“Renzi vuole normalizzare il mondo del lavoro. La Cgil però non normalizzi se stessa”. Intervista a Sergio Bellavita Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Sembra di capire che la Cgil abbia qualche problema con i lavoratori?
Nello specifico dell’articolo di Repubblica, viene comparato il dato di luglio del 2015 con la chiusura del 2014. Quindi è evidente che c’è una forte differenza nel numero degli iscritti già di per se. Questo non vuol dire che siamo già di fronte a un calo netto di 700mila iscritti però come viene scritto nell’articolo. E’ chiaro che si tratta di una campagna strumentale contro la Cgil. L’obiettivo è cancellare quel che resta di opposizione nell’ambito sociale e nel mondo del lavoro.

Detto questo però la crisi della rappresentanza rimane, o no?
Detto questo è chiaro che un problema c’è. Intanto, il punto vero è che tutti i sistemi sui quali si è discusso a propositio della rappresentanza nell’ottica di dare una quota maggiore di democrazia ai lavoratori hanno rimosso il problema fondamentale, ovvero il potere ai lavoratori e alle lavoratrici di decidere quale sindacato li rappresenta e se gli accordi che vengono sottoscritti vanno bene o no.Tornando all’inchiesta di Repubblica, non si può non notare che pochi giorni fa fu lo stesso Renzi mettere insieme tessere e crisi del sindacato e, nello stesso tempo, che si tratta di dati che vengono da dentro la Cgil.
Si sono d’accordo. Questo si collega a quanto è accaduto sulla vicenda dei megastipendi Cisl, che si conoscevano da tempo e improvvisamente conquistano la ribalta. E’ in atto una campagna complessiva da parte del Governo che tra tema rappresentanza e diritto di sciopero prende a pretesto qualsiasi questione si presenti per attaccare il sindacato. E’ evidente che c’è il disegno di normalizzare complessivamente le organizzazioni dei lavoratori. Poco importa se sia questa o quella sigla.Vogliono un sindacato addomesticato, che perda ogni idea di confederalità, che non risponda più ai bisogni dei lavoratori ma ai bisogni dell’impresa e dello Stato. Vogliono sotterrare un modello che pur tra tante contraddizioni ha rappresentato per tanti anni potenzialmente un punto di vista alternativo.

Siete stati proprio voi del “Sindacato è un’altra cosa”, e la Fiom, a sollevare in occasione dell’ultimo congresso della Cgil una questione sui numeri della partecipazione ai congressi di base, che in qualche modo è legata al cosiddetto calo delle tessere.
Landini denunciò il fatto che al congresso su 5.600.000 iscritti hanno votato solo un milione. E questo per dire che nelle fasi salienti del congresso non si riuscì ad arrivare alla base. Noi siamo andati ben oltre, dicendo che i numeri congressuali sulle preferenze ai vari documenti e sulla partecipazione sono stati ampiamente truccati. Secondo noi non votò nemmeno quel milione di cui parlò Landini. E grossa parte dei verbali furono compilati a tavolino. Tutte e due queste denunce testimoniano che la trasparenza si è persa in Cgil. E lo stesso tesseramento sul quale abbiamo chiesto lumi senza ricevere chiarimenti non riesce ad essere riportato ad un dato di realtà. L’inchiesta di Repubblica coglie due cose vere, la non trasparenza e la scarsa rappresentanza dei giovani e dei precari. E questo in un momento in cui Renzi sta precarizzando tutti.

Beh, ma la scelta fu all’epoca quella di dar vita al Nidil, invece di affrontare il precariato categoria per categoria.
Una scelta frutto di una ubriacatura ideologica della sinistra di Governo e della Cgil che nei fatti accettò e approvò il pacchetto Treu. Una ubriacatura che ha portato ad immaginare una “categoria di precari”.

Bisognerà tornare a ragionare del modello di sindacato del futuro. Anche perché il Governo sta facendo dei passi sostanziali. La Cgil ha pensato che bastasse aspettare mirando a ridurre il danno, e ora si trova stretta nell’angolo. Qual è lo stato del dibattito dentro la Cgil?
La sconfitta della Cgil sul Jobs act è drammatica e continua a produrre danni mostruosi nel rapporto con i lavoratori e per quanto riguarda la cancellazione dei diritti. Siamo nel pieno dell’onda, e non c’è più nessuna linea né referendaria né di semplice contrasto che tenga. Una parte sempre più grande del gruppo dirigente della Cgil ha esplicitato una linea che dice basta con il sindacato che si mette di traverso contro il governo. “Siamo un sindacato e dobbiamo contrattare”. La Cgil si sta adattando, attraverso un processo di “cislizzazione”, su nuovo welfare contrattuale e bilateralità per esempio. Ogni tanto si sente qualche protesta. Agli occhi dei lavoratori non contano le enunciazioni, ma la pratica. Il dibattito in Cgil semplicemente non c’è.

Il prossimo appuntamento sarà la conferenza di organizzazione.
Lo scontro è sulle forme di elezione del nuovo segretario. Tutto qui. E la polemica non ci appassiona. Questo mentre i tre sindacati confederali sono vicini al redde rationem. Non c’è più rapporto con i lavoratori. L’unico spazio è il sindacato corporativo e aziendalista, quello che il Governo concede. Va operata una rottura e ripresa la strada del conflitto durissimo ripartendo dai bisogni reali del mondo del lavoro. Questa discussione la Cgil non la sta facendo e sta andando esattamente nella direzione che il Governo vuole.

Da una parte grosse difficoltà nel calcolare la rappresentanza, visto che le aziende non danno i dati sulla trattenuta sindacale, dall’altra un modello che deve essere per forza ultraconcertativo e autodifensivo pena la fine del sindacato. Questo di fatto porta alla formazione, passami il termine, di una casta sindacale. Una soluzione che dal punto di vista dei lavoratori non può durare più di tanto però…
Intanto, bisogna partire da una analisi dell’intesa del 10 gennaio. La parte positiva, tra tante virgolette, è il meccanismo di certificazione degli iscritti che aprirà però una guerra senza precedenti tra organizzazioni. Il lavoratore vorrei far notare può cambiare idea sul sindacato di appartenenza ma questo cambiamento non viene registrato e non c’è nemmeno il diritto a decidere sulla singola vertenza. Hanno costruito un modello, insieme a Confindustria, in cui la vittima sacrificale di quel patto corporativo è il sindacalismo indipendente e antagonista. Ovvero, nel rapporto tra sindacato e impresa si guarda al bene dell’impresa e chi non ci sta è escluso dalla rappresentanza e addirittura i singoli lavoratori potevano essere sanzionati.

Quell’accordo però sta marciando…
Intanto, i padroni hanno subito incassato il passaggio sulle deroghe, il sistema della progressiva spoliazione. E i grandi gruppi stanno riducendo salari e diritti disdettando tutta la contrattazione. Il sindacato ha accettato la morte del contratto nazionale e il passaggio una contrattazione quasi solo aziendale con il segno meno davanti. L’impianto di quell’accordo, però, non sta arrivando in porto perché innanzitutto, sull’esigibilità degli accordi, c’è qualche problema costituzionale e poi perché alcune organizzazioni di base avendolo sottoscritto potranno strappare numerosi consensi con la loro linea di opposizione agli accordi. Il sistema non funziona. Governo e Confindustria vogliono che il conflitto non sia libero, e quindi che ci sia il diritto effettivo di sciopero. L’idea del Governo di stabilire un referendum va proprio in questa direzione e porta al sindacato unico.

Anche il sindacalismo di base è di fronte a un bivio?
Sì, perché se si dovesse riuscire a mettere gli ultimi tasselli all’accordo del 10 gennaio 2014, e impedire al sindacato di rompere il quadro attraverso il conflitto, si porrà un problema sostanziale di democrazia. Questo mi pare evidente.

Qual è il vostro programma per il prossimo futuro?
All’ultima assemblea nazionale del “Sindacato è un’altra cosa” abbiamo deciso di lanciare un appello al sindacalismo conflittuale, Fiom compresa. E’ giunto il momento di costruire degli intersindacali a livello dei territori per sperimentare dal basso delle forme di resistenza. Penso alle lotte dei facchini, per esempio. Va data ai lavoratori l’idea che il sindacato non è un soggetto passivo che accetta la cancellazione di diritti e salari e non dà battaglia sull’occupazione. Dall’altra parte ci sarà la battaglia interna sulla conferenza di organizzazione che sarà un altro tassello della cislizzazione. Se quella conferenza confermerà il documento di maggioranza saremo di fronte a uno scenario preoccupante di deriva e di chiusura degli spazi democratici all’interno della stessa Cgil.

Pubblico impiego, oggi quasi tre milioni al voto per il rinnovo delle Rsu. Alle urne anche i precari autore Fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Oggi inizia nella pubblica amministrazione e nella scuola, la tre giorni di voto dei nuovi rappresentanti sindacali. Si tratta di un appuntamento molto particolare, e dall’esito incerto, perché per la prima volta voteranno centinaia di migliaia di precari. Non voteranno solo le forze dell’ordine, il personale diplomatico, medici e prefetti. Le urne saranno aperte fino a giovedì 5 marzo. “Il voto attivo e passivo per i lavoratori a tempo determinato nella pubblica amministrazione è un risultato importante, un evento storico che premia la battaglia storica del sindacato confederale e della Cgil in particolare”, dice Claudio Treves, segretario generale della Nidil Cgil, il sindacato dei lavoratori atipici.
“Va chiarito – aggiunge Treves – che si tratta di lavoratori a termine, e non di lavoratori atipici. Questo è un segnale incoraggiante verso la risoluzione del problema della presenza di collaboratori precari e false partite iva nella Pa”. “Va chiarito – aggiunge Treves – che si tratta di lavoratori a termine, e non di lavoratori atipici. Questo è un segnale incoraggiante verso la risoluzione del problema della presenza di collaboratori precari e false partite iva nella Pa”.
“Noi dalle elezioni ci aspettiamo ci aspettiamo innanzitutto che i lavoratori vadano massicciamente a votare per dimostrate che nei luoghi di lavoro c’è ancora voglia di fare sindacato, di rappresentare e di essere rappresentati, di portare avanti i diritti dei lavoratori”, è invece l’invito del segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori.

Nella scuola, potranno essere votati anche i precari annuali, con contratto sino al 30 giugno o 31 agosto 2015, a seguito della storica sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre scorso, che ha mandato in soffitta il principio di discriminazione tra il personale di ruolo e precario della scuola adottato per decenni in Italia con l’avallo dei sindacati tradizionali, ribandendo, nello specifico, quanto riconosciuto dalla direttiva 14/2002 e dalla sentenza della Corte Europea Association dé mediation 2014. Nella scuola potrebbero cambiare molte cose dal punto di vista della rappresentanza. I sindacati non rappresentativi, sinora lasciati ai margini, anche dalla mancanza di possibilità di riunirsi in orario di servizio, facoltà lasciata a quelli rappresentativi, hanno creato un’alleanza: Unicobas e Usb hanno deciso di appoggiare le liste Anief: un patto di ”desistenza”, attraverso cui si vuole rompere il monopolio ventennale dei noti sindacati e tornare finalmente a tutelare i lavoratori.
L’accordo prevede che nelle scuole dove non sia presente una lista Rsu Unicobas e Usb, i lavoratori sostengano le liste Anief: se invece sono presenti solo liste dei sindacati oggi rappresentativi, si chiede ai lavoratori di astenersi di assegnare il voto, perché si tratta di quelle organizzazioni che nell’ultimo ventennio sono state artefeci o perlomeno complici nel far perdere ai lavoratori della scuola quote sempre maggiori di salario, diritti e dignità lavorativa.“Coloro che si autodefiniscono “sindacati responsabili” – si legge in un comunicato Usb – hanno detto sempre si, e dove siamo arrivati? Alla riduzione dei salari, all’aumento dei carichi di lavoro con la riduzione dell’incentivo, al peggioramento di orari e turni di lavoro sempre più discrezionali. Al licenziamento senza giusta causa e al demansionamento professionale ed economico. A servizi pubblici scadenti, condizionati dalla quantità per garantire la parità di bilancio, senza valutare qualità ed esigenze dei cittadini. Grazie alla silente responsabilità di CGIL CISL e UIL andremo ormai in pensione alla soglia dei 70 anni, con milioni di giovani disoccupati”.
Il pubblico impiego è in piena fase di travaglio, con il contratto nazionle non rinnovato dal 2010 e decine di esuberi più o meno mascherati in arrivo dalla soppressione delle Province e dalla spending review.
Nella scuola, potranno essere votati anche i precari annuali, con contratto sino al 30 giugno o 31 agosto 2015, a seguito della storica sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre scorso, che ha mandato in soffitta il principio di discriminazione tra il personale di ruolo e precario della scuola adottato per decenni in Italia con l’avallo dei sindacati tradizionali, ribandendo, nello specifico, quanto riconosciuto dalla direttiva 14/2002 e dalla sentenza della Corte Europea Association dé mediation 2014. Nella scuola potrebbero cambiare molte cose dal punto di vista della rappresentanza. I sindacati non rappresentativi, sinora lasciati ai margini, anche dalla mancanza di possibilità di riunirsi in orario di servizio, facoltà lasciata a quelli rappresentativi, hanno creato un’alleanza: Unicobas e Usb hanno deciso di appoggiare le liste Anief: un patto di ”desistenza”, attraverso cui si vuole rompere il monopolio ventennale dei noti sindacati e tornare finalmente a tutelare i lavoratori.
L’accordo prevede che nelle scuole dove non sia presente una lista Rsu Unicobas e Usb, i lavoratori sostengano le liste Anief: se invece sono presenti solo liste dei sindacati oggi rappresentativi, si chiede ai lavoratori di astenersi di assegnare il voto, perché si tratta di quelle organizzazioni che nell’ultimo ventennio sono state artefeci o perlomeno complici nel far perdere ai lavoratori della scuola quote sempre maggiori di salario, diritti e dignità lavorativa.“Coloro che si autodefiniscono “sindacati responsabili” – si legge in un comunicato Usb – hanno detto sempre si, e dove siamo arrivati? Alla riduzione dei salari, all’aumento dei carichi di lavoro con la riduzione dell’incentivo, al peggioramento di orari e turni di lavoro sempre più discrezionali. Al licenziamento senza giusta causa e al demansionamento professionale ed economico. A servizi pubblici scadenti, condizionati dalla quantità per garantire la parità di bilancio, senza valutare qualità ed esigenze dei cittadini. Grazie alla silente responsabilità di CGIL CISL e UIL andremo ormai in pensione alla soglia dei 70 anni, con milioni di giovani disoccupati”.
Il pubblico impiego è in piena fase di travaglio, con il contratto nazionle non rinnovato dal 2010 e decine di esuberi più o meno mascherati in arrivo dalla soppressione delle Province e dalla spending review.

Autore: fabio sebastiani Le aziende italiane “sono nere”. Scoperte irregolarità e lavoratori fantasma nel 64% dei controlli da: controlacrisi.org

 

Un tasso di irregolarità superiore al 64%. Le aziende italiane “sono nere”. E guardando le ultime cifre uscite dal rapporto annuale dell’attività di vigilanza svolto da ministero del Lavoro, Inps e Inail c’è da rimanere con i capelli dritti. Risultato, quando Renzi ci propinerà numeri incredibili sulle “nuove assunzioni” sapremo da dove arriveranno. Non si tratterà di nuovi posti di lavoro ma di “riciclo” di lavoratori in nero.I dati del rapporto dicono che nel 2014 sono state ispezionate 221.476 aziende: di queste ne sono risultate irregolari 142.132, ossia il 64,1%, tasso in linea con l’anno precedente. I lavoratori totalmente in nero sono risultati 77.387, il 42,6% dei 181.629 irregolari. Mentre i contributi ed i premi evasi nel 2014, accertati e oggetto di recupero, ammontano a 1,508 miliardi di euro, in aumento del 6,1% rispetto al 2013 (1,421 miliardi di euro). Importo che però non sarà totalmente ‘introitato’: in media, Š stato spiegato, il 50% viene poi effettivamente incassato.Il numero delle imprese controllate lo scorso anno risulta in leggero decremento (-5,8%) rispetto al 2013 (235.122) e anche rispetto a quelle risultate irregolari (142.132 contro 152.314 nel 2013) si registra un calo, pari in questo caso al 6,68%.
Stessa tendenza per i lavoratori più o meno sommersi. Per effetto del minor numero di aziende ispezionate nel 2014 ma anche della contrazione dell’occupazione determinata dalla crisi, il numero dei lavoratori risultati irregolari durante i controlli dello scorso anno è diminuito (181.629, con un calo del 24% circa rispetto ai 239.020 del 2013) e con esso quello dei lavoratori totalmente in nero (77.387, in diminuzione del 10% circa rispetto agli 86.125 del 2013), ma nonostante questo il peso di quest’ultima ‘categoria’ non diminuisce. Anzi: nel 2014 i lavoratori totalmente in nero rappresentano infatti il 42,61% di quelli irregolari, una “percentuale significativa”, sottolinea lo stesso rapporto, se confrontata con quella rilevata nel 2013, pari al 36,03%, e che quindi registra un incremento annuo di quasi sette punti percentuali. Questo dato, viene evidenziato, se da un lato conferma “l’affinamento” della metodologia di programmazione e “la più decisa” concentrazione dell’azione ispettiva sul contrasto al lavoro sommerso, dall’altro è sintomatico della “completa assenza, in un’ampia percentuale di casi, della sia pur minima attenzione ai diritti e alle tutele fondamentali dei lavoratori, nonché‚ ai connessi profili della salute e della sicurezza”.

Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, parla di “percentuale altissima”. “È vero – prosegue Damiano – che il campione, come dice il ministro Poletti, tiene conto delle aziende che ‘sono nei guai’, e che quindi non stiamo parlando del 64% del totale delle imprese italiane (che sono 4 milioni e mezzo di unità produttive), ma si tratta pur sempre della dimostrazione che ci troviamo di fronte a un numero esagerato di casi di irregolarità”.

Province, domani quasi tutte le sedi occupate dai lavoratori in lotta per la difesa del posto di lavoro Autore: redazione da: controlacrisi.org

Sale la tensione tra i lavoratori delle ex-Province. A Roma questa mattina c’è stata una assemblea nella sala del Consiglio, dove poi il sindaco Marino è stato fischiato sonoramente. A Pisa è stato occupato il palazzo dell’amministrazione provinciale. In tutta la Toscana da questa mattina i dipendenti delle province di Firenze, Pistoia, Massa, Lucca, Siena, e Livorno sono in assemblea permanente con presidi, sit-in e occupazioni simboliche. Domani altre occupazioni e forme di lotta varie sono annunciate anche in altre città d’Italia. I lavoratori e le lavoratrici hanno deciso di attuare queste forme di lotta\mobilitazione per scongiurare l’approvazione della legge di stabilità che prevede esuberi per il 50% della dotazione organica. I lavoratori delle Province interessati sono decine di migliaia, ma per 2300 precari non rinnovati saranno da gennaio ci sarà la sola strada del licenziamento, mentre per gli altri si profila la cassa integrazione per 18 mesi all’80% dello stipendio. Nel piano originario era prevista una qualche forma di “passaggio” presso altre amministrazioni locali, ma i Comuni e le Regioni per ammissione dei sindaci e dell’Anci non sono nelle condizioni di assorbire questo personale. E così mentre in Parlamento continua la battaglia attraverso gli emendamenti, che abbondano di promesse, lavoratori e sindacati aspettano il maxiemendamento per capire meglio nel concreto come stanno le coseCgil Cisl Uil pretendono il ritiro dell’emendamento, I Cobas invece sostengono che anche il resto del provvedimento del sottosegretario Del Rio vada messo in discussione perché depotenzia l’attività amministrativa delle province. Non possiamo certo condividere l’attendismo con cui l’Upi (unione delle province) e anci – sottolineano i Cobas – attendono che il Parlamento faccia i suoi passi per ritirare solo un emendamento”. “Il giudizio dei sindaci e dei politici locali sulla riforma del Rio è positivo, una riforma che ha svenduto Province e Camere di Commercio come inutili e dispendiosi carrozzoni, salvo poi scoprire che incidevano miseramente sulla spesa complessiva della Po svolgendo ruoli e funzioni difficilmente sostituibili”,proseguono i Cobas. Sono a rischio non solo i posti di lavoro nelle Province ma negli appalti delle stesse che stando ad alcune cifre occupano 40 mila lavoratori\trici. Il Governo Renzi sta operando secondo i dettami della Ue e come in Grecia distrugge servizi e posti di lavoro pubblici.
“Come sempre, anche domani, siamo con voi in questa occupazione simbolica delle sedi provinciali”,promette Susanna Camusso. Secondo Camusso, la riforma “poteva davvero rendere più efficace l’azione delle Province”, e invece “si è trasformata in un pasticcio di proporzioni colossali e rischia ora di diventare un’insopportabile ingiustizia che colpisce lavoratori e cittadini”. “Domani occuperemo simbolicamente le Province – prosegue la leader della Cgil – perché vogliamo dire a un governo maldestro che senza l’esperienza, la conoscenza e la capacità di individuare e risolvere i problemi dei lavoratori, la pubblica amministrazione, i servizi, le tantissime prestazioni che le Province offrono alla comunità, non possono esistere”. “Domani i cittadini ci troveranno nelle sedi provinciali e nei centri cittadini per spiegare loro gli effetti che la legge di Stabilità, se non corretta, produrrà sui servizi, sulle prestazioni e sul lavoro di tantissime persone”, conclude Camusso.
Secondo i Cobas, Renzi “segue pedissequamente l’imput dell’Ue e della banca mondiale, applica ricette che in Grecia hanno portato il paese al tracollo con la chiusura di scuole, ospedali e università”.

“Così se ne va!” Renzi rottamato dai lavoratori. Centinaia di migliaia in piazza contro il Governo Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Decine di migliaia a Milano, così come a Torino, Napoli, ancora una volta strabocchevole, Bologna, Palermo e Roma, dove hanno sfilato non meno di quarantamila persone. “Così se ne va”, è il caso di dire parafrasando lo slogan della manifestazione “Così non va”, lanciato contro il Governo Renzi da una cinquantina di città italiane. Quando lo sciopero è vero la piazza si fa sentire. Occasione persa per la Cisl, quindi, che non ha partecipato. Il leader della Fiom Landini ha parlato di “risposta straordinaria da parte dei lavoratori”, mentre ancora non sembra placarsi lo scontro sulla precettazione nel settore dei trasporti. Dopo il passo indietro del Governo la commissione “antisciopero” si dice pronta a prendere comunque provvedimenti sanzionatori. Il primo a registrare la riuscita dell’inziativa è stato lo stesso presidente Napolitano, che di fronte alle dure parole del premier non aveva fato una piega. “Occorre tornare a parlarsi”, ha detto.

Nei trasporti la media delle adesioni è stata del 50%. Nel trasporto aereo notevoli cancellazioni in tutti gli aeroporti, con oltre il 50% dei voli Alitalia cancellati preventivamente a Fiumicino e 35 delle altre compagnie, a Linate cancellati 110 voli, a Malpensa 140.

Anche nei luoghi di lavoro l’astensione dal lavoro si è fatta sentire. I primi dati che provengono dal settore industriale segnano un’altissima adesione. Da una prima rilevazione risulta, infatti, un media di adesione del 70,2% laddove si è scioperato.
Dati quindi molto alti ovunque su tutto il territorio nazionale, con punte spesso anche del 100%.
Secondo Paolo Ferrero, che ha partecipato al corteo di Torino, “il governo è il problema. Il Jobs Act aumenterà la disoccupazione. La soluzione è quella proposta dai lavoratori in sciopero: fare un piano per il lavoro”. La proposta del Prc è investire 30 miliardi per il dissesto idrogeologico,”che permetterebbe di creare un milione di posti di lavoro utili”.

I flash dalle città parlano di piazze piene e tanta mobilitazione. A fianco al classico corteo sindacale, infatti, ci sono state tante mobilitazioni di studenti, centri sociali, settori di movimento che hanno comunque deciso di scendere in piazza per dare corda a una protesta conunque molto sentita.

Una manifestazione con una “fortissima partecipazione” di almeno 50.000 persone, a Milano, dove in coda al corteo ci sono state alcune cariche brutali delle forze dell’ordine contro gli studenti.  “Renzi mostro di Firenze”, uno dei tanti slogan dei lavoratori in piazza. Tra i lavoratori in piazza Duomo sono presenti anche i ferrovieri della Lombardia, oltre a pensionati, lavoratori di aziende in crisi, precari e disoccupati.

Due i cortei dei sindacati a Bologna, da piazza Azzarita e dal teatro Testoni, che hanno raggiunto via Rizzoli per ascoltare Franco Marini, della segreteria nazionale Cgil, e Giuliano Zignani, segretario Uil provinciale e regionale. Due anche i cortei degli studenti, medi e universitari, contro il programma di riforma della ‘Buona scuola’.
Parecchi i disagi al traffico e nei trasporti (in particolare bus fermi dalle 8.30 alle 16.30 e molti voli cancellati al ‘Marconi’). E per lo sciopero del personale di Seribo, società che gestisce le mense nelle scuole, il Comune ha invitato le famiglie a preparare il pranzo al sacco per i ragazzi.

Quattro cortei organizzati a Bari da Cgil, Uil e Ugl. Nel capoluogo pugliese i cortei dei lavoratori, ai quali si sono uniti numerosi studenti provenienti da tutta la provincia, sono confluiti in piazza Libertà, nel piazzale antistante la prefettura, dove si sono assiepate non meno di diecimila persone.

A Roma hanno partecipato almeno 40mila persone. E anche qui l’iniziativa è stata attraversata anche da alcuni settori del movimento. Al grido ‘blocchiamo la città da Porta Pia il corteo dei movimenti per la casa ha fatto sentire la sua voce. “Occupare non è reato. Ribaltiamo il piano casa di Lupi”, recita lo striscione di testa del corteo. “Rendiamo veramente generale lo sciopero di oggi – dicono al megafono i manifestanti – con blocchi spontanei per tutta la città”. I militanti dei movimenti per la casa spiegano che, il corteo ‘non autorizzato’ hanno raggiunto gli studenti universitari davanti la Sapienza; e si sono poi uniti con i liceali partiti da Piramide.

Oltre 50mila persone, secondo la stima di Cgil e Uil Campania, alla manifestazione regionale promossa a Napoli. Il corteo hah raggiunto piazza Matteotti per i comizi finali. I primi dati sulle adesioni indicano il blocco delle funicolari, dei collegamenti marittimi per le isole e di gran parte del trasporto su ferro. Hanno attraversato le strade della città anche gli altri due cortei, quello organizzato dai movimenti studenteschi, composto da alcune centinaia di persone, partito da piazza del Gesù, nel centro storico di Napoli, e quello dei Collettivi Universitari Organizzati, partito da piazza Garibaldi, anche questo composto da qualche centinaio di manifestanti. Tante le delegazioni delle due sigle sindacali provenienti anche dalle altre province campane. Tra i lavoratori, precari e cassintegrati prevale la componente dei metalmeccanici e del pubblico impiego, ma ci sono anche diversi studenti e disoccupati.

Sciopero e presidi in diversi luoghi di lavoro amche a Taranto. Sit in di lavoratori e rappresentanti sindacali all’IIva, all’Eni, all’Arsenale, al call center Teleperformance, all’Alenia, alla Natuzzi, alla Cementir, al centro commerciale Auchan e all’ospedale Santissima Annunziata. Nello stabilimento siderurgico l’adesione, secondo fonti sindacali, è stata compatta nell’area degli altiforni e delle Acciaierie 1 e 2. ”Oggi – sottolinea il delegato della Fiom Cgil Francesco Brigati – abbiamo dimostrato che lo stabilimento può fermarsi anche in presenza delle comandate, presenti tra l’altro per garantire l’incolumità degli impianti e non per garantire la produzione”.

Pieno di gente anche il corteo a Torino, dove ha parlato Susanna Camusso, leader della Cgil. Oltre 200 i pullman che hanno raggiunto Torino. In coda al corteo un lungo serpentone di alcuni settori del movimento che hanno ribadito il segno fortemente antagonista della giornata di lotta con slogan contro Fassino e Chiamparino. Presenti anche alcuni No Tav con lo striscione “Attenzione terroristi a 30 metri”, riferimento all’accusa di terrorismo contestata dalla Procura di Torino a sette attivisti per l’assalto al cantiere di Chiomonte del maggio 2013.

Traffico paralizzato oggi a Genova. Ai due cortei organizzati dai sindacati si è aggiunto uno degli studenti. Le manifestazioni dei sindacati sono confluite in piazza De Ferrari, dove ha parlato per la chiusura Maurizio Landini, segretario generale Fiom Cgil. Gli studenti hanno attraversato la città partendo da piazza Caricamento. Manifestazioni e cortei si sono svolti anche a Savona, Imperia e La Spezia.

A Palermo, dove il corteo ha visto la partecipazione di migliaia di persone, un gruppo di lavoratori della Fondazione orchestra sinfonica siciliana, è salito sul tetto del Teatro Politeama, dove campeggia uno striscione con la scritta: “Orchestra sinfonica siciliana, chi ha sbagliato paghi”. I lavoratori da mesi sono senza stipendio.

Duemila le persone scese in piazza a Padova, dove il corteo dei sindacati Cgil e Uil per lo sciopero generale ha sfilato lungo il centro, mentre un altro non autorizzato e composto da esponenti dei centri sociali ha bloccato il traffico nella zona est della citta’. A Venezia, nel centro storico, invece, c’è stato un unico corteo che ha riunito lavoratori e studenti, mentre a Vicenza 300 operai hanno bloccato per un’ora la zona fiera e la tangenziale ovest con fumogeni, musica e slogan contro il Governo, ma nessuna tensione.

Perugia davanti alla fabbrica della Perugina, completamente ferma, si sono radunati centinaia di lavoratrici e lavoratori da tutta la provincia, insieme a studenti, pensionati e cittadini. Il corteo ha attraversato la zona commerciale di San Sisto.

Dai numeri forniti dalla Cgil risulta che alla Michelin (350 addetti) e alla Pirelli (1.210 addetti) di Settimo Torinese si registra il 100% di adesione, sempre a Settimo Torinese l’adesione alla Oreal è del 98% su 400 addetti. Alla Luxottica (600 lavoratori) di Lariano Po, sempre in Piemonte, l’adesione è al 60%. Alla Marcegaglia, la sede centrale di Mantova, l’adesione è di oltre l’80%. A Genova alla Selex Se (2.000 addetti) l’adesione è del 60% mentre alla Fincantieri di Sestri Ponente (550 addetti) siamo all’84,9%. All’Ilva su 1.750 addetti lo sciopero è del 90% mentre ad Ansaldo Energia su 2359 addetti il 70% dei lavoratori ha incrociato le braccia. Alla Aster, sempre a Genova, su 393 addetti siamo al 71,2%. Al Nuovo Pignone di Firenze su 2.990 addetti l’adesione è del 78,8% mentre alla Sammontana di Empoli siamo ad un’adesione pari 96,4% su 700 dipendenti. A Bologna alla Teconforni (220 addetti) siamo al 95%, alla Coop Costruzioni (450 addetti) al 75%.

Alla Menarini de L’Aquila su 107 addetti l’adesione allo sciopero è del 99%. Ad Ancona alla Fincantieri siamo 56,4di adesione così come all’Alenia di Foggia dove sono impiegati 1000 lavoratori. A Gioia Tauro, i 42 addetti continuano lo sciopero della fame, l’adesione è del 100%. Infine c’è anche un dato generale che riguarda la Barilla dove la media di adesione allo sciopero nei suoi stabilimenti è del 60%.

“Licenziamo Renzi”. Il sindacalismo di base in piazza contro Austerity e Jobs act | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Presidi e cortei in tutte le regioni d’Italia con ben 27 appuntamenti, adesioni allo sciopero che nei trasporti ha registrato un valore medio del 60%, partecipazione di studenti, disoccupati e movimenti per il diritto all’abitare, delegazioni di lavoratori delle più importanti vertenze in atto in questo momento e una presenza attiva alle mobilitazioni che, a detta degli organizzatori, ha sfiorato le centomila presenze.

E’ questa la scheda del primo sciopero generale contro il Governo Renzi. Uno sciopero generale che porta la firma di Usb, Orsa, Cib-Unicobas, “Licenziamo il Governo per giusta causa”. “Abbiamo chiamato i lavoratori e loro hanno risposto – dichiara Pier Paolo Leonardi – c’è chi fa le passeggiate e chi fa le lotte. Si sta distruggendo il presente ed il futuro di questo Paese”, ha aggiunto.A causa dell’adesione allo sciopero nazionale, la compagnia aerea spagnola Vueling ha improvvisamente cancellato oggi 25 dei 38 voli in partenza e 24 di quelli in arrivo che assicura ogni giorno dall’aeroporto di Fiumicino. Inevitabili pesanti disagi per i passeggeri che, a quanto hanno riferito, non sono stati avvisati, come pure le altre strutture del Leonardo da Vinci. Disagi nei voli anche a Palermo.

“Forte la risposta nella prima fascia di sciopero nel settore dei Trasporti – si legge in un comunicato Usb – con una media nazionale del 60% di adesione. Il 100% ha scioperato a Napoli in tutte le società del tpl, con una media del 60% nelle aziende della regione Campania. A Trento sciopera il 90%. A Bologna e Forlì fermi il 70% dei bus; il 50% a Reggio Emilia;  a Rimini, Cesena e  Ferrara oltre il 40%. Soppresso il 90% dei treni regionali in Emilia Romagna. A Roma bloccati il 70% dei bus; metro A e B rallentate e  ferma la Roma-Giardinetti.  Adesione al 30% nel Cotral del Lazio. A Venezia fermo il 70% del trasporto urbano ed extraurbano; a Verona, Sala SCC, 50% degli operatori in sciopero, con ripercussioni in tutto il traffico ferroviario del Veneto. In Friuli, media del 40%. Fermo il tpl extraurbano in Sicilia. Si rammenta che la Torino e a Perugia lo sciopero è stato impedito dalla Commissione di Garanzia, con la motivazione del concomitante svolgimento del “Salone del Gusto” e di “Eurochocholate”.

A Roma, ad aprire il corteo sono stati i lavoratori Meridiana, applauditissimi, che stanno rischiando un taglio di 1.400 posti di lavoro. Molto folta la presenza dei vigili del fuoco e di alcune situazioni di lotta come gli addetti “Canados”. Un corteo “unitario”, dove non ci sono gli altri sindacati “ma ci sono lavoratori, precari, disoccupati, studenti e occupanti di case”. Al corteo nella capitale ha partecipato il segretario del Prc Paolo Ferrero.
A Bologna sul camioncino che apre il corteo compare un fantoccio con la faccia del premier Matteo Renzi e la scritta “scemo” incollata sul petto. Il fantoccio è stato lasciato poi nel cortile della sede di Unindustria. “Oggi si sciopera, non si fa finta e non si fa una passeggiata”. I manifestanti, circa 800, sono partiti da piazza XX Settembre con l’obiettivo dichiarato di attraversare il centro della citta’ ed andare a protestare davanti alla sede di Unindustria. “Abbiamo fatto un errore, abbiamo fatto scioperare troppi lavoratori del trasporto pubblico locale – dice lo speaker dal sound system, che parla di una partecipazione di non meno di duemila persone- e molti manifestanti non sono riusciti ad arrivare, altrimenti saremmo il doppio o il triplo”. Come annunciato nei giorni scorsi, partecipano alla manifestazione i consiglieri comunali Massimo Bugani e Marco Piazza del M5s. Un corteo “unitario”, dove non ci sono gli altri sindacati “ma ci sono lavoratori, precari, disoccupati, studenti e occupanti di case”. Arrivando in via Rizzoli da via Indipendenza, una delegazione si è staccata del corteo per deporre la corona di fiori sotto il sacrario dei caduti partigiani in piazza Nettuno, con scritto “Antifascisti sempre”.A Napoli Con in testa un lungo striscione di protesta contro l’abolizione dell’articolo 18, il lavoro precario e il governo Renzi, il corteoo è partito da piazza Mancini. L’iniziativa ha visto anche la partecipazione dei precari Bros, dei disoccupati organizzati di Giugliano e Casoria e di Rifondazione Comunista. Alcune migliaia di persone che hanno scandito slogan contro il governo, la precarieta’, il jobs act. Slogan di protesta anche all’indirizzo delle altre sigle sindacali, in particolare alla Cgil e al segretario Susanna Camusso.

A Genova il corteo aperto dallo striscione “LICENZIAMO RENZI” è stato di poco meno di un migliaio di persone. Il corteo è partito dal  centro per l’impiego per sottolineare la vergogna della riforma del lavoro di Renzi ed ha sostato poi sotto la sede dell’Inps “per ricordare la violenza e l’ingiustizia  della riforma delle pensioni e il tentativo di furto del TFR da parte di Renzi”.  Quindi all’Agenzia delle Entrate per sottolineare l’enormità dell’evasione fiscale mai combattuta se non a chiacchiere. Infine il corteo si è concluso sotto la sede di CONFINDUSTRIA “unica e vera beneficiaria delle riforme di Renzi”.
Da Imperia a La Spezia nel corteo erano presenti lavoratori di moltissime categorie del pubblico e del privato. Autisti e lavoratori dell’aeroporto,  infermieri, impiegati pubblici, lavoratori dell’igiene ambientale, vv.ff., guardie giurate, precari e dipendenti di cooperative tutti insieme “per dire basta alle politiche violentemente antipopolari del governo Renzi burattino bugiardo manovrato dalla UE”.

Nokia, mobilitazione dei lavoratori contro i licenziamenti Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

I lavoratori della Nokia di Cassina de Pecchi si mobilitano contro i licenziamenti decisi dalla multinazionale finlandese Nokia nella sede nell’hinterland di Milano. Nokia, informa la Fiom Cgil di Milano, “non sente ragioni. Dopo aver distrutto, nell’arco di pochi anni, 2.500 posti di lavoro in Italia e aver comunicato nell’incontro che si è svolto al Ministero del Lavoro la propria indisponibilità a ricercare un accordo per scongiurare ulteriori esuberi, è passata ai fatti, inviando 115 lettere di licenziamento”.Per la Fiom “è sempre più evidente la volontà della multinazionale di dismettere qualunque attività nel nostro paese. Per rispondere
all’ennesimo atto unilaterale dell’impresa, questa mattina le lavoratrici e i lavoratori del sito di Cassina de Pecchi sono scesi in
sciopero e organizzato un presidio”.

Mercoledì i lavoratori Nokia apriranno il corteo di protesta contro il summit europeo che partirà alle nove e trenta da piazzale Lotto.

“Sciopero generale? Meno proclami e più fatti. Come i facchini della Granarolo”. Parlano i Cobas Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Intervista a Federico Giusti, dei Cobas del Pubblico impiego.

In un vostro documento avete citato gli Assalti frontali “dovete darci il denaro, poi ne riparliamo. Poi”, perchè questa citazione non sindacale?
Dobbiamo svecchiare il nostro linguaggio, il cittadino , i giovani perchè dovrebbero difendere i lavoratori pubblici dopo anni di bombardamento mediatico che li ha descritti come nullafacenti e fannulloni? Da 20 anni si parla di lavoratori garantiti che portano a casa lo stipendio mentre altri sono disoccupati, sfruttati e malpagati o ridotti agli ultimi mesi di ammortizzatori sociali o con gli esigui sussidi. Cgil Cisl UIl hanno costruito un sistema clientelare e la cultura della passività, basti pensare la separazione tra pubblici e esternalizzati, tutti a svolgere lo stesso lavoro ma con contratti, stipendi e orari diversi. Non avere condotto una seria opposizione alle esternalizzazioni è questo l’inizio del declino sindacale nella Pubblica amministrazione, ora noi non dobbiamo fare lo stesso errore di fronte ai lavoratori delle partecipate e delle società in house che subiranno attacchi, tagli e licenziamenti in nome del risparmio.Per questo svecchiare il linguaggio vuol dire darci degli obiettivi non corporativi
Difendere i servizi pubblici significa poterli controllare, ma oggi con i sindaci podestà chi puo’ esercitare una direzione e un controllo? Nessuno, quindi cresce l’estraneità ai servizi pubblici e i lavoratori degli stessi sono dipinti come privilegiati. Noi dobbiamo invece rovesciare il ragionamento e non lo si fa solo con la indizione di qualche sciopero ma allargando la nozione di pubblico ben oltre quel perimetro in cui lo hanno rinchiuso

Per le giunte del Pd pubblici sono i nidi gestiti dalle cooperative dove le educatrici fanno anche da ausiliarie , lavorano due ore in piu’, spesso fanno straordinari non retribuiti (qui subentrano gli statuti e i regolamenti interni alle cooperative che vincolano il socio lavoratore a condizioni inaccettabili), noi pensiamo che un cinema o un teatro liberato siano molto piu’ pubblici di tanti enti locali. Cambiare la definizione del pubblico significa non subire le privatizzazioni, contrastarle, organizzare i lavoratori delle partecipate metterli insieme a quelli pubblici.

Ma torniamo al denaro…
Sono sei anni che i contratti sono praticamente fermi e mai si è visto un comparto cosi’ inerte. Perchè i lavoratori pubblici non si muovono? Una delle cause è sicuramente legata ai servizi essenziali previsti dalla normativa antisciopero che ti fa proclamare scioperi solo a scappamento ridotto con una inefficacia dello strumento. Poi ci sono i crumiri che devono marcare il cartellino perchè titolare di indennità, posizioni organizzative e quindi desiderosi di salvare una barca che sta affondando. Bisogna costruire piattaforme rivendicative con piu’ soldi al salario di base e meno alla parte accessoria, fuori dalla performance che ha diviso i lavoratori mettendoli gli uni contro gli altri, eliminare le posizioni organizzative o farle pagare dai bilanci degli enti e delle aziende.

Non solo i salari sono fermi ma anche i fondi della produttività subiscono decurtazioni paurose e poi se qualche contratto decentrato non è stato in linea con i dettami (per esempio cumulando indennità anche di pochi euro) scatta la corte dei conti che ti chiede indietro quanto hai percepito e magari mette sono accusa i delegati rsu che hanno sottoscritto l’accordo

Una piattaforma rivendicativa non puo’ limitarsi solo al rinnovo contrattuale, bisogna rimettere al centro anche i servizi, il controllo su di essi, la direzione a fini sociali, liberare le spese sociali, per la istruzione , per la salvaguardia del territorio da ogni vincolo.I soldi ci sono, basta prenderli dalle spese militari, dalla lotta alla corruzione che viene alimentata con i processi di privatizzazione. Invece ci vogliono imporre l’idea che siano proprio le privatizzazione la soluzione del problema quando sono invece la causa

Ma in Grecia stanno licenziando migliaia di lavoratori pubblici, sarà per questo che in Italia non esiste opposizione?

Ci sono già le basi perchè i licenziamenti arrivino anche da noi, e poi avete idea di quanti precari sono stati espulsi nonostante avessero i requisiti per la stabilizzazione? Vi ricordate quando Cgil Cisl Uil esaltavano la manovra di un anno fa sui precari parlando di segnali di apertura? Erano solo parole, nei fatti il sindacato ha sostenuto prima Letta e ora Renzi pensando di salvare le rendite di posizione, i Caf, i patronati, la concertazione che pure è morta e sepolta. Neppure per la salvaguardia dei lavoratori delle province siamo riusciti a costruire iniziative comuni, quindi serve una autocritica anche al nostro interno, neppure sulle camere di commercio abbiamo costruito una iniziativa seria per dimostrare che non sono enti inutili.

Andrete allo sciopero?
Lo sciopero da solo non basta piu’, se il sindacalismo di base pensa di cavarsela con la manifestazione di autunno e lo sciopero commette gli errori del passato che hanno portato a trasformare l’opposizione in parate retoriche e residuali. Scioperare ma prima mobilitarsi, avere una piattaforma comune, pratiche sociali e sindacali coerenti, obiettivi che leghino la rivendicazione sociale a una lotta sociale e politica senza perdere di vista le questioni concrete, le istanze provenienti dai luoghi di lavoro, soprattutto nella sanità e negli enti locali dove la mortificazione della forza lavoro, la sua svalorizzazione ha raggiunto livelli preoccupanti.
Un sindacato che difende i servizi e i lavoratori in astratto restando sulla difensiva non fa altro che favorire la controparte, questo vale non solo per la pubblica amministrazione. Aspettiamo che venga decisa uunitariamente la data per lo sciopero ma la domanda a cui rispondere è cosa intendiamo fare perchè questo autunno sia veramente caldo. Da parte nostra l’invito al sindacalismo di base di cambiare anche la modalità di rapportarsi al suo interno, prendere come esempio i facchini e i lavoratori pubblici greci, meno proclami e piu’ fatti e per raggiungere questo obiettivo serve parlarci , agire in comune, mettersi in rete con cittadini e realtà sociali. Anche questo vuol dire uscire dalla marginalità e dalla ritualità.

Scuola, lunedì sciopero nazionale dei lavoratori delle pulizie Autore: fabrizio salvatorida: controlacrisi.org

Inizia il nuovo anno scolastico ma la confusione regna ancora sovrana per gli ex-Lsu ATA, visto che non è decollato il piano “scuole belle”, fortemente pubblicizzato nell’ambito degli interventi del Governo nel mondo della scuola. Si continua invece a operare in condizioni di forte disagio a causa dei ritardi nell’attuazione del piano delle manutenzioni e dei tagli ai servizi di pulizia. E così i lavoratori delle pulizie, variamente collecati in coop oppure ripescati dalle liste degli ex lavoratori socialmente utili, scendono di nuovo in sciopero. La loro lotta,che dura da anni, è tesa a scongiurare il licenziamento e la riduzione dell’orario.

“Con lo sciopero nazionale indetto dall’USB il primo giorno di scuola – si legge in una nota firmata da Carmela Bonvino, dell’Esecutivo nazionale Usb Lavoro Privato –  che coinvolgerà tutti i lavoratori da inizio a fine turno, e con le manifestazioni che si terranno nelle varie regioni, esigiamo il pieno rispetto degli impegni assunti dalle controparti per il mantenimento dei livelli occupazionali e reddituali; il rispetto dei diritti e un intervento legislativo volto a ottenere la vera stabilizzazione del personale ex-Lsu scuola oggi impegnato in ditte appaltatrici, attraverso l’assunzione negli organici Ata con la reinternalizzazione del servizio e dei lavoratori, in modo da per ridare serenità al mondo della scuola e ai lavoratori.”Il piano per gli interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino funzionale, che doveva interessare 7.801 plessi scolastici nel corso del 2014, vede coinvolti come manutentori anche gli 11.000 ex LSU e gli altrettanti addetti alle pulizie da anni impegnati nelle scuole: lavoratori per la maggior parte sopra i 50 anni di età e per 2/3 donne, costretti a doversi “riqualificare” da pulitori ad “abbellitori” con corsi di formazione fatti in fretta e furia.

“Gli Accordi siglati, a cominciare dal cosiddetto piano industriale varato a marzo 2014 da MIUR, Ministero del Lavoro, aziende appaltatrici Consip e sindacati firmatari, fino ad ora hanno portato soprattutto altra amarezza e rabbia per gli ex-Lsu”, osserva ancora Bonvino.

“Nonostante gli annunci e le promesse dei soliti ‘incantatori di serpenti’, ad oggi gli addetti alle pulizie purtroppo hanno visto solo aumentare l’incertezza del loro futuro. Non sono stati pienamente mantenuti i livelli occupazionali e di reddito – denuncia Bonvino – anzi, i lavoratori sono stati costretti a lavorare nel caos organizzativo e a subire ricatti assurdi e illegittimi, costretti a periodi prolungati e spesso ancora non retribuiti di cassa in deroga e ferie forzate e di nuovo a riduzioni orarie forzate e non retribuite, malgrado il fiume di risorse pubbliche investite nel sistema degli appalti Consip nelle scuole”.

“Purtroppo la realtà conferma il timore che quell’accordo del marzo scorso fosse utile solo alla propaganda politica di Renzi in vista delle elezioni Europee, ma non certo a risolvere le problematiche della vertenza degli ex-Lsu o a soddisfare le esigenze delle stesse scuole – evidenzia la dirigente USB – e con l’avvio dell’anno scolastico il disagio rischia di diventare drammatico e insostenibile, visto che in alcune regioni molti dirigenti scolastici non stanno nemmeno rinnovando i contratti”.

“Migranti, in Cgil c’è uno scarto enorme tra parole e fatti concreti”. Intervista a Pietro Soldini Autore: stefano galieni da: controlacrisi.org

«La nostra organizzazione ha mancato un obbiettivo importante e questo mi preoccupa molto». Pietro Soldini, responsabile nazionale dell’Ufficio Immigrazione della Cgil, ad un mese dalla conclusione del congresso del più grande sindacato italiano, non nasconde delusione, amarezza e anche una certa indignazione. Motivo? L’esigua presenza di migranti nel direttivo nazionale. Numeri che non corrispondono per niente al peso effettivo che hanno tra gli iscritti.Da cosa deriva questa delusione?
«Più che deluso sono seriamente preoccupato. Nella composizione dell’assemblea congressuale, l’organismo fondamentale per decidere del nostro futuro, non c’è stata una adeguata presenza di lavoratori e lavoratrici migranti. C’è stato fra i nostri dirigenti chi ha detto che le ragioni vanno ricercate nella crisi economica. Ma questo è ancora più grave. La crisi riguarda tutti, ancora di più i migranti. È aumentata la loro ricattabilità e il loro sfruttamento. Sono sempre più ingabbiati dal permesso di soggiorno, hanno visto un arretramento dei percorsi di integrazione, una riduzione dei diritti e un aumento delle forme di discriminazione e di razzismo. Avevamo un obbiettivo e l’abbiamo mancato e questa resterà una macchia pesante su tutto il nostro sindacato».

Questo nonostante una forte presenza migrante nel sindacato
«Ora abbiamo a disposizione un programma che ci permette di avere un quadro più dettagliato degli iscritti. Ad oggi ne abbiamo memorizzati circa 4 milioni, ne restano fuori circa 1 milione e 700 mila. Di fatto conosciamo meglio due terzi degli iscritti. Di questi circa il 15 per cento è di origine immigrata. Ed è un dato in crescita. Se ci limitiamo a quelli che hanno meno di 35 anni, la percentuale sale al 25 per cento. Quindi non solo tanti iscritti ma giovani che garantiscono quel rinnovamento generazionale di cui abbiamo bisogno. A fronte di questi dati c’è stato un dimezzamento, rispetto al precedente congresso, di presenza di lavoratori e lavoratrici immigrati nel “direttivo nazionale” che è il nostro organismo centrale. Si è passati da 8 a 4 delegati, da oltre un 4 per cento, che era già assolutamente insufficiente, a meno del 2. Nella platea congressuale poi c’era solo l’1,5 per cento di lavoratori immigrati. Io so bene che l’obbiettivo deciso dalla Cgil nei congressi precedenti, cioè garantire agli immigrati una rappresentanza proporzionale agli iscritti, è molto ambizioso ed ha bisogno di gradualità, tempi lunghi e non traumatici. Ma ho assistito – da fuori perché neanche io ero delegato, discriminazione nella discriminazione – ad un processo regressivo. Quando aumentano gli iscritti e diminuisce una rappresentanza si determina un vulnus democratico. Oltre a certificare il fatto che iscriviamo immigrati ma non sappiamo rappresentarli, questo conferma una assenza di valore sul terreno politico e rivendicativo».

Manca la capacità di aprire rivendicazioni?
«Avverto una condizione di stallo. Rivendichiamo stancamente alcune cose sacrosante, come il superamento della Bossi-Fini, la riforma della cittadinanza, il diritto di voto e tutele contro supersfruttamento e discriminazioni, senza fare tutte le azioni conseguenti. C’è uno scarto enorme fra i documenti di carattere generale e quanto elaborato nel coordinamento immigrazione e nel nostro ufficio. Tanti elementi propositivi sono emersi all’assemblea nazionale dei lavoratori e le lavoratrici migranti del 16 dicembre scorso, ma non vengono assunti come vertenze generali. Il tema immigrazione è trattato in termini marginali. Si ragiona per priorità ma io dubito che, anche guardando con l’ottica delle emergenze da affrontare, l’immigrazione non abbia diritto ad essere messa più in alto in graduatoria. Lo ha dimostrato anche la campagna elettorale per le recenti elezioni europee. Il tema è stato agitato da forze di destra razziste e xenofobe, è emerso un vero e proprio “razzismo militante” che pervade anche i social network. Manca invece una militanza antirazzista, non c’è terreno di scontro politico e culturale su questo tema e anche il centro sinistra continua ad essere reticente. Resta il ragionamento per cui parlare di immigrazione provoca la perdita di consensi».

Ma questo come si ripercuote nel sindacato?
«Parto da un esempio che può apparire parziale ma è rivelatore. Nei giorni del congresso nazionale c’era stato il rapimento delle oltre 200 ragazze in Nigeria, colpevoli di voler studiare. Da noi si era così presi dal dualismo dello scontro interno (Camusso vs Landini) che non si è trovato neanche il tempo per approvare un ordine del giorno rispetto a un fatto così grave. Ma anche ripercorrendo i mesi che hanno portato al congresso nazionale, nelle Camere del Lavoro, nei territori, nelle categorie, si è avvertita una vera e propria crisi di identità e di smarrimento. Non solo ci si è fermati a difendere lo status quo, ma ci si è rivelati inadeguati nell’aprirsi al nuovo. Oggi la Cgil fatica a rappresentare gli immigrati, ma più in generale i giovani, i nuovi lavori, i contratti atipici, il mondo della precarietà. Si è mantenuta la rappresentanza di genere (il 41 per cento dei delegati erano donne) ma ci si è assopiti rispetto all’immigrazione. Non basta poi neanche avere una dirigente donna se questa esige di essere chiamata “Segretario”, al maschile. E questo, scusate se esulo dal tema, dovrebbe far interrogare anche le compagne, non basta semplicemente fare spazio alle donne. Abbiamo un ministro della difesa donna che rispetto agli F35 ha le stesse impostazioni vetero maschiliste. Alcuni elementi politici non sono stati intaccati dalla presenza numerica. E, tornando a noi, non solo ci sono meno immigrati ma, in base alle arcaiche liturgie con cui costruiamo i gruppi dirigenti, liturgie che durano mesi, non sappiamo neanche chi ha scelto i lavoratori immigrati e viene il dubbio che siano stati selezionati quelli ritenuti più affidabili dalla burocrazia interna».

Un processo regressivo che si registra in tutte le categorie?
«Ce ne sono alcune che, nel corso del tempo hanno acquisito dignità e hanno tenuto di più, come la Fillea (edili) e la Flai (lavoratori dell’agricoltura). Qualche passo in avanti lo ha fatto anche la Filcams (lavoratori del commercio). La Flai, più delle altre è riuscita a dare risposte sindacali. C’erano due modi di reagire: o tenere bassa la spinta portata dai lavoratori migranti o utilizzarla come leva. La Flai ha scelto questa seconda strada, ha messo in campo questioni che compongono le ragioni per fare il sindacato, per aprire vertenze, per essere “sindacato di strada” e nelle campagne. Hanno portato temi di cultura politica importanti. Oggi, anche grazie alle vertenze aperte, c’è una piattaforma unitaria che rivendica un nuovo sistema di collocamento pubblico nell’agricoltura, solo pensarlo due anni fa sarebbe sembrata una bestemmia. Questo perché la contraddizione nel mercato del lavoro è esplosa. In altre realtà siamo rimasti indietro, nella Filt ad esempio (trasporti). In questa categoria è concentrato il maggior numero di lavoratori immigrati ma l’organizzazione è rimasta arretrata. Si ragiona ancora come si trattasse solo di ferrovieri, mentre oggi gran parte dei lavori sono esternalizzati e in subappalto, predomina la privatizzazione. Basti pensare alle pulizie, alla logistica, all’autotrasporto, al facchinaggio e sono settori che non riusciamo a rappresentare. Sono entrate in ballo anche cooperative e forme di contrattualizzazione che acuiscono le discriminazioni nei trattamenti. Col risultato che questi lavoratori cercano altrove una tutela sindacale. Anche la Fiom si è trovata nello scontro fra maggioranze e minoranze politiche nella Cgil ed ha anch’essa sacrificato la rappresentanza dei lavoratori immigrati».

Una critica che riguarda l’intero territorio nazionale?
«Questo processo regressivo, scendendo dalle categorie, arriva alle persone in carne ed ossa e pesa di più nelle situazioni fragili e deboli. Nel meridione i lavoratori partivano già svantaggiati in quanto meno tutelati e impiegati nei settori più informali e polverizzati C’è maggiore precarietà anche delle stesse strutture sindacali. Le compagne e i compagni che collaborano con gli uffici immigrazione periferici spesso si sono visti tagliati da una nostra inevitabile spending rewiew interna».

Ed ora che intende fare partendo dal quadro che ci ha delineato?
«Il mio è un giudizio pesante che riflette, come ho già avuto modo di dire, uno stato d’animo personale. Lavoro in questo campo, credo con passione e determinazione, da 12 anni. Ne ho conosciuto dall’interno i percorsi e i processi, per questo ritengo la situazione molto difficile. Se ne può uscire se i lavoratori e le lavoratrici migranti acquistano maggiore consapevolezza. Devono abbandonare ogni condizione di soggezione e non piegarsi a chi dice loro di aspettare il turno. Possiamo vivere nell’idea che si possa parlare di immigrazione solo se ci sono centinaia di morti? Molto si può ancora giocare ma occorre una diversa e più forte capacità organizzativa, occorre coraggio e militanza. Insieme a noi sono nate esperienze di lotta di alto livello come a Nardò, a Rosarno nell’agricoltura o nei cantieri edili. Ci sono realtà del Nord, come Milano e Brescia, che hanno fatto esperienze significative. Ci sono due sentenze del Tar Lazio “conquistate” dalla Cgil e dall’Inca, sulla cittadinanza e sulla tassa del permesso di soggiorno che mettono in mora il Governo, ma hanno bisogno di una spinta dal basso. Bisogna partire da loro e, con maggiore autonomia, riportare le questioni nel dibattito generale, senza avere più timori. Basta con le prudenze».