“Su la Festa”. La kermesse a Roma di “Sindacato altra cosa”, area di opposizione in Cgil Autore: redazione da: controlacrisi.org

Da giovedì 16 luglio a domenica 19 seconda festa nazionale dell’area “sindacatoaltracosa” – opposizione Cgil a Roma, parco Tiburtino III (via del Frantoio, metro B Santa Maria del Soccorso). Dibattiti, musica e cucina. Venerdì 17 I GANG, sabato 18 Daniele Sepe. Sabato e domenica ore 10.30 assemblea nazionale dei delegati/e quadri e militanti.

Questi i dibattiti più interessanti.

  • “Conflitto, democrazia, rappresentanza. Dove è finita la mobilitazione dell’autunno?” Sergio Bellavita, Carlo Guglielmi, Francesca Redavid, Serena Sorrentino. Coordina Dino Greco. Giovedì ore 19.
  • “Lavoratori come farfalle”, presentazione del libro di Giorgio Cremaschi. Con l’autore e Oreste Scalzone. Coordina Fabio Sebastiani. Venerdì ore 17.
  • “Scuola. Il bilancio delle lotte di primavera, le proposte per l’autunno”. E.Ghignoni, S.Montesano, M.Gargiulo, G.Masotti, L.Scacchi. Coordina A.Della Ragione. Venerdì ore 19.
  • Contro il modello FCA-Fiat. Costruiamo la lotta. Con i delegati e le delegate di Melfi (M.Destradis), Termoli (S.Fantauzzi), Mirafiori, Atessa (R.Ferrante), Pomigliano (M.Loffredo e M.Mignano). Coordina: S.Bellavita. Sabato ore 17.30
  • Ripartire da chi lotta! Con i delegati e le delegate di Az Fiber, Farmacap, Sistemi Informativi, Sda Sicobas Roma, Atac Roma USB, Melfi, ex Lucchini Piombino, Cub Alitalia. Coordina: S.Grisa. Sabato ore 19.00.
  • “Mafia Capitale si combatte con i diritti”. C.Di Berardino, G.De Angelis, G.Bucalossi, G.Stramaccioni, C.Vogani. Coordina: A.Morgia. Domenica 18.30.

L’Europa dei popoli contro l’Europa dei banchieri. Grande e bella manifestazione per le vie di Roma | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Qualcuno l’ha chiamata la manifestazione del miracolo. Grazie al “papa nero”, alias Alexis Tsipras, le varie anime della sinistra hanno sfilato, almeno diecimila persone, da piazza Indipendenza, a due passi dall’ambasciata tedesca, al Colosseo. l miracolo è arrivato anche dal meteo. Doveva essere una giornata di pioggia e invece su Roma il sole ha fatto la sua parte. Non c’è ancora l’arcobaleno per la sinistra, però oggi, sabato 14 febbraio, che nella memoria dei lavoratori è una data da cancellare, va segnata sul calendario come giorno fausto. Il servizio di Libera.tv

In nome della battaglia contro l’austerità hanno sfilato fianco a fianco Cgil e Usb, Prc e Sel, e poi ancora centri sociali, come Action, e comitati per l’acqua pubblica, No Tav, sindacati di categoria, e la neonata Ross@. Su tutti, il cerchio magico della Fiom che si è occupata del servizio d’ordine.
Un giorno fausto da regalare alla battaglia della Grecia contro l’austerità e contro la Troika. Da quello che si è capito ne serviranno altri. E speriamo che tutte le organizzazioni scese in campo oggi con tante bandiere, soprattutto del Prc, continuino a dare il loro contributo come oggi. Intanto, nella “sala vip” anche Fassina, Bertinotti e Civati.

L’Europa dei popoli oggi ha segnato un punto in più, almeno in Italia. Perché la battaglia della Grecia è per tutti i popoli d’Europa. Un concetto questo su cui tutti quelli che sono intervenuti, da Camusso a Landini, passando per Vendola e Ferrero, convergono largamente. “L’Europa può cambiare – dice Ferrero – e dobbiamo costruirla tutti i giorni”. Un’idea di lavoro quotdidiano difficile ma necesario, soprattutto per diverse organizzazioni sindacali scese in piazza con l’idea di fare pura presenza. “Fare sì come la Grecia – sottolinea con un tono polemico Giorgio Cremaschi – ma non per fare liste elettorali”.

Il colpo d’occhio non è quello delle grandi occasioni, certo. Ma si capisce immediatamente che sta succedendo qualcosa. Che l’Europa di Renzi e Merkel ha più di qualche difficoltà a farsi strada. E così tra un inganno sui numeri del Pil e un rigore di facciata a guadagnarci è Alexis Primo alias Spartacus.

“E’ stata una bella manifestazione! In tanti e ben mischiati – scrive sul suo profilo facebook Roberto Musacchio, ecx parlamentare europeo – . Lo so che veniamo da tante divisioni, che abbiamo tanti problemi, che abbiamo bisogno di cambiare ma stiamo riscoprendo cosa significa fare una battaglia vera. Tsipras sta aprendo una strada ma per percorrerla dobbiamo farlo tutti insieme facendo ciascuno la sua parte. Ma questa e’ la politica, la militanza. A me pare che il tempo del nuovo soggetto europeo della sinistra e dei democratici sia ora”.

“Non c’è ripartenza senza autocritica”. Riflessioni di un ex operaio a margine dell’ultimo libro di Cremaschi | Autore: Gianni Marchetto da: controlacrisi.org

E’ uscito per i tipi di Jaca Book l’ultimo libro di Giorgio Cremaschi, “Lavoratori come farfalle”. Il libro ha un sottotitolo che è tutto un programma: “La resa del più forte sindacato d’Europa”. Gianni Marchetto, ex operaio Fiat e sindacalista della Fiom, propone alcune riflessioni a margine. L’occasione, insomma, per fare il punto sulla sconfitta dell’80 nell’ottica, però, di una valorizzazione del punto di vista dei lavoratori.

Caro Giorgio, vorrei dirlo in premessa: FINALMENTE… una ricostruzione di questi ultimi anni, sulla quale vale la spesa riflettere. E io lo faccio, grazie a te, tentando un “controcanto”. In fondo in fondo anche la tua ricostruzione è un po’ un controcanto: fatto di lotte, manifestazioni non sempre comprese (quando non osteggiate) dai gruppi dirigenti delle centrali sindacali, compresa la CGIL. E mi pare manchi nella tua ricostruzione l’intreccio tra le lotte, le manifestazioni, l’atteggiamento dei gruppi dirigenti e… gli accordi, i contratti, le leggi e LA LORO GESTIONE.

Tu parti dagli anni ’80, il decennio della ritirata sindacale e lo individui come il decennio nel quale, accanto ad una crisi molto seria dell’apparato produttivo del nostro paese e dell’offensiva del padronato (italiano e internazionale), è maturata una linea sindacale perdente e dove è cresciuto un gruppo dirigente votato al “male minore”. Male minore che ci ha portato al “male” attuale.

Gli anni ’70: gli anni d’oro del movimento operaio italiano
Io invece parto dagli anni ’70, perché è (anche) lì che bisogna saper cogliere i prodromi della sconfitta dell’80. Con il biennio del ’68 e ’69 si afferma nel nostro paese un movimento partecipato, che incentiva non solo la partecipazione diffusa ma anche il protagonismo degli uomini e delle donne più curiosi e intraprendenti e questo per tutti gli anni ‘70. Un movimento che mette in discussione quanto di “leninismo” era ancora presente nelle varie formazioni del movimento operaio (partiti, sindacati, gruppi) attraverso la pratica della “validazione consensuale”: rendere valido una qualsiasi questione con il consenso, pratica quanto mai complicata e controversa perché ha a che fare con le teste di uomini e donne in carne ed ossa, con le loro aspirazioni individuali, con le loro ambizioni, e un eccetera sconfinato. Quando dico “leninismo” non intendo quella pratica di necessaria disciplina che un gruppo sindacale o politico deve avere per ottenere dei risultati, ovvero di studio attento della realtà, ma quanto di deleterio e fallimentare (vedi la fine del “socialismo reale”) era presente nella “dottrina del leninismo”: ovvero il “come ti educo il pupo”, la stracca abitudine di indottrinare la gente, quasi che le teste di costoro fossero delle vasche vuote in attesa di essere riempite dal verbo dei “sapienti” (leggi, i dirigenti di partito e di sindacato). Infatti la contesa fu aspra tra coloro i quali tentavano di uscire da questo “leninismo” e coloro i quali lo difendevano aspramente nei loro comportamenti quotidiani. Chi vinse? Alla fine della fiera vinsero i “leninisti”, sia nelle formazioni politiche sia nei sindacati.

Quando vinsero i “leninisti”? paradossalmente quando attraverso i voti (in aumento) le formazioni di sinistra ebbero più potere nei luoghi di rappresentanza a tutti livelli: dai comuni, alle province, alle regioni, al parlamento. Nei sindacati quando la maggioranza dei sindacalisti (e anche una buona parte di delegati) si “ubriacarono” delle loro conquiste… lasciandole sulla carta, spendendo pochissimo tempo nella pratica della gestione di accordi, contratti e leggi, finendo così di stufare una buona parte di lavoratori e “insegnando” a decine e decine di imprenditori che tanto valeva firmare degli accordi se poi rimanevano sulla carta…
Perché vinsero i “leninisti”? perché nella gestione quotidiana del “potere” il modello vincente fu quello dominante: più produttività = più comando (sia nella fabbrica che nella società). Vedi ad esempio la conclusione della crisi produttiva alla FIAT nel 1980 (con i 35 giorni) e vedi il fenomeno del craxismo in Italia. In pratica si affermò il modello attuale che vuole maggiore EFFICIENZA a scapito della partecipazione democratica.
Perché noi perdemmo? (noi sta per quelli della “validazione consensuale”).

  • 1° perché non ci fu abbastanza scavo teorico sul tema della produttività e sulla efficienza/efficacia: bisognava affermare un ben altro binomio PIU’ PRODUTTIVITA’ = PIU’ DEMOCRAZIA (una sfida innanzi tutto per noi). Termini i quali nella cultura del movimento operaio sono sempre stati concepiti come antinomie. Bisognava quindi affermare un altro criterio di produttività: fare il massimo con il minimo sforzo (in una qualsiasi azienda) e fare il massimo con il minimo di spesa nella società (quindi affermando nella pratica democratica il valore delle priorità in maniera partecipata e il bilancio anch’esso in maniera partecipata).
  • 2° perché la pratica della “validazione consensuale” esige una ferrea disciplina (questa sì leninista), nel senso che occorre essere determinati nel praticarla e coerenti nelle risultanze. Io per esempio fui un “cantore” delle sue virtù, molto meno nella pratica quotidiana. Mi facevo prendere dalla fretta, dal fastidio di ascoltare tutti, di trovare una sintesi unitaria, ecc. quando tra pochi c’era la possibilità di decidere (male, visti i risultati odierni).

I pochi e i molti…
I pochi (le nostre “avanguardie”) sempre prese dalle lotte e poco dalla gestione degli accordi, contratti e leggi e i molti (una buona metà tra i lavoratori) che sul finire degli anni ’70, (caso FIAT) non portavano mai a casa un mese intero, dovuto dalla perdurante crisi produttiva della FIAT, e quindi della CIG, (vedi i bidoni di auto non vendute che affollavano i piazzali) e dei ricorrenti scioperi nelle officine, non sempre compresi dai lavoratori. Per non dire il fossato che si venne ad aprire dalle competenze di parecchi gruppi dirigenti di fabbrica sui problemi della “prestazione di lavoro” e la crassa ignoranza che caratterizzava in modo crescente i gruppi dirigenti dei sindacati sui problemi della condizione concreta dei lavoratori.

Per non dire il “ciucco” preso dal maggiore nostro dirigente di allora: Bruno Trentin che nei fatti attraverso una escalation dei contratti di allora nella pratica andava affermando “il salto dell’asticella”: ergo se ad un accordo o contratto non pienamente gestito come si rispondeva? “alzando l’asticella”! quasi che ad uno che non riesce a saltare un metro possa saltare un metro e dieci! Vedi per tutte la “1° parte dei CCNL”! e avanti popolo.

Gli anni ’80: gli anni della ritirata

Sono gli anni del riflusso, anni di resistenza di ristretti gruppi dirigenti di fabbrica contro gli effetti della crisi produttiva, contro la voglia di rifarsi la bocca da parte del padronato rispetto a tutti gli anni ’70. Contro il cedimento di CISL e UIL (vedi la scala mobile). La cosa, almeno per me, che ancora adesso non trova risposta è la completa sordità dei gruppi dirigenti rispetto ad un fatto democratico che venne del tutto sospeso per oltre un decennio: la rielezione delle “rappresentanze unitarie” dei lavoratori in tutti i luoghi di lavoro. E sì che avevamo a che fare con una intera generazione educata, cresciuta nella pratica democratica delle elezioni dei propri rappresentanti, nel ruolo delle assemblee dei lavoratori. Quanto meno la si poteva tentare: una parte dei Delegati eletti alla maniera degli anni ’70, una parte eletti su liste e se gli altri sindacati non ci stavano lo doveva promuovere lo stesso la CGIL per i propri Delegati. Era una contraddizione, certo, però positiva. E a ciascuno dei compiti predefiniti. Non se ne fece niente, abituando i quadri di fabbrica a far da sé in molti casi in maniera “divisiva” (così si dice adesso).

Gli anni ’90: gli anni della concertazione
Devo dire che sei il primo che parla criticamente della strategia della “codeterminazione” dei suoi aspetti positivi (tutti teorici e sulla carta) e dei suoi effetti negativi avvenuti là dove questa si affermò, vedi nei grandi gruppi tipo la FIAT, Zanussi, ecc. mi pare (e pareva a me allora) una strategia impostata in un periodo di sconfitta dei lavoratori e dei loro sindacati, a fronte del fatto di una imprenditoria poco avvezza al rispetto delle regole. In molti casi si tramutò in “collaborazionismo”. Parlo per diretta esperienza avendo io fatto una esperienza per ca. 2 anni in una “Commissione di partecipazione nazionale” del gruppo FIAT (su Salute e Sicurezza). Ho girato, a spese della FIAT mezza Europa, ma se qualcuno mi domanda se questa mia attività ha prodotto un infortunio in meno o migliorato un tantino di più la salute dei lavoratori? …

Contro il perbenismo e il moderatismo, malattie senili del comunismo
Mi pare che anche tu fai riferimento al concetto di “rassegnazione”. Ivar Oddone negli anni ’70 mi diede da leggere un libro: “Piani e struttura del comportamento”, un saggio di marca americana dei primi anni ’60, edito dalla Boringhieri, scritto a tre mani da Miller, Gallanter e Phribam (un antropologo, uno psicologo e un linguista) che così argomentava: “nei comportamenti degli uomini ci sono alcune costanti che durano da millenni. Ovviamente cambiando i contesti, cambiano le forme nelle quali tali comportamenti si manifestano. Davanti ad un modello consolidato (la famiglia, la tribù, lo schiavismo, il capitalismo, il socialismo, il liberismo, il fordismo, il taylorismo, più o meno applicato o modificato: essenzialmente caratterizzato dal rapporto tra chi pensa e chi esegue) cosa ci si aspetta dal comportamento di un individuo? che si integri nel modello esistente accettandolo come dato di “natura” o che all’opposto si ribelli a tale modello e (si badi bene) nel caso della ribellione è bene che ciò si manifesti in maniera esplicita per poter procedere nella successiva selezione o per mettere in pratica quelle politiche (del personale in fabbrica o del potere costituito fuori) atte a rendere innocua la ribellione stessa, attraverso la blandizie (la corruzione) o attraverso la repressione”.Diventa chiaro che “integrazione-ribellione” sono le due facce di una unica medaglia: lasciano il tutto così com’è. Solamente due generazioni sono uscite in avanti da questa antinomia: la generazione che fece la resistenza e quella del ’68 e ’69 che emancipò una giusta ribellione in una stagione molto lunga di “diritti e potere”: gli anni ’70.

Il principio di realtà
Siccome vengo da una lunga militanza, ho il ricordo nei primi anni ’60 del principio di realtà affermato da uno come Togliatti, e ciò era giusto, per non sbarellare nel velleitarismo. Solo che il nostro non si faceva imprigionare da questo, partiva dalla conoscenza concreta della realtà NELLE COSE, NEGLI UOMINI E NEI MODELLI per affermare una volontà di cambiamento che non disdegnava gli OBIETTIVI PIU’ UTOPICI (IL SOCIALISMO), quindi la capacità di parlare non solo al cervello, ma anche al cuore di donne e uomini, specie se giovani. Intanto però la realtà va squadernata e trovo quanto mai curioso che non si faccia nessun riferimento all’andamento della struttura manifatturiera e dei servizi nei vari documenti del recente congresso della CGIL. Così come ai dati occupazionali. Così come alla presenza o meno in questa fase di crisi di “aziende esemplari” [in dieci anni dal 2001 al 2011, ndc].

1. La stragrande maggioranza di queste aziende sono di piccole dimensioni e i proprietari sono relativamente giovani, quasi tutti pieni di intraprendenza. Dentro ci sta’ di tutto: dalla genialità, alla professionalità, al rispetto delle regole, alla ignoranza più crassa, al lavoro sottopagato, in nero, alla evasione fiscale e contributiva, fino agli odierni “forconi”. Li accumuna, nel periodo attuale, la stessa condizione: tutti con “la bocca alla canna del gas”. Quando vanno in banca trovano degli strozzini, mentre invece per le aziende grandi (magari con i debiti) c’è la manica larga;
Domanda: è da qui che verranno le “magnifiche sorti” di un rinnovato capitalismo sgravato finalmente dai lacci dell’art. 18? A me non pare, perché: 1° sono da sempre nell’area non tutelata dall’art. 18 – 2° il mercato di riferimento è sostanzialmente quello nazionale dove la domanda è più che stagnante (non c’è il quattrino che gira, la gente non compera, per cui…) – 3° se avessero dei soldi da investire per fare innovazione (sui prodotti, sulle tecnologie, ecc.), basta vedere il capitale sociale di queste imprese: RIDICOLO. Ci sarebbero delle chance, ma soldi non ci sono e le banche non ne danno;

2. Una minoranza di medie e grandi aziende, affermate da anni, però con imprenditori avanti con l’età, che non hanno più voglia di rischiare (l’hanno già fatto in gioventù), ora la villa c’è, la pelliccia per la moglie pure, i figli sono sistemati e i profitti sono remunerati non con la ricerca di produttività (quindi innovazione ecc.) ma con l’abbassamento del costo del lavoro, le esternalizzazioni, la delocalizzazione, la precarietà, e un eccetera sconfinato.
Quando un numero crescente di queste imprese sono in mano alla mafia e alla malavita.

Queste imprese (ormai da parecchi anni) sono nei fatti un terziario delle grandi manifatture della Germania. Domanda: è da qui che verranno le “magnifiche sorti” di un rinnovato capitalismo sgravato finalmente dai lacci dell’art. 18? Anche qui io ho miei dubbi. Ancorché facciano ricorso alla libertà di licenziare (specie attraverso la “pulizia etnica”: inidonei, invalidi, anziani, donne in maternità, ecc.), sostituendoli con gioventù precaria, non ci sarà nessun aumento di occupazione, quanto meno di sostituzione e come sempre accade nella sostituzione si realizza sempre un “risparmio” di mano d’opera. D’altra parte in queste imprese nel 2013 sono avvenuti ca. 100.000 licenziamenti (attribuiti a varie cause) e nessun incremento di occupazione.
Ci sarà senz’altro un incremento dei profitti, dovuti all’estensione del lavoro precario e parecchio “addomesticato”, senza tutele.
Quindi, l’attuale imprenditoria per ignoranza, ignavia, e con la filosofia di “farsi ricco in fretta”, ci sta’ portando allo sfracello.

Stessa cosa per i comuni (in provincia di Torino)
In provincia di Torino vi sono 315 comuni per un totale di 2.302.353 abitanti con 1.050.370 famiglie. Con tutta probabilità ci saranno dei comuni amministrati da cialtroni così come da persone probe, democratiche, ecc. cosa conosce delle “esperienze esemplari” la CGIL e lo SPI? Bisogna, quindi, oltre alla conoscenza della realtà, avere anche la capacità di fare “sognare” la propria gente, specie nell’attuale fase, se non si vuole lasciarla nella rassegnazione e nello scoramento, e i più sfortunati negli incubi, prede della rassegnazione e o del qualunquismo. Domanda: specie nella maggioranza della CGIL pare che sia questo il tratto distintivo? A me non pare proprio, quasi tutti come sono impegnati a giustificare l’esistente e una parte persino la forza politica di riferimento.
Il che mi porta a osservare (in maniera sconsolata) un altro fenomeno, descritto in una frase di A. Gramsci: “la classe operaia porta con sé tutti i difetti della borghesia che la comanda”. Spero di sbagliarmi…

Si può ripartire? SI!
Il che non vuol dire che tutta questa nostra borghesia sia di tal fatta. Quel tanto che stando al libro di A. Calabrò (Orgoglio Industriale, Ed. Mondadori) questi ci dice che nel 2008 su ca. 4milioni di aziende manifatturiere, ce ne sono 4.600 (lui le chiama “multinazionali tascabili”) che forse ci tireranno fuori dalla crisi. Domanda: chi le conosce, cosa fanno e cosa fa lì il sindacato (posto che ci sia)? Domanda successiva: è una bestemmia pensare di poter costruire a sinistra (a partire dai sindacati) un archivio di queste aziende per portarle all’onore del mondo, per tentare di farle mettere in contraddizione con il resto delle imprese? Per tentare una sorta di “alleanza dialettica” con il movimento dei lavoratori. Non fosse altro perché in questo campo vi sono senz’altro le possibilità di un “conflitto” più avanzato e non solo sulla difensiva. O no? A meno che lo sport preferito nei sindacati e nella sinistra sia quello “di continuare a mettere il lievito sulla merda”.

La ri-partenza e una autocritica
A patto però di essere consapevoli di tre questioni:

  • la 1° ha bisogno di una salutare autocritica di tutti coloro i quali furono i protagonisti di quella stagione, nel senso di vedere i limiti di quella esperienza che grosso modo si può così definire: diventammo tutti quanti dei “bravi poliziotti” e chi come il sottoscritto si misurò con i problemi della prestazione di lavoro finì nel fare il “guardiano del 133 di rendimento” (è la misura massima stabilita per lo sfruttamento di una persona).
  • La 2° quella di riconoscere che avevamo (chi più, chi meno) delegato al solo inquadramento unico la “carriera dell’operaio”, oscurando invece quanto dall’esperienza operaia e quindi quanto dalla sua “competenza professionale allargata” poteva venire, offrendo invece delle ipotesi di maggiore professionalità a nuovi modi di lavoro (le isole e quant’altro), ovvero quello di riconoscere che all’operaio intraprendente restavano aperte due strade: la 1° diventare talmente bravo da passare dall’altra parte (senza nessun giudizio moralistico, passare dalla parte di coloro i quali in una fabbrica hanno il compito di costruire delle Istruzioni per gli Esecutori) ovvero 2° strada, diventare talmente bravo e passare a fare il sindacalista! La 3° è quella di essere approdati a livello della migliore liberal democrazia, ergo: i lavoratori devono avere il diritto di esprimere i loro giudizi, specie con il voto sugli accordi e sui contratti (la libertà di opinione). A me pare che a questa concezione (del tutto giusta) occorra affiancare una strategia che si fondi sulla “democrazia cognitiva” (al cambio svizzero: mettere nella bagna i lavoratori).

Crisi, la Fiom prepara l’autunno caldo. In Cgil si formalizza al direttivo la nuova opposizione interna Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

La Fiom prepara le polveri per l’autunno. “Uno sciopero contro le politiche del governo Renzi? “Bisogna pensarci, in quel periodo bisognera’ cambiare delle cose. Se non cambiano sara’ necessario mettere in campo qualsiasi azione adatta a cambiarle, compreso uno sciopero generale”. Nel giorno in cui il Comitato direttivo nazionale della Cgil vara la piattaforma su fisco e pensioni senza sostanziarlo da un preciso programma di lotta, Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, lancia un segnale inequivocabile. “Discuteremo e valuteremo, perche’ le cose non stanno andando come dovrebbero”, ha ribadito Landini.
Intanto, proprio nel corso del Direttivo della Cgil è stata formalizzata la nascita della nuova area di opposizione. Si chiamerà “Democrazia e lavoro” e nasce con l’adesione di 18 membri dell’organismo della Cgil. Il 18 terrà la sua prima assemblea nazionale a Roma. La minoranza si forma con apporti vari, di esperienze che si sono via via dissolte e che ora trovano un nuovo luogo comune. I due tronconi portanti sono la ex “Cgil che vogliamo” e “Lavoro e Società”. In più c’è qualche firma di provenienza Fiom. Non c’è sicuramente l’area di Giorgio Cremaschi, “La Cgil è un’altra cosa”.
L’area ha prodotto un lungo documento in cui al primo posto c’è una critica fortissima alla mancanza di democrazia nell’organizzazione sindacale di Corso d’Italia.D&L parte dai contenuti degli emendamenti presentati all’ultimo congresso – previdenza; democrazia; welfare; diritti; contrattazione – a cui va aggiunta l’opposizione al “Testo Unico sulla Rappresentanza. “Il collante che tiene insieme questi obiettivi e che caratterizza il nostro impegno in CGIL è la necessità di un profondo cambiamento nella definizione stessa di questi obiettivi e nella pratica da adottare per la loro realizzazione”, si legge nel documento politico di D&L. “Non è più possibile negare la dimensione e la profondità della crisi della CGIL – scrivono ancora i sindacalisti della minoranza -. L’illusione che l’affannosa ricerca della “sponda istituzionale” fosse sostitutiva della pratica contrattuale e rivendicativa perseguendo nel corso di questi anni la logica del meno peggio, della riduzione del danno, ci ha portato alla cancellazione di tutte le conquiste degli anni 60′ e 70′ senza alcun reale contrasto sociale e che oggi ci consegna un quadro legislativo e contrattuale finalizzato alla aziendalizzazione del Sindacato, al Sindacato di mercato”.

Cgil, niet della maggioranza alla visione dei dati congressuali chiesti dalla minoranza | Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Continua la “guerra dei dati” in Cgil. Il congresso rischia di impantanarsi nella determinazione delle percentuali.  Ai rappresentanti del documento “La Cgil è un’altra cosa” (mozione di minoranza), come si legge in un comunicato firmato da Giorgio Cremaschi, è stato impedito di accedere ai dati congresuali.

Barbara Pettine e Fabrizio Burattini, componenti della commissione nazionale di garanzia, recatisi stamattina presso la Cgil nazionale, per prendere visione ed esaminare i dati riepilogativi degli esiti congressuali dopo averlo anticipato per lettera, si sono visti negare la possibilità di accedere agli atti, non per motivi tecnici, bensì per obiezione politica da parte del presidente della commissione stessa.

“In tal modo la Cgil – si legge ancora – inaugura l’aberrante principio secondo cui i rappresentanti della minoranza congressuale devono limitarsi a prendere atto di dati raccolti, valutati e certificati unilateralmente dalla sola maggioranza; infatti da gennaio ad oggi per l’intera durata dell’iter congressuale, ai due rappresentanti di minoranza non è stato mai concesso di visionare i dati raccolti ed elaborati centralmente dalla Cgil”.

“Ciò è particolarmente grave – aggiunge Cremaschi – in quanto i congressi nazionali delle 12 categorie si sono svolti senza alcune certificazione legittima e collegiale della commissione nazionale, bensì per validazione esclusiva e solitaria del presidente, senza che la minoranza ne fosse nemmeno informata, con un evidente abuso di potere”.

I Cobas di Pisa, solidarietà a Cremaschi e ai militanti del “Sindacato è un’altra cosa” Autore: redazione da: controlacrisi.org

“Esprimiamo solidarietà a Giorgio Cremaschi e agli attivisti sindacali della minoranza il Cgil ‘Il sindacato è un’altra cosa’, ai quali è stato impedito di intervenire in un’assemblea regionale della Cgil a Milano”. Così un comunicato dei Cobas di Pisa, che parlano di espulsioni, minacce, spintonate, e aggressioni.

“Sbaglia chi etichetta questi fatti come un episodio relativo alla cosiddetta battaglia congressuale della Cgil. In gioco ci sono i diritti dei lavoratori – continua il comunicato – la loro libertà di azione, di organizzazione sindacale, di parola. L’accordo interconfederale del 10 gennaio di quest’anno, detto Testo Unico sulla rappresentanza, sottoscritto da Cgil-Cisl-Uil con Confindustria, è la quintessenza della cancellazione proprio di quei diritti e di quelle libertà e non è altro che l’epilogo di decenni di affossamento della contrattazione democratica, affossamento che negli ultimi anni ha fatto passi da gigante con l’accordo del gennaio 2009 tra Cisl, Uil e Confindustria, con quello del giugno 2011 tra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, con quello del maggio 2013 sempre a opera dei ‘magnifici quattro'”.
Una rappresentanza che fa fuori chi dissente, continuano i Cobas, sia come Rsu che come sindacato di base, privandolo dei diritti sindacali e sanzionandolo anche sul piano pecuniario.
“Una rappresentanza fatta a uso e consumo delle imprese, per permettere loro, con la totale complicità e il più pieno collaborazionismo dei sindacati cosiddetti “maggiori”, di imporre ai lavoratori accordi e contratti sempre più capestro£, proseguono i Cobas.
Secondo i Cobas, gli attivisti sindacali presi a botte a Milano si opponevano a questa prospettiva e reclamavano il diritto di poterlo dire in assemblea. “Ma la democrazia made in Cgil non ha voluto sentire ragioni”.
I militanti dei sindacati di base “questo lo provano da sempre sulla loro pelle, perché da sempre quella “democrazia” gli ha impedito di esercitare i diritti sindacali, li ha discriminati, li ha diffamati, li ha esposti alla repressione delle imprese. E tutto senza che nessuna anima candida gridasse allo scandalo!”
È per questo che è scattata subito in loro la spinta alla solidarietà per gli attivisti della minoranza Cgil aggrediti a Milano.

 

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Cgil Milano, linea dura della Camusso: i dissidenti non parlano. E giù spintoni Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

 

Momenti di tensione a Milano all’attivo regionale della Cgil che ha visto la partecipazione del segretario generale, Susanna Camusso. Una decina di militanti del sindacato guidati da Giorgio Cremaschi, ha inscenato una protesta nella sala dove si stava svolgendo l’incontro, a cui non è stata invitata la Fiom. Motivo del dissenso il sistematico impedimento a prendere la parola per spiegare le ragioni del dissenso dall’accordo sulla rappresentanza. Tra scontri verbali sono volati schiaffi e spintoni. Cremaschi, esponente storico della Fiom (ora allo Spi-Cgil.), ha detto: ”Presenteremo una denuncia alla Procura della Repubblica. Noi contestiamo l’accordo sulla rappresentanza e volevamo intervenire” ”Noi contestiamo l’accordo sulla rappresentanza e abbiamo presentato un volantino che ricorda che oggi – sottolinea Cremaschi – e’ il 30mo anniversario del decreto Craxi che aboli’ la scala mobile, riteniamo che l’accordo del 10 gennaio sia altrettanto grave”.

Al termine della relazione introduttiva Nico Vox, delegato dell’istituto milanese “Don Gnocchi”, dove il documento alternativo ha battuto il documenti di maggioranza – ha chiesto di parlare per spiegare le ragioni del disaccordo prima della prevista raffica di interventi di dirigenti favorevoli “senza se e senza ma”. A quel punto il gruppo di delegati critici è stato circondato dal servizio d’ordine, con Susanna Camusso a pochi metri di distanza, mentre dalla presidenza si inveiva gridando “avete altre sedi dove parlare, non qui”. Ad un certo punto la “pressione” è diventata un’aggressione vera e propria, con i delegati che sono stati letteralmente spintonati fuori dalla sala. Nico Vox ha riportato varie contusioni nella mischia rugbistica, mentre dal gruppo di delegati si gridava contro la “Corea del Nord” in cui si sarebbe a questo punto trasformata la Cgil.Cremaschi ha sottolineato che ”anche la Camusso e’ responsabile perche’ e’ venuta da noi, le abbiamo chiesto di intervenire ma non ha fatto nulla”. Smorza i toni il segretario della Cgil Lombardia Nino Baseotto: ”E’ un attivo non contro qualcuno – spiega Baseotto -. Cremaschi poteva entrare come rappresentante. Credo non sia il caso di pretendere di poter parlare per primo quando c’e’ una fila di delegati in attesa prima di lui. Ci sarebbe voluto un po piu di rispetto”.

La Fiom in una dichiarazione sottolinea che non era presente all’incontro. E tuttavia denuncia che al Teatro Parenti e’ stato impedito l’intervento di Cremaschi.

”Abbiamo criticato pubblicamente la decisione di Cgil Lombardia di non coinvolgere la categoria dei metalmeccanici in una assemblea confederale dei delegati con all’ordine del giorno il testo unico sulla rappresentanza, ma – e lo ribadiamo – non essendo stati invitati non c’eravamo proprio. Nessun blitz, quindi, nessuna irruzione”, afferma la Fiom in una nota. ”Noi siamo la Fiom: dissentiamo, rivendichiamo, non provochiamo. Non permettiamo a nessuno di strumentalizzare le nostre posizioni, trascinandoci su un terreno che non ci appartiene. Detto questo, consideriamo grave e preoccupante che ad un componente del Direttivo nazionale della Cgil e primo firmatario della mozione congressuale ‘Il sindacato e’ un’altra cosa’, sia stata negata la parola. L’esclusione dei metalmeccanici ad un attivo della Cgil e quanto e’ accaduto questa mattina confermano l’esigenza di una discussione all’interno della confederazione: la democrazia e’ una cosa seria, non un optional”, conclude la nota.

Rappresentanza, Cremaschi fa ricorso: “Ecco perché vìola lo statuto della Cgil” Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Sull’accordo del 10 gennaio, meglio noto come accordo sulla Rappresentanza, Giorgio Cremaschi fa ricorso al Collegio Statutario nazionale del sindacato. Non è certo la prima che nella fase congressuale vengono fuori magagne e intoppi tali da dover chiedere il pronunciamento dei “vertici istituzionali” del sindacato, ma stavolta la questione è piuttosto capitale. E anche se non riguarda direttamente (non ancora, ndr) lo svolgimento del congresso, certo che lo investe politicamente. Tanto che lo stesso Cremaschi, come rappresentante del documento di opposizione “Il sindacato è un’altra cosa”, nel presentare il testo del ricorso nel corso di una conferenza stampa sottolinea che questo è il primo di una serie di atti “che faremo nel corso del congresso”.
La tesi di fondo del “Secondo documento” è che l’accordo vìola lo Statuto della Cgil, soprattutto per quanto riguarda la sua “natura democratica e partecipativa”. “Di conseguenza se la Cgil dovesse conformarsi a tali nuovi vincoli la sua vita e le sue pratiche democratiche ne sarebbero stravolte”. Questa violazione dello Statuto, proprio in contemporanea del percorso congressuale, farebbe saltare una seconda norma, quella che vieta modifiche della “carta costituzionale” del sindacato proprio durante l’assise nazionale.
Nel merito, quindi, Cremaschi chiede la revoca della decisione del Comitato direttivo del 17 gennaio che a stragrande maggioranza ha approvato quell’accordo. Il Cd, infatti, non poteva decidere proprio perché le norme dell’accordo sono “incostituzionali” per il sindacato stesso.
Dove, l’accordo del 10 gennaio entra in contraddizione con lo Statuto della Cgil? In più punti, naturalmente. Quello capitale è che l’articolo 2 parla di “libertà sindacale”, “pluralismo”, rifiuto di “qualsiasi monopolio dell’azione sindacale”. Tutti passaggi che vengono stracciati dal passaggio dell’accordo in cui si prevede che i diritti di rappresentanza sono accessibili solo ai firmatari dell’intesa. Si tratta di un punto che, secondo Cremaschi e anche secondo la Fiom, è rintracciabile nella sentenza della Corte costituzionale contro la Fiat, dove i lavoratori “hanno il diritto ad essere rappresentati da organizzazioni effettivamente rappresentative a prescindere dalla legittimazione della controparte datoriale”.
Ovviamente, Cremaschi, respinge pure la tesi della continuità tra l’accordo del 28 giugno 2011 e il testo sul regolamento, ragione per cui varrebbe, come ha detto Susanna Camusso, la consultazione fatta all’epoca. Quindi, non essendoci stata consultazione ci sarebbe un ulteriore motivo di non validità del pronunciamento del direttivo. Su un punto relativo a questo argomento Cremaschi ha una ragione stellare: nel testo del 28 giugno il passaggio sulle sanzioni, che sbuca fuori a gennaio 2014, non c’è. Quella delle sanzioni, tra l’altro, è un’altra nota dolente. Non solo la Cgil non avrebbe alcuna legittimità a stabilire sanzioni rispetto a un atto, quello dello sciopero, di cui è titolare il singolo lavoratore, ma è anche incappata nel madornale errore di prevedere l’attività di una commissione arbitrale in cui comunque verrebbe a trovarsi sempre in minoranza. Né varrebbe il fatto che ad essere investiti delle sanzioni sarebbero i rappresentanti sindacali in quanto, sempre secondo Cremaschi, non hanno alcuna titolarità giuridica.
Ce ne è abbastanza, insomma, da lasciar prefigurare che se il ricorso non dovesse trovare accoglimento nelle istanze interne, con i medesimi contenuti dovrà essere trasferito alla Corte Costituzionale.
La presentazione del ricorso è stata anche l’occasione per fornire alcuni flash sull’andamento del congresso. E non sono mancate le sorprese. La prima è che la partecipazione è molto scarsa e difficilmente il sindacato riuscirà a bissare il risultato di quattro anni fa, quando sulla carta la Cgil contò quasi due milioni di votanti. La valutazione di Cremaschi è che i numeri di questa tornata stanno tendenzialmente sotto il milione. E se è così che sarà certificato, il Secondo documento avrà portato a casa, sempre sulla scorta di una valutazione sommaria, “tra il cinque e il dieci per cento”. Ma non è finita qui, perché evidentemente la maggioranza non sta a guardare. E allora si moltiplicano gli episodi, tipici di tutti i congressi, di intervento a gamba tesa. Il Secondo documento è pronto a documentare tutto a breve presentando un dossier con tutti gli episodi rilevanti. E intanto i suoi rappresentanti presso la Commissione nazionale di garanzia sono pronti a ritirare la loro firma dal verbale finale qualora non si verificasse un intervento su irregolarità, anomalie e forzature.

Rappresentanza, la Fiom invita Susanna Camusso ad un chiarimento al Comitato centrale del 16 gennaio Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Stop alla firma e consultazione degli iscritti. Sulla Rappresentanza la Fiom ha inviato una lettera al segretario generale della confederazione di corso d’Italia, Susanna Camusso, in cui chiede “la sospensione della firma” all’accordo sulla rappresentanza sindacale “fino all’esito finale della consultazione” degli iscritti “vincolante” e “previsto dallo statuto della Cgil”. Sabato, il segretario generale Maurizio Landini aveva rilasciato una dichiarazione molto polemica nei confronti della decisione della leader della Cgil. E la stessa cosa aveva fatto Giorgio Cremaschi, invitando Landini alla rottura del patto che regge il documento di maggioranza.

L’organizzazione guidata da Maurizio Landini, che oggi ha riunito la segreteria, chiede a Camusso anche che “sia convocata con urgenza la riunione del comitato direttivo della Cgil nazionale” e “la realizzazione di assemblee in tutti i luoghi di lavoro nel corso delle quali dovranno essere rappresentati e illustrati i contenuti e gli eventuali diversi giudizi sull’accordo”.

Venerdì scorso Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno siglato il regolamento attuativo dell’intesa sottoscritta il 31 maggio dello scorso anno. “Abbiamo appreso della firma, da parte del segretario generale della Cgil, di un accordo definito ‘Testo unico sulla rappresentanza Confindustria, Cgil, Cisl e Uil’ – si legge nella lettera della Fiom – con una serie di contenuti mai discussi in nessun organismo dirigente della nostra organizzazione”.

“Da una prima lettura – prosegue la missiva – il nuovo accordo prevede sanzioni verso le organizzazioni sindacali e i lavoratori eletti, si introduce l’arbitrato interconfederale in sostituzione dell’autonomia delle singole categorie e compaiono elementi che configurano una concezione proprietaria dei diritti sindacali, di fatto limitano le libertà sindacali anche in contrasto con la recente sentenza della Corte costituzionale sulla Fiat. Non è comprensibile che tutto ciò sia avvenuto senza mettere le categorie nella condizione di poter conoscere, discutere e decidere prima di arrivare alla firma”.

La valutazione “definitiva” sull’intesa e sul nuovo quadro che determina viene rimandata al Comitato centrale della Fiom in programma il 16 gennaio, al quale le tute blu invitano Camusso a partecipare e intervenire.

Fino a quella data le assemblee nei luoghi di lavoro in preparazione del congresso sono bloccate.

Il Job Act e il congresso della Cgil: Camusso, Landini e Cremaschi con tre diverse posizioni Autore: fabio sebastiani da : controlacrisi:org

Reazioni di segno diverso sul Job Act di Renzi da parte di Camusso, Landini e Cremaschi. Quel che è certo è che il tema entrerà prepotentemente nei lavori del congresso della Cgil, nella prima decade di maggio. Le reazioni del segretario della Cgil e di quello della Fiom alludono, infatti, ad un certo “fiato corto” da parte del sindacato rispetto alle proposte del vertice del Pd. Anche se Susanna Camusso assicura che i contatti tra i singoli membri delle segreterie (Pd e Cgil) sono frequenti (sic!), il Job Act sembra per il momento aver spiazzato il sindacato.

“Non possiamo che salutare con favore il dibattito politico che finalmente parla di lavoro e il fatto che il piu’ grande partito del centrosinistra sta impegnandosi a fare proposte”, dichiara il leader della Cgil,Camusso, intervenendo all’assemblea regionale toscana dei quadri e dei dirigenti del sindacato. “Il dibattito che si e’ aperto sul lavoro – ha aggiunto – e’ lo straordinario risultato della nostra resistenza, della nostra richiesta di ripartire dal lavoro”. A chi chiedeva al segretario della Cgil Susanna Camusso se il sindacato fara’ proposte per il Job act, lei ha ricordato che la Cgil ha il suo piano del lavoro e i suoi documenti congressuali: noi “ripartiamo da qui affermando e ribadendo che oggi il lavoro che c’e’ e’ troppo poco. Non siamo in grado di dare risposte se non si decide di creare lavoro” se non si mettono nuove risorse. Per questo, secondo Camusso, “non basta dire che sara’ la libera iniziativa del mercato delle imprese, magari con qualche incentivo, a favorire la ripresa. Sono cose utili, tutte, ma servono risorse per creare nuovi posti di lavoro”. L’osservazione di Camusso mette a nudo il nodo vero di tutto l’impianto di Renzi, la mancanza di risorse per far ripartire l’economia e quindi l’occupazione.

 

Di parere nettamente opposto è il leader della corrente di opposizione in Cgil, raccolta nel documento “Il sindacato è un’altra cosa”, Giorgio Cremaschi, che invita tutti a lasciare da parte le cautele. Il job Act di Renzi “va contrastato”. “Dalle anticipazioni che ci sono sulle proposte di Renzi si puo’ e si deve dare un giudizio negativo per almeno tre ragioni. Per questo non siamo d’accordo con la cautela di Susanna Camusso o con le aperture di Maurizio Landini”, spiega riassumendo i motivi, almeno 3, per i quali opporsi al nuovo piano lavoro del Pd.

 

Il primo “perche’ tutta l’ideologia del progetto e’ quella liberista di sempre secondo cui per creare lavoro bisogna togliere vincoli alle imprese ed esaltare la globalizzazione. Il secondo ”e’ che si allude ambiguamente alla estensione della indennita’ di disoccupazione, senza chiarire se questa si aggiunge a quello che gia’ c’e’ oggi, e allora bisogna finanziarla, o lo sostituisce e allora sono i lavoratori che la pagano finendo in mezzo ad una strada”.
Il terzo motivo, conclude, ”e’ il contratto di inserimento con piena liberta’ di licenziamento per i nuovi assunti che estendera’ ancora la precarieta’ del lavoro e che aprira’ la via a licenziamenti di massa”. “Sara’ sempre piu’ conveniente licenziare lavoratori con articolo 18 per sostituirli con nuovi assunto senza diritti”, conclude.

 

Landini, intanto, che non esclude altri incontri con Renzi “cosi’ come abbiamo fatto con i precedenti segretari del Pd e di tutti i partiti”, condivide l’idea di fondo “che oggi bisogna rimettere al centro il lavoro e che ci sono tante cose da cambiare in questo Paese” ma preferisce tenersi sul generico. “Se le proposte vanno in questa direzione, – ha osservato ancora Landini che ha sottolineato di voler approfondire la proposta – io penso che sia utile che si ridiscuta di questo”. “Mi permetto di aggiungere – ha proseguito – il tema dei contratti di solidarieta’ e di riduzione dell’orario di lavoro. Penso che, in questa fase, bisogna riaprire una discussione, incentivare l’uso dei contratti di solidarieta’ e se si vuole difendere l’occupazione, si deve ridistribuire anche il lavoro che c’e'”. Detta così sembrerebbe un dissenso. Staremo a vedere. Rimane il nodo della rappresentanza, che Renzi vuol ridurre alla presenza dei lavoratori nei Cda delle aziende. Di questo Landini non ha parlato, per il momento.