nelle zone sotto occupazione. La relazione straordinaria della Commissione di Stato è stata presentata al processo di Norimberga nel 1946. Nella tabella seguente è evidenziata una sintesi delle perdite materiali dirette.

Entità dei danni materiali diretti subiti dall’Unione Sovietica a causa della guerra del 1941-1945.

Tipo di perdita Stime quantitative delle perdite causate da distruzione, danneggiamenti e furti
Patrimonio manifatturiero
Tranciatrici per metalli (pezzi) 175,000
Presse (pezzi) 34,000
Frese carbone (pezzi) 2,700
Martelli pneumatici (pezzi) 15,000
Impianti elettrici (kW di potenza) 5 milioni
Altiforni (unità) 62
Forni Martin (unità) 213
Macchine tessili (pezzi) 45,000
Fusi per filatoi (pezzi) 3 milioni
Risorse agricole
Cavalli (capi) 7 milioni
Vacche (capi) 17 milioni
Maiali (capi) 20 milioni
Capre e pecore (capi) 27 milioni
Trattori (unità singole) 137,000
Combinati (unità) 49,000
Seminatrici (unità) 46,000
Trebbiatrici (unità) 35,000
Stalle (unità) 285,000
Terreni coltivabili (ettari) 505,000
Vigne (ettari) 153,000
Trasporti e comunicazioni
Linee ferroviarie (in chilometri) 65,000
Locomotive (unità) 15,800
Vagoni ferroviari (unità) 428,000
Ponti ferroviari (unità) 13,000
Chiatte fluviali (unità) 8,3000
Telegrafi e linee telefoniche (in chilometri) 2,078
Alloggi
Alloggi urbani (singoli edifici) 1,209
Abitazioni rurali (singoli edifici) 3.5 million

Fonte: Nikolai Voznesensky. Voennaya Ekonomika SSSR v Period Otechestvennoi Voiny. – Moscow: Gospolitizdat, 1948.

Questi numeri non riflettono tutti i danni subiti. Essi mostrano solo le perdite derivanti dalla distruzione diretta di beni di proprietà di cittadini sovietici, fattorie collettive, organizzazioni sociali, imprese statali e istituzioni. Non comprendono le perdite quali i costi finanziari per il governo nazionale a causa della sospensione parziale o totale del lavoro nelle imprese di stato, nelle fattorie collettive, di privati cittadini, né il costo dei prodotti e delle forniture confiscati dalle forze di occupazione tedesche, le spese militari sostenute dall’URSS, né le perdite finanziarie che seguirono alla stasi nello sviluppo economico generale del paese a causa delle operazioni nemiche tra il 1941 e il 1945. La tabella che segue rende conto dei danni economici aggiuntivi subiti.

Il costo sulla produzione manifatturiera e agricola sovietica a causa dell’occupazione e della distruzione delle industrie nei territori occupati (fino alla fine della guerra).

Tipo di prodotto Ammontare della perdita*
1. Carbone 307 milioni di tonnellate
2. Elettricità 72 miliardi kWh
3. Acciaio 38 milioni di tonnellate
4. Allumio 136,000 di tonnellate
5. Trance per metalli 90,000 unità
6. Zucchero 63 milioni di quintali
7. Grano 11 billion di pudi
8. Patate 1.922 milioni di quintali
9. Carne 68 milioni di quintali
10. Latte 567 milioni di quintali

* Le perdite sono stimate in termini di carenza di produzione. Il livello annuale di produzione nel 1940 è stato utilizzato come base per i calcoli.
Fonte: Nikolai Voznesensky. Voennaya Ekonomika SSSR v Period Otechestvennoi Voiny. – Moscow: Gospolitizdat, 1948.

Già prima della fine della Seconda Guerra Mondiale, era chiaro che era l’Unione Sovietica a portare il peso maggiore del suo onere economico. Dopo la guerra, sono stati fatti vari calcoli e stime, servite come conferma di questo fatto ovvio. L’economista tedesco-occidentale Bernhard Endrucks ha condotto una valutazione comparativa della spesa pubblica per scopi militari durante la guerra dai maggiori belligeranti in campo. L’economista francese A. Claude ha prodotto stime comparative delle perdite economiche dirette (distruzione e furto della proprietà) subite dai maggiori belligeranti in campo. Abbiamo riassunto queste stime nella seguente tabella.

Spese militari dello Stato e danni economici diretti subiti dai maggiori belligeranti in campo durante la Seconda Guerra Mondiale (in miliardi di dollari).

Spese militari dello Stato* Danni economici diretti ** Totale perdita economica ****
(1) (2) (3) = (1) + (2)
USSR 357 128 485
Germania 272 48 320
Gran Bretagna 120*** 6.8 126.8
Francia 15 21.5 36.5
USA 275 275
Italia 94 94
Giappone 56 56
Polonia 20 20
Totale 1,189 224.3 1,413.3

* Ai prezzi correnti
** Ai prezzi del 1938
*** Insieme al Canada
**** Il potere d’acquisto del dollaro nel 1938 è stato superiore a quello durante gli anni della guerra 1939-1945. Pertanto, questo totale sarà un po’ sopravvalutato rispetto al 1938, ma un po’ sottovalutato al prezzo odierno. Detto questo, riteniamo che questa somma fornisca un’immagine fedele delle perdite aggregate che questi paesi hanno sperimentato. Fonte: Istoriya Mirovoi Ekonomiki/ Edited by Georgy Polyak and Anna Markova – Moscow: YUNITI, 2002, pgs. 307-315.

Esattamente il 30% della somma di tutte le spese militari dello Stato dei sette maggiori belligeranti durante la Seconda Guerra Mondiale può essere attribuito all’URSS. La spesa statale combinata degli alleati (URSS, USA, Gran Bretagna e Francia) su obiettivi militari è stata pari a 767.000 milioni dollari. L’URSS ha finanziato il 46,5% di tutte le spese militari sostenute dalle quattro potenze alleate.

Su un totale di danni economici diretti subiti dai cinque belligeranti, il 56% può essere attribuito all’URSS. Va notato che i danni economici diretti inflitti sull’URSS sono stati di 2,7 volte superiori rispetto ai danni similari subiti dalla Germania. Questa non dovrebbe essere una sorpresa: il Terzo Reich ha imposto una politica di terra bruciata in Oriente.

L’URSS ha portato il peso del 53% di tutte le spese militari e dei danni economici diretti subiti dai quattro paesi vincitori (URSS, USA, Gran Bretagna e Francia). Stalin era nel giusto quando suggeriva alla Conferenza di Yalta che la metà di tutte le riparazioni di guerra tedesche avrebbero dovuto esser pagate all’Unione Sovietica.

L’URSS ha subito perdite economiche complessive maggiori del 50% rispetto alla Germania. L’Unione Sovietica ha pagato il prezzo più alto di tutti i belligeranti in campo durante la Seconda Guerra Mondiale.

(1) I dati citati in questo articolo sono stati presi dal libro di Nikolai Voznesensky, Voennaya Ekonomika SSSR v Period Otechestvennoi Voiny. Moscow: Gospolitizdat, 1948. L’autore, Nikolai Alekseevich Voznesensky (1903-1950) è stato il presidente del Comitato del Gosplan dell’URSS tra il 1938 e il 1949.

La Grecia insiste con il risarcimento dei danni di guerra dalla Germania. “Pronti al sequestro dei beni” autore Fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

 

Il ministro della Giustizia greco si è detto pronto a firmare una sentenza della Corte Suprema che consentirà al governo di sequestrare beni tedeschi come parziale risarcimento per i crimini commessi nel paese dai nazisti. Riferendosi ad una decisione pronunciata nel 2000 dalla massima istanza giuridica del paese, Nikos Paraskevopoulos ha ricordato che il provvedimento sosteneva il diritto dei sopravvissuti della città di Distomo – dove nel 1944 le forze naziste uccisero oltre 218 persone – a chiedere un risarcimento.”La legge – ha ricordato il responsabile della Giustizia – stabilisce che per attuare il provvedimento è necessario un ordine del ministro. Ritengo che tale permesso debba essere dato e sono pronto a farlo”, ha aggiunto, nel corso di un’intervista all’emittente Ant1. Ieri il parlamento ellenico aveva deciso di creare una commissione incaricata di chiedere il pagamento dei danni di guerra alla Germania. Intanto, il premier greco Alexis Tsipras accusa la Germania di usare trucchi legali per evitare di pagare le riparazioni di guerra, legate all’occupazione nazista della Grecia. Il premier fa anche sapere che porterà la questione in Parlamento per studiare il da farsi. “Dopo la riunificazione tedesca del 1990 – spiega Tsipras in Parlamento – si erano create le condizioni legali e politiche per risolvere la questione. Ma da allora i governanti tedeschi hanno scelto la linea del silenzio, trucchi legali e rinvii”. “Mi domando – aggiunge il premier – poiche’ in questi giorni c’e’ un gran parlare a livello europeo di questioni morali: questa posizione e’ morale?”. Il governo greco non ha mai ufficialmente quantificato i danni di guerra da chiedere alla Germania, mentre Berlino sostiene di aver onorato i suoi obblighi dopo il pagamento di 115 milioni di vecchi marchi del 1960, pari a 59 milioni di euro. Secondo Tsipras il pagamento del 1960 copre solo i rimborsi alle vittime dell’occupazione nazista e non le distruzioni subite dalla Grecia durante l’occupazione tedesca. Il precedente governo di Antonis Samaras aveva stimato intorno ai 162 miliardi di euro l’ammontare delle riparazioni che Berlino avrebbe dovuto pagare ad Atene. Secondo Tsipras la richiesta di Atene e’ un “obbligo storico”, mentre la Germania si considera esentata dal pagamento dei danni di guerra.
Il nodo da sciogliere e’ il patto di Londra del 1953 nel quale Berlino e altri 21 paesi siglarono un’intesa sui debiti contratti dalla Germania durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. La prima decisione riguardo’ i debiti contratti fino al 1933, pari a 32 miliardi, la meta’ dei quali venne cancellata e l’altra meta’ pagata a condizioni molto favorevoli. Per i debiti legati ai danni della Seconda mondiale si decise invece di rimandare la faccenda a dopo la riunificazione tedesca.
Nel 1990 pero’ il cancelliere Helmut Kohl si oppose al pagamento delle riparazioni, spiegando che si trattava di richieste insostenibili, che avrebbero portato la Germania alla bancarotta. Gli Stati Uniti appoggiarono questa posizione. A partire dagli anni Sessanta Berlino ha stabilito degli accordi di compensazione volontari con alcuni paesi per i danni causati dal nazismo e nell’ottobre 2001 Berlino ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato di Londra del 1953.

Grecia, pronta a giorni la commissione parlamentare sui crediti di guerra con la Germania Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Il presidente del Parlamento greco, Zoe Constandopulu, ha annunciato che nei prossimi giorni formera’ una commissione parlamentare per esigere dalla Germania la restituzione del prelievo forzoso operato dai nazisti durante il conflitto e le riparazioni della II Guerra Mondiale ad esattamente 70 anni dalla sua fine. Secondo stime si tratterebbe di una somma tra i 7 ed i 10 miliardi di euro. La Germania ritiene la questione venne chiusa definitivamente quando saldò la parte rimanente del debito di guerra nel 1990 e firmò il trattato con le potenze alleate vincitrici che rese possibile la riunificazione tra l’Est e l’Ovest. Atene ricorda pero’ che quel trattato venne sottoscritto solo da Russia (all’epoca ancora Urss), Francia, Gran Bretagna e Usa ma non dalla Grecia.
Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, anche se il governo di Angela Merkel ritiene che il caso sia chiuso, le pretese di Atene non sarebbero illegittime. Dal punto di vista giuridico, scrive, la questione “non è ancora chiara”: Atene non ha mai fatto ricorso alla Corte di giustizia internazionale. E dal punto di vista storico, la Germania dovrebbe fare i conti con la circostanza che Helmut Kohl liquidò le richieste greche “barando”.
La ricostruzione dei fatti avviene grazie a documenti 1989-90, di cui il settimanale ha preso visione. All’epoca il cancelliere cristiano-democratico e il suo ministro degli Esteri liberale, Hans-Dietrich Genscher avrebbero “tenuto i greci lontani dal tavolo” delle trattative sulla riunificazione tedesca, usando poi escamotage diplomatici per non sedersi di nuovo a fare i conti. Un passo indietro porta al 1945, quando la Grecia – secondo lo storico Hagen Fleischer, tra i paesi più danneggiati dai tedeschi (100 mila morti di fame, 50 mila ebrei deportati e gasati, 100 mila edifici distrutti, come quasi tutti i ponti ferroviari, e l’affondamento delle navi commerciali) – chiese 14 miliardi di dollari di danni di guerra alla Germania.
Sotto la pressione degli Usa, la cifra fu dimezzata. Ma invece dei 7 miliardi dovuti, i tedeschi pagarono per un ammontare di 25 milioni, mentre francesi inglesi e sovietici si assicuravano versamenti di diversi miliardi. Nel 1953, ricorda ancora Spiegel, Atene firmò, come gli altri paesi vincitori, l’accordo sul debito di Londra, nel quale i tedeschi si impegnarono a verificare le richieste quando si fosse raggiunto “un accordo di pace o qualcosa di simile”. Nel 1965 fu Ludwig Erhard a promettere che le riparazioni sarebbero state pagate quando si fosse arrivati alla riunificazione. Affermazione che, secondo il governo tedesco, non comparirebbe in alcun documento ufficiale, ma che fu raccolta da un ministro ellenico e sarebbe stata in linea con quanto deciso a Londra. Nel 1989 Kohl e Genscher temono che si giunga a una conferenza di pace, con i 53 paesi ex nemici durante la guerra che battono cassa. Il governo definisce “inaccettabile” il tema delle riparazioni, sostenendo che la Germania ha perso 1/4 del suo territorio e ha già pagato più di ogni Paese sconfitto della storia moderna. Le trattative sulla riunificazione, come noto, si sono svolte con un numero ristretto di paesi (Gran Bretagna, Francia, Usa, Unione sovietica). Solo i sovietici mantengono la questione aperta e la rivendicazione greca rimane ancora sul tavolo: i crediti imposti dal Reich tedesco alla banca centrale ellenica e i danni di 4 anni di occupazione, (rivendicati ora da Tsipras).

Alexis il rosso rilancia: “Vogliamo i debiti di guerra”. E Varoufakis attacca Renzi. Grexit tema al G20 | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

“Manterremo le promesse elettorali”. Alexis Tsipras oggi ha parlato di fronte al Parlamento della Grecia per quello che può essere considerato il discorso sul programma di Governo. Anche se il deficit supera il 180% e la prima scadenza di pagamento bussa ormai alle porte (poco poiù di 4 miliardi alla fine di marzo), Alexis il rosso va dritto per la sua strada. E alla vigilia della prima vera prova importante, il faccia a faccia con l’Eurogruppo (preceduto dal G20 di Istanbul dove è tra i temi emergenti), continua a mantenere la posizione di chiusura totale verso la Troika, anche se offre la possibilità di un “programma-ponte”.

Tsipras, in sostanza, chiede agli altri 18 membri nuovi fondi, ma senza negoziarli con la Troika, fino a giugno, abbandonando la dottrina “dell’austerita’ che si e’ rivelata disastrosa”. Il premier greco ha detto che vuole rispettare il Patto di Stabilita’ (sottoscritto dai Paesi membri dell’Ue nel 1997 sul controllo delle rispettive politiche di bilancio che rafforzava il trattato di Maastricht del 1992, ma superato dal Fiscal Compact, ndr) sottolineando che “l’asuterita’ non fa parte del trattato”.

“Vogliamo dire chiaramente a tutti che non negoziamo la nostra sovranita’ nazionale, non negoziamo il mandato (ricevuto) dal popolo”, ha aggiunto Tsipras, riferendosi al voto dato a Syriza che e’ stato un chiaro segnale di rifiuto dell’austerita’ e di cambio di politica.”Per questo il nuovo governo non ha diritto di chiedere una proroga di questo programma, che vaale 240 miliaardi, ma solo un programma ponte durante il quale concludere un negoziato per definire insieme un programma di crescita”, ha detto il premier ellenico. La Grecia vuole un nuovo ‘contratto’ con l’Ue, quindi, che “rispettera’ le regole dell’Eurozona ma non includera’ misure irrealizzabili che siano un altro volto dell’austerita’”.

Nel suo discorso programmatico al Parlamento di Atene, il premier greco Alexis Tsipras poi ha rimesso avanti la questione delle “riparazioni di guerra della Germania”, che, ha detto, “e’ un obbligo storico chiedere”. Il riferimento e’ al 50% debito che venne abbonato nel 1953 alla Germania Federale per i danni dovuti dalla Germania Nazista (e solo in parte ancor quelli del trattato di Versailles della i guerra mondiale) da tutti i Paesi, inclusa la Grecia. La Grecia ha “un obbligo morale davanti al nostro popolo, quello di reclamare il prestito, che il III Reich obbligo’ l’allora bana centrale ellenica a versare, e le riparazioni per l’occupazione” tedesca durata 4 anni. Va detto che mentre per le riparazioni fu imposto un forfait valido per tutti i paesi, per il primo la Grecia non ebbe alcuna compensazione.

Intanto Atene, dopo che Roma e Parigi si sono sostanzialmente fatte da parte cedendo la leadership nelle trattative ad Angela Merkel, manda una frecciata rivolta al governo Renzi. “Funzionari italiani mi hanno detto che non possono dire la verità. Anche l’Italia è a rischio bancarotta ma teme ritorsioni da parte della Germania”, dice il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis dopo il tour europeo che l’ha portato anche a Roma.
Sul fronte globale, a favore della Grecia in questo momento giocano alcuni fattori importanti come la crisi Ucraina e il G20 di Istanbul, dove Usa e Gran Bretagna da domani andranno in pressing sull’Eurozona perché trovi una soluzione ed eviti una nuova fase d’instabilità dalle ripercussioni potenzialmente globali.

Alla Casa Bianca non è piaciuta affatto l’apertura di Mosca ad Atene sul fronte finanziario. “Incoraggeremo le due parti a trovare un percorso comune. E’ importante che la Grecia e l’Ue lavorino insieme”, dice un funzionario americano senior anticipando i colloqui del G20. E anche Londra torna a farsi sentire, con il ministro delle Finanze George Osborne che punta il dito sulla stallo nei negoziati europei con Atene a causa del quale Londra starebbe preparando un piano di contingenza e a Istanbul “incoraggerà i partner a risolvere la crisi”.

“Non aiuteremo Tsipras cantando solo Bella Ciao”. Intervento di Giorgio Cremaschi | Autore: giorgio cremaschi da: controlacrisi.org

Se il nuovo governo greco comincerà subito a tenere fede al suo programma elettorale stabilendo il salario minimo a 750 euro mensili, la Germania del governo Merkel-SPD chiuderà la porta ad ogni trattativa sul debito. Infatti con le “riforme” tedesche che han fatto da modello a tutto il continente, i milioni di lavoratori precari impegnati nei minijobs prenderebbero di meno di un lavoratore greco. È vero che ci sono le integrazioni dello stato sociale, ma è altrettanto vero che la coerenza del nuovo governo greco aprirebbe un fronte con una Germania anche sui tagli al welfare.

Insomma la coerenza di Tsipras sarebbe insostenibile per una classe dirigente tedesca che da anni impone terribili sacrifici al proprio mondo del lavoro spiegando che gli altri stanno tutti peggio. Gli operai tedeschi, che hanno subìto una delle peggiori compressioni salariali d’Europa, si chiederebbero a che pro, visto che le cicale greche ricominciano a frinire. È per il timore del contagio sociale, della ripresa, magari persino conflittuale, dei salari e della richiesta di welfare che si dirà no alla Grecia e non per la questione debito. Il debito pubblico della Grecia ruota attorno a 350 miliardi di euro, quello interno alla UE dovrebbe essere circa attorno ai due terzi di quella cifra. Abbuonarne la metà significherebbe per la UE rinunciare a poco più di 100 miliardi. È una cifra enorme naturalmente, ma dal 2008 governi europei, BCE e sistema finanziario hanno speso 3000 miliardi per sostenere le banche. E altri 1000 verrano spesi nel Quantitative Easing, presentato come un sostegno agli Stati che in realtà finanzia ancora gli istituti bancari acquirenti di titoli di stato.

Cosa sono allora 100 miliardi di abbuono del debito ad una Grecia che comunque non potrebbe pagarli, di fronte ai 4000 miliardi concessi al sistema bancario e finanziario? Niente sul piano delle dimensioni della cifra, tutto sul piano del suo significato. Come dicono accreditate indiscrezioni, una dilazione dei pagamenti più che trentennale sarebbe già stata concessa dalla Troika nel novembre scorso, ma naturalmente in cambio della impegno a continuare le politiche liberiste di questi anni. Il problema dunque è la continuità o la rottura con quelle politiche, e qui Syriza e la TroiKa si scontreranno.

Quello che sta succedendo in Grecia e in Spagna è qualcosa di diverso dalla storia europee delle sinistre. La politica dell’austerità sta portando tutta l’Europa meridionale verso quello che una volta si chiamava terzo mondo. Le prime risposte vere son quindi legate a questa nuova terribile realtà. Le socialdemocrazie si sono immolate sull’altare del rigore e le sinistre comuniste son troppo piccole e divise per contare. Si apre così lo spazio per forze alternative diverse da quelle del passato. In fondo il successo del M5S aveva inizialmente questo segno, anche se sinora a quel movimento è mancata una vera spinta sociale e la sua politica è rimasta ancorata al terreno della cosiddetta lotta per l’onestà.

Invece Syriza e Podemos somigliano sempre di più alle formazioni populiste di sinistra che governano gran parte dell’America Latina e con questa impronta affrontano la crisi europea e il Fiscal compact, vedremo .
Quel che è certo è che le cose stanno cambiando, ma non da noi. Siamo stati facili profeti ad anticipare il salto sul cavallo greco di tutto il mondo politico italiano, oramai campione di trasformismo in Europa. C’ è ovviamente anche un calcolo parassitario non solo elettorale. Se la Grecia ottiene qualcosa , si spera che qualcosa tocchi anche a noi. Così tutti a fare gli Tsipras con le vongole, dimenticando ovviamente la sostanza del programma del nuovo governo greco . Che tradotto in Italiano significherebbe misure immediate come la cancellazione del JOBSACT, della legge FORNERO sulle pensioni, del pareggio di bilancio costituzionalizzato . E a seguire la fine delle privatizzazioni, dei tagli alla Sanità e alla scuola pubblica, del patto di stabilità per gli enti locali.

Attenzione, questi non dovrebbero essere gli obiettivi strategici di un governo che promette tanto, ma le azioni dei famosi primi cento giorni. Poi dovrebbe seguire la messa in discussione della politica del debiti e del debito stesso, che da quando nel 2011 Giorgio Napolitano indicò come vincolo per le politiche di austerità è passato da 1900 a 2150 miliardi. Si tratta di rompere con tutte le politiche seguite non solo dalla destra, ma dal centrosinistra in questi anni. Come si fa allora a stare con la Grecia mentre ci si allea con il PD di Renzi in tutte le regioni più importanti.? Mi fermo qui perché è assolutamente ovvio che se non si rompe con i partiti dell’austerità, il sostegno alla Grecia non c’è.

Anche sul piano sindacale son tutti felici per le elezioni greche. Ricordo però le tante volte che in Cgil si è usata la Grecia come esempio di una resistenza vana. 14 scioperi generali e in quel paese non è cambiato nulla, si diceva quando si lasciavano passare la pensione a 68 anni e le altre riforme di Monti . E in nome della flessibilita CGILCISLUIL son arrivate a concordare il lavoro gratuito per migliaia di giovani precari che dovranno far funzionare l’Expo. È quindi inutile usare il marchio greco per coprire politiche e gruppi dirigenti responsabili o complici del nostro disastro sociale. La sola cosa seria che si deve fare in casa nostra per sostenere la Grecia contro la Troika è praticare la stessa rottura .
Non son in grado di sapere se Tsipras sarà coerente, ma per aiutare lui ad esserlo bisogna fare in modo che non sia solo Bella Ciao l’unico legame utile all’Italia .

Firrarello Angelo nato a San Cono il 10/11/1920 deportato nei campi di concentramento e di sterminio nazisti.

effettivo al 151° Reggimento fanteria, del distretto di Catania numero matricola 3824.

A Dachau giunge il 30/02/1944 e successivamente trasferito a Buchenwald il 12/12/1944 classificato come politico.

deceduto in Germania il 6/2/1945 rimane sconosciuta la località della morte.

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nella foto Firrarello Angelo è il primo a sinistra

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La prima guerra mondiale – Le operazioni militari (agosto 1914-novembre 1917) da: www.resistenze.org – cultura e memoria resistenti – storia – 23-10-14 – n. 517

Accademia delle Scienze dell’URSS | Storia universale vol. VII, Teti Editore, Milano, 1975

Capitolo XXVI – Parte prima

Le contraddizioni imperialistiche, che si erano andate accumulando per decenni, portarono al grandioso scontro dei due blocchi politico-militari. Il materiale combustibile nella politica internazionale era talmente abbondante, che la fiamma della guerra accesasi alla fine del luglio 1914 fra l’Austria e la Serbia si diffuse nel corso di qualche giorno su tutta l’Europa e poi, seguitando a crescere, abbracciò tutto il mondo.

1. L’Inizio della guerra. Il fallimento della II Internazionale

La trasformazione del conflitto in guerra mondiale

Nonostante il fatto che i piani dello Stato Maggiore tedesco prevedessero l’apertura delle ostilità, in primo luogo, contro la Francia, il governo della Germania decise di dichiarare prima guerra alla Russia al fine d’ingannare le masse utilizzando la parola d’ordine della lotta contro lo zarismo russo. I circoli di governo della Germania sapevano che la Francia sarebbe intervenuta immediatamente a fianco della Russia e questo avrebbe dato all’esercito tedesco la possibilità di assestare il primo colpo in occidente, secondo il piano Schlieffen.

La sera del 1° agosto 1914 l’ambasciatore tedesco a Pietroburgo, conte Pourtalès, si presentò al ministro degli affari esteri Sazonov per portare la risposta all’ultimatum che esigeva la revoca della mobilitazione russa. Avendo ricevuto un rifiuto, Pourtalès consegne a Sazonov la nota con la dichiarazione di guerra. Così, con l’intervento di due grandi potenze imperialistiche – la Germania e la Russia – aveva inizio la prima guerra mondiale.

In risposta alla mobilitazione generale della Germania, la medesima decisione venne presa anche dalla Francia. Il governo francese però non voleva assumersi l’iniziativa della dichiarazione di guerra e voleva scaricarne la responsabilità sulla Germania.

Il giorno della presentazione dell’ultimatum alla Russia, il governo tedesco richiese alla Francia di rimanere neutrale in caso di una guerra russo-tedesca. Contemporaneamente essa preparò il testo della dichiarazione di guerra alla Francia, nella quale si faceva riferimento al fatto che aerei militari francesi avevano sorvolato il territorio tedesco (in seguito il governo tedesco dovette riconoscere che nessuno. aveva visto tali aerei).

La Germania dichiaro guerra alla Francia il 3 agosto, ma già il 2 agosto, aveva inoltrato al governo belga una richiesta-ultimatum di lasciar passare attraverso il Belgio le truppe tedesche verso il confine della Francia. Il governo belga respinse l’ultimatum e si rivolse per aiuto a Londra. Il governo inglese decise di utilizzare questo appello come pretesto per l’intervento nella guerra. “L’agitazione a Londra cresce di ora in ora”, così telegrafava il 3 agosto a Pietroburgo l’ambasciatore russo in Inghilterra. Il giorno dopo la Gran Bretagna inviava alla Germania un ultimatum con la richiesta di non violare la neutralità del Belgio: il termine dell’ultimatum inglese scadeva alle ore 11 della sera, ora di Londra. Alle 11 e 20 minuti il Primo Lord dell’Ammiragliato Winston Churchill comunicò ad una seduta del gabinetto di avere inviato in tutti i mari ed oceani un messaggio radio che ordinava alle navi da guerra inglesi di aprire le ostilità contro la Germania.

Dopo l’inizio della guerra, dichiararono la propria neutralità la Bulgaria, la Grecia, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, l’Olanda, la Spagna, il Portogallo ed anche l’Italia e la Romania, che erano alleate delle potenze centrali. Tra i paesi non europei si dichiararono neutrali gli Stati Uniti e vari Stati dell’Asia e dell’America Latina. La dichiarazione di neutralità però non significava assolutamente che tutti questi paesi avessero l’intenzione di rimanere fuori della guerra.

La borghesia di molti paesi neutrali aspirava a partecipare alla guerra contando di realizzare in questo modo le proprie pretese territoriali. D’altro canto le potenze belligeranti ritenevano che l’intervento di nuovi Stati nella guerra potesse influenzare la sua durata e l’esito finale. Per questo, ognuna delle due coalizioni combattenti face il massimo sforzo al fine di attirare al suo fianco questi paesi oppure assicurarsi la loro benevola neutralità fino alla fine della guerra.

Già nell’agosto, gli imperialisti giapponesi si convinsero che si era creata una situazione favorevole per l’instaurazione del loro predominio in Cina e sull’Oceano Pacifico. Il 19 agosto il Giappone presentava alla Germania un ultimatum con la richiesta dell’immediato richiamo dalle acque cinesi e giapponesi delle forze armate tedesche e la consegna alle autorità giapponesi, non più tardi del 15 settembre 1914, dei territori “affittati” di Kiaochow con il porto di Tsingtao. La Germania respinse l’ultimatum ed il 23 agosto il Giappone le dichiarò guerra.

La Turchia, che formalmente aveva proclamato la neutralità, firmò il 2 agosto un accordo segreto con la Germania in base al quale si obbligava ad intervenire al suo fianco ed a mettere di fatto il proprio esercito agli ordini dello Stato Maggiore tedesco.
Il giorno della firma di questo accordo il governo turco proclamò la mobilitazione generale e sotto la copertura della neutralità armata iniziò la preparazione della guerra. Appoggiandosi sull’influente raggruppamento nazionalistico grande-turco con alla testa il ministro della guerra Enver-Pascià e quello degli affari esteri Talaat-Pascià, la diplomazia tedesca ottenne in breve tempo la partecipazione della Turchia alla guerra.

Gli incrociatori tedeschi “Goeben” e “Breslau” passarono attraverso i Dardanelli nel Mare di Marmara ed il contrammiraglio tedesco Souchon, giunto con il “Goeben”, venne nominato comandante delle forze navali turche. Ad Istanbul arrivavano ininterrottamente dalla Germania convogli. con armi, munizioni, ufficiali e specialisti militari.
Nei circoli dirigenti della Turchia c’erano ancora esitazioni sulla questione dell’entrata in guerra, ma le reciproche contraddizioni imperialiste nel Vicino Oriente impedivano alla Russia, all’Inghilterra ed alla Francia di utilizzare queste esitazioni ed elaborare una comune linea di condotta politica nei negoziati con il governo turco.

Nel frattempo, la pressione della Germania sulla Turchia andava rafforzandosi ulteriormente. Mirando a porre il paese dinanzi al fatto compiuto, i circoli militari tedeschi ed i militaristi turchi, con alla testa Enver-Pascià, ricorsero alla provocazione. Il 29 ottobre la flotta turco-tedesca attaccò navi russe nel Mar Nero e bombardò Odessa, Sebastopoli, Feodosia e Novorossisk.
La Turchia intervenne in tal modo nel conflitto al fianco della Germania.

Alla fine del 1914 si trovavano in stato di guerra l’Austria-Ungheria, la Germania, la Turchia, la Francia, la Serbia, il Belgio, la Gran Bretagna (assieme ai paesi del suo impero), il Montenegro ed il Giappone. In tale maniera il conflitto militare sorto in Europa s’era esteso in breve spazio di tempo all’Estremo ed al Vicino Oriente.

Il tradimento della II internazionale. la piattaforma rivoluzionaria dei bolscevichi

Nei convulsi giorni della crisi di luglio le masse proletarie avevano riposte tutte le loro speranze nella II Internazionale. Ma nonostante le solenni dichiarazioni dei congressi di Stoccarda e Basilea i leaders della II Internazionale non organizzarono nessuna azione contro la guerra imperialistica imminente e tradirono l’internazionalismo proletario.

La direzione del più grande partito della II Internazionale, il Partito Socialdemocratico Tedesco, che contava nelle sue file circa 1 milione di membri, capitolò completamente davanti alla sua ala destra apertamente sciovinista, i cui capi si erano accordati segretamente con il cancelliere Bethmann Hollweg e gli avevano promesso il proprio incondizionato appoggio in caso di guerra.

Dal giorno della dichiarazione di guerra della Germania alla Russia, 1° agosto 1914, tutta la stampa socialdemocratica tedesca si unì attivamente alla sfrenata campagna sciovinista dei giornali junker-borghesi, invitando le masse a “difendere la patria dalla barbarie russa” ed a combattere “fino alla vittoria finale”.

Il 3 agosto il gruppo socialdemocratico al Reichstag decise di approvare a schiacciante maggioranza di voti (14 contrari) le proposte del governo sui crediti di guerra; il 4 agosto i socialdemocratici, assieme ai deputati della borghesia e degli junkers, votarono all’unanimità per i crediti di guerra.

L’aperto tradimento attuato dai capi socialdemocratici in un’ora così piena di pericoli, demoralizzò la classe operaia tedesca, scompaginò le sue file e la privò della possibilità di attuare una resistenza organizzata alla politica degli imperialisti. L’apparato di partito e la stampa della socialdemocrazia tedesca e dei sindacati si posero al servizio della guerra imperialista.
I redattori dell’organo centrale socialdemocratico, “Vorwarts”, si impegnarono con il comandante militare della marca brandeburghese a non toccata nel loro giornale nessuna questione “della lotta di classe e dell’odio di classe”.

La solidarietà proletaria internazionale fu tradita anche dal Partito Socialista Francese. Il 31 luglio 1914, dopo una campagna provocatoria dei circoli reazionari, fu assassinato Jean Jaurès, che aveva preso posizione contro lo scatenamento della guerra.
Gli operai attendevano che i capi li chiamassero alla lotta, ma il 4 agosto, ai funerali di Jaurès, i lavoratori udirono dai dirigenti del partito socialista e della Confederazione Generale del Lavoro solo inviti proditori all’ “unità nazionale” e alla cessazione della lotta di classe.

I social-sciovinisti francesi affermavano che i paesi dell’Intesa facevano solo una guerra difensiva e che erano i “portatori del progresso” nella lotta contro il prussianesimo aggressivo. In seguito si chiarì che già prima dell’uccisione di Jaurès il governo aveva ordinato di non impiegare misure repressive contro alcune migliaia dei più noti socialisti e dirigenti sindacali, che in precedenza aveva previsto di arrestare se fosse iniziata la guerra.

Il governo era sicuro che gli opportunisti tenevano abbastanza solidamente nelle proprie mani i fili della direzione sia del partito socialista che della Confederazione Generale del Lavoro. Poco dopo la dichiarazione di guerra, i socialisti Jules Guesde, Marcel Sembat e più tardi Albert Thomas occuparono incarichi ministeriali.

Nel Belgio il leader del partito socialista Emile Vandervelde, presidente dell’Ufficio socialista Internazionale, divenne ministro della giustizia.
Anche il Partito Socialdemocratico Austriaco assunse una posizione di tradimento.
Negli inquieti giorni dopo l’attentato di Sarajevo i dirigenti del Partito Socialdemocratico Austriaco, pur dichiarando di essere pronti a difendere la pace, affermavano nello stesso tempo che all’Austria dovevano essere concesse delle “garanzie” da parte della Serbia.
Dopo queste manifestazioni di sciovinismo seguì l’approvazione delle misure militari del governo.
I laburisti inglesi votarono in Parlamento per i crediti militari.

Una posizione social-sciovinista “difensista” fu assunta anche dai menscevichi e dai socialisti rivoluzionari russi; sotto la copertura della fraseologia pseudo-socialista, essi invitavano gli operai alla difesa della Russia zarista ed alla pace civile con la “propria” borghesia.

Contro i crediti di guerra votarono i socialdemocratici serbi.
Una giusta posizione in rapporto alla guerra fu presa anche dai socialisti di sinistra bulgari, dalle sinistre nella direzione del partito socialdemocratico romeno, dalla sinistra tedesca con alla testa Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg e da elementi delle sinistre internazionaliste in altri partiti.

Una conseguente linea internazionalista fu adottata dai bolscevichi.
Il gruppo parlamentare bolscevico nella IV Duma votò coraggiosamente contro il bilancio di guerra; per il loro atteggiamento rivoluzionario i deputati bolscevichi furono sottoposti a giudizio e deportati in Siberia.

Quando scoppiò la guerra, il capo del partito bolscevico Vladimir Ilic Lenin viveva in una piccola cittadina galiziana, Poronin, vicino al confine russo. Il 7 agosto, per disposizione delle autorità austriache, fu effettuata una perquisizione nell’appartamento di Lenin ed il giorno successivo egli venne arrestato e rinchiuso nella prigione della città distrettuale di Novy Targ (Neumarkt).

Dopo l’intervento di alcuni socialdemocratici austriaci e polacchi, gli organi di polizia dovettero liberare Lenin, il 19 agosto, e le autorità austriache gli concessero l’autorizzazione a partire per la Svizzera. Arrivato a Berna, Lenin, all’inizio di settembre, elaborò le sue tesi sui “Compiti della socialdemocrazia rivoluzionaria nella guerra europea”.

Il 6-8 settembre del 1914 si tenne a Berna una riunione del gruppo locale dei bolscevichi, nella quale fu ascoltata la relazione di Lenin e vennero accettate le sue tesi sulla guerra. Poco tempo dopo esse furono inviate in Russia ed alle sezioni all’estero del partito bolscevico. In queste tesi ed anche nel manifesto del Comitato Centrale del POSDR (B) (Partito Operaio Socialdemocratico Russo-Bolscevico) “La guerra e la socialdemocrazia russa” scritto all’inizio dell’ottobre del 1914, Lenin con la genialità di un grande stratega proletario indicò i compiti che stavano dinanzi al proletariato della Russia e di tutto il mondo.

Mentre i leaders di destra dei partiti socialisti affermavano che la guerra allora iniziata era per i loro paesi una guerra difensiva, Lenin dimostrò che la guerra aveva un carattere imperialista per ambedue le coalizioni combattenti: “La conquista delle terre e l’assoggettamento delle nazioni straniere,la rovina delle nazioni concorrenti, la rapine delle loro ricchezze, la deviazione dell’attenzione delle masse lavoratrici dalle crisi politiche interne della Russia, della Germania, dell’Inghilterra e degli altri paesi, la disunione e l’istupidimento nazionalista degli operai e la distruzione della loro avanguardia per indebolire il movimento rivoluzionario del proletariato – tale è l’unico effettivo contenuto, il significato ed il senso della guerra attuale”. (V. I. Lenin: “La guerra e la socialdemocrazia russa”.)

Il partito bolscevico con alla testa Lenin fissò fermamente e senza tentennamenti il suo atteggiamento nei confronti della guerra imperialista. La posizione elaborata dai bolscevichi corrispondeva agli interessi della classe lavoratrice di tutti i paesi.
Condannando le ingannevoli parole d’ordine della pace civile e della collaborazione di classe fatte proprie dai social-sciovinisti, il partito bolscevico avanzò la parola d’ordine rivoluzionaria internazionalista della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile.

Questa parola d’ordine presupponeva la realizzazione di misure concrete: il rifiuto incondizionato di votare per i crediti militari, l’uscita obbligatoria dei rappresentanti dei partiti socialisti dai governi borghesi, il pieno rifiuto di qualsiasi accordo con la borghesia, la creazione di organizzazioni illegali in quei paesi dove ancora esse non esistevano, l’appoggio alla fraternizzazione dei soldati al fronte, l’organizzazione di azioni rivoluzionarie della classe lavoratrice.

In contrapposizione all’invito dei social-sciovinisti di difendere la patria dei latifondisti e dei borghesi, i bolscevichi portarono avanti la parola d’ordine della sconfitta del “proprio” governo nella guerra imperialista. Questo significava che la classe lavoratrice doveva utilizzare il reciproco indebolimento degli imperialisti per il rafforzamento della lotta rivoluzionaria e per il rovesciamento delle classi dominanti.

Bollando con decisione il tradimento della causa del socialismo, perpetrato dai leaders dei partiti socialisti, Lenin prese posizione per la completa rottura con la fallita II Internazionale. Analizzando il contenuto ideologico politico del social-sciovinismo, egli mise in luce il suo diretto legame con l’opportunismo della socialdemocrazia d’anteguerra.

Una posizione ipocrita fu presa dai social-sciovinisti coperti, i centristi, che si sforzavano di abbellire il social-sciovinismo con frasario ortodosso “marxista”.
Kautsky sosteneva “la reciproca amnistia” dei social-sciovinisti di tutti i paesi belligeranti e il loro “uguale diritto” alla difesa della “propria” patria borghese e compiva ogni sforzo possibile al fine di nascondere agli operai il fallimento della II Internazionale.

Nonostante le molte vittime e le perdite provocate dal terrore governativo, il partito bolscevico in Russia passò, in modo organizzato al lavoro illegale, unendo la classe operaia nella lotta contro la guerra imperialistica.
Avendo rotto definitivamente con la II Internazionale, i cui capi si trovavano di fatto alleati con la borghesia imperialista dei propri paesi, esso portò avanti il problema dell’organizzazione e dell’unione di tutte le forze rivoluzionarie della classe operaia internazionale, cioè della creazione di una nuova Internazionale, la III.

2. Le operazioni militari nel 1914

Lo schieramento degli eserciti dei paesi belligeranti

Al momento delle prime operazioni decisive furono mobilitati eserciti con enormi effettivi: l’Intesa 6.179.000 uomini, gli imperi centrali 3.568.000 uomini; l’artiglieria dell’Intesa contava 12.134 bocche da fuoco leggere e 1.013 pesanti, quella degli imperi centrali 11.232 leggere e 2.244 pesanti, senza considerare l’artiglieria da fortezza.
Nel corso della guerra i contendenti aumentarono progressivamente le proprie forze armate.

Nel teatro delle operazioni militari dell’Europa occidentale le truppe tedesche (7 armate e 4 corpi di cavalleria) occupavano un fronte di circa 400 chilometri, dal confine olandese fino a quello svizzero. Nominalmente il comandante supremo delle armate germaniche era l’imperatore Guglielmo II; di fatto la direzione delle stesse era affidata al capo dello Stato Maggiore, von Moltke junior.

Le armate francesi erano schierate fra il confine svizzero ed il fiume Sambre su un fronte di circa 370 chilometri. Il comando francese aveva formato 5 armate, ed alcuni gruppi di divisioni di riserva; la cavalleria strategica era stata riunita in due corpi e in un certo numero di divisioni singole. A comandante in capo delle armate francesi era state, destinato il generale Joffre.
L’esercito belga, sotto il comando del re Alberto I, era schierato sui fiumi Gene e Dijle.
Il corpo di spedizione inglese, composto di 4 divisioni di fanteria e di una divisione e mezzo di cavalleria, sotto il comando del generale French, al 20 agosto si era concentrato nella zona di Maubeuge.

Gli eserciti dell’Intesa schierati nel teatro di operazioni europeo occidentale erano composti da 75 divisioni francesi, 4 inglesi e 6 belghe ed avevano contro 86 divisioni di fanteria e 10 divisioni di cavalleria tedesche.
Praticamente nessuna delle parti aveva la superiorità di forze necessaria per assicurarsi un successo decisivo.

La Russia schierò sul suo fronte nord-occidentale la I e la II armata (17 divisioni e mezzo di fanteria e 8 divisioni e mezzo di cavalleria); contro di essa i tedeschi avevano schierato la loro VIII armata composta di 15 divisioni di fanteria e 1 divisione di cavalleria. Alle 4 armate russe del fronte centrale si contrapponevano 3 armate austriache rafforzate da un gruppo di armate e da un corpo formato da 3 divisioni di fanteria e da 1 divisione di cavalleria.

Un’armata russa serviva da copertura da Pietroburgo al litorale baltico, mentre un’altra copriva il confine con la Romania e il litorale del Mar Nero; gli effettivi totali di queste 2 armate contavano 12 divisioni di fanteria e 3 di cavalleria.
Il comando supremo delle armate russe era affidato al principe Nicola Nikolajevič, mentre a capo di Stato Maggiore fu nominato il generale Januškevič (in seguito nel 1915 il posto di comandante in capo supremo fu occupato da Nicola II, mentre capo di Stato Maggiore divenne il generale Alekseev).

Le armate austro-ungariche erano dirette dal capo di Stato Maggiore generale Conrad von Hötzendorf.

I fronti d’operazione dell’Europa occidentale e orientale furono i principali nel corso di tutta la guerra; le operazioni nei rimanenti teatri ebbero un ruolo di secondaria importanza.

Le forze navali

All’inizio della guerra l’Intesa possedeva la superiorità assoluta delle forze navali. Essa aveva in particolare 23 navi di linea e da battaglia contro 17 del blocco austro-germanico. Ancora maggiore era la superiorità dell’Intesa in incrociatori, cacciatorpediniere e sottomarini. Le forze navali inglesi erano concentrate in prevalenza nei porti al nord del paese, a Scapa Flow, quelle francesi nei porti del Mare Mediterraneo, quelle tedesche a Helgoland, a Kiel e a Wilhelmshaven.
Negli oceani ed anche nel Mare del Nord e nel Mediterraneo dominavano le forze navali dell’Intesa.

Nel Mar Baltico, dato che il programma russo di costruzioni navali militari non era stato completato, la flotta tedesca aveva una certa superiorità. Nel Mar Nero la flotta turco-tedesca, che includeva gli incrociatori veloci “Goeben” e “Breslau” (che avevano ricevuta la denominazione turca “Sultan Selim Javuz” e “Midilli”), nella prima fase della guerra, era nettamente superiore.

Da questo rapporto di forze delle flotte derivarono i piani di guerra sul mare delle due parti.
La flotta germanica fu obbligata a rinunciare ad operazioni attive; soltanto alcuni incrociatori tedeschi furono inviati per operazioni di disturbo sulle rotte oceaniche.
Le forze navali anglo-francesi, particolarmente la flotta inglese, furono in grado di realizzare il blocco delle coste e delle basi militari navali tedesche e di assicurare le vie di comunicazione a loro disposizione. Questa superiorità sul mare giocò un grande ruolo nell’ulteriore corso della guerra.

Le operazioni militari nel teatro di guerra della Europa occidentale

Le attività militari nel teatro di operazioni dell’Europa occidentale ebbero inizio il 4 agosto con l’invasione del territorio del Belgio da parte delle truppe tedesche e con l’attacco alla fortezza di Liegi. Due giorni prima, il 2 agosto, reparti avanzati dell’esercito germanico avevano occupato il Lussemburgo. I tedeschi violarono così la neutralità di questi due Stati, benché in precedenza, come gli altri Stati europei, l’avessero solennemente garantita. Il debole esercito belga, dopo dodici giorni di tenace difesa, ripiegò da Liegi su Anversa. Il 21 agosto i tedeschi presero, senza combattimento, Bruxelles.

Attraversato il Belgio, le truppe tedesche (secondo il piano Schlieffen) irruppero con la propria ala destra nel dipartimento del nord della Francia ed iniziarono una avanzata in direzione di Parigi. Tuttavia le truppe francesi, ritirandosi, opposero una tenace resistenza, mentre si preparavano ad una contromanovra. La massima concentrazione di forze contemplata dal piano tedesco, in questo settore di attacco del fronte apparve impossibile.

Sette divisioni furono impiegate per l’assedio e poi per mantenere Anversa, Civet, Maubeuge, mentre il 26 agosto, nel momento culminante dell’offensiva, i tedeschi dovettero gettare sul teatro delle operazioni militari dell’Europa orientale due corpi d’armata ed una divisione di cavalleria, dato che il comando supremo russo, sebbene non avesse ancora completato il concentramento delle proprie forze, aveva intrapreso, su insistente richiesta del governo francese, operazioni di attacco nella Prussia orientale.

Dal 5 al 9 settembre nelle pianure della Francia, fra Verdun e Parigi, si sviluppò una grandiosa battaglia, cui parteciparono sei armate anglo-francesi e cinque tedesche, con circa due milioni di uomini; nel contempo furono impiegate più di seicento bocche da fuoco pesanti e circa seimila leggere. La VI armata francese, di nuova formazione, assestò un serio colpo all’ala destra della I armata tedesca, che aveva il compito d’accerchiare Parigi per congiungersi poi con le truppe tedesche che operavano a sud della capitale.

Il comando tedesco fu costretto a togliere un corpo d’armata dal settore sud del proprio schieramento e a gettarlo verso occidente. Sul resto del fronte gli attacchi tedeschi furono energicamente respinti dalle truppe francesi. Il comando in capo tedesco non disponeva delle necessarie riserve e di fatto in quel momento non era neppure padrone della situazione, avendo concesso pieni poteri decisionali ai comandanti delle singole armate. Al termine della giornata dell’8 settembre le truppe tedesche avevano perduto definitivamente l’iniziativa dell’offensiva.

In conclusione esse avevano perduto la battaglia, che secondo i piani della Stato Maggiore avrebbe dovuto decidere del destino della guerra. La causa principale della sconfitta fu la sopravvalutazione delle proprie forze da parte del comando supremo tedesco, un errore di calcolo che stava alla base del piano strategico di Schlieffen.

La ritirata delle armate germaniche sul fiume Aisne avvenne senza particolari difficoltà, perché il comando francese non utilizzò le possibilità che gli si erano presentate per l’ulteriore sfruttamento del proprio successo.
I tedeschi tentarono di staccarsi dall’avversario per occupare la costa nord della Francia e rendere difficoltoso l’ulteriore sbarco delle truppe inglesi, ma in questa “corsa al mare” subirono un insuccesso.

Dopo questi avvenimenti le grosse operazioni strategiche sul teatro dell’Europa occidentale cessarono per lungo tempo. Tutte e due le parti passarono alla difesa, dando inizio alla guerra di posizione.
Il 14 settembre Moltke dava le dimissioni e a suo successore era destinato il generale Falkenhayn.

Il teatro delle operazioni militari dell’Europa orientale

Gli avvenimenti sul teatro di guerra dell’Europa orientale giocarono un importante ruolo nel fallimento del piano strategico tedesco. Qui ambedue le parti avevano iniziato attive operazioni militari. Sulle azioni delle truppe russe avevano avuto influenza il ritardo nella mobilitazione, nella concentrazione strategica e nello schieramento dell’esercito ed anche la dipendenza del comando russo dagli accordi della convenzione militare franco-russa.

Quest’ultima circostanza comportò il dislocamento di grosse forze in direzioni meno importanti dal punto di vista degli interessi strategici e politici propri della Russia zarista. Inoltre gli impegni militari verso la Francia obbligarono il comando russo ad iniziare operazioni impegnative prima di aver completato la concentrazione delle truppe.

Il primo periodo della campagna del 1914 sul teatro europeo orientale fu caratterizzato da due grosse operazioni: quella nella Prussia orientale e quella nella Galizia. La I e la II armata del settore nord-occidentale del fronte russo, pur non avendo ancora completato il proprio concentramento, iniziarono l’avanzata nella Prussia orientale il 17 agosto, mentre era in corso l’offensiva tedesca in occidente.

Il corpo tedesco che si era mosso contro la I armata russa fu battuto il 19 agosto in uno scontro presso Stallupönen. Il 20 agosto sul fronte tra Gumbinnen e Goldap si scatenò una grossa battaglia fra la I armata russa e l’VIII armata tedesca. I tedeschi furono sconfitti e costretti a ritirarsi, e alcuni corpi persero fino ad un terzo dei loro organici. Soltanto l’inesatta valutazione della situazione e la tattica passiva dell’inetto comandante della I armata russa, il generale Rennenkampf, dettero alle truppe tedesche la possibilità di sfuggire ad una rotta definitiva.

La II armata russa, sotto il comando del generale Samsonov, aveva passato su largo fronte il confine meridionale della Prussia orientale e condotto un attacco sul fianco e sulle retrovie dell’VIII armata tedesca a occidente dei laghi Masuri. Il comando tedesco aveva gia deciso di ritirare le truppe oltre la Vistola inferiore e di abbandonare la Prussia orientale. Però il 21 agosto, convintosi dell’incapacità offensiva di Rennenkampf, adottò un altro piano: dirigere quasi tutte le proprie forze contro la II armata russa. Questa manovra fu realizzata dal nuovo comando formato dai generali Hindenburg e dal suo capo di Stato Maggiore Ludendorff che aveva sostituito Prittwitz.

Mentre le truppe tedesche venivano trasferite verso sud, la II armata russa s’incuneava in profondità nella Prussia orientale. Le condizioni in cui si svolgeva l’offensiva erano difficili: le retrovie male preparate non assicuravano i rifornimenti, le truppe erano stanche e disperse su un largo fronte, i fianchi male protetti, il servizio informazioni organizzato in modo scadente. Inoltre regnava il disaccordo sulla condotta delle operazioni tra i comandi delle armate, del fronte e del Quartier generale.

Utilizzando la ben articolata rete ferroviaria, il comando tedesco concentrò sui fianchi della II armata russa forti gruppi d’assalto e passò all’attacco alla fine di agosto. Due corpi russi, che erano avanzati al centro, caddero nell’accerchiamento e rimasero decimati. Alla metà di settembre l’armata russa fu respinta dalla Prussia orientale. L’operazione offensiva del fronte nord-occidentale russo terminò pertanto con un insuccesso.

Le perdite russe furono enormi: circa un quarto di milione di soldati ed una grande quantità di armamenti. Fu questo il prezzo pagato dal comando russo per alleggerire il fronte occidentale.

Anche i combattimenti sul fronte sud-occidentale russo ebbero un posto importante nel corso generate delle operazioni del 1914. Più di cento divisioni delle due parti parteciparono qui alle battaglie. Il 18 agosto ebbe inizio l’attacco dell’VIII armata russa del generale Brusilov ed il 23 agosto si sviluppò una grandiosa battaglia su un fronte di più di trecento chilometri.

L’armata russa sconfisse le truppe austro-ungheresi, occupò Leopoli e le obbligò alla ritirata al di la del fiume San. Inseguendo il nemico, le truppe russe lo respinsero oltre il flume Dunajec e verso i Carpazi, bloccando l’importantissima fortezza austriaca di Przemysl. Nella disfatta delle truppe austro-ungariche giocò un grande ruolo anche il fatto che i soldati delle nazionalità slave, in particolare i cechi e gli slovacchi, si davano prigionieri a decine di migliaia.

L’operazione in Galizia durò più di un mese e terminò con la vittoria delle truppe russe. Alla fine di settembre, al comando russo si pose la questione dei piani per le ulteriori operazioni. Inizialmente si voleva completare la disfatta delle armate austro-ungariche, forzare i Carpazi e penetrare in Ungheria. Però gli insuccessi nella Prussia orientale avevano creato sfiducia nel successo delle operazioni offensive.

Gli alleati dal canto loro chiedevano al comando supremo russo di condurre l’attacco non contro l’Austria-Ungheria ma contro la Germania per obbligarla ad alleggerire la pressione in occidente. Dopo qualche esitazione, il comando russo decise di dirigere le forze principali delle proprie armate contro la Germania ed a questo scopo le raggruppò dietro al fiume San, sul corso medio della Vistola, in direzione di Varsavia.

Nel frattempo il comando tedesco, preoccupato per la sconfitta del suo alleato austro-ungarico e per la creazione di una minaccia diretta ai centri industriali della Slesia, decise di vibrate un corpo ai fianchi ed alle retrovie delle armate russe. Come risultato di questo raggruppamento dei due avversari, si ebbero battaglie sulla linea Deblin-Varsavia, su di un fronte di trecento chilometri.

Negli ultimi giorni di settembre il comando germanico iniziò l’attacco verso la Vistola e operò con un forte gruppo di truppe su Varsavia. Sotto le mura della città avvennero sanguinosi combattimenti, nel corso dei quali la superiorità delle forze passò gradualmente dalla parte delle truppe russe.

Inseguendo la IX armata germanica e la I armata austriaca, le truppe russe giunsero, l’8 novembre, sulla linea del flume Warta – monti Carpazi. Alle truppe russe si apriva la possibilità di una profonda penetrazione in Germania.
Il comando tedesco percepì concretamente questo pericolo ed adottò adeguate misure: “La gioventù capace di portare le armi fu evacuata dalle province di confine – scriveva Ludendorff nelle sue memorie. Le miniere polacche in taluni luoghi furono messe fuori servizio e furono prese misure per la distruzione delle ferrovie tedesche e delle miniere della zona di confine”.
Questi provvedimenti, secondo le parole di Ludendorff, avevano diffuso il panico in tutte le province di confine.

Il fronte dell’Europa orientale aveva nuovamente distolto grosse forze tedesche dall’occidente. Al comando russo non riuscì, tuttavia, di realizzare l’invasione della Germania. Le armate austro-tedesche, a prezzo di pesanti perdite, seppero fermare l’attacco delle forze russe. Alla riuscita dell’operazione giovarono le gravi insufficienze nella direzione operativo-strategica del comando russo. In quell’epoca s’incominciava a sentire acutamente l’insufficienza dell’armamento e delle munizioni, che si trasformò in problema permanente per le truppe russe.

Il fronte austro-serbo

Sul fronte austro-serbo le truppe austriache iniziarono l’offensiva il 12 agosto. Da principio essa ebbe successo, ma in breve i serbi passarono al contrattacco, sgominarono le truppe austriache catturando cinquantamila prigionieri, numeroso bottino militare e rigettando gli attaccanti dal territorio serbo.

Nel settembre il comando austro-ungarico intraprese nuovamente un’operazione offensiva. Verso il 7 novembre, in seguito all’insufficienza di munizioni ed alla minaccia di accerchiamento, l’esercito serbo fu costretto a ritirarsi all’interno del paese, abbandonando Belgrado. Nei primi giorni di dicembre, dopo aver ricevuto dai paesi dell’Intesa aiuti di artiglieria e munizioni, i serbi passarono nuovamente al contrattacco, sconfissero il nemico e per la seconda volta lo rigettarono fuori dai confini della Serbia.

Il fronte caucasico e le operazioni militari nel territorio della Persia

Nella Transcaucasia le truppe russe ottennero nel corso del mese di novembre notevoli successi in direzione di Erzurum, Alaškert e Van. Nel dicembre le truppe turche, guidate da Enver-Pascià e da istruttori tedeschi, intrapresero un’importante operazione nella zona di Sarikamiş con l’obiettivo di sbaragliare le forze russe qui concentrate. Nella contromanovra delle truppe russe il IX corpo turco fu circondato e gli scampati, con alla testa il comandante del corpo ed i comandanti di divisione, capitolarono.

Dopo la sconfitta, le truppe turche arretrarono con notevoli perdite. La campagna del 1914 sul teatro turco-caucasico si concludeva perciò con importanti successi delle truppe russe. Le azioni militari si estesero anche al territorio della Persia. Quantunque il governo persiano avesse dichiarato la sua neutralità, nessuna delle parti combattenti era disposta a rispettarla.
Nel novembre 1914 le truppe turche, contemporaneamente a un attacco sul fronte caucasico, irruppero nell’Azerbaigian persiano.

La Russia in quel periodo combatteva accanitamente sul proprio fronte occidentale e non poteva trasferire immediatamente forze rilevanti sul nuovo fronte. Va pure aggiunto che gli alleati occidentali della Russia zarista si erano pronunciati contro il trasferimento di rinforzi russi in Persia. Il governo inglese temeva che i successi delle truppe russe portassero ad un rafforzamento della posizione della Russia nella Persia a spese dell’influenza inglese.

L’occupazione dell’Azerbaigian persiano da parte della Turchia fu di breve durata. La disfatta delle truppe turche presso Sarikamiş alla fine del gennaio 1915 permise al comando russo di sviluppare l’offensiva ed occupare l’Azerbaigian persiano; i turchi riuscirono a mantenere sotto il loro controllo soltanto alcune regioni della Persia occidentale.

La guerra sul mare

Nel 1914 le navi tedesche effettuarono operazioni con incrociatori nelle zone delle isole delle Antille, nell’Oceano Indiano e Pacifico. Inizialmente queste operazioni ebbero successo e provocarono serie preoccupazioni ai comandi navali inglese e francese. La squadra tedesca d’incrociatori dell’ammiraglio von Spee batté presso Coronet, il 1° novembre 1914, una squadra inglese, affondandone due incrociatori.

Ma l’8 dicembre gli inglesi riuscirono a raggiungere la squadra di Spee assieme all’incrociatore “Dresden”, che si era unito ad essa, ed a sbaragliarla presso le isole Falkland. Tutte le navi di von Spee furono affondate. Il “Dresden”, che era riuscito a sfuggire, fu affondato nel marzo del 1915.

Nel Mare del Nord le operazioni navali ebbero un carattere limitato. Il 28 agosto una squadra inglese di incrociatori dell’ammiraglio Beatty effettuò un’incursione nella baia di Helgoland. Lo scontro con incrociatori tedeschi si concluse a favore degli inglesi: tre incrociatori ed un cacciatorpediniere tedeschi furono affondati, mentre gli inglesi subirono danni a un solo incrociatore.
Lo scontro di Helgoland sottolineò ancora una volta la superiorità della flotta inglese.

Già nei primi mesi della guerra i mezzi sottomarini avevano avuto un grande ruolo nelle operazioni marittime. Il 22 settembre un sommergibile germanico riuscì ad affondare, uno dietro l’altro, tre incrociatori corazzati inglesi, che effettuavano servizio di pattugliamento.
L’importanza del nuovo mezzo di lotta crebbe assai dopo queste operazioni. Nel Mar Nero il 18 novembre la squadra russa si scontrò con il “Goeben” e la “Breslau” ed inflisse al primo notevoli danni. Questo successo assicurò alla flotta russa la superiorità nel Mar Nero.

Il principale risultato della lotta sul mare fu tuttavia il blocco delle coste tedesche da parte dell’Inghilterra, che ebbe un’enorme influenza nei corso della guerra.

Il bilanco delle operazioni del 1914

In complesso si può dire che le operazioni del 1914 si chiusero a favore dell’Intesa. Le truppe tedesche erano state sconfitte sulla Marna, quelle austriache in Galizia ed in Serbia, quelle turche presso Sarikamiş. In Estremo Oriente nel novembre 1914 il Giappone aveva occupato il porto di Tsingtao, le isole Caroline, le Marianne e le Marshall, che appartenevano alla Germania, mentre le truppe inglesi si erano impadronite dei rimanenti possedimenti della Germania nell’Oceano Pacifico.

Le truppe anglo-francesi in Africa, gia all’inizio della guerra si erano impossessate del Togo. Nel Camerun e nell’Africa orientale tedesca le operazioni militari assunsero un carattere indeciso, ma praticamente anche queste colonie, tagliate fuori dalla metropoli, furono perdute per la Germania.

Alla fine del 1914 divenne evidente il fallimento dei calcoli germanici a proposito di una guerra-lampo di breve durata, la cosiddetta “guerra fino alla caduta delle foglie autunnali”. Si era invece iniziata una lunga guerra di esaurimento. Tra l’altro, l’economia dei paesi belligeranti non era ancora preparata a una prolungata condotta bellica nelle nuove circostanze.

Le sanguinose battaglie della campagna del 1914 avevano esaurito le truppe, mentre le riserve non erano state ancora approntate. Non bastavano le armi, e mancavano i proiettili perché l’industria bellica non riusciva a soddisfare alle necessità delle armate. Particolarmente grave era la situazione dell’esercito russo. Le enormi perdite avevano dimezzato in numerose unità gli effettivi; le scorte di armi e munizioni consumate non venivano quasi reintegrate.

La formazione di nuovi fronti e la guerra di posizione provocarono la ricerca di nuove vie per la risoluzione dei compiti strategici. Il comando supremo germanico decise lo spostamento delle operazioni militari fondamentali contro la Russia allo scopo di provocarne la sconfitta e costringerla ad uscire dalla guerra.

Il settore principale della guerra mondiale nel 1915 divenne in tal modo il fronte orientale.

Continua…

“Non ci sono alternative alla fine dell’austerità. E nemmeno trattative”. Intervista a Vladimiro Giacché Autore: fabio sebastiani da :controlacrisi.org

Molti stanno utilizzando l’inciampo della Germania come un argomento per trattare una maggiore flessibilità nel prossimo confronto europeo. Non ti sembra un po’ puerile?
La Germania non è in crisi nel senso della recessione. E questo nonostante l’ultimo dato congiunturale del Pil. I rischi di recessione secondo gli esperti sono aumentati. E sono ancora più seri di come emerge dai dati, nel senso che nel trimestre non sono conteggiati i contraccolpi per la Germania della crisi con la Russia.

Quali sono le valutazioni in Germania sulle difficoltà nella crescita?
Si è aperto un dibattito che è stato innescato dalla Buba sui margini che ci sarebbero per aumetnare i salari. E’ uscita una intervsita sul FAZ a Weidman che parla di aumenti salariali del 3%. Si è scatenato un putiferio, al quale Weidman ha dovuto rimediare con più di qualche precisazione. E gli industriali tedeschi lo hanno perdonato.I nodi con la Germania li conosciamo. Il punto è come costringerli a cambiare.
Dai dati dell’ultimo trimestre tedesco i fattori negativi parlano di un calo delle esportazioni, soprattutto nel Sud Europa, di un tasso basso di investimento e la domanda interna che non tira. E’ da quindici anni che non tira perché gli aumenti di produttività non sono stati trasferiti nei salari. E’ chiaro che per loro, il primo dei compiti a casa è reflazionare, cioè aumentare la domanda interna. Loro stessi si rendono conto che qualche sforzo lo devono fare. E’ quello che sta dicendo la Linke non da oggi. Il mercantilismo tedesco tiene bassi i salari e quindi sull’onda vengono fuori i problemi degli altri paesi. Nel momento in cui questo modello va in crisi è chiaro che si imballa tutto il sistema.

E i compiti della Bce, che in questo momento si trova accerchiata da dollaro debole, disoccupazione e deflazione?
La cosa paradossale è proprio questa, che fino ad oggi i compiti la Bce non li ha fatti. Ho trovato singolari le dichiarazioni di Draghi sulla sovranità degli stati dell’Ue. Fuori luogo, sia nel merito, perché non rientra nel suo mandato; ma anche perché sono loro che non si stanno muovendo. Sono alla prese con una deflazione che potrebbe avere effetti catastrofici. Il problema è che in questa situazione in cui l’aumento dei prezzi è vicino allo zero, con alcuni poaesi come Grecia e Portogallo in cui è già realtà. Il trattato impone alla Bce di mantenere l’inflazione a un livello prossimo al due per cento. Siamo a zero da diversi mesi e il trend è chiaro per tutti. E la Bce ha ultieriolmente ribassato i tassi e per il resto non ha fatto nulla. Draghi ha parlato di fantasmagoriche misure. E per farlo dovrebbe compare titoli di Stato di diversi paesi, scontrandosi con l’opposizione della Germania.

E’ riformabile l’austerità come intende Renzi?
Il terzo nodo è la fine delle politiche di austerity. Ho detto la fine e non la correzione o gli sconti. Dovrebbe essere chiaro a tutti che chiunque oggi deve fare i conti con il fatto chce nella seconda metà del 2011 siamo ripiombati nella crisi esclusivamente a causa delle politiche di austerity. Basta vedere i dati. La Germania ha fatto poiltiche espansive per 300 miliardi di euro. Noi abbiamo fatto politiche restrittive per cinque punti percentuali di Pil fino al 2013. Per noi è assolutamente decisivo che queste politiche vadano abbandonate. Sono politiche sbagliate. Devono finire per il semplice motivo che sono politiche che nascono per migliorare il debito pubblico e invece lo peggiorano. Per i rapporti di forza sfavorevoli e le complicità dei nostri governi queste politche le abbiamo ingoiate. E quel passaggio sul pareggio di bilancio in Costituzione è stato un atto sconsiderato e orribile. E’ il caso di prendere atto che si è trattato di un errore drammatico. Non possiamo permetterci nemmeno una forma moderata della continuazione di queste politiche. Anche per quanto riguarda la riduzione del debito, alle condizioni attuali lo scenario che si profila è drammatico perché quello che ci rimane in mano sono tasse e tagli.

Non si fermano nepopure davanti all’evidenza. Ma non è che il loro obiettivo è riportare il “costo del lavoro” a livelli infimi supplendo così ai vuoti di produttività e ai fallimenti di alcuni settori produttivi prima ad alto valore aggiunto?
E’ evidente che la Bce che in conformità con il pensiero unico continua a puntare sulle riforme strutturali che si riducono alla precarizzazione del lavoro. Devo dire che mi sembra che in Italia qualche segnale in controtendenza stia arrivando.Anche sui giornali non sospetti di simpatie a sinsitra si dice che le riforme strutturali non hanno senso. Quello che si desidera fare, togliendo un ostacolo ai licenziamenti, è spianare la strada a un aumento vertiginoso della disoccupazione vertiginoso. Si sta facendo strada la consapevolezza che quella è una strada sbagliata. C’è comunque una forte spinta in questa direzione. Credo che anche la parte più avvertita degli imprenditori sappia benissimo che questo non è il punto. La produttività deve recupare innanzitutto sui fattori infrastrutturali.

Per il resto?
Oramai non ci sono più scelte, il punto rimasto è l’abolizione dei vincoli europei. Quando la lista di Rivoluzione civile lo diceva era completamente isolata. Ho apprezzato la posizione di Renzi al Parlamento europeo. Il probelma, però, è cosa fai dopo. Non si può pensare di negoziare un brandello quando c’è da cambiare lo scenario complessivo. Le forze in Europa oggi ci sarebbero per isolare la Germania. Nulla di meno può essere fatto, altrimenti Renzi farà la fine dei suoi predecessori.

Non è troppo tardi per il QE? Cioè voglio dire, lo hanno già fatto gli americani, il mercato è saturo, no?
E’ chiaro che Draghi è sotto pressione per le poltiche monetarie degli Usa. Del resto se c’è stata la riduzione dello spread tra Btp e titoli di Stato tedeschi è perché c’è stata l’espansione monetaria. Questa arma però può essere una illusione, senza aver risolto i probelmi strutturali. La sostenibilità del debito si riproporrà. Lo spread basso può essere una droga che i rivolge contro nel giro di una settimana. Lo spread non è un indicatore per l’economia italiana.