Dichiarazione congiunta di solidarietà col KKE-Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Firmatari in calce | kke.gr

17/07/2015

Cari compagni,

Noi, Partiti Comunisti e Operai stiamo seguendo gli sviluppi in Grecia, l’offensiva dell’Unione europea, del capitale e dei suoi rappresentanti politici contro i diritti dei lavoratori.

Noi, Partiti Comunisti e Operai abbiamo sostenuto le lotte dei lavoratori greci e abbiamo espresso la nostra solidarietà internazionalista e il sostegno alla lotta del KKE.

Per molti anni i governi di ND e del PASOK in collaborazione con UE-BCE-FMI hanno implementato protocolli e dure leggi antipopolari con gravi conseguenze per la classe operaia e gli strati popolari.

Oggi il terzo memorandum anti-popolare che è stato firmato con la Troika dal governo SYRIZA-ANEL, sostenuto da ND e PASOK, mantiene le misure antipopolari dei governi precedenti e impone nuovi oneri sui lavoratori greci, tassazioni insopportabili, l’abolizione dei diritti di sicurezza sociale e del lavoro, le riduzioni dei salari e delle pensioni, privatizzazioni, ecc., peggiorando ulteriormente la situazione delle famiglie della strati popolari.

Questi sviluppi consentono di trarre alcune conclusioni utili al fine di rafforzare la lotta del popolo, come ad esempio:

– Il capitalismo non può essere umanizzato. Esso genera crisi, disoccupazione e povertà. In realtà, è stato dimostrato che ogni tipo di gestione del sistema acuisce i problemi del popolo e aumenta i profitti del grande capitale.

– L’UE è un un’organizzazione reazionaria e imperialista. “Democrazia”, ​​”Solidarietà” e giustizia sociale non possono esistere all’interno del suo quadro.

Noi, Partiti Comunisti e Operai che firmiamo questo messaggio, apprezziamo la posizione decisa, coerente del KKE al fianco della classe operaia, del popolo greco per l’abolizione del memorandum, contro l’accordo anti-popolare firmato dal governo SYRIZA-ANEL (e gli altri partiti politici borghesi) con la Troika (UE-BCE-FMI).

I nostri partiti salutano la lotta dei comunisti in Grecia per i diritti dei lavoratori, il rovesciamento della barbarie capitalista, per il socialismo.

Partiti firmatari:

1. CP of Albania
2. CP of Australia
3. Party of Labour of Austria
4. Algerian Party for Democracy and Socialism (PADS),
5. CP of Bangladesh
6. CP of the Workers of Belarus
7. Brazilian CP
8. CP of Britain
9. CP of Bulgaria
10. Party of the Bulgarian Communists
11. Union of Communists in Bulgaria
12. CP of Canada
13. CP in Denmark
14. UCP of Georgia
15. Workers’ Party of Hungary
16. Workers’ Party of Ireland
17. Socialist Movement of Kazakhstan
18. CP of Luxembourg
19. CP of Macedonia (FYROM)
20. CP of Malta
21. CP of Mexico
22. Popular Socialist Party of Mexico
23. NCP of the Netherlands
24. CP of Pakistan
25. Palestinian CP
26. Phillipinese CP [PKP-1930]
27. CP of Poland
28. Russian CWP
29. CP of Soviet Union
30. NCP of Yugoslavia
31. CP of Slovakia
32. South African CP
33. CP of the Peoples of Spain
34. Galizan Movement for Socialism
35. Syrian CP
36. CP (Turkey)
37. Union of Communists of Ukraine
38. Party of Communists USA
39. Freedom Road Socialist Organization (USA)
40. CP of Venezuela

La dichiarazione è aperta per ulteriori firme di altri partiti

“Venticinque anni di legge antisciopero. Ormai bisogna pensare ad azioni illegali”. Intervista a Giorgio Cremaschi Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Tra due giorni saranno venticinque anni di legge antisciopero, la famosa 146. E ancora stanno lì ad apportare modifiche che peggiorano la situazione per quanto riguarda i diritti dei lavoratori.
Vogliono cancellare lo sciopero di autodifesa e di autotutela, quello che crea più problemi all’impresa. Di fatto, stanno andando rapidamente verso la cancellazione del diritto di sciopero. E laddove non arrivano ecco che, nelle vesti del cosiddetto garante o di un sindaco, magari spalleggiato da un prefetto, assistiamo a delle vere e proprie invasioni di campo. Per attaccare uno sciopero c’è sempre un qualche tipo di “ragione superiore” fuori dalle regole, dai casi previsti, e tutta nella gestione che la politica fa del conflitto sociale.A cosa ti riferisci?
Allo sciopero dei trasporti indetto pochi giorni dopo l’apertura dell’Expo, oppure a quanto ha dichiarato il garante a proposito dello sciopero degli scrutini. Tutti casi in cui nonostante i lavoratori e le organizzazioni sindacali avessero osservato scrupolosamente le regole l’indizione di sciopero viene attaccata per il solo fatto di essere un’azione di lotta. Siamo ormai a una gestione politica, altro che Commissione di garanzia e regole.

Un po’ la stessa cosa accaduta con il pronunciamento della Consulta sulle pensioni.
In quel caso, Morando prima e Padoan poi hanno sbattuto in faccia ai giudici della Consulta l’articolo 81 della Costituzione, quello che esige, lo voglio sottolineare, il pareggio di bilancio. E quindi hanno opposto un elemento preso, diciamo così dalle regole stesse. Questo da una parte riconferma la sciagura di aver voluto inserire il pareggio di bilancio in Costituzione, che funziona da arma definitiva,ovvero da pietra tombale, contro ogni tipo di diritto e,dall’altra, sottolinea che il Governo può arrivare tranquillamente a contestare una sentenza della Corte Costituzionale non applicandola nel dettato.

Insomma, il movimento sindacale sembra in un vicolo cieco…
Il movimento sindacale se non vuole soccombere ha davanti a sé il tema di trovare nuove forme di lotta. E dico, non esclusivamente quelle forme di lotta legate al rinnovo del contratto, ammesso che il contratto nazionale esista ancora in futuro, che in qualche modo quelle sono autorizzate entro certi limiti. Dico, le forme della lotta con le quali si vuole realmente conquistare qualcosa o bloccare una forzatura da parte dei padroni.

E’ un po’ la distinzione introdotta da Marchionne
Certo, in Fabbrica Italia quello che c’è scritto è che sono bandite, e dichiarate illegali, tutte le forme di lotta che di fatto bloccano la produzione o impediscono il comando sui lavoratori.

Secondo te cosa bisogna fare?

Lo voglio dire chiaro e, soprattutto senza che ci siano strumentalizzazioni. Senza azioni di lotta illegali non si va da nessuna parte. In un quadro in cui tutto viene vietato è chiaro che la soglia di legalità si alza. E allora bisogna avere la capacità di sfidarla questa soglia, altrimenti non si otterrà nulla di sostanziale.

Qualcuno propone di appellarsi alla violazione della Costituzione…
Bisogna capirci su questo. A parte i cosiddetti tempi lunghi di una strategia basata sul ricorso in sede giudiziaria, il punto è che lentamente ma inesorabilmente ci saranno sempre meno giudici disposti a prendere in considerazione le ragioni di chi lotta dal punto di vista del dettato costituzionale. Ripeto, la vicenda del pareggio di bilancio dimostra che nemmeno più la Costituzione è un territorio sicuro.

Pubblico impiego, oggi quasi tre milioni al voto per il rinnovo delle Rsu. Alle urne anche i precari autore Fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Oggi inizia nella pubblica amministrazione e nella scuola, la tre giorni di voto dei nuovi rappresentanti sindacali. Si tratta di un appuntamento molto particolare, e dall’esito incerto, perché per la prima volta voteranno centinaia di migliaia di precari. Non voteranno solo le forze dell’ordine, il personale diplomatico, medici e prefetti. Le urne saranno aperte fino a giovedì 5 marzo. “Il voto attivo e passivo per i lavoratori a tempo determinato nella pubblica amministrazione è un risultato importante, un evento storico che premia la battaglia storica del sindacato confederale e della Cgil in particolare”, dice Claudio Treves, segretario generale della Nidil Cgil, il sindacato dei lavoratori atipici.
“Va chiarito – aggiunge Treves – che si tratta di lavoratori a termine, e non di lavoratori atipici. Questo è un segnale incoraggiante verso la risoluzione del problema della presenza di collaboratori precari e false partite iva nella Pa”. “Va chiarito – aggiunge Treves – che si tratta di lavoratori a termine, e non di lavoratori atipici. Questo è un segnale incoraggiante verso la risoluzione del problema della presenza di collaboratori precari e false partite iva nella Pa”.
“Noi dalle elezioni ci aspettiamo ci aspettiamo innanzitutto che i lavoratori vadano massicciamente a votare per dimostrate che nei luoghi di lavoro c’è ancora voglia di fare sindacato, di rappresentare e di essere rappresentati, di portare avanti i diritti dei lavoratori”, è invece l’invito del segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori.

Nella scuola, potranno essere votati anche i precari annuali, con contratto sino al 30 giugno o 31 agosto 2015, a seguito della storica sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre scorso, che ha mandato in soffitta il principio di discriminazione tra il personale di ruolo e precario della scuola adottato per decenni in Italia con l’avallo dei sindacati tradizionali, ribandendo, nello specifico, quanto riconosciuto dalla direttiva 14/2002 e dalla sentenza della Corte Europea Association dé mediation 2014. Nella scuola potrebbero cambiare molte cose dal punto di vista della rappresentanza. I sindacati non rappresentativi, sinora lasciati ai margini, anche dalla mancanza di possibilità di riunirsi in orario di servizio, facoltà lasciata a quelli rappresentativi, hanno creato un’alleanza: Unicobas e Usb hanno deciso di appoggiare le liste Anief: un patto di ”desistenza”, attraverso cui si vuole rompere il monopolio ventennale dei noti sindacati e tornare finalmente a tutelare i lavoratori.
L’accordo prevede che nelle scuole dove non sia presente una lista Rsu Unicobas e Usb, i lavoratori sostengano le liste Anief: se invece sono presenti solo liste dei sindacati oggi rappresentativi, si chiede ai lavoratori di astenersi di assegnare il voto, perché si tratta di quelle organizzazioni che nell’ultimo ventennio sono state artefeci o perlomeno complici nel far perdere ai lavoratori della scuola quote sempre maggiori di salario, diritti e dignità lavorativa.“Coloro che si autodefiniscono “sindacati responsabili” – si legge in un comunicato Usb – hanno detto sempre si, e dove siamo arrivati? Alla riduzione dei salari, all’aumento dei carichi di lavoro con la riduzione dell’incentivo, al peggioramento di orari e turni di lavoro sempre più discrezionali. Al licenziamento senza giusta causa e al demansionamento professionale ed economico. A servizi pubblici scadenti, condizionati dalla quantità per garantire la parità di bilancio, senza valutare qualità ed esigenze dei cittadini. Grazie alla silente responsabilità di CGIL CISL e UIL andremo ormai in pensione alla soglia dei 70 anni, con milioni di giovani disoccupati”.
Il pubblico impiego è in piena fase di travaglio, con il contratto nazionle non rinnovato dal 2010 e decine di esuberi più o meno mascherati in arrivo dalla soppressione delle Province e dalla spending review.
Nella scuola, potranno essere votati anche i precari annuali, con contratto sino al 30 giugno o 31 agosto 2015, a seguito della storica sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre scorso, che ha mandato in soffitta il principio di discriminazione tra il personale di ruolo e precario della scuola adottato per decenni in Italia con l’avallo dei sindacati tradizionali, ribandendo, nello specifico, quanto riconosciuto dalla direttiva 14/2002 e dalla sentenza della Corte Europea Association dé mediation 2014. Nella scuola potrebbero cambiare molte cose dal punto di vista della rappresentanza. I sindacati non rappresentativi, sinora lasciati ai margini, anche dalla mancanza di possibilità di riunirsi in orario di servizio, facoltà lasciata a quelli rappresentativi, hanno creato un’alleanza: Unicobas e Usb hanno deciso di appoggiare le liste Anief: un patto di ”desistenza”, attraverso cui si vuole rompere il monopolio ventennale dei noti sindacati e tornare finalmente a tutelare i lavoratori.
L’accordo prevede che nelle scuole dove non sia presente una lista Rsu Unicobas e Usb, i lavoratori sostengano le liste Anief: se invece sono presenti solo liste dei sindacati oggi rappresentativi, si chiede ai lavoratori di astenersi di assegnare il voto, perché si tratta di quelle organizzazioni che nell’ultimo ventennio sono state artefeci o perlomeno complici nel far perdere ai lavoratori della scuola quote sempre maggiori di salario, diritti e dignità lavorativa.“Coloro che si autodefiniscono “sindacati responsabili” – si legge in un comunicato Usb – hanno detto sempre si, e dove siamo arrivati? Alla riduzione dei salari, all’aumento dei carichi di lavoro con la riduzione dell’incentivo, al peggioramento di orari e turni di lavoro sempre più discrezionali. Al licenziamento senza giusta causa e al demansionamento professionale ed economico. A servizi pubblici scadenti, condizionati dalla quantità per garantire la parità di bilancio, senza valutare qualità ed esigenze dei cittadini. Grazie alla silente responsabilità di CGIL CISL e UIL andremo ormai in pensione alla soglia dei 70 anni, con milioni di giovani disoccupati”.
Il pubblico impiego è in piena fase di travaglio, con il contratto nazionle non rinnovato dal 2010 e decine di esuberi più o meno mascherati in arrivo dalla soppressione delle Province e dalla spending review.

Pubblico impiego, oggi quasi tre milioni al voto per il rinnovo delle Rsu. Alle urne anche i precari autore Fabrizio salvatori da: controlcrisi.org

Oggi inizia nella pubblica amministrazione e nella scuola, la tre giorni di voto dei nuovi rappresentanti sindacali. Si tratta di un appuntamento molto particolare, e dall’esito incerto, perché per la prima volta voteranno centinaia di migliaia di precari. Non voteranno solo le forze dell’ordine, il personale diplomatico, medici e prefetti. Le urne saranno aperte fino a giovedì 5 marzo. “Il voto attivo e passivo per i lavoratori a tempo determinato nella pubblica amministrazione è un risultato importante, un evento storico che premia la battaglia storica del sindacato confederale e della Cgil in particolare”, dice Claudio Treves, segretario generale della Nidil Cgil, il sindacato dei lavoratori atipici.
“Va chiarito – aggiunge Treves – che si tratta di lavoratori a termine, e non di lavoratori atipici. Questo è un segnale incoraggiante verso la risoluzione del problema della presenza di collaboratori precari e false partite iva nella Pa”. “Va chiarito – aggiunge Treves – che si tratta di lavoratori a termine, e non di lavoratori atipici. Questo è un segnale incoraggiante verso la risoluzione del problema della presenza di collaboratori precari e false partite iva nella Pa”.
“Noi dalle elezioni ci aspettiamo ci aspettiamo innanzitutto che i lavoratori vadano massicciamente a votare per dimostrate che nei luoghi di lavoro c’è ancora voglia di fare sindacato, di rappresentare e di essere rappresentati, di portare avanti i diritti dei lavoratori”, è invece l’invito del segretario generale della Fp Cgil, Rossana Dettori.

Nella scuola, potranno essere votati anche i precari annuali, con contratto sino al 30 giugno o 31 agosto 2015, a seguito della storica sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre scorso, che ha mandato in soffitta il principio di discriminazione tra il personale di ruolo e precario della scuola adottato per decenni in Italia con l’avallo dei sindacati tradizionali, ribandendo, nello specifico, quanto riconosciuto dalla direttiva 14/2002 e dalla sentenza della Corte Europea Association dé mediation 2014. Nella scuola potrebbero cambiare molte cose dal punto di vista della rappresentanza. I sindacati non rappresentativi, sinora lasciati ai margini, anche dalla mancanza di possibilità di riunirsi in orario di servizio, facoltà lasciata a quelli rappresentativi, hanno creato un’alleanza: Unicobas e Usb hanno deciso di appoggiare le liste Anief: un patto di ”desistenza”, attraverso cui si vuole rompere il monopolio ventennale dei noti sindacati e tornare finalmente a tutelare i lavoratori.
L’accordo prevede che nelle scuole dove non sia presente una lista Rsu Unicobas e Usb, i lavoratori sostengano le liste Anief: se invece sono presenti solo liste dei sindacati oggi rappresentativi, si chiede ai lavoratori di astenersi di assegnare il voto, perché si tratta di quelle organizzazioni che nell’ultimo ventennio sono state artefeci o perlomeno complici nel far perdere ai lavoratori della scuola quote sempre maggiori di salario, diritti e dignità lavorativa.“Coloro che si autodefiniscono “sindacati responsabili” – si legge in un comunicato Usb – hanno detto sempre si, e dove siamo arrivati? Alla riduzione dei salari, all’aumento dei carichi di lavoro con la riduzione dell’incentivo, al peggioramento di orari e turni di lavoro sempre più discrezionali. Al licenziamento senza giusta causa e al demansionamento professionale ed economico. A servizi pubblici scadenti, condizionati dalla quantità per garantire la parità di bilancio, senza valutare qualità ed esigenze dei cittadini. Grazie alla silente responsabilità di CGIL CISL e UIL andremo ormai in pensione alla soglia dei 70 anni, con milioni di giovani disoccupati”.
Il pubblico impiego è in piena fase di travaglio, con il contratto nazionle non rinnovato dal 2010 e decine di esuberi più o meno mascherati in arrivo dalla soppressione delle Province e dalla spending review.
Nella scuola, potranno essere votati anche i precari annuali, con contratto sino al 30 giugno o 31 agosto 2015, a seguito della storica sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre scorso, che ha mandato in soffitta il principio di discriminazione tra il personale di ruolo e precario della scuola adottato per decenni in Italia con l’avallo dei sindacati tradizionali, ribandendo, nello specifico, quanto riconosciuto dalla direttiva 14/2002 e dalla sentenza della Corte Europea Association dé mediation 2014. Nella scuola potrebbero cambiare molte cose dal punto di vista della rappresentanza. I sindacati non rappresentativi, sinora lasciati ai margini, anche dalla mancanza di possibilità di riunirsi in orario di servizio, facoltà lasciata a quelli rappresentativi, hanno creato un’alleanza: Unicobas e Usb hanno deciso di appoggiare le liste Anief: un patto di ”desistenza”, attraverso cui si vuole rompere il monopolio ventennale dei noti sindacati e tornare finalmente a tutelare i lavoratori.
L’accordo prevede che nelle scuole dove non sia presente una lista Rsu Unicobas e Usb, i lavoratori sostengano le liste Anief: se invece sono presenti solo liste dei sindacati oggi rappresentativi, si chiede ai lavoratori di astenersi di assegnare il voto, perché si tratta di quelle organizzazioni che nell’ultimo ventennio sono state artefeci o perlomeno complici nel far perdere ai lavoratori della scuola quote sempre maggiori di salario, diritti e dignità lavorativa.“Coloro che si autodefiniscono “sindacati responsabili” – si legge in un comunicato Usb – hanno detto sempre si, e dove siamo arrivati? Alla riduzione dei salari, all’aumento dei carichi di lavoro con la riduzione dell’incentivo, al peggioramento di orari e turni di lavoro sempre più discrezionali. Al licenziamento senza giusta causa e al demansionamento professionale ed economico. A servizi pubblici scadenti, condizionati dalla quantità per garantire la parità di bilancio, senza valutare qualità ed esigenze dei cittadini. Grazie alla silente responsabilità di CGIL CISL e UIL andremo ormai in pensione alla soglia dei 70 anni, con milioni di giovani disoccupati”.
Il pubblico impiego è in piena fase di travaglio, con il contratto nazionle non rinnovato dal 2010 e decine di esuberi più o meno mascherati in arrivo dalla soppressione delle Province e dalla spending review.

Jobs act: le dure critiche di Ferrero, Cgil, Vendola, Fassina, De Magistris Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Il Jobs Act è il mantenimento delle differenze e non la lotta alla precarietà”. Coglie nel segno il primo commento della Cgil sul provvedimento che Renzi ha definito di portata “epocale”. “Il contratto a tutele crescenti – aggiunge la Cgil –è la modifica strutturale del tempo indeterminato che ora prevede, nel caso di licenziamento illegittimo o collettivo, che l’azienda possa licenziare liberamente pagando un misero indennizzo”. E aggiunge: “Il governo parla di diritti ma mantiene la precarietà, dimentica le partite Iva e regala a tutti licenziamenti e demansionamenti facili. Per rendere i lavoratori più stabili non bisogna per forza renderli più licenziabili o ricattabili”. Per la Cgil “quello che il governo sta togliendo e non estende ai lavoratori stabili e precari, andrà riconquistato con la contrattazione e con un nuovo Statuto dei lavoratori”.

Secondo il segretario del Prc Paolo Ferrero, ora la precarietà per i giovani “sarà per legge e per tutta la vita: il jobs act è una legge contro i giovani, al contrario di quanto dice Renzi, per garantire il lavoro usa e getta. “Alla fine dei conti l’unica cosa che resta, nel jobs act di concreto – aggiunge Ferrero – è la libertà di licenziare, come giustamente denuncia la Cgil: non è così che si risolve la piaga della disoccupazione, non è così che si aiutano i giovani a trovare lavoro. Al di là della demagogia, ancora una volta, Renzi non sa fare altro che regali ai padroni, come il suo amico Marchionne”.

Nichi Vendola parla di “controriforma” che “conferma nonostante la volonta’ contraria del Parlamento i licenziamenti collettivi, non chiarisce quali siano le risorse utili ad alimentare gli ammortizzatori sociali, conferma la sparizione dell’art. 18, sparisce il diritto al lavoro e avanza il diritto al licenziamento, restano 45 contratti atipici su 47. Siamo ad un punto di svolta ma molto, molto, molto negativo”.

Critiche anche da Stefano Fassina. ”Con questo decreto il Pd di Renzi diventa il partito degli interessi forti”, dichiara. “Dopo essere arrivato sulle posizioni di Ichino ora ha raggiunto Sacconi che, a questo punto, può entrare nel Pd di Renzi”, aggiunge il deputato della minoranza del Pd, intervistato da Repubblica. ”È una straordinaria operazione propagandistica – sottolinea ancora -. Restano tutte le forme di contratti precari. Con questo decreto il diritto del lavoro italiano torna agli anni Cinquanta. Renzi attua l’agenda della Troika economica con una fedeltà che, sono certo, il professor Monti invidierà”. ”La rottamazione dei co.co.co c’è già stata, rimangono solo nella pubblica amministrazione dove, per il blocco delle assunzioni, non ci sarà alcuna trasformazione”, specifica l’esponente del Pd. ”Per esempio resterà tutto come adesso per i professionisti senza partita Iva. Rimangono anche i contratti a tempo determinato senza causalità; restano il lavoro intermittente, il lavoro accessorio e pure l’apprendistato senza requisiti di stabilizzazione. Il carnet di contratti precari non cambia. È una foglia di fico per coprire l’unico vero obiettivo di questo governo sul lavoro: cancellare la possibilità del reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento ingiustificato, cioè cancellare l’articolo 18”. Anche perché il previsto aumento dei contratti a tempo indeterminato ci sarà non grazie alla cancellazione dell’articolo 18 bensì per effetto del taglio dei contributi per tre anni per i neoassunti nel 2015. Una misura che costa tantissimo e che, date le condizioni della nostra finanza pubblica, non sarà ripetibile”.

Infine, Luigi De Magistris,sindaco di Napoli. “Con il Jobs Act Renzi passa alla storia come il premier che ha rottamato 50 anni di lotte operaie”. Per De Magistris si tratta di “macelleria sociale arrogante e violenta”. La “rottamazione dell’articolo 18 – scrive il sindaco di Napoli – distrugge i diritti dei lavoratori, mortifica la loro dignità. L’Italia è debole senza diritti. Ingiustizia fatta”, conclude.

PAME: Le rivendicazioni immediate della classe operaia in Grecia www.resistenze.org – popoli resistenti – grecia – 09-02-15 – n. 530


Fronte Militante di Tutti i Lavoratori (PAME) | wftucentral.org
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

04/02/2015

Il PAME, Fronte Militante di Tutti i Lavoratori della Grecia, nel suo ultimo discorso rivolto alla classe operaia greca dice: “Nel corso degli ultimi anni il PAME, movimento di classe, è stato in prima linea nella lotta contro l’attacco del capitale ai diritti dei lavoratori e ai diritti popolari. Il suo impegno proseguirà in questa direzione perché non sono cessati i problemi e i fattori che hanno portato la stragrande maggioranza delle persone alla povertà, alla disperazione, alla perdita dei diritti e delle conquiste raggiunte in passato.

Il nostro nemico è qui! I gruppi affaristici, gli industriali e gli armatori, i proprietari delle catene alberghiere e commerciali, tutti questi con i loro governi e l’UE scaricano il peso, le conseguenze della crisi e il debito sulle spalle del popolo, mentre continuano ad arricchirsi lucrando sulla sofferenza e la miseria della stragrande maggioranza del popolo.

Il nostro avversario non ha mollato la presa con il cambio di governo, anzi sfrutta l’avvicendamento politico per restare saldo e attrezzato. Le dichiarazioni di congratulazioni e i complimenti da parte dei rappresentanti del grande capitale al nuovo governo trovano ragione nell’impegno di quest’ultimo verso una diversa formula di gestione che aiuterà il capitale a uscire dalla crisi e a ottenere nuovi vantaggi. Intendono consolidare l’intero arsenale antisindacale già messo a punto, per neutralizzare in una fase di recupero economico, qualsiasi rivendicazione militante dei lavoratori. Un pilastro fondamentale della nuova gestione è quello di insegnare a vivere con meno, accontentandosi delle briciole, come ha spiegato il nuovo ministro delle Finanze nella sua dichiarazione sulla “vita austera”.

Le dichiarazioni dei nuovi ministri a sostegno di una “forte imprenditorialità “e del graduale ripristino delle perdite in conformità con “la crescita economica e sociale” rivelano la sostanza delle loro posizioni, accuratamente nascoste dietro trucchi comunicativi.

In tutti i settori prosegue e si intensifica l’offensiva dei datori di lavoro. I licenziamenti, la disoccupazione, la prevalenza dei rapporti di lavoro flessibili, gli inaccettabili “programmi per l’impiego”, i tagli dei salari imperversano con un unico scopo: ridurre continuamente il “costo del lavoro “in modo da ampliare e moltiplicare i profitti dei grandi gruppi imprenditoriali.

Finché i monopoli e grandi gruppi aziendali terranno l’economia e il potere nelle loro mani, il movimento operaio-popolare deve stare permanente in allerta, pronto a combattere. Combattere per recuperare le perdite subite e soddisfare pienamente i bisogni contemporanei della classe operaia.

Coloro che sostengono nelle loro parole e nelle posizioni che ci sono interessi comuni tra capitale e lavoro e invocano la coesione di classe, mentono. E’ una beffa, un inganno asserire che per i lavoratori possa esserci un qualsiasi sollievo e miglioramento delle loro condizioni di vita mentre gli industriali, i grandi proprietari, i banchieri e gli armatori mantengano intatti i loro profitti e i loro interessi.

La classe operaia e il suo movimento hanno avanzato negli anni passati le loro rivendicazioni attraverso lotte di massa vigorose, militanti e collettive, nelle fabbriche e sui posti di lavoro.

Tali rivendicazioni possono essere racchiuse in poche parole: “Recupero di tutte le perdite – Non vivremo di briciole”.

Avanziamo l’obiettivo di aumenti salariali ovunque! Firma del contratto collettivo nazionale con ripristino dei 751 € come salario minimo per tutti i datori di lavoro. Nessun lavoratore sotto i 751 €. Abolizione dei salari da fame oltraggiosi da 511 e 586 €. Ripristino dei salari settoriali al livello prima del 2009.

Nessun dipendente senza contratto collettivo. Fine alla moderna ghigliottina dei contratti individuali. Abolire immediatamente tutte le leggi antisindacali che distruggono i contratti collettivi. Piena e obbligatoria applicazione dei contratti collettivi. Cancellazione del diritto dei singoli datori di lavoro di firmare contratti con salari al di sotto dei contratti collettivi di categoria.

Ripristino del contratto collettivo per i lavoratori degli enti locali. Contratti collettivi in tutti i rami del pubblico impiego, ritorno dei salari a livelli pre-crisi e ripristino della 13° e 14° mensilità.

Ritorno a rapporti stabili di lavoro. Abolizione delle leggi che promuovono i rapporti di lavoro flessibili. “No” alla liberalizzazione degli orari di lavoro. “No” all’abolizione della domenica come giorno di riposo. Giornata lavorativa di 7 ore, 5 giorni alla settimana per 35 ore di lavoro.

Tirocini per studenti con stipendio pieno, con pieni diritti sindacali, assicurativi e pensionistici .

Difendere ed estendere i diritti assicurativi e pensionistici. Recupero integrale delle perdite pensionistiche. Abolizione di tutte le leggi che riducono i diritti assicurativi e di tutte le norme che hanno distrutto la sicurezza sociale e le pensioni, fine ai meccanismi che tagliano le pensioni entro il 2015.

Copertura immediata delle perdite, ripristino di 13° e 14° anche nelle pensioni. Lo Stato garantisca il trattamento pensionistico e le indennità. Siano lo Stato e il grande capitale a coprire il fabbisogno immediato di tutti i fondi di assicurazione. Aumento della pensione minima di 486 euro a 600 euro. Nessun lavoratore non assicurato. Reintegrazione delle prestazioni familiari e delle altre prestazioni dell’Agenzia per l’occupazione (OAED) che sono stati tagliati.

Misure di protezione immediata e sostanziale per i disoccupati e le loro famiglie. Indennità immediate per tutti i disoccupati per tutto il periodo di disoccupazione. Aumento dell’indennità di disoccupazione a 600 euro. Il periodo di disoccupazione deve essere riconosciuto come pensionabile senza spese per i disoccupati, gravato sullo Stato e i datori di lavoro.

Assistenza medica completa e gratuita per se stessi e la famiglia senza condizioni. Sussidi per l’affitto, al sostegno alimentare, per l’abbigliamento, al materiale scolastico, le spese idriche e di riscaldamento attraverso aziende di stato per i lavoratori disoccupati e a basso reddito. Mobilità a costo zero per tutti i disoccupati su tutti i trasporti pubblici. Divieto di disconnessione dalla rete elettrica, potabile, telefonica per tutti i lavoratori disoccupati e non pagati.

Sospensione di tutti gli obblighi finanziari verso banche e Stato. Cancellazione degli interessi sul debito.

Fine dei di programmi per l’impiego improntati allo sfruttamento. Fine al vile regime dell’esternalizzazione. Chiudere ora il commercio schiavistico moderno delle agenzie di lavoro temporaneo. Creare occupazione nel settore pubblico pubblico e ampliare il raggio di intervento dello stato impiegando tutti i dipendenti sospesi, senza cambiamenti lesivi dei diritti sindacali e salariali.

Eliminazione di tutte le leggi che permettono licenziamenti di massa e riduzione degli stipendi.

Sollievo alle famiglie della classe operaia dalla tassazione eccessiva. No alle privatizzazioni, nessun trasferimento dei servizi sociali e pubblici al privato. Mettere fine alla tassazione estrema. Abolire la tassa sulla casa (ENFIA) e la cosiddetta “tassa di solidarietà”. Tassazione del grande capitale al 45%.

Congelamento immediato dei prezzi su tutti i prodotti e servizi e abolizione dell’IVA con una corrispondente riduzione del prezzo di tutti i prodotti di base e di largo consumo popolare. Rimozione dei pedaggi, riduzione del 50% delle tariffe di energia elettrica, telecomunicazioni, acqua.

Abolizione dell’interesse composto su tutti i prestiti, divieto delle aste su prima e seconda casa. Eliminazione immediata di tutte le tasse gravate sulle bollette elettriche. Fermare il sequestro e la vendita all’asta delle case dei lavoratori. Abolire le imposte sul petrolio e il gas.

Ricostituzione dell’Organizzazione per i programmi abitativi dei lavoratori con tutta la sua autorità. Riavviare progetti di edilizia popolare.

Salute e istruzione esclusivamente pubbliche e gratuite. Sistema sanitario unico, pubblico, gratuito e moderno. Prevenzione, tutela ed emergenza sanitaria per tutti, finanziate esclusivamente dallo Stato.

Abolizione di qualsiasi tariffa per i servizi sanitari. Cancellazione del ticket di 5 euro all’ingresso dell’ospedale e di 1 € per ogni prescrizione medica.

Misure di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, con infrastrutture adeguate, personale medico, tecnico e infermieristico statale.

“No” al macello dei Centri di Valutazione e Certificazione della disabilità. Copertura totale per i disabili, indipendentemente dal grado di invalidità, dei farmaci, delle cure, degli ausili tecnici; indennità per tutti i disoccupati disabili.

Cura prenatale gratuita per tutte le coppie. Misure sostanziali e immediate per la tutela della maternità. Sistema di istruzione pubblica in esclusiva, gratuita, eliminando qualsiasi interesse affaristico. Ampliare la rete degli asili pubblici gratuiti per tutti i bambini. Pasti gratuiti e alloggi per tutti gli studenti delle università, con dormitori nuovi e sicuri.

Il PAME sostiene anche le rivendicazioni dei lavoratori autonomi. Congelamento dei debiti a favore dell’Organizzazione assicurativa dei lavoratori autonomi (OAEE), dello stato, delle banche e dei privati. Capitalizzazione dei debiti, senza supplementi e tasse aggiuntive. Rateizzazione con pagamenti non superiori complessivamente al 10% del reddito disponibile. Depenalizzazione dei crediti di OAEE, abolizione delle leggi corrispondenti. Nessun sequestro dell’abitazione principale. Sospensione dei pignoramenti di immobili commerciali, attrezzature, veicoli e conti bancari per i lavoratori autonomi che mantengono la loro attività.

Il PAME evidenzia che chi identifica gli interessi dei lavoratori con i profitti delle imprese, chi pone gli impegni verso l’Unione europea davanti alla sopravvivenza e alla dignità delle persone che lavorano è passato sull’altra sponda. La continua ricerca del profitto richiede un movimento operaio disarmato, lavoratori senza diritti, non organizzati.

Nessun governo, non importa sotto quale profilo si presenti, può essere più forte del potere della classe operaia quando richiede il soddisfacimento dei suoi diritti. Non bisogna concedere terreno alle illusioni disarmanti che il capitale, avvezzo a derubare la classe operaia sia in in tempi di crisi che in tempi di crescita, sarebbe ora dalla parte dei nostri diritti. L’inazione e il ritardo danno spazio a nuove concessioni: si propagherà altra povertà, altra miseria, nuove perdite.

Il sistema di sfruttamento non cambia. Non diventa più umano attraverso gli avvicendamenti di governo. Dalle nostre azioni, dalle nostre lotte e rivendicazioni dipende la nostra salvezza, la nostra vita dignitosa, posti di lavoro permanenti e stabili con pieni diritti.

C’è un solo modo perché i lavoratori fronteggino la povertà, riconquistino ciò che hanno perso, abbiano piena soddisfazione dei loro bisogni contemporanei. L’unità di classe e l’aggregazione comune e la lotta decisiva contro il capitale e i partiti politici che lo servono.

In primo luogo la priorità deve essere la ricostruzione del movimento operaio-popolare, una robusta pratica sindacale collettiva e l’adozione di rivendicazioni contro i profitti dei monopoli.

Tutti i lavoratori devono avere come priorità la necessità della lotta, il reclutamento nei sindacati, l’organizzazione nei luoghi di lavoro, nelle categorie e nei quartieri: priorità urgenti per tutti i dipendenti.

La nostra forza sta nell’unità della classe operaia, nella sua alleanza con i lavoratori autonomi, i contadini poveri, i giovani e le donne.

La Segreteria esecutiva del PAME
Gennaio 2015
Fonte: pamehellas.gr

 

Treni, da sabato a domenica lo sciopero indetto da Usb Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

I ferrovieri tornano a scioperare, dalle 21.00 di sabato 7 alle 21.00 di domenica 8 febbraio. Al settore Cargo, dalle 21.00 di mercoledì 4 alle 21.00 di giovedì 5 febbraio.Lo sciopero è indetto da Usb contro “orari di lavoro sempre più micidiali e turni massacranti; contro la preannunciata privatizzazione del gruppo FS e la messa a gara del Trasporto Regionale, che avranno effetti disastrosi per l’utenza e i diritti dei lavoratori; contro il crescente autoritarismo aziendale, la negazione di diritti fondamentali, il ricatto dei trasferimenti forzati; contro le oligarchie di Confindustria e di Cgil Cisl Uil, che con l’accordo del 10 gennaio negano la democrazia sui posti di lavoro; contro un sistema pensionistico barbaro, che costringe al lavoro fino a 67 anni; la finanziaria che arricchisce banche e speculatori, svuota i nostri portafogli, sottrae risorse al trasporto pendolare e al servizio universale a favore dell’Alta Velocità; la desertificazione delle stazioni; il jobs act che rende tutti precari e ricattabili”.

“Per ridurre l’orario di lavoro e umanizzare i turni – silegge ancora nel comunicato Usb -; per risorse economiche adeguate per un trasporto ferroviario bene comune, rispondente a quanto deciso dal popolo italiano col Referendum del 2011; per una ferrovia sicura ed efficiente, anche in termini di presidio del territorio, treni non affollati, puliti e puntuali, in difesa dei diritti dell’utenza e del trasporto pendolare e di massa. Per il reintegro dei ferrovieri licenziati per aver difeso salute e sicurezza dell’esercizio ferroviario; per la tutela delle inidoneità causate da un lavoro sempre più usurante”.

Call Center, riesce in pieno lo sciopero contro gli imprenditori del settore, che non applicano la clausola sociale Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Calla center in rivolta contro gli imprenditori del settore, “furbetti del quartierino”, E’ stata altissima l’adesione degli 80mila lavoratori dei call center italiani allo sciopero nazionale proclamato dai sindacati di categoria delle tlc. “Stiamo registrando un’adesione mai vista in tanti anni – spiega Michele Azzola, segretario nazionale della Slc Cgil – quasi totale e con punte mai viste in alcune realtà fino ad ora: i lavoratori hanno risposto positivamente e chiedono al governo di intervenire nella vertenza sul settore”.

La giornata di lotta proseguirà questo pomeriggio a Roma, con un corteo insolito in partenza alle ore 17. In questa occasione il corteo sarà serale e arriverà in piazza del Popolo dove dalle sette di sera sul palco si alterneranno interventi di lavoratori, personalità, la stessa Susanna Camusso e numerosi musicisti provenienti da tutta Italia.

La situazione dal punto di vista occupazionale è drammatica: 262 lavoratori che occupano la sede di Accenture a Palermo che voleva procedere alla chiusura vista la disdetta dell’appalto formalizzata di British Telecom; il Consiglio Comunale di Cesano Boscone che si riunisce nella sede del call center di E-Care che ha avviato la procedura per 489 lavoratori; Almaviva che scrive alla regione Sicilia dichiarando oltre 3000 esuberi; Gepin a Casavatore, Napoli, che persa la commessa di Poste licenzierà oltre 200 persone. Questi sono solo alcuni numeri della tragedia che stanno vivendo i lavoratori dei call center.

Le richieste di sindacati e lavoratori sono precise: “Lo Stato italiano ha recepito male – spiega ancora Azzola – una direttiva europea che tutela i lavoratori nei casi di cambi d’appalto. Negli altri paesi europei, se il committente cambia il fornitore di un servizio, i lavoratori del precedente fornitore devono essere tutelati”.
Intanto, nei giorni scorsi proprio sulla clausola sociale è partita la raccolta di firme per una denuncia alla Commissione Europea. La raccolta di firme è relativa all’errata trasposizione dei contenuti della Direttiva Europea 2001/23 in materia di tutele dei diritti dei lavoratori. A promuoverla sono stati i tre sindacati di categoria confederali Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil,
“Le crisi occupazionali che colpiscono migliaia di lavoratori – si legge in una nota – non sono figlie della crisi economica ma di un vuoto normativo che permette, nella successione dei medesimi appalti, di cambiare fornitore e lasciare disoccupate migliaia di persone. In tutti gli altri Paesi europei la successione e il cambio di appalto è gestito attraverso tutele occupazionali, che nascono dalla direttiva, che tutelano i lavoratori, il loro salario e i loro diritti nel cambio di fornitore”.
In Italia, invece, sottolineano i sindacati “nel cambio di appalto si agisce unicamente attraverso la compressione di salari e diritti in modo tale da garantire al committente il prezzo più vantaggioso escaricando i costi sulle tasse dei cittadini (gli ammortizzatorisociali e gli incentivi) e sui lavoratori”. 

Call Center, quella “terra di nessuno” chiamata Italia. Il 21 è sciopero generale Autore: remo pezzuto da: controlacrisi.org

Sciopero nazionale dei call center il 21 novembre. Le segreterie nazionali di Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil hanno deciso di dichiarare la seconda giornata di sciopero nazionale del settore con manifestazione a Roma, che sarà accompagnata da una vera e propria ‘Notte bianca dei call center’. Il settore è investito da centinaia di licenziamenti. 

Una ricerca condotta dall’Istat e dall’Isfol certifica che gli addetti ai call center sono oggi in Italia i lavoratori che stanno attraversando la crisi con il maggior senso di insicurezza ed insoddisfazione. Nel nostro Paese sono 2.270 le aziende di call center e ci lavorano circa 80.000 donne e uomini. Nonostante sia un settore in crescita, sia in termini di fatturato che di addetti, la mancanza di regolamentazione degli appalti ha creato una competizione sleale sul mercato: i lavoratori sono alla totale mercé di un sistema che permette che le commesse vengano tolte ed assegnate su criteri che esulano totalmente dal fattore lavoro.

Nella provincia jonica gli operatori di call center sono circa 4.000, sparsi tra le varie micro sedi e le imprese più grandi come Teleperformace – che, solo a Taranto, conta oltre 1500 dipendenti e centinaia di lavoratori a progetto, Mach10 e Human Power. La loro condizione lavorativa, le tutele e i diritti vanno di pari passo con il tipo di contratto con il quale sono assunti. Si va da una realtà dove le tutele sono relativamente alte come Teleperformance – dove ci sono lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato -, ad aziende in cui ancor oggi concetti come “tutele e diritti” sono obiettivi da raggiungere – per non dire da conquistare. Le ultime denunce della Slc-Cgil di Taranto hanno evidenziato però che esiste una forte presenza di “sommerso”. Sono stati censiti infatti circa 134 lavoratori privi di contratto (come nel caso del call center di Grottaglie), pagati 2,50 € l’ora – rispetto alle 5 € previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro. Motore di questo fenomeno sono i committenti e a pagare le conseguenze delle gare a ribasso sono i giovani o chi vive in uno stato di bisogno. Le condizioni che gli vengono imposte dal ricatto occupazionale degli imprenditori da “sottoscala” sono al limite della schiavitù. Ripresi costantemente da telecamere, i lavoratori sono costretti a non chiedere mai spiegazioni, pena la sospensione o l’allontanamento e licenziamento dall’azienda, come risulta dalla denuncia effettuata dall’Slc nel caso di un call center di Taranto.

In questi anni la regolarizzazione e la stabilizzazione dei precari nel settore in-bound (ovvero i call center che ricevono le chiamate) sono state barattate dai governi con incentivi alle imprese; ciò ha prodotto una proliferazione di unità e la frammentazione del settore. Finiti però gli incentivi, le aziende hanno preso a scaricare il loro rischio d’impresa sui lavoratori attraverso esternalizzazioni, appalti, subappalti (nel migliore dei casi), sino ad arrivare alla delocalizzazione. Il settore ha vissuto anche delocalizzazioni “interne”, fra diverse regioni d’Italia, che hanno prodotto ulteriori divisioni all’interno del Paese e nel fronte dei lavoratori, messi uno contro l’altro per un lavoro sottopagato. Le grandi aziende appaltano l’assistenza clienti a società di servizio, che spesso a loro volta subappaltano il lavoro: in tutti questi passaggi le aziende guadagnano a discapito dei lavoratori, le cui condizioni di lavoro vengono riviste invariabilmente al ribasso.
Come potrebbe sentirsi sicuro il lavoratore di un’azienda che si vede togliere il lavoro da un importante committente e che vede il proprio futuro legato a meccanismi di vero e proprio ricatto occupazionale?Perché dovrebbe sentirsi protetto un lavoratore che sa bene che la propria storia retributiva, la propria professionalità sono considerati un peso da eliminare dalla maggior parte degli uffici acquisti delle grandi committenze, che vedono nella compressione brutale del costo del lavoro e dei diritti la strada maestra per massimizzare i profitti?

Eppure l’Unione Europea ha emanato la Direttiva 23/2001 che prevede clausole speciali per il mantenimento dei diritti in caso di esternalizzazione ad altra azienda. La mancata trasposizione di quella direttiva, che ha impedito l’estensione delle tutele previste dall’articolo 2112 del c.c. in occasione della successione o cambio di appalti, ha creato in Italia un vuoto normativo che consente di creare crisi occupazionali esclusivamente per ridurre il salario dei lavoratori e comprimerne i diritti
La crisi occupazionali delle aziende di call center non sono determinate quindi da un calo dell’attività lavorativa, ma unicamente dall’opportunità concessa al committente di cambiare liberamente il fornitore del servizio senza essere tenuto a garantire la continuità occupazionale a quei lavoratori che già prestavano la propria attività. Presso la sede di Taranto di Teleperformace quasi due anni fa si è firmato un accordo sindacale per ridurre il costo del lavoro, con un abbassamento del livello e il congelamento degli scatti d’anzianità per tutta la durata dell’accordo, da gennaio 2013 a giugno 2015. I call center sono realtà in cui la struttura dei costi si basa quasi esclusivamente sui salari; la tendenza è quindi a scaricare gli sconti sulle tutele e i diritti dei lavoratori, e naturalmente sugli stipendi, così come previsto appunto dall’accordo del 10 gennaio 2013 che ha aperto alle deroghe al contratto nazionale. In questo modo il committente mantiene basso il costo con gli sgravi contributivi permanenti e le retribuzioni dei lavoratori ai minimi contrattuali e senza anzianità, mentre lo Stato paga due volte: gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e gli incentivi per le nuove assunzioni, senza creare nemmeno un posto di lavoro nuovo.

In nessun paese europeo ciò è possibile, in quanto il recepimento della direttiva su citata ha portato al varo di leggi che direttamente, come nel caso della TUPE inglese (o con rimandi ai contratti di lavoro, come accade in Spagna), impone di garantire continuità occupazionale in caso di successione di appalti per le stesse attività. In questo modo quei mercati hanno deciso di premiare le aziende che investono in tecnologia e che riescono ad essere efficaci sviluppando ed investendo in IT e ricerca.
In Italia invece si premia l’imprenditore più spregiudicato, che viola regole e leggi e in questo modo comprime il costo del lavoro. In questi anni, però, non solo le aziende hanno diviso il fronte dei lavoratori, ma anche i governi. La “politica dei due tempi” del governo Prodi e del suo ministro del lavoro, Cesare Damiano, ha prodotto una spaccatura verticale tra gli operatori dell’in-bound, che hanno vissuto i processi di stabilizzazione, e i lavoratori dell’out-bound, che continuano a lavorare con contratti a progetto o addirittura con la partita Iva pur essendo nella realtà dipendenti.
Sul fronte sindacale, a Taranto, quella di Teleperformance è tra le realtà più sindacalizzate. Slc-Cgil conta più di 500 iscritti su 1700 lavoratori. In vista della manifestazione del 25 ottobre promossa dalla Cgil si stanno organizzando assemblee per sensibilizzare i lavoratori. Ma non essendo uno sciopero, le adesioni maggiori provengono da chi non è in turno, e sono comunque alte. Le modifiche del governo all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, oltre che le norme sulla videosorveglianza potrebbero servire all’azienda per mandare via personale senza passare dai ministeri e dagli ammortizzatori sociali.
Le mobilitazioni organizzate dagli operatori di call center sono tantissime. Per lo più focolai sparsi sul territorio nazionale. Tuttavia questa azione a macchia di leopardo dovrebbe confluire in una mobilitazione nazionale per bloccare il settore, ampliare il fronte rivendicativo allo scopo di migliorare la condizione di tutte e tutti indipendentemente dal contratto o dal servizio che offrono (inbound/outbound). I lavoratori vogliono un lavoro di qualità non sottopagato, sfruttato fino all’osso, precario e sotto ricatto.
Oggi il governo deve confrontarsi con le paure di questi migliaia di lavoratori, paure che non si possono risolvere con un hashtag o con un selfie. Per portare il terrificante dato italiano a livelli accettabili ci voglio fatti concreti e decisioni coraggiose, in linea con quanto avvenuto nel resto d’Europa. L’attuale condizione degli operatori e operatrici di call center è inaccettabile e dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che non è più rinviabile in Italia una norma che garantisca i lavoratori nei cambi di appalto e che, una buona volta, tolga i lavoratori dalla tenaglia del costante gioco a ribasso dei committenti e dalla sfrenata ricerca di profitti di certi imprenditori.

Art. 18, proseguono scioperi e cortei. Renzi contestato a Modena. Grillo: “Conquista dei nostri padri” Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

“Buffone, buffone”. Il presidio di lavoratori e attivisti della Fiom a Medolla,in provincia di Modena, ha accolto ha accolto così l’arrivo del premier Matteo Renzi. A suon di fischietti e urla, il presidio a maggioranza Fiom (presenti anche bandiere Tsipras e 5 Stelle) ha contestato al presidente del Consiglio l’azzeramento dell’Articolo 18. C’e’ stato qualche attimo di leggera tensione (un lavoratore e’ stato braccato dalle forze dell’ordine ma non e’ stato fermato) pero’ poi il clima si e’ disteso. Alla fine una delegazione ha potuto parlare con Renzi. Nel faccia a faccia con il premier, i sindacalisti hanno accusato Renzi di voler “cancellare con un colpo di spugna tanti anni di conquiste e lotte sindacali”. Il presidente del Consiglio ha negato decisamente che il jobs act possa tradursi in una riduzione dei diritti.
Ieri è stata una giornata ancora molto calda sul fronte delle contestazioni contro il Jobs Act e l’azzeramento dell’Articolo 18. A Brescia, un corteo di lavoratori delle fabbriche metalmeccaniche ha attraversato la città per raggiungere la sede della Camera di Commercio, nel centro di Brescia, dove era previsto un attivo dei delegati con la partecipazione, tra gli altri, del segretario generale della Fiom Maurizio Landini. Numerosi gli slogan contro il Jobs Act e per il mantenimento dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.

Contro l’attacco ai diritti dei lavoratori anche Grillo, ieri sera a Roma per l’iniziativa al Circo Massimo. “Se tolgono tutte le garanzie non e’ l’articolo 18 – ha detto il leader del M5S. E’ un pensiero, e’ quello per cui i nostri padri, i nostri nonni hanno combattuto, lottato per centinaia di anni, Non possiamo farlo portare via dal jobs act. E’ un modo di pensare, te lo tolgono, ti tolgono le parole: acqua pubblica, istruzione pubblica, sanita’ pubblica, welfare”.

Infine, è cominciata la mobilitazione nelle aziende metalmeccaniche torinesi in vista dello sciopero regionale indetto dalla Fiom-Cgil per venerdi’ 17 ottobre, “per riportare al centro del dibattito pubblico i temi della crisi e dell’occupazione e contro la riforma del lavoro”.

Alla Johnson Controls, multinazionale dell’indotto auto di Grugliasco – rende noto la Fiom – si e’ svolto uno sciopero spontaneo con assemblea dei lavoratori del primo turno con adesione al 90%. Alle Meccaniche di Mirafiori l’assemblea dei lavoratori ha approvato all’unanimita’ un ordine del giorno di adesione alle iniziative promosse dalla Fiom: il testo chiede a tutti i sindacati di battersi contro i provvedimenti del governo in materia di diritti, lavoro e dignita’ delle lavoratrici e dei lavoratori. Assemblee si sono svolte anche alla Olsa e alla Mahle, mentre all’Embraco e’ stata rifiutata dall’azienda.
Ci sono stati volantinaggi al mercato centrale di Collegno, con i lavoratori della De Tomaso, e ai cancelli della Elbi. “Le iniziative di oggi – spiega Federico Bellono, segretario provinciale della Fiom – segnalano una preoccupazione reale dei lavoratori rispetto alla riforma del lavoro, al futuro dei propri diritti, alle possibilita’ di uscire dalla crisi senza comprimere le liberta’ individuali e la scelta governo di porre la fiducia sul decreto non ha fatto altro che esacerbare gli animi. Queste mobilitazioni sono un buon viatico in vista delle manifestazioni del 17 e del 25 e di tutte le altre iniziative che seguiranno perche’ non si pensi che la partita si sia chiusa con il voto di ieri”.