Frequenze tv, Tsipras sfida gli oligarchi Fonte: Il ManifestoAutore: Teodoro Andreadis Synghellakis

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Syriza ha voluto fare un comu­ni­cato ad hoc, per pre­ci­sare che «il dise­gno di legge che è stato pre­sen­tato in par­la­mento, rap­pre­senta il passo neces­sa­rio per la rego­la­men­ta­zione del set­tore radio­te­le­vi­sivo», poi­ché, dopo ven­ti­cin­que anni, «arri­ve­ranno delle regole tra­spa­renti, capaci di garan­tire real­mente il fun­zio­na­mento delle tv e delle radio del paese». Ale­xis Tsi­pras era stato chiaro, in cam­pa­gna elet­to­rale aveva pro­messo che que­sta sarebbe stata una delle prio­rità del governo, ed ora non vuole smentirsi.

Nel nuovo prov­ve­di­mento che dovrebbe essere votato entro domani dal par­la­mento di Atene, ven­gono poste le basi per dei limiti reali riguardo al pos­sesso di canali tele­vi­sivi pri­vati. Per assi­cu­rarsi le licenze, i pro­prie­tari dovranno pagare delle cifre cor­ri­spon­denti ai prezzi di mer­cato, e non con­tri­buti sim­bo­lici come avve­nuto sino ad ora.

Prima quanto dovuto alla Stato

Le emit­tenti tele­vi­sive potreb­bero essere, a quanto si apprende, da cin­que a otto, e le licenze ver­ranno con­cesse dal Con­si­glio Nazio­nale Radio­te­le­vi­sivo, tra­mite un con­corso internazionale.

Vi potrà par­te­ci­pare solo chi ha ver­sato quanto dovuto allo stato. Par­ti­co­lare non tra­scu­ra­bile, dal momento che molti canali tele­vi­sivi greci sono seria­mente espo­sti, sia verso le ban­che, che nei con­fronti del mini­stero dell’economia. «Il governo è pronto ad appli­care quanto pro­messo, a creare una realtà chiara e tra­spa­rente», ha dichia­rato la por­ta­voce del governo, Olga Jero­vas­sìli, la quale ha aggiunto che «il numero dei per­messi sarà cer­ta­mente limi­tato, pro­por­zio­nato a quella che è la realtà del mer­cato ellenico».

La garan­zia di tra­spa­renza, secondo il governo, verrà data dall’obbligo, per gli azio­ni­sti che deter­ranno più dell’1% del capi­tale com­ples­sivo, di poter acqui­stare solo delle azioni nomi­nali. Allo stesso tempo, la dif­fu­sione del segnale digi­tale, smet­terà di essere un van­tag­gio esclu­si­va­mente in mano ai pri­vati, e la tv pub­blica ERT acqui­sterà, in que­sto set­tore di fon­da­men­tale impor­tanza, piena autonomia.

Molto verrà defi­nito in seguito dai mini­stri com­pe­tenti, ma l’intenzione pri­ma­ria del governo è non per­met­tere agli oli­gar­chi del sistema media­tico, di con­ti­nuare a creare un do ut des non chiaro e dif­fi­ci­lis­simo da con­trol­lare, attra­verso appalti pub­blici, società di costru­zioni, il pos­sesso di flotte e squa­dre di cal­cio. Lo scopo, cioè, è riu­scire a scar­di­nare un sistema di potere che ha garan­tito favori reci­proci, comodi silenzi e soste­gni, a volte assai inspie­ga­bili. Prova ne è la deci­sione della quasi tota­lità del sistema dell’informazione, nel luglio scorso, di schie­rarsi a favore del «sì» al refe­ren­dum, con­tra­stando dura­mente la linea del governo Tsi­pras, che chie­deva di dire «no» ad una auste­rità sem­pre più selvaggia.

I car­roz­zoni ban­cari e politici

«La radice di gran parte dei pro­blemi si trova in car­roz­zoni non soste­ni­bili, nei pre­stiti, in un gro­vi­glio sot­ter­ra­neo di inte­ressi e di scambi col sistema ban­ca­rio e poli­tico», ha dichia­rato il mini­stro alla pre­si­denza Nikos Pap­pàs, uno dei più stretti col­la­bo­ra­tori di Ale­xis Tsipras.

Il Quo­ti­diano dei Redat­tori (Efi­me­rida Syn­tak­ton) sot­to­li­nea che ci potranno final­mente essere dei con­trolli reali sulla pro­ve­nienza dei capi­tali inve­stiti nel set­tore radio­te­le­vi­sivo, garan­tendo anche i diritti di chi lavora nella varie imprese del set­tore. In un momento in cui, tra l’altro, tutte le grandi reti tele­vi­sive del paese, stanno chie­dendo coni insi­stenza ai pro­pri dipen­denti di accet­tare nuovi tagli agli sti­pendi, che rispetto a cin­que anni fa (per chi è riu­scito a man­te­nere il pro­prio posto di lavoro) sono stati decur­tati di più del 30%.

È arri­vato il pre­si­dente francese

Ieri, nel frat­tempo, è arri­vato ad Atene per una visita di due giorni, il pre­si­dente fran­cese Fran­cois Hol­lande. È stato accolto da Ale­xis Tsi­pras all’aeroporto Elef­thè­rios Veni­zè­los e subito dopo ha incon­trato il pre­si­dente della repub­blica, Pro­kò­pis Pavlò­pou­los. Come è noto, la Fran­cia ha soste­nuto atti­va­mente Atene nel corso delle trat­ta­tive con i cre­di­tori, man­dando in Gre­cia anche dei pro­pri tec­nici per aiu­tare il governo elle­nico a for­mu­lare le con­tro­pro­po­ste finali.

Nel nuovo incon­tro di oggi con Tsi­pras e nel corso del suo inter­vento al par­la­mento di Atene, ci si attende che Hol­lande riba­di­sca il suo soste­gno alla neces­sità di un alleg­ge­ri­mento del debito pub­blico greco, e che fac­cia anche dei rife­ri­menti di sostanza alla neces­sità di un’ Europa più demo­cra­tica e solidale.

Elezioni Grecia. La disfatta di Varoufakis: la sua scommessa, Unità popolare, non entra in Parlamento da: l’huffngitonpost

Pubblicato: 20/09/2015 21:49 CEST Aggiornato: 20/09/2015 22:04 CEST
VAROUFAKIS

Aveva provato a fare lo sgambetto. All’ultimo minuto di campagna elettorale. Al fischio dell’arbitro sul finale di partita, Yanis Varoufakis ha detto la sua: “Voterò per Unità popolare”, gli scissionisti di Syriza, quelli che hanno abbandonato Alexis Tsipras dopo la firma del memorandum Ue e che lo hanno costretto ad andare al voto anticipato. Perché, è l’argomentazione dell’ex ministro delle Finanze dimesso dal premier dopo il referendum del 5 luglio, queste elezioni hanno “due obiettivi: annullare il no del referendum di luglio e legittimare il memorandum della Troika”. “Ha fallito”, riflettono dentro Syriza con un sorriso più che beffardo. Per ora, è la debacle per chi ha mollato: Unità popolare non supera nemmeno la soglia del 3 per cento per entrare in Parlamento, stando ai dati ancora parziali.

Eppure oltre al sostegno di Varoufakis, hanno avuto quello di alcuni dirigenti di Podemos. Sono arrivati ad Atene da Madrid per appoggiare la nuova forza politica dell’ex ministro dell’energia Panagiotis Lafazanis. Proprio come il loro leader Pablo Iglesias è venuto in piazza Syntagma per sostenere ‘senza se e senza ma’ Alexis Tsipras. Insomma, non è roba da niente: la scissione di Syriza ha fatto discutere tutta la sinistra europea, ha prodotto lacerazioni e spaccature vere. Ma il voto greco di questa domenica di settembre chiude quanto meno un primo round: Tsipras uno, Varoufakis zero.

Ne parlano al partito del leader greco. Esultano non una punta di amarezza ai primi exit poll. Succede proprio nella stanza di Yanis Bournous, responsabile Esteri, al quinto piano dell’edificio di piazza Eleftheria. E pensare che proprio lì, di fianco a Bournous, fino alla fine di agosto, c’era l’ufficio di Vassilis Primikiris, parlamentare di Syriza che ha seguito Lafazanis nella scissione. Fianco a fianco per tanti anni, ora separati al governo e anche in Parlamento.

Qui in piazza Klothmonos, al tendone elettorale di Syriza, mentre si attende l’arrivo di Tsipras, si dice che Varoufakis non si sia arreso. Resta convinto che il nuovo Tsipras, quello post-memorandum, fallirà. Così dice ai suoi. Si vedrà. A Syriza intanto assistono contenti alla sua disfatta, lui che due giorni prima del voto ha deciso di legarsi agli scissionisti di Unità popolare che tutti i sondaggi davano al limite della soglia del 3 per cento. E chissà se anche la sua ‘costruenda’ rete di sinistra europea resterà legata ai perdenti, pronta a inabissarsi sotto il nuovo astro Tsipras. Di certo, c’è discussione anche all’interno della stessa rete di Varoufakis, così ampia da coprire un fronte che va dal socialismo alla sinistra più radicale, dall’ex presidente dell’Fmi Dominique Strauss-Kahn all’economista Thomas Piketty fino all’ex Pd Stefano Fassina. Il quale infatti sabato scorso ha invece dichiarato di sostenere la vittoria di Tsipras. Uno l’ha azzeccata.

Natta e quella profezia sulla rinascita del Quarto Reich. Intervento di Gianni Marchetto da: controlacrisi.org

Il recente referendum in Grecia, oltre a rimanere negli annali, è stato pure un punto di chiarimento all’interno del vasto mondo di chi fa politica, giornalismo, ecc. nel nostro paese.
Nel senso che ha costretto chiunque a prendere parte, chi per il SI chi per il NO. E va beh, anche nell’area del NO c’era una compagnia assortita: dai Brunetta, ai Salvini, ai Grillo, ecc. ma c’era pure un’area maggioritaria di sinceri militanti di sinistra che da mo’ guardano speranzosi alle fortune/sfortune dei movimenti greci e spagnoli.
Comunque ha chiarito una volta per tutte la “ferocia” con la quale una vasta area di simpatizzanti per il SI, si è così collocata.
Per tutti valgano i nomi di “illustri” economisti quali Lorenzo Bini Smaghi e Giacomo Vaciago, totalmente incazzati assieme ad un noto giornalista del Corriere della Sera, nel denunciare Alexis Tsipras per aver dato dei “criminali e terroristi” ai creditori della Grecia, nel suo discorso ai greci prima del referendum. Queste le argomentazioni: “ha vinto il no. Bene, vedremo come staranno i greci (questi sfaticati) senza l’Euro e senza i nostri aiuti. Riprendere le trattative? Neanche per sogno con chi insulta…”.
E Alexis Tsipras assieme a Yanis Varoufakis cosa dovrebbe dire (e fare)? Parlare e contrattare con coloro i quali sono i protagonisti da oltre 5 anni delle miserie del suo popolo, e dell’impennata dei suicidi? Eppure si sono seduti con costoro e continueranno a farlo.

Accanto a questi figuri sono emersi una serie di altri: dalla maggioranza dei socialdemocratici tedeschi, fino ad una folta schiera di ex comunisti del PD che impazzano su Facebook. Tutti votati contro la totale assenza di responsabilità del leader greco, il quale invece di decidere lui “per il bene del suo popolo” affida la decisione ad un referendum, quindi alla demagogia, alla pancia, al populismo e via delirando. Quasi invece che nelle élite al comando ci sia quale saggezza, quale competenza (vedi il nostro governo Monti, con il suo grande mentore G. Napolitano, il quale nel suo ultimo libro, così scrive a proposito del suo governo: “era un governo totalmente sganciato da ogni zavorra elettoralistica e per questo ha potuto fare quello per il quale era stato instaurato”). Ergo le élite hanno sempre ragione! (?)

Nel suo libro “Qualcuno era comunista”, Luca Telese riporta quanto accaduto nella stanza di Alessandro Natta all’indomani del crollo del muro di Berlino. Claudio Petruccioli imbarazzato pone a Natta l’esigenza del cambio del nome, al che il vecchio comunista sbotta dicendo: “ma che nome e nome, non capite che ha vinto il 4 Reich…!” a leggere gli avvenimenti odierni viene da dare ragione al “vecchio comunista”.
Per finire, scusandomi, vorrei farmi una piccola autocitazione, tratta sempre dal libro di Telese: “i comunisti, quando perdono l’idea della rivoluzione, perdono il senso dell’avventura. E i comunisti, quando perdono il senso dell’avventura, diventano gente noiosa e anche pericolosa”.

La Grecia insiste con il risarcimento dei danni di guerra dalla Germania. “Pronti al sequestro dei beni” autore Fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

 

Il ministro della Giustizia greco si è detto pronto a firmare una sentenza della Corte Suprema che consentirà al governo di sequestrare beni tedeschi come parziale risarcimento per i crimini commessi nel paese dai nazisti. Riferendosi ad una decisione pronunciata nel 2000 dalla massima istanza giuridica del paese, Nikos Paraskevopoulos ha ricordato che il provvedimento sosteneva il diritto dei sopravvissuti della città di Distomo – dove nel 1944 le forze naziste uccisero oltre 218 persone – a chiedere un risarcimento.”La legge – ha ricordato il responsabile della Giustizia – stabilisce che per attuare il provvedimento è necessario un ordine del ministro. Ritengo che tale permesso debba essere dato e sono pronto a farlo”, ha aggiunto, nel corso di un’intervista all’emittente Ant1. Ieri il parlamento ellenico aveva deciso di creare una commissione incaricata di chiedere il pagamento dei danni di guerra alla Germania. Intanto, il premier greco Alexis Tsipras accusa la Germania di usare trucchi legali per evitare di pagare le riparazioni di guerra, legate all’occupazione nazista della Grecia. Il premier fa anche sapere che porterà la questione in Parlamento per studiare il da farsi. “Dopo la riunificazione tedesca del 1990 – spiega Tsipras in Parlamento – si erano create le condizioni legali e politiche per risolvere la questione. Ma da allora i governanti tedeschi hanno scelto la linea del silenzio, trucchi legali e rinvii”. “Mi domando – aggiunge il premier – poiche’ in questi giorni c’e’ un gran parlare a livello europeo di questioni morali: questa posizione e’ morale?”. Il governo greco non ha mai ufficialmente quantificato i danni di guerra da chiedere alla Germania, mentre Berlino sostiene di aver onorato i suoi obblighi dopo il pagamento di 115 milioni di vecchi marchi del 1960, pari a 59 milioni di euro. Secondo Tsipras il pagamento del 1960 copre solo i rimborsi alle vittime dell’occupazione nazista e non le distruzioni subite dalla Grecia durante l’occupazione tedesca. Il precedente governo di Antonis Samaras aveva stimato intorno ai 162 miliardi di euro l’ammontare delle riparazioni che Berlino avrebbe dovuto pagare ad Atene. Secondo Tsipras la richiesta di Atene e’ un “obbligo storico”, mentre la Germania si considera esentata dal pagamento dei danni di guerra.
Il nodo da sciogliere e’ il patto di Londra del 1953 nel quale Berlino e altri 21 paesi siglarono un’intesa sui debiti contratti dalla Germania durante la Prima e la Seconda guerra mondiale. La prima decisione riguardo’ i debiti contratti fino al 1933, pari a 32 miliardi, la meta’ dei quali venne cancellata e l’altra meta’ pagata a condizioni molto favorevoli. Per i debiti legati ai danni della Seconda mondiale si decise invece di rimandare la faccenda a dopo la riunificazione tedesca.
Nel 1990 pero’ il cancelliere Helmut Kohl si oppose al pagamento delle riparazioni, spiegando che si trattava di richieste insostenibili, che avrebbero portato la Germania alla bancarotta. Gli Stati Uniti appoggiarono questa posizione. A partire dagli anni Sessanta Berlino ha stabilito degli accordi di compensazione volontari con alcuni paesi per i danni causati dal nazismo e nell’ottobre 2001 Berlino ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato di Londra del 1953.

La battaglia di Tsipras ci riguarda tutti Fonte: sbilanciamoci | Autore: Thomas Fazi

 

Per capire perché la battaglia del nuovo governo greco di Alexis Tsipras riguarda tutti i cittadini europei – e in particolare quelli della periferia – dobbiamo innanzitutto tenere a mente che la rinegoziazione del debito non è per Syriza un fine a sé stante, combattuto in nome di un astratto principio di giustizia economica, ma piuttosto un mezzo per realizzare un obiettivo molto preciso: la riduzione dell’avanzo primario dal 4-5% richiesto dalla troika (oggi è intorno al 3%) all’1-1.5% del Pil. Per avanzo primario si intende un bilancio pubblico in positivo, esclusa la spesa per interessi sul debito pubblico: sostanzialmente vuol dire che le entrate (le tasse) superano le uscite (la spesa pubblica). Il motivo per cui un governo sceglie di perseguire un avanzo primario è solitamente quello di destinare il surplus di entrate al pagamento degli interessi sul debito, nella speranza di ridurre un po’ alla volta lo stock di debito.

Nel caso della Grecia questi interessi si aggirano intorno al 4% del Pil, a cui bisogna aggiungere gli obiettivi di riduzione del debito previsti dal Fiscal Compact (1/20esimo l’anno della porzione eccedente il 60% del Pil): considerando che la Grecia ha un rapporto debito/Pil pari al 177% si fa presto ad arrivare all’avanzo primario del 4-5% fissato dalla troika per la Grecia, che nel giro di un paio di anni dovrebbe salire addirittura al 7% (almeno fino al 2030). Se così non fosse, e senza una riduzione della spesa annuale per interessi – che è quello che chiede Syriza, attraverso una ricontrattazione del debito –, l’unica alternativa sarebbe quella di indebitarsi ulteriormente per continuare a ripagare gli interessi sul debito pregresso – che, in sostanza, è quello che vorrebbero la Germania e l’Eurogruppo, e che la Grecia si rifiuta di fare (“perché sarebbe come consigliare a un amico di farsi una seconda carta di credito per ripagare i debiti contratti con la prima carta di credito”, ha dichiarato Varoufakis).

E allora perché non fare come dice la troika e cercare di aumentare ulteriormente l’avanzo primario? Perché non potrà mai funzionare . Né dal punto di vista politico e sociale – la Grecia è già stremata da anni di brutali misure di austerità, e un incremento dell’avanzo primario potrebbe solo essere raggiunto attraverso ulteriori tagli alla spesa pubblica e/o aumenti di tasse, e dunque attraverso ulteriori misure di austerità –, né dal punto di vista economico: accumulare ampi avanzi primari è infatti considerato intrinsecamente recessivo, in quanto di fatto consiste nel sottrarre risorse all’economia reale per destinarle ai creditori, nazionali ed esteri (o, per dirla diversamente, nel sottrarre denaro ai più per alimentare le rendite di pochi). Se poi questa politica viene praticata in un contesto come quello europeo – di bassa inflazione (come quello che registra l’Italia) o addirittura di deflazione (come quello che registra la Grecia) e in assenza di una banca centrale in grado di agire da prestatrice di ultima istanza e di intervenire sui mercati sovrani per calmierare i tassi di interesse (e senza chiedere misure di austerità in cambio) – è puro masochismo, in quanto si può “consolidare” quanto si vuole, ma il debito continuerà inevitabilmente a salire sia in termini reali, a causa dell’effetto recessivo-deflattivo del cosiddetto moltiplicatore fiscale (ulteriormente esacerbato dalle misure di austerità), sia in termini assoluti, perché molti stati non sono in grado di accumulare avanzi primari sufficienti a far fronte agli interessi, e sono dunque costretti a indebitarsi ulteriormente solo per ripagare gli interessi sul debito pregresso (anche se con l’entrata in vigore del Fiscal Compact, che impone il pareggio di bilancio strutturale, questa strada in teoria non è più percorribile). E infatti, a fronte di alcune delle misure di austerità più estreme mai sperimentate in Occidente, nella maggior parte dei paesi dell’eurozona (soprattutto quelli della periferia) il debito continua a lievitare a ritmi vertiginosi.

Questo non è un problema che riguarda solo la Grecia, infatti: in tutti i paesi della periferia la spesa per interessi si aggira tra il 3.5 il 5% del Pil. Il caso dell’Italia è paradigmatico : nonostante il paese registri un avanzo primario fin dai primi anni novanta, il nostro debito pubblico è continuato a salire unicamente a causa della spesa per interessi – che oggi si aggira intorno al 4.5% del Pil, pari a poco meno di 80 miliardi l’anno – per poi esplodere negli ultimi anni. Ora, in base al duplice obiettivo del Fiscal Compact – pareggio di bilancio strutturale e riduzione del debito –, questi paesi dovrebbero mantenere da qui al 2030 avanzi primari da capogiro, come si può vedere nel seguente grafico: 7% in Grecia, 6.5% in Italia, 5.5% in Portogallo, 3.5% in Spagna.

Si tratta di una strada palesemente insostenibile – e che infatti non ha precedenti nella storia – sia dal punto di vista economico che dal punto di vista politico e sociale, per l’entità dei tagli alla spesa pubblica o dell’imposizione fiscale che essa comporterebbe: se consideriamo che lo stimolo fiscale implementato da Obama nel 2009 ammontava al 5.5% del Pil e che il New Deal di Roosevelt era pari al 5.9% del Pil, un avanzo primario delle dimensioni previste dal Fiscal Compact equivarrebbe per molti paesi a una sorta di anti-New Deal praticato ogni anno per i prossimi quindici anni (almeno). Una follia.
Ecco perché la battaglia di Syriza – che riguarda non tanto il debito pubblico in sé quanto le assurde imposizioni del Fiscal Compact in termini di avanzi primari – riguarda tutti i paesi della periferia. E soprattutto l’Italia.

L’Europa dei popoli contro l’Europa dei banchieri. Grande e bella manifestazione per le vie di Roma | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Qualcuno l’ha chiamata la manifestazione del miracolo. Grazie al “papa nero”, alias Alexis Tsipras, le varie anime della sinistra hanno sfilato, almeno diecimila persone, da piazza Indipendenza, a due passi dall’ambasciata tedesca, al Colosseo. l miracolo è arrivato anche dal meteo. Doveva essere una giornata di pioggia e invece su Roma il sole ha fatto la sua parte. Non c’è ancora l’arcobaleno per la sinistra, però oggi, sabato 14 febbraio, che nella memoria dei lavoratori è una data da cancellare, va segnata sul calendario come giorno fausto. Il servizio di Libera.tv

In nome della battaglia contro l’austerità hanno sfilato fianco a fianco Cgil e Usb, Prc e Sel, e poi ancora centri sociali, come Action, e comitati per l’acqua pubblica, No Tav, sindacati di categoria, e la neonata Ross@. Su tutti, il cerchio magico della Fiom che si è occupata del servizio d’ordine.
Un giorno fausto da regalare alla battaglia della Grecia contro l’austerità e contro la Troika. Da quello che si è capito ne serviranno altri. E speriamo che tutte le organizzazioni scese in campo oggi con tante bandiere, soprattutto del Prc, continuino a dare il loro contributo come oggi. Intanto, nella “sala vip” anche Fassina, Bertinotti e Civati.

L’Europa dei popoli oggi ha segnato un punto in più, almeno in Italia. Perché la battaglia della Grecia è per tutti i popoli d’Europa. Un concetto questo su cui tutti quelli che sono intervenuti, da Camusso a Landini, passando per Vendola e Ferrero, convergono largamente. “L’Europa può cambiare – dice Ferrero – e dobbiamo costruirla tutti i giorni”. Un’idea di lavoro quotdidiano difficile ma necesario, soprattutto per diverse organizzazioni sindacali scese in piazza con l’idea di fare pura presenza. “Fare sì come la Grecia – sottolinea con un tono polemico Giorgio Cremaschi – ma non per fare liste elettorali”.

Il colpo d’occhio non è quello delle grandi occasioni, certo. Ma si capisce immediatamente che sta succedendo qualcosa. Che l’Europa di Renzi e Merkel ha più di qualche difficoltà a farsi strada. E così tra un inganno sui numeri del Pil e un rigore di facciata a guadagnarci è Alexis Primo alias Spartacus.

“E’ stata una bella manifestazione! In tanti e ben mischiati – scrive sul suo profilo facebook Roberto Musacchio, ecx parlamentare europeo – . Lo so che veniamo da tante divisioni, che abbiamo tanti problemi, che abbiamo bisogno di cambiare ma stiamo riscoprendo cosa significa fare una battaglia vera. Tsipras sta aprendo una strada ma per percorrerla dobbiamo farlo tutti insieme facendo ciascuno la sua parte. Ma questa e’ la politica, la militanza. A me pare che il tempo del nuovo soggetto europeo della sinistra e dei democratici sia ora”.

Alexis il rosso rilancia: “Vogliamo i debiti di guerra”. E Varoufakis attacca Renzi. Grexit tema al G20 | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

“Manterremo le promesse elettorali”. Alexis Tsipras oggi ha parlato di fronte al Parlamento della Grecia per quello che può essere considerato il discorso sul programma di Governo. Anche se il deficit supera il 180% e la prima scadenza di pagamento bussa ormai alle porte (poco poiù di 4 miliardi alla fine di marzo), Alexis il rosso va dritto per la sua strada. E alla vigilia della prima vera prova importante, il faccia a faccia con l’Eurogruppo (preceduto dal G20 di Istanbul dove è tra i temi emergenti), continua a mantenere la posizione di chiusura totale verso la Troika, anche se offre la possibilità di un “programma-ponte”.

Tsipras, in sostanza, chiede agli altri 18 membri nuovi fondi, ma senza negoziarli con la Troika, fino a giugno, abbandonando la dottrina “dell’austerita’ che si e’ rivelata disastrosa”. Il premier greco ha detto che vuole rispettare il Patto di Stabilita’ (sottoscritto dai Paesi membri dell’Ue nel 1997 sul controllo delle rispettive politiche di bilancio che rafforzava il trattato di Maastricht del 1992, ma superato dal Fiscal Compact, ndr) sottolineando che “l’asuterita’ non fa parte del trattato”.

“Vogliamo dire chiaramente a tutti che non negoziamo la nostra sovranita’ nazionale, non negoziamo il mandato (ricevuto) dal popolo”, ha aggiunto Tsipras, riferendosi al voto dato a Syriza che e’ stato un chiaro segnale di rifiuto dell’austerita’ e di cambio di politica.”Per questo il nuovo governo non ha diritto di chiedere una proroga di questo programma, che vaale 240 miliaardi, ma solo un programma ponte durante il quale concludere un negoziato per definire insieme un programma di crescita”, ha detto il premier ellenico. La Grecia vuole un nuovo ‘contratto’ con l’Ue, quindi, che “rispettera’ le regole dell’Eurozona ma non includera’ misure irrealizzabili che siano un altro volto dell’austerita’”.

Nel suo discorso programmatico al Parlamento di Atene, il premier greco Alexis Tsipras poi ha rimesso avanti la questione delle “riparazioni di guerra della Germania”, che, ha detto, “e’ un obbligo storico chiedere”. Il riferimento e’ al 50% debito che venne abbonato nel 1953 alla Germania Federale per i danni dovuti dalla Germania Nazista (e solo in parte ancor quelli del trattato di Versailles della i guerra mondiale) da tutti i Paesi, inclusa la Grecia. La Grecia ha “un obbligo morale davanti al nostro popolo, quello di reclamare il prestito, che il III Reich obbligo’ l’allora bana centrale ellenica a versare, e le riparazioni per l’occupazione” tedesca durata 4 anni. Va detto che mentre per le riparazioni fu imposto un forfait valido per tutti i paesi, per il primo la Grecia non ebbe alcuna compensazione.

Intanto Atene, dopo che Roma e Parigi si sono sostanzialmente fatte da parte cedendo la leadership nelle trattative ad Angela Merkel, manda una frecciata rivolta al governo Renzi. “Funzionari italiani mi hanno detto che non possono dire la verità. Anche l’Italia è a rischio bancarotta ma teme ritorsioni da parte della Germania”, dice il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis dopo il tour europeo che l’ha portato anche a Roma.
Sul fronte globale, a favore della Grecia in questo momento giocano alcuni fattori importanti come la crisi Ucraina e il G20 di Istanbul, dove Usa e Gran Bretagna da domani andranno in pressing sull’Eurozona perché trovi una soluzione ed eviti una nuova fase d’instabilità dalle ripercussioni potenzialmente globali.

Alla Casa Bianca non è piaciuta affatto l’apertura di Mosca ad Atene sul fronte finanziario. “Incoraggeremo le due parti a trovare un percorso comune. E’ importante che la Grecia e l’Ue lavorino insieme”, dice un funzionario americano senior anticipando i colloqui del G20. E anche Londra torna a farsi sentire, con il ministro delle Finanze George Osborne che punta il dito sulla stallo nei negoziati europei con Atene a causa del quale Londra starebbe preparando un piano di contingenza e a Istanbul “incoraggerà i partner a risolvere la crisi”.

Rodotà: “Ripartiamo dal basso, senza la zavorra dei partiti” | Autore: redazionale da: controlacrisi.org

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“Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra o socialmente insediato guardando a Sel, Rifondazione, Alba e minoranza Pd sbaglia. Lo dico senza iattanza, ma hanno perduto una capacità interpretativa e rappresentativa della società”. Il giurista non risparmia riflessioni, ragionamenti e giudizi, anche duri. Una conversazione che va dal suo ultimo libro “Solidarietà” al bisogno di una coalizione sociale nel Paese passando per il ruolo della magistratura e le elezioni in Grecia: “La vittoria di Syriza cambierebbe gli scenari europei”.

intervista a Stefano Rodotà di Giacomo Russo Spena

“Solidarietà” è il titolo del suo ultimo libro. Qual è, professor Rodotà, l’importanza di riaffermare tale concetto nel 2015?

E’ un antidoto per contrastare la crisi economica che, dati alla mano, ha aumentato la diseguaglianza sociale e diffuso la povertà. Una parola tutt’altro che logorata e storicamente legata al nobile concetto di fraternità e allo sviluppo in Europa dei “30 anni gloriosi” e del Welfare State. Poi il termine è stato accantonato e abbandonato. La solidarietà serve a individuare i fondamenti di un ordine giuridico: incarna, insieme ad altri principi del “costituzionalismo arricchito”, un’opportunità per porre le questioni sociali come temi non più ineludibili. La crisi del Welfare non può sancire la fine del bisogno di diritti sociali. Sono legato anche al sottotitolo del libro, “un’utopia necessaria”, la solidarietà va proiettata nel presente ed utilizzata come strumento di lavoro per il futuro: l’utopia necessaria è la visione.

Lei ha parlato di “costituzionalismo arricchito”. Quali sono le pratiche da cui ripartire per riaffermare i diritti sociali in tempo di crisi economica, privatizzazioni e smantellamento dello Stato Sociale?

Mutualismo, beni comuni, reddito di cittadinanza sono gli elementi innovativi e costitutivi di un nuovo Stato Sociale, almeno rispetto a quello che abbiamo conosciuto e costruito nel Novecento. Durante la Guerra Fredda, i sistemi di Welfare sono stati una vetrina dell’Occidente di fronte al mondo comunista, una funzione benefica volta ad umanizzare il capitalismo in risposta al blocco sovietico. Ragionare sulla solidarietà come principio significa riconoscerne la storicità ed oggi è necessario arricchire le prospettive del Welfare. Ad esempio il reddito, inteso in tutte le sue fasi legate alle condizioni materiali, significa investimenti ed è possibile solo grazie ad un patto generazionale e ad una logica solidaristica dell’impiego delle risorse.

Nel libro cita gli studi della sociologa Chiara Saraceno la quale si interroga sull’idea di Stato Sociale come bene comune. Qual è il suo giudizio?

Il discorso esamina la capacità ricostruttiva della solidarietà che è frutto di una logica di de-mercificazione di ciò che conduce al di là della natura di mercato: ristabilire la supremazia della politica sull’economia. Qual è stata la logica in questi anni? Avendo un tesoretto ridotto, sacrifichiamo i diritti sociali. Tale ragionamento va respinto al mittente. Quali sono i criteri per allocare tali fondi? Come li distribuiamo? Finanziamo la guerra e gli F35 o utilizziamo quei soldi contro lo smantellamento dello Stato Sociale? La scuola pubblica, come dice la nostra Carta, non va resa funzionale al diritto costituzionale all’istruzione? Invece si finanziano le scuole private…

E i famosi 80 euro del governo Renzi possono essere considerati come forma solidaristica e di Welfare?

No, manca l’intervento strutturale. La Cgil ha reso pubblici alcuni dati: con quei soldi si sarebbero potuti creare 4oomila posti di lavoro. Appena si è parlato del bonus per le neomamme, ho pensato fosse più utile stanziare quelle risorse per la costruzione degli asili nido. Solo un vero discorso sulla solidarietà ci consente di stilare una gerarchia che pone al primo posto i diritti fondamentali. E per questo la modifica dell’articolo 81 della Costituzione, nel quale è stato introdotto il pareggio di bilancio, è un duro colpo per la democrazia. Abbiamo posto fuori legge Keynes.

Altro punto dirimente: la prospettiva europeista. Sappiamo bene quanto le politiche di austerity siano dettate dalla Troika e le nostre democrazie siano ostaggio della finanza; come pensare la solidarietà fuori dai confini nazionali?

Dobbiamo guardare all’Europa, il discorso sulla solidarietà ha un senso esclusivamente se usciamo dalla logica nazionalista, altrimenti si impiglia. Solidarietà implica un’Europa solidale tra Stati con una politica comune e coi diritti sociali come fari. Con Jürgen Habermas dico che è un principio che può attenuare l’odio tra i Paesi debitori e quelli creditori. Persino Lucrezia Reichlin ha parlato di Syriza con benevolenza perché sta avendo il merito di riaprire una riflessione in Europa su alcuni temi non più rimandabili. L’austerity ha fallito ed aumentato le diseguaglianze. Fino a qualche mese fa, i difensori del rigore giustificavano l’enorme forbice tra redditi alti e minimi affermando di aver tolto migliaia di persone dalla soglia di povertà. La diseguaglianza come conseguenza del contrasto allo sfruttamento. Una tesi smentita dagli stessi eventi.

Spesso le viene rivolta la critica di pensare esclusivamente ai diritti dei cittadini ma mai ai doveri. Come replica all’accusa?

E’ una vecchissima discussione che si svolse già a Parigi nel 1789. E la Costituzione italiana ha legato diritti e doveri: l’art. 2 si apre col riconoscimento dei diritti delle persone ma poi afferma che tutti devono adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il tema dei doveri viene sbandierato per chiedere sacrifici alle fasce più deboli mentre rimangono al riparo i soggetti privati forti e le istituzioni pubbliche. Vogliamo discutere dei doveri? Facciamolo senza ipocrisie. Ad esempio, si dovrebbe riaffermare l’obbligo di non esercitare l’iniziativa economica e la libera impresa in contrasto con sicurezza e dignità dei lavoratori. Tale strategia ha fallito e politicamente ha generato un’enorme crisi della rappresentanza: il rifiuto della Casta non sarebbe così forte se non ci fosse stato un ceto politico dipendente dal denaro pubblico.

Le elezioni in Grecia hanno assunto una valenza europea. La vittoria di Syriza e del suo leader Alexis Tsipras incutono paura alla finanza e ai poteri forti. Siamo davvero davanti ad un passaggio storico per invertire la rotta in Europa?

Il voto di domenica ha un’importanza enorme soprattutto dopo il deludente semestre italiano a guida Matteo Renzi. Il suo arrivo a Bruxelles aveva generato aspettative per le sue promesse di mettere in discussione gli assetti costituzionali europei. Nulla di tutto ciò, nessun negoziato, eppure non era così costoso intraprendere il discorso dell’“utopia necessaria” della riforma dei trattati. Tsipras può rappresentare la riapertura della fase costituente europea. È la mia speranza. Riapertura perché nel 1999 il Consiglio europeo di Colonia stabilisce la centralità della Carta dei diritti ma poi il processo si è chiuso nel ciclo dell’economia. Una vera e propria controriforma costituzionale. L’Unione europea oltre ad avere un deficit di democrazia ha un deficit di legittimità. Il deficit può essere recuperato attraverso i diritti fondamentali, ispirati alla dignità e alla solidarietà, e non al mercato. Altrimenti i rischi sono gravi, e non si parla di uscita dall’euro ma di deflagrazione dell’eurozona e di sviluppo di movimenti xenofobi ed antieuropei come quelli di Marine Le Pen e Matteo Salvini.

Se il semestre italiano non ha dato nessun segnale di discontinuità in Europa, quel che resta della sinistra nostrana guarda con ammirazione e speranza alla Grecia di Tsipras. È mai possibile la nascita di una “Syriza italiana” che unisca tutte le forze a sinistra del Pd?

In Italia siamo indietro e rischiamo di rifare alcuni errori. Mentre capisco la scelta del “papa straniero” Tsipras, non condivido l’idea di una “Syriza italiana”. È una forzatura. In Grecia Syriza ha raggiunto l’attuale consenso perché durante la crisi economica ha svolto un lavoro effettivo nel sociale dove ha garantito ai cittadini diritti e servizi grazie a pratiche di mutualismo: penso alle mense e alle cliniche popolari, alle farmacie e alle cooperative di disoccupati. In Italia la situazione è differente.

Oltre a Syriza, la Troika guarda con preoccupazione al repentino sviluppo di Podemos, il partito spagnolo che sta scuotendo la Spagna. Syriza e Podemos, seppur differenti sotto alcuni aspetti, sembrano le due forze capaci di trasformare gli assetti in Europa. Podemos rompe con tutti gli schemi classici della sinistra novecentesca e fa della Casta e dei banchieri un bersaglio politico. La sinistra italiana, per rinascere, non dovrebbe affrontare anche il tema della crisi della rappresentanza?

In questi anni c’è stata una drammatica deriva oligarchica e proprietaria dei partiti e la capacità rappresentativa è venuta meno anche per la consapevolezza che il potere decisionale fosse esterno alle sedi legittime e in mano a poche persone. La Corte Costituzionale ha emesso due importanti sentenze: una contro il Porcellum, decretando illegittima la legge elettorale in vigore, l’altra contro i soprusi del marchionnismo, stabilendo che non potesse essere esclusa la Fiom dagli stabilimenti. Lego queste due fondamentali sentenze perché entrambe pongono il problema della rappresentanza. E lo pongono nell’impresa e nella società cioè nel lavoro e nella politica, nei diritti sociali e in quelli civili. E’ un punto importante sul quale non abbiamo riflettuto abbastanza ed è la via per far recuperare legittimità alle istituzioni e alla politica.

Per sopperire alla crisi economica e politica nel Paese, il direttore di MicroMega Paolo Flores d’Arcais ha più volte insistito sulla necessità di dar vita a una forza “Giustizia e libertà”, un soggetto della società civile. Che ne pensa?

La sinistra italiana ha alle spalle due fallimenti: la lista Arcobaleno e Rivoluzione Civile di Ingroia. Due esperienze inopportune nate per mettere insieme i cespugli esistenti ed offrire una scialuppa a frammenti e a gruppi perdenti della sinistra. Chi pensa di ricostruire un soggetto di sinistra o socialmente insediato guardando a Sel, Rifondazione, Alba e minoranza Pd sbaglia. Lo dico senza iattanza, ma hanno perduto una capacità interpretativa e rappresentativa della società. Nulla di nuovo può nascere portandosi dietro queste zavorre. Rifondazione è un residuo di una storia, Sel ha avuto mille vicissitudini, la Lista Tsipras mi pare si sia dilaniata subito dopo il voto alle Europee. Ripeto: cercare di creare una nuova soggettività assemblando quel che c’è nel mondo propriamente politico secondo me è una via perdente. Bisogna partire da quel che definisco “coalizione sociale”. Mettere insieme le forze maggiormente vivaci ed attive: Fiom, Libera, Emergency – che ha creato ambulatori dal basso – movimenti per i beni comuni, reti civiche e associazionismo diffuso. Da qui, per ridisegnare il nodo della rappresentanza.

Il suo giudizio sui partiti esistenti è molto duro. Ma per una coalizione sociale non ci vuole tempo, addirittura anni?

Ci vuole pazienza e occorre ricostituire nel Paese un pensiero di sinistra. A livello istituzionale abbiamo assistito alla chiusura dei canali comunicativi tra politica e mondo della cultura, ciò si è palesato durante la riforma costituzionale. Come negli anni ’60-’70, per il cambiamento istituzionale, deve tornare la rielaborazione culturale. Il lavoro che ha svolto MicroMega in questi anni è prezioso e va continuato in tal senso. Insieme a Il Fatto sono le due testate che hanno tenuto dritta la barra. Ora vanno moltiplicate le iniziative, vanno connessi i soggetti sociali (anche attraverso la Rete) e va recuperato quel che c’è di produzione culturale operativa. Infine, tassello fondamentale: organizzazione. Tali processi non possono essere affidati semplicemente alla buona volontà delle persone.

In tutto questo, qual è il suo giudizio sul M5S? Il grillismo è in una crisi irreversibile?

Non so se i 5 stelle siano definitivamente perduti, di certo stanno perdendo molteplici chance. Il movimento ha deluso le aspettative: non ha ampliato spazi di democrazia, non ha inciso in Parlamento e in qualche modo ha accettato le logiche interne. Serpeggia una profonda delusione tra gli stessi elettori grillini. Mentre la vera novità è lo sviluppo di un’opposizione sociale al renzismo, l’embrione della coalizione sociale di cui parlavo prima.

Si riferisce alla mobilitazione autunnale contro il Jobs Act?

Renzi ha vinto senza combattere, non c’era nessuno sulla sua strada. Nessuno in grado di contrastarlo, nemmeno Giorgio Napolitano che secondo le mie valutazioni politiche aveva investito sul governo Letta. Ora si sta muovendo qualcosa: Susanna Camusso e Maurizio Landini si sono ritrovati per uno sciopero unitario. Persino la Uil è stata costretta a schierarsi. Si è rivitalizzato il sindacato. Il governo Renzi ha cancellato tutti i corpi intermedi e la Camusso, rendendosi conto dell’attacco subito, deve riconquistare il suo ruolo. Individuare soggetti sia rappresentativi che di opposizione sociale è un dato istituzionalmente interessante. Oltre ad essere un dato politico rilevante. Si è manifestata un’opposizione sociale.

Però siamo ben distanti dai 3 milioni portati in piazza da Sergio Cofferati in difesa dell’articolo 18, e la Cgil viene comunque da anni di politiche concertative…

Sono confronti impensabili, il tessuto del nostro Paese è stato logorato da mille fattori nell’ultimo decennio. Anche dalla crisi economica. Con l’impoverimento drammatico le frizioni e le condizioni di convivenza obbligata diventato più difficili. Una situazione conflittuale che va oltre alla “guerra tra poveri”. Le con¬di¬zioni mate¬riali della soli¬da¬rietà sem¬brano distrutte.

Coalizione sociale, primato della solidarietà e nuovo rapporto tra cultura e politica. Sono questi gli ingredienti necessari per ripartire?

Prima mettiamo in relazione i soggetti sociali, in primis il sindacato, con le reti civiche e strutturiamo un minimo di organizzazione, rilanciando l’attivismo dei cittadini. Da tempo propongo alcune riforme e modifiche dei regolamenti parlamentari per dare maggiore potere alle leggi di iniziativa popolare. Ad inizio legislatura, in concerto con il gruppo del Teatro Valle, abbiamo inviato ai parlamentari una serie di proposte su fine vita e reddito minimo garantito… non sono nemmeno arrivate in Aula. In questo momento nella democrazia di prossimità, quella dei Comuni, si diffondono pratiche virtuose, penso ai registri per le coppie di fatto, per il testamento biologico, ai riconoscimenti nei limiti possibili di diritti fondamentali delle persone. A Bologna si è proposto di cogestire alcuni beni e il nuovo statuto di Parma è pieno di esperienze simili. C’è una democrazia di prossimità che va presa in considerazione. Così come il ruolo della magistratura.

Come collegare la figura dei magistrati alle questioni sociali?

I partiti di massa erano i referenti delle domande sociali, le selezionavano e le portavano in Parlamento. Io c’ero, me lo ricordo. Questo non esiste più. Regna un modo autoritario di individuare le domande sociali e il vuoto politico è stato colmato dalla magistratura. La Consulta è intervenuta in questi anni su diritti civili, dal caso Englaro alla Fini Giovanardi sulle droghe o alla legge più ideologica, quella sulla fecondazione assistita. Poi le già citate sentenze su legge elettorale e conflitto Fiom-Fiat. Qui non c’è giustizialismo, ma il ruolo di una magistratura – attaccata e in trincea per difendersi dagli attacchi di Berlusconi e salvaguardare autonomia e indipendenza – che ha maturato una propria elaborazione culturale per fronteggiare emergenza politica e garantire la legalità costituzionale. L’aver individuato nella figura di Raffaele Cantone un soggetto politico ha un’importanza storica visto che in Italia la corruzione è ormai strutturale.

Lo dimostrano gli ultimi casi di cronaca, la criminalità organizzata si è fatta istituzione come abbiamo visto con lo scandalo di Mafia Capitale…
Prima si parlava solo di tre regioni in mano ai poteri criminali: Calabria, Sicilia, Campania. Quando qualcuno osò parlare, giustamente, di infiltrazioni mafiose al Nord, l’ex ministro Roberto Maroni pretese le scuse. Ora invece grazie ad una serie di inchieste (Ilda Boccassini, Giuseppe Pignatone) sappiamo che questo è un dato strutturale: i poteri criminali occupano il territorio non solo fisico ma ormai anche istituzionale. E la corruzione non passa solo per il denaro pubblico rubato ma come un meccanismo endemico dello Stato. Il giustizialismo assume un fattore centrale e qualsiasi tentativo di silenziare i magistrati va contrastato.

Un’ultima domanda, la questione della leadership. Chi vede a capo della coalizione sociale?

Bah, spesso si cita il nome di Landini ma mi astengo dal rispondere. Non è prioritaria la questione. È palese che oggi la coalizione sociale ha una sua maggiore evidenza perché la presenza del sindacato è il dato nuovo e accresce le responsabilità di Landini e della Fiom. L’importante è uscire dagli schemi classici e visti finora: non dobbiamo pensare al recupero dei perdenti dell’ultima fase o ai pezzetti ancora incerti (minoranza del Pd). Così non possiamo basare l’iniziativa sul M5S. Sarebbe un errore. I 5 stelle hanno una loro storia, vediamo che faranno in futuro e semmai una coalizione sociale riuscisse a rafforzarsi, capire come reagiranno. Questo è il punto.

Giornalismo, l’appello dei redattori di Left per non essere fatti fuori senza colpo ferire Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Il tempo stringe. mercoledì 21 gennaio ci sarà l’asta per la vendita della testata left, l’ultimo tentativo da parte del collettivo, pardon, cooperativa, di non farsi “stampare addosso” un licenziamento sile jobsact. Hanno lanciato in rete una appello per la raccolta dei fondi necessari. Un tentativo disperato ma necessario. Pagina Fb “iosonoleft”. “Se non ce la facciamo vi ridiamo i soldi”, scrivono sui social. Sono molti i giornalisti che hanno aderito. Anche firme importanti del Tg3. Siamo un po’ tutti stufi di questo clima piratesco, a dire la verità. Nel campo dell’editoria in questi mesi, e anni, sta accadendo di tutto. Pensavamo di averne viste abbastanza.

E invece la storia di left, settimanale di area centrosinistra costretto sempre a rinascere dalle sue ceneri, tra mille fotogrammi di sgarri e colpi di mano, ancora ci costringe a riflettere. Una situazione molto ingarbugliata, quella attuale, in cui redazione, testata ed editore viaggiano su binari diversi. Tutto fila liscio finché left, reduce da una crisi precedente, esce come allegato all’Unità. I dolori cominciano con la sospensione delle pubblicazioni. E si amplificano con l’attuale fase politica, che nel centrosinistra, e non solo, rischia di provocare più di qualche movimento tellurico.

Ma non basta perché l’amministratore unico della cooperativa riesce anche a divergere dall’opinione dei soci-giornalisti deliberando la rinuncia al comodato d’uso della testata e la “non partecipazione” all’asta (determinazione poi ritirata) per la sua acquisizione. In questo modo Matteo Fago, l’editore, diventa l’unico attore in campo pronto a prendersi tutto. E nel frattempo incassa, particolare non indifferente in tutta questa brutta storia, l’addio del direttore Giovanni Maria Bellu (intervista), “reo” di aver chiesto il gradimento alla sua redazione. Ce ne è abbastanza per un film “in giallo”, nel senso dell’ittero? No, perché in questo caso la realtà supera davvero la fantasia. E dal cappello di Fago left arriva in edicola con un numero nuovo di zecca “strillato” grazie al popolare faccione di Tsipras. Messaggio chiaro: “Eccoci, ci siamo pure noi sul carro dei vincenti”. Il punto, però, è che la redazione, otto giornalisti e due poligrafici, quelli che hanno sudato fino a poche settimane prima, giura di non aver mai schiacciato un tasto per quel numero. E allora?

E allora siamo alle solite. In qualche sperduta stanza di una qualche segreteria più o meno politica, ci stanno un manipolo di colleghi pronti a “cogliere al volo” l’occasione. Piccola nota stonata in una partitura presa para para da una esibizione tutto sommato clownesca: Curzio Maltese e Barbara Spinelli, che con Tsipras possono vantare qualche contatto in più di Fago, fanno sapere di non aver gradito che l’immagine di Alexis Tsipras venga utilizzata quasi come una “copertura” da un giornale che manda via i giornalisti. E sembra che di questo “fattarello” un po’ spiacevole per la verità ne abbiano parlato addirittura a Bologna, nel corso dell’assemblea nazionale dell’Altra Europa, dove si dovrebbe riunire la sinistra.
Il leader greco, attraverso il suo portavoce, aveva espresso la propria solidarietà ai giornalisti “buttati fuori dalla redazione”. Una solidarietà “scontata” non solo da parte di Tsipras ma da “tutto Syriza”. Fago risponde dicendo che lui non ha chiuso le porte a nessuno.
“Ora Fago sostiene di essere aperto al dialogo? Bene, non vediamo l’ora di incontrarlo, sperando di poter tornare a lavorare”, dice a Repubblica.it Cecilia Tosi, fiduciario sindacale di Left.

Lettera di Barbara Spinelli alla lista L’Altra Europa con Tsipras dopo i vergognosi attacchi subiti Autore: Barbara Spinelli da: controlacrisi.org

Cari amici,

di fronte ai reiterati attacchi alla Lista, che ancora una volta si sono concentrati sulla mia persona, è stato volutamente deciso di tenere un profilo minimo: si tratta di provocazioni, cui è bene non dare corda. Dico questo pur essendo consapevole del disorientamento che può nascere nel nostro movimento e tra i nostri elettori. È il motivo per cui i fatti sono stati precisati con comunicati scarni ed essenziali, inviati ai giornali da cui son partite le aggressioni. Tuttavia non può sfuggire che l’attacco è di natura politica – e non solo comunicativa – volto a ostacolare il faticoso processo di costituzione di un soggetto unitario di opposizione sociale che si contrapponga nettamente, in Italia e in Europa, ai governi di larghe intese e alle politiche di austerità; un progetto  che, pur fra mille difficoltà, ha avuto successo alla sua prima prova elettorale.

I fatti, cui è bene riportare i discorsi, sono davanti a tutti.

Fin dal primo giorno del mio insediamento al Parlamento europeo, ho partecipato a tutte le attività parlamentari: sessioni plenarie, riunioni di due commissioni, riunioni di gruppi e di delegazione.

Il Parlamento europeo si è riunito a luglio in due sessioni plenarie, il 2 e 3 luglio, e poi dal 15 al 17 (e non solo il 16 e 17). Ho partecipato attivamente alla sessione del 2 e 3 luglio, anche con un intervento in aula sulla presidenza italiana, prendendo parte a tutte le votazioni della sessione costitutiva.

Ho partecipato ai lavori della seconda sessione plenaria di luglio, nelle giornate del 15 e del 16, prendendo parte a tutte le votazioni del 16 e in particolare al dibattito e al voto di fiducia sul presidente della commissione europea Jean-Claude Juncker (con un mio testo depositato presso la presidenza del parlamento). :

Non sono stata presente solo il 17, insieme agli altri due deputati della nostra Lista, Eleonora Forenza e Curzio Maltese, per la riunione italiana con il leader europeo Tsipras, che si è tenuta a Roma. L’incontro, organizzato ben prima della sessione di voto a Bruxelles, era molto importante perché era la prima volta, dopo le elezioni, che si cominciava a discutere congiuntamente delle prospettive e degli indirizzi di lungo periodo della politica europea e internazionale del gruppo parlamentare della sinistra europea. Il 18 ho tenuto un comizio con Alexis Tsipras, Eleonora Forenza e Curzio Maltese, che precedeva il primo incontro plenario della Lista, il 19 luglio.

A fine giugno ho partecipato, in sostituzione del Presidente della Gue-Ngl Gaby Zimmer, a un incontro a Roma con il Presidente del Consiglio e con i parlamentari italiani, per discutere i compiti dell’imminente presidenza di turno affidata all’Italia.

Nel mese di luglio ho promosso, con Guido Viale e Daniela Padoan, un appello   circostanziato « Per una strategia europea in materia di migrazione e asilo», in occasione del semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea appena cominciato.

Il prossimo immediato impegno istituzionale sarà la riunione informale del Consiglio Affari generali dell’Unione Europea che si terrà a Milano il 28 e 29 agosto, nella quale mi è stato chiesto di rappresentare la Commissione Affari costituzionali del Parlamento europeo.

Un caro saluto e un augurio di buon lavoro a tutti

Barbara Spinelli