Scuola, da oggi gli scioperi degli scrutini. Protesta Flc-Cgil contro le forzature del Governo Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Comincia oggi la serie degli scioperi degli scrutini indetti dai Cobas per protestare contro il disegno di legge sulla scuola attualmente in discussione al Senato. I Cobas hanno convocato lo sciopero degli scrutini (escludendo le classi “terminali”) l’8 e 9 giugno per Emilia-Romagna e Molise; il 9 e il 10 per Lazio e Lombardia; il 10 e l’11 per Puglia, Sicilia e Trentino; l’11 e il 12 per Liguria, Marche, Sardegna, Toscana,Umbria, Campania e Veneto; il 12 e il 13 per Abruzzo, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Val d’Aosta; il 17 e il 18 per l’Alto Adige. Uno sciopero è stato dichiarato anche da Flc-Cgil.

Ogni docente potrà scioperare la prima ora di ogni suo scrutinio. Successivamente, la decisione di “sfidare una eventuale precettazione” – si legge in una nota dei Cobas – spettera’ ai lavoratori/trici che decideranno in base alla sorte del Ddl al Senato.
L'”arma decisiva” per bloccare il Ddl di riforma della scuola e’ “il successo plebiscitario dello sciopero degli scrutini”, afferma Piero Bernocchi, portavoce nazionale Cobas, che si dice “fiducioso” che lo sciopero superera’ quello del 5 maggio, “bloccando almeno il 90% degli scrutini”. Intanto, prosegue a Bologna la protesta anche con uno sciopero della fame a staffetta che partirà alle 15 e si protrarrà fino alle 19 del 13 giugno.
La manifestazione si svolgerà in via Castagnoli sotto gli uffici dell’Ufficio scolastico regionale, 24 ore su 24, per chiedere il ritiro del Ddl scuola. “La scuola pubblica ha fame di uguaglianza – scrivono gli organizzatori dello sciopero a staffetta – di risorse, di diritti, di ascolto”. Di fronte alle scelte del Governo Renzi, proseguono i manifestanti, “non resta che opporre i nostri corpi allo snaturamento selvaggio della più importante istituzione culturale del nostro paese, organo costituzionale della Repubblica come ebbe a definirla Piero Calamandrei: la scuola pubblica così come l’abbiamo conosciuta, gratuita, accogliente, aperta a tutte e tutti, sta per essere cancellata sostituita da un sistema scolastico autoritario, differenziato, diseguale e quindi ingiusto”.
I digiunatori distribuiranno materiale informativo e avranno striscioni da stendere, oltre ad libro per raccogliere opinioni e commenti dei passanti. L’organizzazione punta a garantire la presenza di almeno due digiunatori, anche di notte, e sarà sempre presente un microfono/megafono aperto a disposizione di chi ha avrà qualcosa da dire a sostegno della causa. Sono previste anche piccole iniziative a sostegno della protesta: musica, cori e teatro.

Il tormentato percorso della legge si tinge di giallo. Il 3 Giugno mentre il Senato discuteva del DDL “brutta scuola” al Miur si e’ svolta una riunione per dare applicazione alla stessa riforma sulla parte che riguarda l’organico potenziato. Secondo quanto sostiene il sindacato Flc-Cgil, sembra sia stata data l’indicazione agli uffici regionali scolastici di rilevare i fabbisogni di organico per aree omogenee di attivita’, relative classi di concorso e per ambiti territoriali. E dopo quell’incontro sarebbero state emanate circolari da parte di acuni uffici regionali per chiedere ai dirigenti scolastici, previa pronuncia dei collegi dei docenti e sulla base di una scheda di rilevazione, di evidenziare le richieste di organico potenziato sulla base di quanto previsto nel DDL.

“Si tratta di un fatto gravisssimo del quale il MIUR dovra’ rispondere in Parlamento – si legge in una nota firmata dal segretario Flc Domenico Pantaleo – avendo notizie di numerose interrogazioni parlamentari già depositate. Non e’ possibile che mentre e’ in corso la discussione sul DDL, che incontra la radicale opposizione di tutto il mondo della scuola, il MIUR illegittimamente e peraltro appesantendo inutilmente il lavoro delle scuole faccia finta che il disegno di legge sia stato approvato. Chiediamo al MIUR di fare revocare tutte le circolari emanate illegittimamente e siamo pronti a chiamare in giudizio MIUR e direttori degli uffici regionali scolastici. Chiediamo ai collegi dei docenti di non esprimersi, rigettando eventuali richieste di delibere, essendo evidente la forzatura che ha solo l’obiettivo di agevolare l’iter di un disegno di legge inaccettabile e incostituzionale”.

Ttp e Ttip bloccati al Senato dalle opposizioni del partito democratico. Battuta d’arresto per Obama Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

L’obiettivo di Barack Obama di firmare in tempi brevi il Ttp il grande accordo commerciale con 11 Paesi dell’area del Pacifico, si blocca al Senato. L’attacco arriva dal cosiddetto “fuoco amico”, il gruppo di democratici che di fatto ha votato contro il proprio presidente, bloccando la legge che avrebbe dato alla Casa Bianca il potere di accelerare sull’intesa. Si tratta di quei poteri di “fast track” che Obama chiede da tempo al Congresso, per poter chiudere la complessa partita della Trans-Pacific Partnership.
Ora tutto e’ demandato al dibattito che si aprira’ in Congresso, con i tempi del TPP che inevitabilmente si allungheranno, rinviando quell’area di libero scambio che va dal Giappone all’Australia, dalla Corea del Sud alla Nuova Zelanda, passando per il Cile e il Messico. A questo punto però a cadere nelle maglie dell’opposizione potrebbe essere anche il Ttip, cioè l’accordo gemello che gli Usa stanno cercando di concludere con l’Europa.
Proprio pochi giorni fa dal quartier generale della Nike, in Oregon, Obama aveva lanciato un appello pubblico a fare in fretta. Ma l’effetto ottenuto è staato quello di aver portato allo scoperto le proteste. La Casa Bianca ha dovuto fare i conti con l’agguerrita pattuglia di democratici contrari, a partire da quelli appartenenti all’area liberal del partito, quella piu’ a sinistra rappresentata in particolare dalla senatrice Elizabeth Warren, protagonista negli ultimi giorni di un vero e proprio braccio di ferro con Obama. Ma determinante nello stoppare i piani del presidente è stato anche il ruolo del leader della minoranza democratica al Senato, Harry Reid.
Le obiezioni poste al TPP sono sostanzialmente tre, poste come ‘conditio sine qua non’ per concedere la ‘fast track’ al presidente: fornire assistenza ai lavoratori colpiti dall’accordo, a partire da quelli che subiscono le politiche di delocalizzazione; operare una stretta contro la manipolazione delle valute operata da alcuni Paesi che negoziano l’intesa; estendere il programma in scadenza che da’ la preferenza sul fronte degli scambi commerciali ai Paesi dell’Africa sub-sahariana.
Nei giorni scorsi un alto funzionario delle Nazioni Unite, in un’intervista al The Guardian, aveva avvertito i cittadini europei sulle conseguenze dell’approvazione del Trattato di libero scambio fra Stati Uniti ed Europa, i cui negoziati sono entrati nella fase cruciale. “L’Onu non vuole un ordine internazionale post democratico – dice il rappresentante dell’Onu Alfred de Zayas – Bisogna fare tesoro delle lezioni passate. Già in altri trattati internazionali le multinazionali sono riuscite a bloccare le politiche dei governi grazie all’aiuto di tribunali segreti che operavano al di fuori della giurisdizione nazionale. Lo stesso meccanismo si vuole riproporre con il Ttip”.

Italicum: peggio del Porcellum da: www.resistenze.org – osservatorio – italia – politica e società – 06-05-15 – n. 542

 


Fabrizio Casari | altrenotizie.org

04/05/2015

Con l’approvazione dell’Italicum da parte del Senato, si chiude l’iter legislativo per l’approvazione di un mostro tentacolare, che in un colpo chiude con il Senato elettivo e con parte della rappresentanza popolare della Camera dei Deputati. E’ una porcata, quella di Renzi, ispirata dall’ansia di potere che ormai l’attanaglia a livelli patologici. Ma soprattutto è un sonoro “me ne frego” rivolto alla Corte Costituzionale che aveva dichiarato incostituzionale il Porcellum proprio in ordine al mancato esercizio della rappresentanza dei cittadini (vedi preferenze). Impostazione che ora l’Italicum conferma e peggiora, dal momento che nega comunque le preferenze e, nei suoi effetti, trasforma un primo ministro in un duce.

Vediamo come. L’Italicum, che riscrive anche le circoscrizioni elettorali moltiplicandole, si regge su tre pilastri: la soglia di maggioranza, i capilista bloccati, la fine del Senato elettivo. L’aspetto più importante, che determina un’alterazione incostituzionale del potere legislativo e di quello esecutivo, è rappresentato dal premio di maggioranza, cui si accede in prima battuta se si ottiene il 40% dei voti. Già questo sarebbe inaccettabile, dal momento che si chiama premio di maggioranza proprio perché dovrebbe andare a chi ha la maggioranza, e non a chi ha il 40% che, a prova di matematica, maggioranza non è.

Ma il quadro è ancor più grave, perché nel caso in cui nessuna lista raggiungesse il 40%, il premio (il 55% dei seggi) non verrebbe escluso, ma invece assegnato al vincitore del ballottaggio tra le prime due liste, solo riducendolo del 2%. Non importa con quali percentuali potrebbe concludersi il ballottaggio, comunque il vincitore godrebbe del premio di maggioranza. La lista che ottenesse la maggioranza al secondo turno, quali che siano i numeri, anche solo il 20% dei voti ad esempio, avrà comunque il 53% dei seggi in Parlamento. Per meglio comprendere la porcata appena votata, giova ricordare che nel 1953 la Legge truffa venne affossata, benchè prevedesse almeno il 50% più uno come condizione per far scattare il premio.

Non bastasse l’oltraggio al criterio della rappresentanza, i capilista (100 deputati) saranno bloccati e non sottoponibili al voto di preferenza, riducendo così fortemente la volontà dei cittadini di scegliere i loro rappresentanti. Per quanto riguarda la formazione delle liste è poi fin troppo facile intendere come quei cento saranno gli scudieri affidabili del nuovo ducetto. Potranno essere candidati in 10 diversi collegi, con la possibilità quindi di opzioni multiple, da esercitare a seconda di chi è il numero due in lista.

Si tenga conto che con un premio di maggioranza che permette numeri assoluti in un Parlamento formato dai fedelissimi dell’Esecutivo, il Primo Ministro non solo azzererebbe le opposizioni, ma determinerebbe con un piccolissimo sforzo la scelta del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale, ovvero il garante della Costituzione e l’organismo istituzionale a questo deputati. Ovvero chi, promulgandole o esaminandole, devono decidere la costituzionalità o meno delle leggi che il Parlamento vota.

Per eliminare poi il rischio di un doppio passaggio legislativo, ecco che il Senato viene tolto dai poteri elettivi dei cittadini per passare a quelli dei partiti. Abolire il Senato come organo legislativo corrisponde ad un disegno autoritario, che spinge sull’acceleratore della riduzione della dialettica politica in funzione di una maggiore agilità della struttura di comando. La sua funzione prevista è meramente decorativa. Più che lo snellimento dei processi legislativi (che normalmente giacciono molto più tempo alla Camera, sia detto) questa riforma del Senato manifesta piuttosto l’intenzione di limitare i poteri di controllo e d’intervento legislativo sugli atti di governo e sulle deliberazioni della Camera.

Che un Parlamento delegittimato dalla sentenza della Consulta voti una legge incostituzionale è il paradosso di un sistema politico ormai avviato verso la vocazione autoritaria. Che Renzi ne sia il massimo esponente non stupisce: il personaggio è un brutto arnese del sottobosco della politica democristiana che ha potuto passeggiare sui resti di un partito distrutto da chi lo aveva preceduto. Dunque a confermare che Renzi sia abile fare quello che non dice e a dire quello che poi non fa, basti vedere come questa legge elettorale sia la negazione completa di quanto aveva affermato nel suo programma alle primarie del PD.

Si dirà d’altra parte che quasi tutto ciò che promise è stato negato con forza, dal rifiuto del consociativismo al famoso “Enrico stai sereno” rivolto a Letta mentre lo pugnalava alle spalle così come aveva fatto prima con Prodi, fino all’affermazione per la quale le riforme elettorali andavano fatte con un consenso bipartisan mentre ora si mette la fiducia senza avere nemmeno il consenso di tutto il suo partito. Ma la coerenza è un inutile sofisma per l’arrivista di Pontassieve, perché la vera posta in gioco è trasformare in un duce un premier. Renzi del resto, non risente di problemi di decenza e senso delle proporzioni, vista la sua propensione a governare il paese con piglio autoritario senza essere mai stato eletto dai cittadini.

I cantori del renzismo sostengono che questa legge risolve il problema della governabilità, dimenticandosi però che la governabilità è una subordinata rispetto alla rappresentatività che è invece la principale. Le elezioni sono fatte per dare la parola al popolo, non per togliergliela. Una legge elettorale, che pure deve tenere insieme rappresentatività e governabilità, non può vedere il prevalere della seconda sulla prima. Ogni legge elettorale decente, del resto, ha insito il principio della governabilità in quello della rappresentanza, non viceversa. Una legge che invece afferma il primato della governabilità su quello della rappresentanza, prefigura un oggettivo sistema autoritario.

Nonostante gli appelli dei costituzionalisti per fermare questa legge, che rappresenta in profondità un’alterazione dell’equilibrio tra i tre poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e che, con la riduzione dei contrappesi eleva oltre ogni decenza i pesi, difficilmente Mattarella troverà uno scatto d’orgoglio rifiutandosi di firmare una legge che in primo luogo lui, per competenze giuridiche, sa essere incostituzionale. Rimandare la legge alle Camere comporterebbe l’assunzione di un ruolo politico diretto del Presidente che il giurista siciliano, almeno per ora, non pare intenzionato a perseguire. Non ci sono allora strade diverse se non il referendum per abrogare questo sistema elettorale che nemmeno in una repubblica delle banane potrebbero trovare legittimo.

Le responsabilità di quanto approvato sono in buona misura anche della cosiddetta opposizione, dai Cinque Stelle alla minoranza interna del PD, che avrebbero potuto abbandonare il minuetto delle ridicole tecniche parlamentari per imporre sempre il voto segreto. Ma la minaccia del bulletto di andare al voto ha profilato negli onorevoli oppositori, M5S compresi, il panico per un eventuale uscita anticipata de Montecitorio con tutto quel che ne consegue. Hanno dunque parlato molto e agito poco. Sarà bene che i cittadini che si mobiliteranno per chiedere alla Consulta di bocciare l’Italicum, risentano di energie da vendere e memoria da conservare.

Riforme, la minoranza Pd e Pier Luigi Bersani voteranno sì alla Camera. Il massimo del dissenso: interventi critici e qualche defezione autore andrea carugati da: l’huffington post

 

PIER LUIGI BERSANI

ANSA

C’eravamo tanto arrabbiati. Dopo lo schiaffo sul Jobs act e la dura intervista di Pierluigi Bersani ad Avvenire a fine febbraio, il voto finale sulle riforme costituzionali – martedì mattina a Montecitorio – aveva preso la fisionomia di un vero e proprio redde rationem tra le due anime del Pd. E invece, dopo tanto rumore, nell’Aula della Camera non succederà praticamente nulla. O meglio, il testo che riforma Senato e Titolo V della Costituzione passerà senza problemi, con una grandissima massa di voti dem, compreso quello di Bersani e del grosso della sua corrente. Solo il duro Civati, e forse Fassina e qualche altro pasdaran segnaleranno il loro dissenso restando fuori dall’Aula. Ma in una maniera super controllata, per evitare qualsiasi sorpresa al governo. Non solo Area riformista ma anche l’area che fa riferimento a Gianni Cuperlo voterà secondo le indicazioni del partito.

Le minoranze si sono riunite alla Camera per tentare di andare in Aula con una linea comune: l’ipotesi di lavoro è un voto in massa a favore del ddl Boschi (in parte modificato a Montecitorio dopo il sì di agosto scorso al Senato), con alcuni interventi critici da parte di deputati come Alfredo D’Attorre, Gianni Cuperlo, Davide Zoggia e forse lo stesso Fassina. Proprio Zoggia rivela che ci sarà un dissenso contenuto: “Al punto in cui siamo arrivati è difficile non votare la riforma Boschi – dice – Non la voteremo in cinque o sei: io, D’Attorre, Fassina, ma è ancora da decidere. La battaglia si sposta ora sulla legge elettorale”. Interventi per dire che il ”combinato disposto” tra Italicum e nuovo Senato non convince le minoranze, e che dunque nelle prossime settimane “qualcosa deve cambiare”. O la modalità di elezione dei deputati, con meno nominati, o la composizione del nuovo Senato. Non ora e non subito, però. Se ne riparlerà a maggio, probabilmente dopo le regionali, quando la Camera esaminerà l’Italicum e le riforme istituzionali torneranno a palazzo Madama. Cuperlo ha già anticipato i contenuti del suo intervento con una lettera aperta a Renzi in cui chiede al premier il “coraggio” di fare alcune modifiche. “Il Parlamento dovrebbe ‘obbedire’ in ossequio a un patto che non c’è più. Che senso ha?”, aggiunge il leader di SinistraDem riferendosi all’accordo tra Renzi e Berlusconi. “Il danno che deriverebbe da una incomprensibile chiusura – conclude Cuperlo – non colpirebbe una minoranza del tuo partito ma la qualità stessa della nostra democrazia parlamentare. Pensaci, se puoi”.

Nella minoranza dunque prevale la linea della prudenza, del supplemento di istruttoria. Sul dopo le opinioni non collimano, ma intanto si vota a favore. Certo, gli autori degli interventi critici, come Cuperlo e Fassina, potrebbero seguire Civati fuori dall’Aula, o restare e astenersi per “dare un segnale” al governo. Ma si tratta di piccoli segnali che non impensieriscono in nessun modo i renziani. E ancor meno il premier segretario. Sul futuro, la truppa della minoranza resta divisa tra chi come il capogruppo Roberto Speranza (che sabato riunisce la sua area a Bologna) rimane convinto che “fuori da questo Pd e da questo governo non esiste spazio politico” e chi come D’Attorre prevede che “nei prossimi mesi se il pacchetto delle riforme non cambierà la frattura nel Pd è destinata ad approfondirsi.” Bersani sta in una linea mediana. Resta convinto, e lo dice ad Huffpost, che nuovo Senato e Italicum “producono una forma di democrazia che non dovrebbe preoccupare solo me”, ma conferma che la battaglia si sposta in avanti almeno di due mesi, quando cioè la legge elettorale arriverà a Montecitorio per un esame che potrebbe essere quello definitivo. Per l’ex leader l’ultima spiaggia è quella, e in questi mesi il lavoro sarà quello di ottenere nuove modifiche “perché non si può avere di nuovo una Camera in maggioranza di nominati”, e per di più “senza una legge che regoli la vita interna dei partiti”.

Il clima tra le minoranze resta però abbastanza complicato. Civati, ad esempio, alla riunione serale non è andato. “Non mi hanno neppure invitato, quelli sono tutti al governo con Renzi, meglio la smettano di fingere…”. I dialoganti di Area riformista, come Cesare Damiano e l’esperto Andrea Giorgis, mettono in fila le modifiche strappate a Renzi, a partire dal quorum più alto per eleggere il Capo dello Stato e il controllo preventivo di legittimità sulla legge elettorale da parte della Consulta. Su quest’ultimo punto, una pattuglia di deputati guidati da Cuperlo, D’Attorre e Pollastrini, chiese e ottenne a metà dicembre la sostituzione in commissione, pur di non votare il testo del governo. “Le modifiche principali le abbiamo ottenute, non potevamo non tenerne conto”, spiega Giorgis. Il dissenso resterà dunque affidato a tre-quattro interventi martedì mattina in Aula. Ma sui numeri, il premier può dormire sonni più che tranquilli.

BLOCCHIAMO LA DERIVA AUTORITARIA DIFENDIAMO LA DEMOCRAZIA E LA COSTITUZIONE SIT-IN martedì 10 marzo davanti Prefettura via Etnea ore 17,30

SIT-IN martedì 10 marzo davanti Prefettura via Etnea ore 17,30

BLOCCHIAMO LA DERIVA AUTORITARIA
DIFENDIAMO LA DEMOCRAZIA E LA COSTITUZIONE

Il sei marzo alla Camera dei Deputati è iniziata la votazione in prima lettura del disegno di legge costituzionale proposto dal governo Renzi per l’abolizione del bicameralismo perfetto.
IL SENATO:
-NON SARA’ PIU’ ELETTO DAL POPOLO
-NON VOTERA’ PIU’ LE LEGGI
-NON RAPPRESENTERA’ PIU’ LA NAZIONE
-NON POTRA’ PIU’CONTROLLARE LA POLITICA DEL GOVERNO
VIENE INDEBOLITO IL PARLAMENTO L’UNICO ORGANO ELETTO DIRETTAMENTE DAL POPOLO

IL PD DI RENZI E FORZA ITALIA DI BERLUSCONI VOGLIONO METTERE MANO SUL PARLAMENTO CON UNA RIFORMA DEL SISTEMA ELETTORALE CHE PREVEDE UN PREMIO DI MAGGIORANZA CHE PERMETTERA’ AL PARTITO PIU’ FORTE DI AVERE DA SOLO IL 55 % DELLA CAMERA
VENGONO SCONVOLTI GLI EQUILIBRI TRA I POTERI
IL PARTITO MAGGIORITARIO DA SOLO AVRA’ LA POSSIBILITA’ DI:
-SCEGLIERSI IL GOVERNO CHE VUOLE
-ELEGGERE IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
-CONTROLLARE GRAN PARTE DELLA CORTE COSTITUZIONALE

AUMENTANO I POTERI DEL GOVERNO

IL GOVERNO POTRA’ ORDINARE ALLA CAMERA DEI DEPUTATI DI DARE PRIORITA’ AI PROPRI DISEGNI DI LEGGE OBBLIGANDOLA A VOTARE ENTRO DUE MESI.
L’UTILIZZO INDISCRIMINATO E ILLEGITTIMO DEI DECRETI LEGGE E DEL VOTO DI FIDUCIA TRASFORMA NEI FATTI IL NOSTRO PAESE IN UN REGIME PRESIDENZIALE.
L’ABOLIZIONE DEL BICAMERALISMO PERFETTO NON SERVE A TAGLIARE I COSTI DELLA POLITICA.
ELIMINARE IL SENATO ELETTIVO PER INTRODURRE UN SENATO DI NOMINATI SENZA L’AUTOREVOLEZZA DEL MANDATO POPOLARE, NON SERVE A FAR USCIRE IL PAESE DALLA CRISI.
ALLA GRANDE RICHIESTA DI RINNOVAMENTO AVANZATA DAL PAESE NON SI PUO’ RISPONDERE CON UNA DERIVA AUTORITARIA.
DOBBIAMO DIFENDERE LA COSTITUZIONE DA CHI NE VUOLE FARE CARTA STRACCIA PER MIOPI INTERESSI DI POTERE.

SIT-IN martedì 10 marzo davanti Prefettura via Etnea ore 17,30

anpinews n.151

Legge elettorale e riforma del Senato: era (ed è) una questione democratica“: sabato 21 febbraio, a Torino, iniziativa pubblica promossa dall’ANPI Nazionale. Interverranno Gustavo Zagrebelsky, Carlo Smuraglia e Antonio Caputo coordinati da Sandra Bonsanti. Aderiscono ARCI, Libertà e Giustizia e UISP. La partecipazione della CGIL 

 

 

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

Nella riunione del Comitato nazionale di venerdì, ho ricordato – prima di tutto – Massimo Rendina, un valoroso partigiano e Vicepresidente dell’ANPI, che ci ha lasciato pochi giorni fa(…)

Subito dopo il ricordo di Rendina, ho voluto che il Comitato nazionale  ascoltasse alcune parole di “commemorazione” e di riflessione, sulle recenti 300 vittime, che sono andate – in condizioni terribili – ad aumentare la schiera dei tanti, troppi morti che sta raccogliendo il Mediterraneo(…)

ll mondo è attraversato da violenze e da guerre. Non siamo mai stati così vicino alla guerra come ora, almeno da molti anni. Adesso è alle porte, in Europa; ma vi sono mille focolai in Africa, in Medio oriente, nel mondo. Anche questo ci   lascia, non dico indifferenti ma poco inclini alla riflessione e al ricordo(…)

Queste note sono già troppo lunghe e non voglio appesantirle ancora. Ma non posso tacere su ciò che è avvenuto e sta avvenendo, in Parlamento, sul tema delle riforme ed ora, in particolare, su quella del Senato(…)ANPINEWS N.151

ANPI NEWS n.150

 

Su questo numero di ANPInews (in allegato):

 

 

APPUNTAMENTI

 

 

Legge elettorale e riforma del Senato: era (ed è) una questione democratica“: sabato 21 febbraio a Torino, iniziativa pubblica promossa dall’ANPI Nazionale. Interverranno Gustavo Zagrebelsky, Carlo Smuraglia e Antonio Caputo coordinati da Sandra Bonsanti. Aderiscono ARCI Nazionale e Libertà e Giustizia 

 

 

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

Si torna a parlare, avvicinandosi il 20 febbraio, del decreto fiscale e, come spesso accade, se ne sentono di tutti i colori (…)

 

La settimana scorsa ho potuto inserire solo una breve postilla,  nella News 149, sul discorso di insediamento, appena pronunciato dal Presidente della Repubblica Mattarella. Non c’è molto da aggiungere, penso. Tuttavia desidero sottolineare il fatto che nel discorso, che – successivamente – ho potuto leggere con calma, il richiamo alla Costituzione è ripetuto in modo costante e tutt’altro che formale (…)

 

Ci troviamo, quasi senza rendercene conto, nella situazione più difficile e più pericolosa tra tutte quelle che si sono verificate dalla fine della guerra mondiale ad oggi. La questione dell’Ucraina ci mette sull’orlo di una guerra, come assai di rado era accaduto in precedenza. L’incontro a Mosca tra la Merkel, Hollande e Putin non ha prodotto quasi nulla(...)

 

La notizia della morte di Massimo Rendina ci ha profondamente addolorati. Da parecchio tempo non riusciva più a frequentare le nostre riunioni, alle quali – finché gli era stato possibile – non era mai mancato. Ma lo sentivamo ancora presente fra noi, tanto vivido era il ricordo della sua voce, dei suoi interventi, dei suoi sprazzi ironici, talvolta duri e talvolta addirittura affettuosi(…)ANPINEWS N.150

Appello dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ai parlamentari, ai partiti, alle cittadine e ai cittadini

EDIZIONE SPECIALE
Riforme: era (ed è)
una questione democratica
Appello dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)
ai parlamentari, ai partiti, alle cittadine e ai cittadini
Il 29 aprile 2014 l’ANPI Nazionale promosse una manifestazione al teatro Eliseo
di Roma col titolo “Una questione democratica”, riferendosi al progetto di
riforma del Senato ed alla legge elettorale da poco approvata dalla Camera.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti; ma adesso che si vorrebbe
arrivare ad un ipotetico “ultimo atto” (l’approvazione da parte del Senato della
legge elettorale in una versione modificata rispetto al testo precedente, ma
senza eliminare i difetti e le criticità; e l’approvazione, in seconda lettura, alla
Camera della riforma del Senato approvata l’8 agosto scorso, senza avere
eliminato i problemi di fondo) è necessario ribadire con forza che se
passeranno i provvedimenti in questione (pur non in via definitiva) si
realizzerà un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico.
2
Non è più tempo di inascoltate argomentazioni e bisogna fermarsi all’essenziale,
prima che sia troppo tardi.
Una legge elettorale che consente di formare una Camera (la più
importante sul piano politico, nelle intenzioni dei sostenitori della riforma
costituzionale) con quasi i due terzi di “nominati”, non restituisce la
parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno
diritto per norme costituzionali. Una legge elettorale, oltretutto, che
dovrebbe contenere un differimento dell’entrata in vigore a circa un anno,
contrariamente a qualunque regola o principio (le leggi elettorali si fanno per
l’eventualità che ci siano elezioni e non dovrebbero essere soggette ad accordi
particolari, al di là di ogni interesse collettivo).
Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una
vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività.
Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla
Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza,
sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese
civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione
(in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare
intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della
governabilità).
Un sistema parlamentare non deve essere necessariamente
bicamerale. Ma se si mantiene il bicameralismo, pur differenziando
(come ormai è necessario) le funzioni, occorre che i due rami abbiano
la stessa dignità, lo stesso prestigio, ed analoga elevatezza di compiti e che
vengano create le condizioni perche l’eletto, anche al Senato, possa svolgere le
sue funzioni “con disciplina e onore” come vuole l’articolo 54 della Costituzione.
Siamo dunque di fronte ad un bivio importante, i cui nodi non possono essere
affidati alla celerità ed a tempi contingentati.
In un momento di particolare importanza, come questo, ognuno deve
assumersi le proprie responsabilità, affrontando i problemi nella loro reale
consistenza e togliendo di mezzo, una volta per tutte, la questione del preteso
risparmio con la riduzione del numero dei Senatori, perché uguale risultato
potrebbe essere raggiunto riducendo il numero complessivo dei parlamentari.
3
Ai parlamentari, adesso, spetta il coraggio delle decisioni anche
scomode; ed è superfluo ricordare che essi rappresentano la Nazione ed
esercitano le loro funzione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione)
e dunque in piena libertà di coscienza.
Ai partiti, se davvero vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed
alla politica, compete di adottare misure e proporre iniziative
legislative di taglio riformatore idonee a rafforzare la democrazia, la
rappresentanza e la partecipazione anziché ridurne gli spazi.
Ai cittadini ed alle cittadine compete di uscire dal rassegnato silenzio,
dal conformismo, dalla indifferenza e far sentire la propria voce per
sostenere e difendere i connotati essenziali della democrazia, a partire
dalla partecipazione e per rendere il posto che loro spetta ai valori
fondamentali, nati dall’esperienza resistenziale e recepiti dalla Costituzione.
L’Italia può farcela ad uscire dalla crisi economica, morale e politica, solo
rimettendo in primo piano i valori costituzionali e le ragioni etiche e di buona
politica che hanno rappresentato il sogno, le speranze e l’impegno della
Resistenza.
Dipende da tutti noi.
L’ANPI resterà comunque in campo dando vita ad una grande mobilitazione per
informare i cittadini e realizzare la più ampia partecipazione democratica ad un
impegno che mira al bene ed al progresso del Paese.
La Segreteria Nazionale ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)
Roma, 16 gennaio 2015

Sciopero sociale, il 3 e 4 a Roma per l’assedio al Senato contro il Jobs act. Prc in piazza il 3 e il 12 Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Ieri a Napoli si è tenuta l’assemblea nazionale di bilancio sullo sciopero sociale del 14 novembre. Un affollato meeting all’ex Asilo Filangeri si è deciso, di fronte al Governo Renzi che ha anticipato i tempi di approvazione del Jobs Act al Senato, a dare vita a una iniziativa nazionale per il 3 dicembre a Roma. L’idea di assediare il Senato è stata abbastanza condivisa. Un po’ meno quella di scendere in piazza il 12 dicembre, nello stesso giorno dello sciopero generale indetto dalla Cgil. Ma questo non è passato assolutamente come un elemento di divisione. Le soggettività raccoltesi intorno allo strike meeting prima e allo sciopero sociale poi, si rivedranno a cavallo tra gennaio e febbraio per cercare di approfondire i punti risolti e non risolti emersi dai laboratori e dai tre incontri nazionali che hanno preceduto e seguito il 14 novembre. Uno tra tutti, come dare una maggiore concretezza al bisogno del grande mondo del precariato di articolare forme di lotta che incidano e diano risultati dal punto di vista delle vertenzialità.
Rifondazione aderisce e sostiene la mobilitazione indetta contro il Jobs Act da tutte le realtà dell’autorganizzazione sociale che hanno dato vita allo sciopero sociale del 14 novembre, per il 3 dicembre al Senato. “Il governo Renzi – si legge in una nota firmata dal segretario Paolo Ferrero e da Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro e elfare – taglia il futuro dei giovani precarizzando sempre di più il lavoro e la vita, demolisce i residui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, taglia e privatizza il welfare e i beni comuni”. Per il Prc, contro il governo serve la più ampia mobilitazione possibile. E quindi, “appuntamento a Roma il 3 e anche per il 12 dicembre per lo sciopero generale!”.

Stop#jobsact oggi in tanti e tante per circondare il Senato contro la follia di Renzi | Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Domani il “Jobs act” sarà in Senato per completare l’iter di approvazione. Domani, il Laboratorio nazionale per lo sciopero sociale ha dato appuntamento a tutti e a tutte per costruire una vera e propria “recinzione umana” attorno a palazzo Madama. Una forma di protesta già tentata, ma che questa volta sarà di dimensioni molto più considerevoli. “Il governo Renzi con un’ulteriore forzatura democratica e costituzionale – si legge nel documento uscito dall’assemblea di domenica scorsa a Napoli – accelera ancora il percorso di approvazione della legge delega e valuta l’ipotesi di blindarla col voto di fiducia. Segnali di un processo totalmente autoritario ed eterodiretto dalla BCE e dalla Troika”. Ma anche il tentativo “di depistare e disinnescare – continuano i militanti del Laboratorio per lo sciopero sociale – il protagonismo di centinaia di migliaia di precarie e di precari che hanno dimostrato la propria opposizione a questo progetto” nella giornata dello sciopero sociale del 14 novembre come nelle piazze e negli scioperi che stanno attraversando il paese. Chi vuole ipotecare la nostra vita e il nostro futuro non ci troverà in silenzio!
L’appuntamento è alle 10 alla fermata metro del Colosseo. La partenza del corteo a cui parteciperanno i sindacati di base alle 11.30 verso piazza Sant’Andrea della Valle. Ci saranno probabilmente anche iniziative dislocate in altre città. Alle decine di migliaia di persone che il 14 novembre hanno partecipato allo sciopero sociale è stato rivolto l’appello ad arrivare a Roma per realizzare una protesta il cui obiettivo è molto simile all’”Acampada” dell’M15. Praticamente parteciperanno quasi tutte le sigle del sindacalismo di base. L’USB ha indetto un presidio sotto  il Senato, in Piazza delle Cinque Lune, a partire dalle ore 11.00.  “Attraverso una delega al Governo, ampia e indeterminata anche sotto il profilo temporale – si legge in un comunicato – si intende cancellare diritti e tutele conquistati in anni di lotte: dal contratto a tutele crescenti, che nella sua declinazione servirà solo a garantire agli imprenditori mano d’opera ricattabile e precaria, al controllo a distanza dei dipendenti; dall’estrema libertà di deroghe al contratto nazionale, alla possibilità di demansionamento fino a due livelli inferiori, per finire con la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”. L’USB, che anche contro il jobs act ha costruito lo sciopero generale del 24 ottobre e partecipato allo sciopero sociale del 14 novembre scorso, “continuerà coerentemente ad opporsi contro questo progetto di asservimento del mondo del lavoro”.In piazza ci sarà anche Rifondazione Comunista che lancia un ponte tra la mobilitazione di domani e quella dello sciopero generale del 12 dicembre: “Contro il governo serve la più ampia mobilitazione possibile”, dichiara il segretario Paolo Ferrero