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Giornata della memoria: l’«Omocausto» e le atrocità naziste. Le discriminazioni fasciste contro gli omosessuali. Il loro ruolo durante la Resistenza
Si indica con il termine Omocausto lo sterminio degli omosessuali durante le persecuzioni nazifasciste. E si stima che gli omosessuali internati nei lager siano stati almeno 50.000.
Qualche anno fa, Gabriella Romano, scrittrice e documentarista che, in passato, ha lavorato per numerose società di produzione inglesi, statunitensi e canadesi, ha dato alle stampe, con l’editore Donzelli, un lavoro molto importante sulla vita di Lucy, transessuale bolognese che, durante il regime nazifascista, conobbe la reclusione nel campo di sterminio di Dachau.
Il racconto di Lucy, pubblicato con il titolo “Il mio nome è Lucy” è importante perché per la prima volta, una persona lgbt italiana, coinvolta nelle persecuzioni nazifasciste, esce allo scoperto e offre la propria inedita testimonianza sulla vita nei campi di concentramento.
In realtà, la storia di Lucy non è costituita solo dal racconto della deportazione ma anche dalla narrazione del clima culturale e sociale in cui vivevano gli omosessuali durante gli anni del fascismo. Spesso i fascisti, ci racconta Lucy, facevano finta di accettare gli inviti di giovani omosessuali per attirarli in trappola e sottoporli a violenze e mortificazioni. Capitava che li massacrassero di botte. Altre volte, i fascisti si limitavano a ricoprirli di catrame. Una “punizione” decisamente simile a quella architettata dagli “squadristi” di Putin all’indomani della ripugnante legge anti-gay varata qualche anno fa in Russia.
La tragica storia della deportazione di Lucy, però, fa luce anche su un altro significativo aspetto dello sterminio delle persone lgbt. Lucy riuscì, infatti, a farsi contrassegnare con il triangolo rosso, quello destinato agli oppositori politici: Lucy, che all’epoca era Luciano, era stato arrestato sì perché colto in flagrante, in atteggiamenti inequivocabili, con un ufficiale nazista ma forse, proprio per proteggere la “dignità” del soldato tedesco, non fu contrassegnato con il più infamante dei triangoli: quello rosa.
Gli omosessuali maschi, nei campi di prigionia, erano contrassegnati da un triangolo rosa cucito all’altezza del petto. Alle donne toccava invece il triangolo nero: le lesbiche, insomma, erano classificate come “asociali” insieme a tutti quei prigionieri, anarchici, alcolisti, senzatetto, che nella loro “asistematicità” comportamentale venivano percepiti come un pericolo per la tradizionale famiglia di sana e pura razza ariana.
I triangoli rosa nei campi di sterminio erano considerati i più turpi e più degni di riprovazione e punizione. Più dei triangoli rossi e di quelli neri. Se un triangolo rosa entrava in infermeria, non ne usciva quasi mai vivo. Perfino il sonno era loro negato, essendo costretti a dormire con la luce accesa e le mani sopra alle coperte per evitare che potessero avere rapporti tra loro.
Il lavoro, assai duro e debilitante per tutti i deportati, era reso ancora più insostenibile per gli omosessuali, inviati spesso nelle cave estrattive a Dachau, Sachsenhausen, Dora, Buchenwald e altrove. Sia Lucy, sia altre autorevoli testimonianze relative allo sterminio, ci raccontano che le SS provavano spesso sadica soddisfazione nell’infliggere torture atroci e violenze irripetibili agli omosessuali che, tra l’altro, erano drammaticamente discriminati anche dagli altri gruppi di detenuti a causa dei forti pregiudizi sociali omofobici. Il disprezzo per gli omosessuali coinvolgeva spesso le stesse famiglie dei deportati, che arrivavano anche a rifiutare l’urna contenente le ceneri del congiunto morto, qualora fosse stato “marchiato” con un triangolo rosa.
Brutalità inaudite ed esperimenti medici erano, poi, all’ordine del giorno per i triangoli rosa. Molto spesso, infatti, gli omosessuali venivano bloccati in maniera barbara (“paralizzando” gli arti con cemento a presa rapida, ad esempio) e venivano dati vivi in pasto ai cani, che li sbranavano pubblicamente davanti allo scherno dei soldati nazisti o venivano utilizzati per esperimenti medici, come cavie da usare e vivisezionare, senza alcuna pietà.
A proposito dei cosiddetti esperimenti medici, bisogna ricordare gli “studi” raccapriccianti del medico endocrinologo danese Carl Vaernet che, nel lager di Buchenwald, “operò” diversi omosessuali con l’intenzione di “ripararli”. Vaernet, dopo aver castrato le malcapitate cavie umane, vi impiantò una ghiandola artificiale e iniettò nei testicoli un liquido a base di testosterone e altri ormoni sintetici che avrebbero dovuto far crescere, secondo il suo delirio, un pene nuovo e sano. Ovviamente, il suo studio era sotto l’«illuminato» controllo di Himmler che aveva creato un organo centrale del Reich per la lotta contro l’aborto e l’omosessualità. I crudeli esperimenti di Vaernet, oltre ad essere inumani, furono privi di qualsiasi concreto esito “clinico” e l’80% dei deportati, sottoposti all’intervento chirurgico, morirono tra atroci sofferenze.
Restando nell’ambito degli esperimenti inumani, è importante ricordare anche il ruolo che ebbero le castrazioni forzate come pratica di “punizione” degli omosessuali durante la persecuzione nazifascista. A partire dal novembre del 1942, un ordine segreto autorizzò i comandanti dei campi di concentramento ad effettuare la castrazione dei prigionieri anche in casi non previsti dalla legge: venne legalizzata in tal modo la castrazione forzata degli omosessuali. I gay che si fossero fatti castrare e avessero manifestato una buona condotta, secondo quanto millantato da Himmler, sarebbero stati prontamente rilasciati. Le cose, invece, andarono diversamente. Gli omosessuali sottoposti a castrazione furono inviati al fronte come “volontari” nella brutale “Formazione Dirlewanger” – unità penale delle SS – impegnata sul fronte, nota anche per la sua violenza.
D’altronde, la cattiveria con cui furono perseguitati i “triangoli rosa” dai nazisti era già prevedibile, osservando i primi obiettivi che Hitler si diede all’indomani della nomina a cancelliere. Infatti, già il 6 maggio del 1933, Hitler decise di distruggere la biblioteca e l’archivio dell’Istituto di Scienze Sessuali e questa può anche essere indicata come la data d’inizio della persecuzione antiomosessuale. La più massiccia ondata repressiva iniziò nel giugno del 1934 e coincise con l’assassinio di Rohm, dirigente delle SA, notoriamente omosessuale.
Giovanni Dall’Orto, storico e noto studioso di storia lgbt, precisa che “il razzismo nazista si basava sull’assunto ottocentesco secondo cui le persone omosessuali costituiscono una specie di ritorno all’indietro nel cammino darwiniano dell’evoluzione della specie, una involuzione che nel gergo scientifico dell’epoca si chiamava degenerazione. Il programma razziale nazista esigeva l’eliminazione di tutte le persone che, essendo degenerate, costituivano un handicap al trionfo del popolo tedesco nella selezione naturale fra i popoli”. Ecco perché per i nazisti, o meglio per la loro follia omicida, era necessario uccidere tutti coloro i quali – ebrei, omosessuali, disabili, asociali – avrebbero frenato, con la loro stessa esistenza, quella “rigenerazione” della razza che era l’obiettivo ultimo del programma nazista. Himmler, all’interno di un discorso segreto fatto nel 1933 ai generali delle SS circa i pericoli insiti nell’omosessualità, affermò di aver scoperto che in Germania esistevano diverse associazioni omosessuali e che queste contavano almeno due milioni di iscritti. Secondo Himmler, dunque, circa il 10% dei tedeschi era omosessuale e se la situazione non fosse cambiata, tutto il popolo tedesco sarebbe stato annientato da questa “malattia contagiosa”. Ecco perché era necessario sterminarli.
Sull’onda delle leggi razziali, nel 1936 anche il fascismo decise di iniziare la persecuzione ai danni delle persone omosessuali, trattate prima alla stregua di “delinquenti comuni”. Nel 1939, però, i fascisti fecero marcia indietro e decisero di abolire questa “classificazione” specifica perché sostenere la necessità di perseguitare gli omosessuali significava affermare l’esistenza di un fenomeno omosessuale strutturato all’interno del nostro Paese e la morale fascista, fondata sulla presunzione di “virilità” del popolo italiano e sull’idiozia antistorica che l’omosessualità fosse un vizio inglese e tedesco, non poteva essere messa in crisi dall’idea che esistesse uno stile di vita gay da perseguitare. Ammesso che in Italia esistessero degli omosessuali – pensò probabilmente il Duce – non andavano presi in considerazione come “gruppo sociale” ma solo come casi rari e isolati di “vizio” da correggere. Correzione, d’altronde, affidata da sempre all’azione repressiva della Chiesa cattolica.
Sia chiaro, questo non significa che i fascisti rinunciarono a reprimere gli omosessuali; rinunciarono semplicemente a inserirli nel novero delle “categorie” da perseguitare sistematicamente, come invece facevano i nazisti. Contro gli omosessuali italiani, il fascismo usò il confino, il pestaggio, le classiche bottiglie d’olio di ricino, l’arresto domiciliare e il licenziamento.
A proposito dei licenziamenti, paradigmatica è la storia che si racconta nel film “Una giornata particolare”, diretto da Ettore Scola nel 1977, il cui protagonista, Gabriele, interpretato da un magistrale Marcello Mastroianni, è un ex radiocronista dell’EIAR, licenziato perché omosessuale.
Se è vero che spesso, troppo spesso, si tace colpevolmente relativamente all’omocausto, negando talora la stessa esistenza di una persecuzione sistematica degli omosessuali da parte dei nazisti, è altrettanto vero che un silenzio ancora più fitto sembra esserci intorno alla presenza di partigiani omosessuali durante la Resistenza.
Viene, in effetti, da porsi una domanda: perché non si parla mai di omosessualità relativamente agli atti eroici della Resistenza?
E se esiste una buona produzione letteraria che racconta storie di omosessualità ai tempi del dominio nazifascista, perché non vi è una produzione altrettanto ricca di storie che raccontano dell’eroismo di partigiani omosessuali? Esiste, per caso, una forma di “vergogna” ad immaginare che, tra i resistenti, ci fossero anche delle persone omosessuali?
Stefano Paolo Giussani, scrittore che ha pubblicato ben due romanzi che parlano di amore tra uomini all’interno della lotta partigiana (“L’ultima onda del lago” e “Farà nebbia”) ci ricorda che, se oggi siamo liberi di parlare di diritti, in questo Paese, lo dobbiamo anche a chi ha imbracciato un fucile e ha rischiato la sua vita per noi, da omosessuale.
In realtà, soprattutto negli ultimi anni, grazie alla vicinanza tra Arcigay Napoli e il comitato provinciale ANPI di Napoli, si è intensificata un’azione di recupero e divulgazione della centralità della componente omosessuale all’interno della lotta di liberazione.
Antonio Amoretti, partigiano e presidente dell’ANPI di Napoli, ha più volte rimarcato, sia in eventi pubblici che nel corso di varie interviste, che la comunità omosessuale di Napoli ha partecipato attivamente alla Resistenza. “D’altronde – ricorda sempre Amoretti in una intervista rilasciata al magazine online Campaniasuweb – nonostante fossero perseguitati dai nazifascisti, gli omosessuali napoletani avevano il proprio punto d’incontro nei pressi di Piazza Carlo III, in un terraneo sito vicino al cinema Gloria, nella zona di San Giovanniello. In un certo qual senso, gli omosessuali e i femminielli napoletani sfidavano il regime nazifascista partecipando alle barricate popolari delle Quattro Giornate di Napoli, ma anche facendo feste e continuando a vivere liberamente”.
Lo stesso Amoretti il 20 settembre del 2016 è stato il testimone della prima Unione civile a Napoli, tra Antonello Sannino, Presidente di Arcigay Napoli e Danolo Di Leo, ballerino del San Carlo, ricordando come questa legge di fatto renda oggi più vero quel principio di uguaglianza sancito negli articoli 2 e 3 della nostra Carta costituzionale. L’ANPI Napoli, come ogni anno, in occasione della Giornata della Memoria, in collaborazione con il Comune di Napoli, la comunità LGBT, la comunità ebraica, le associazioni che si occupano del superamento dell’handicap, la comunità rom, l’Istituto campano per la Resistenza, organizza e coordina una serie di incontri con le scuole; quest’anno saranno organizzate 5 mattine con le scuole, dal 23 al 27 gennaio, in concomitanza con l’esposizione della Mostra del Giocattolo (http://www.storiedigiocattoli.net/) dedicato ad Ernst Lossa, bimbo zingaro vittima dell’eugenetica nazista.
Claudio Finelli, responsabile nazionale cultura di Arcigay
Antonello Sannino, presidente Arcigay Napoli, segreteria provinciale ANPI Napoli
PUBBLICATO LUNEDÌ 16 GENNAIO 2017
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LA COPERTINA
![]() GENEROSA ANPI Andrea Liparoto In tutta Italia un fiorire di iniziative dell’Associazione contro la riforma costituzionale. La Cgil e l’Arci. L’esempio della Brianza. A novembre la “staffetta” streaming del 4/5 e la manifestazione del 25 Leggi a http://www.patriaindipendente.it/idee/copertine/generosa-anpi/ |
L’EDITORIALE
L’Anno Zero della riforma costituzionale Gianfranco Pagliarulo L’assalto all’arma bianca della propaganda governativa. Il paradosso delle parole del Presidente Napolitano: uno “straccio” di Parlamento, spaccato in due, cambia radicalmente la Costituzione. Se prevalessero i Sì, quasi mezza Italia non si riconoscerebbe in una “nuova Costituzione”, che pure dovrebbe essere per antonomasia la riformulazione del patto costitutivo che ci unisce, il Paese sarebbe molto più debole, strutturalmente diviso, ulteriormente demotivato Leggi a http://www.patriaindipendente.it/idee/editoriali/lanno-zero-della-riforma-costituzionale/ IN PRIMO PIANO SERVIZI – ANNIVERSARI 16 ottobre 1943, la lista degli ebrei romani Redazionale L’EMAIL Il vero problema è il lavoro |
SERVIZI
INTERVISTE – Riforma Costituzionale e Italicum, un abbraccio mortale per la democrazia Natalia Marino Per il costituzionalista Roberto Zaccaria si complicano i problemi reali del sistema istituzionale, con bicameralismo asimmetrico tutto sarà più difficile e nel dopo referendum il Paese sarà diviso tra vincitori e vinti in attesa del pronunciamento della Consulta sulla legge elettorale Leggi a http://www.patriaindipendente.it/persone-e-luoghi/interviste/riforma-costituzionale-e-italicum-un-abbraccio-mortale-per-la-democrazia/ IN PUNTA DI PENNA – Dalla nave stellare Enterprise, ottobre 2016 Zazie Ungheria: i due volti del risultato referendario Filippo Giuffrida INTERVISTE – L’avvocato di Stefano Cucchi: di epilessia non si muore “Referendum costituzionale: perché voto No” Pierre Carniti L’Atlante delle stragi naziste e fasciste: una richiesta di giustizia I cento anni di Aldo Moro, esploratore di democrazia Il “lunedì nero” delle donne polacche Antonella De Biasi 24 ore non stop per il No su Patria Indipendente, Debora Serracchiani, la signora non di parte CITTADINANZA ATTIVA – A scuola di cittadinanza Camminare in centomila per la pace Sergio Sinchetto |
TERZA PAGINA
CAMMIN CAPENDO – La miseria dell’informazione referendaria e Pier Paolo Andrea Liparoto Leggi a http://www.patriaindipendente.it/terza-pagina/cammin-capendo/la-miseria-dellinformazione-referendaria-e-pier-paolo/ LIBRARSI – “L’ufficiale sono io”: Renata Viganò, Agnese e le altre Irene Barichello LIBRARSI – La vita indocile di Luigi Pintor Valerio Strinati PENTAGRAMMA – Milva, quel travolgente coraggio della voce Chiara Ferrari RED CARPET – Uomini… “Partizani” in Montenegro RED CARPET – Il racconto delle conseguenze LEONARDO – La Battaglia d’Inghilterra e il fattore R |
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Vi informiamo che è online da pochi minuti il nuovo numero di www.patriaindipendente.it
Leggetelo, sostenetelo e diffondetelo.
Cari saluti
L’Ufficio Stampa ANPI Nazionale
(Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)
Via degli Scipioni, 271
00192 Roma
Tel. +39 06 3211309
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Mob. +39 3200361804
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Una pagina poco nota di storia contemporanea. 18 stragi e 64 vittime fra luglio e agosto 1943. L’uccisione dei coniugi Lombardo. Il massacro di Castiglione
Un aspetto interessante della recente pubblicazione sul web dell’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia è dato dal carattere interlocutorio, volto a stimolare nuove testimonianze su episodi stragisti perpetrati in Italia durante l’occupazione tedesca. Ed è una caratteristica che si apprezza maggiornente se si guarda da una prospettiva meridionale e, per quanto riguarda la nota che segue, siciliana. È questa la parte del Paese in cui la memoria delle stragi stenta di più a travalicare l’ambito di memoria famigliare o tutt’al più locale per emergere nel discorso pubblico. Diversamente che al centro-nord dove, pur con le note difficoltà, la memoria delle stragi si sovrappone alla memoria della Resistenza, qui manca questo elemento diciamo facilitatore della contestualizzazzione. È quindi merito non trascurabile l’aver esteso così l’indagine, da ascrivere alla sensibilità del curatore Paolo Pezzino, studioso fra l’altro di storia del Mezzogiorno, oltre che alla disponibilità di un più ricco panorama di studi sulla società meridionale e la guerra.
Le schede sulle 18 stragi e 64 vittime siciliane riportate dall’Atlante (il bilancio è comunque provvisorio) non rappresentano solo un doveroso completamento della dimensione nazionale dell’indagine, ma consentono di mettere in evidenza una prospettiva un po’ diversa da quella che si ottiene analizzando le altre stragi. Gli episodi siciliani vengono percepiti e ricordati con difficoltà dalla popolazione, anche quelli in cui la brutalità si manifesta in modo più evidente, come a Castiglione, in provincia di Messina, per via della difficile percezione del ruolo del nemico e dell’amico.
Siamo nei giorni dello sbarco in Sicilia, gli Alleati ancora nemici stanno bombardando ogni angolo dell’isola, il loro arrivo è anche contrassegnato da episodi stragisti nei confronti della popolazione civile e dei prigionieri, tuttavia ben presto la popolazione li percepisce come coloro i quali porranno fine alla guerra e alla fame (questa seconda speranza in gran parte frustrata). I tedeschi sono ancora alleati, la convivenza con loro nei mesi precedenti è stata talvolta difficile fino a registrare alcuni episodi di brutalità con uccisioni, e tuttavia è nel corso dei 38 giorni successivi allo sbarco e fino alla completa occupazione alleata dell’isola che si manifesta una inattesa ferocia. Qui la dissociazione tra i reali comportamenti e gli aspetti isituzionali è notevole, dato che le autorità politiche (governo, monarchia) avrebbero denunciato l’alleanza e proclamato l’armistizio solo dopo l’avvenuta occupazione della Sicilia.
Gli episodi stragisti veri e propri si concentrarono nel tempo dell’occupazione e nello spazio della Sicilia orientale, con l’eccezione di Canicattì (Ag), che si trova nella Sicilia occidentale. La zona etnea fu quella con maggior numero di episodi e di vittime. Le stragi appaiono subito legate alla direttrice principale della Resistenza e della ritirata tedesca; nella maggior parte dei casi furono legate a saccheggi, furti e tentativi di violenza sulle donne, ma in altri appare chiara la reazione rabbiosa nei confronti della popolazione che accoglieva favorevolmente gli anglo-americani. Così avvenne a Canicattì, dove il 12 luglio cinque malcapitati scambiarono una retroguardia tedesca per un plotone americano; le loro manifestazioni di gioia provocarono l’immediata fucilazione. Il paese nel frattempo era sottoposto a un cannoneggiamento alleato e solo due giorni dopo, quando gli americani lo occuparono si resero responsabili della strage di sedici o diciotto civili, rei del saccheggio di un saponificio. Su tutto si stese una coltre di silenzio fino a tempi recenti, sicuramente conseguenza dello smarrimento provocato da questo susseguirsi di avvenimenti.
Un altro caso riemerso di recente è quello della uccisione di due coniugi, Carmelo Lombardo e Carmela Sapuppo, e del ferimento di due loro figli nascosti in una grotta nei pressi di Lentini, mentre (era oltre la metà luglio) infuriava la battaglia sulla vicina Piana di Catania. Secondo le testimonianze raccolte da una pronipote, Letizia Ravidà, «quando sembrò che il frastuono delle bombe e dei cannoni fosse cessato il nonno Carmelo uscì a guardare. Da dentro si sentì uno sparo. Alcuni soldati tedeschi appostati davanti alla grotta avevano fatto fuoco colpendo l’uomo alla gola. In rapida sequenza la tragedia si allargò: Carmela Sapuppo, accorsa sul corpo sanguinante del marito, fu crivellata di colpi al torace e così i figli Teresa a Sebastiano, che però sopravvissero. Sul corpo esamine della bisnonna Carmela fu trovata la foto dell’altro figlio Giuseppe, militare e al fronte: la teneva stretta durante i bombardamenti, forse pensando a quali più grandi pericoli era esposto il figlio. Una piccola macchia di sangue si era depositata in corrispondenza della mano del soldato, quella che poi fu lavata e lasciò un segno sbiadito».
Quella macchia sulla foto sarebbe rimasta a futura memoria: le foto delle due vittime e del loro figlio militare incorniciate ed esposte in casa, avrebbero rivelato a Letizia il tragico episodio proprio mentre lei preparava la tesi di laurea sulla più nota rivolta antitedesca di Mascalucia del 3 agosto. Una più adeguata capacità di lettura del contesto generale consente dunque di leggere i segni di un passato sepolto che pure è paradossalmente così prossimo. D’altronde anche i fatti noti hanno sofferto di una difficoltà di lettura, come appunto Mascalucia e Castiglione (12 agosto), e molte altre uccisioni di civili nell’area etnea. Si è insistito talvolta nel voler interpretare la reazione di alcuni civili e militari alle violenze e ruberie tedesche come un inizio della Resistenza. Una conclusione affrettata che ha fatto perdere la possibilità di cogliere gli aspetti più complessi del difficile momento di crisi avviatosi in Sicilia con l’occupazione alleata. Ma soprattutto ha sortito l’effetto di non agevolare il recupero di memoria rendendo irriconoscibili agli occhi degli stessi protagonisti le violenze di cui erano stati vittime. Mentre l’avvio della Resistenza comportò delle scelte e la progressiva acquisizione di consapevolezza politica, qui rimase un senso di smarrimento e di vuoto, difficile da colmare anche negli anni successivi. Si racconta il caso del contadino che uccise un soldato tedesco che gli stava rubando il mulo. La notizia si sparse e arrivò al comandante delle truppe britanniche sopraggiunte pochi giorni dopo, che volle incontrare l’intrepido siciliano. Il contadino si presentò preoccupato di ricevere un castigo per l’uccisione; ancora incredulo raccontò di avere ricevuto le congratulazioni per il danno arrecato al nemico.
Furti e saccheggi furono la norma in quei giorni, suscitando talvolta la reazione degli interessati, e quella di Mascalucia fu la più consistente.
Le cause della strage di Castiglione, con 16 vittime, restano invece meno chiare, forse una rappresaglia tedesca a furti subiti dalle truppe in transito. In ogni caso si trattò di un attacco organizzato e non di un episodio casuale, con ufficiali al comando della colonna che il 12 agosto irruppe nell’abitato seminando morte e promettendo altrettanto ai circa 300 ostaggi. Si risolse con la trattativa grazie all’intervento di alcuni maggiorenti del paese e di una suora. Pochi giorni dopo, tra settembre e ottobre, finita la battaglia e riavviate le pubblicazioni dei giornali, i commenti che si susseguirono sui più noti di questi avvenimenti stigmatizzavano la barbarie teutonica, con accenti risorgimentali. Nessun articolo faceva riferimento al fascismo e al nazismo.
La strada per la Liberazione era ancora lunga da percorrere e difficile. La pubblicazione dell’Atlante ha ora il merito di fornire dati, che possono ridare dignità alle vittime e ai loro parenti, riconoscendo la specificità della loro condizione; ha anche il merito di consentire ipotesi interpretative e prospettive di ricerca nuove che ci aiutino a mettere in luce la profondità del coinvolgimento dei civili nella guerra.
Rosario Mangiameli, docente di Storia Contemporanea all’Università di Catania
Pubblicato mercoledì 11 maggio 2016
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