Mark Covell torna alla Diaz per raccontare il G8 ai ragazzi di Giulia Destefanis da Repubblica.it

Il giornalista preso a manganellate,  rimase 14 ore in coma per le botte, ha incontrato gli allievi del Pertini

Entra alla Diaz in silenzio, si guarda intorno. Sospira. «Sento le stesse cose di quella notte — dice — come se stesse succedendo tutto adesso». Intorno a lui gli studenti vanno e vengono. «E’ incredibile pensare come questo posto possa essere così tranquillo ora». Il giornalista inglese Mark Covell, nel blitz della polizia alla scuola Diaz di via Battisti, durante il G8 di Genova, fu quasi ammazzato tra calci e manganelli, finì in coma e ci rimase per 14 ore. Sedici anni (e molte battaglie legali e psicologiche) dopo, torna nella palestra del blitz per una mattina «speciale: per la prima volta incontro qui dentro dei ragazzi, gli studenti della scuola, per raccontare cosa è successo veramente quella notte. Era uno dei miei desideri. E voglio continuare a farlo, a parlare di diritti umani con i ragazzi, anche nelle Università italiane».

Una mattina di riflessione, dal tema “Forze di polizia e diritti umani in Italia”, organizzata da Amnesty International con la responsabile ligure per l’educazione ai diritti umani Emanuela Massa. Non è l’unico istituto che stanno visitando, insieme all’ispettore capo Orlando Botti che da poliziotto pensionato racconta la sua visione critica del corpo: ma qui al liceo Pertini, tra quelle stesse mura, è diverso, e Covell si commuove. «E’ giusto così. Vedendomi, spero che i ragazzi capiscano il valore dei diritti umani. Quella notte io li ho persi, mi furono completamente negati dallo Stato e dalla polizia italiana».

Inizia il racconto: 21 luglio 2001, oltre 300 agenti con il supporto dei carabinieri fanno irruzione nella scuola dove dormono gli attivisti, davanti alla sede del Genoa Social Forum. «Io sono una delle 93 persone che si trovavano alla Diaz — racconta Covell — Vedendo arrivare le camionette ho provato a raggiungere il mio computer nell’edificio davanti per scrivere quello che stava accadendo. Ma i poliziotti mi hanno fermato in strada e mi hanno aggredito per tre volte; mi hanno fratturato la mano sinistra e otto costole, che hanno perforato un polmone; per i calci sul volto ho perso 16 denti». Gli studenti lo fissano in silenzio, con il preside Alessandro Cavanna. «Pensai: sto per morire». Mostra i video del blitz. Poi racconta gli anni successivi, «lo stress post traumatico, due esaurimenti nervosi». Oggi vive a Londra con la fidanzata Laura conosciuta a Genova, non fa più il giornalista: «Lavoro in un negozio, faccio una vita semplice, ho bisogno di normalità».

G8 di Genova, una delle vittime torna alla Diaz dopo 16 anni: “I ragazzi devono sapere

Una ragazza chiede come reagirebbe se uno degli agenti che lo hanno picchiato andasse a scusarsi. «Gli chiederei di fare i nomi degli altri». Perché i processi hanno condannato 25 persone per la Diaz (e 40 per i fatti della caserma di Bolzaneto), ma «per il mio pestaggio fuori dalla scuola non è stato identificato, e dunque condannato, nessuno».

«Sono stato io l’unico poliziotto a scusarmi con Mark — dice Botti — Mi vengono i brividi a stare qui. Queste tragedie devono essere ricordate». Per garantire che «le forze di polizia siano uno strumento di tutela dei diritti, non il braccio armato dei governi», aggiunge Massa ricordando la necessità di una legge sulla tortura. «Parlare dei fatti di Genova — conclude Covell — significa difendere i diritti umani: che sono minacciati ogni giorno, anche in Occidente, anche qui».

 

Salvatore Settis, la buona scuola non è buona. E le “competenze” non servono a niente da: linckiesta

L’archeologo e storico dell’arte contesta l’indirizzo della scuola e dell’università di oggi. E difende gli insegnanti, l’ozio creativo, e la storia come riserva di possibilità per il futuro

Studi sempre più specializzati. L’acquisizione di “competenze” sempre più precise che seguano le esigenze del mercato del lavoro. Studenti che escono dall’università (o anche dalle superiori) in possesso di una professionalità spendibile subito. Sono questi i desideri proibiti di chi frequenta le scuole, oltre che il totem retorico degli addetti alla cultura, dai ministeri ai dirigenti scolastici (con quali risultati poi è un’altra storia, di cui abbiamo cercato di parlare nello speciale di questa settimana su Linkiesta).
Ma c’è un ma: siamo sicuri che sia la strada giusta? Sicuri di essere consegnati alle varie specializzazioni e alle tecnicità sia l’unico modello culturale sensato? «Bisognerebbe ricordarsi più spesso di un aforisma di Goethe, che dice più o meno così: “Le discipline di autodistruggono in due modi, o per l’estensione che assumono, o per l’eccessiva profondità in cui scendono”» racconta a Linkiesta.it Salvatore Settis. Archeologo e storico dell’arte, già direttore della Normale di Pisa, dimessosi qualche anno fa dal Consiglio Superiore dei Beni Culturali in polemica coi tagli alla Cultura del governo Berlusconi, Settis è ora in prima linea nella difesa di paesaggio e monumenti italiani. «Bisogna trovare un equilibrio tra lo specialismo e la visione generale -spiega-. La tendenza che si sta affermando nei sistemi educativi un po’ in tutto il mondo, ma in particolare in Italia è educare a “competenze” piuttosto che a “conoscenze”»

Fatti non fosti a viver come bruti, ma per seguir virtute et competenza?

Ecco, è un’idea perversa sostituire la parola “conoscenza” con “competenza”, come è stato fatto dai pedagogisti alla nostrana, consultati da Berlinguer e dalla Moratti in poi per le loro pessime riforme scolastiche. Abbiamo bisogno di persone con uno sguardo generale. Non bastano le conoscenze specialistiche, approfondite quanto si vuole. Ci vuole una visione collegata col senso della comunità (come del resto è scritto nella nostra Costituzione, che stiamo via via dimenticando).

Competenza vuol dire possedere oggetti conoscitivi e capacità. Conoscenza vuol dire farsi modificare dalle cose che si incontrano, giusto?

E poi non c’è conoscenza senza sguardo critico, cioè senza il dubbio. La scuola ci insegna delle cose, ma dovrebbe soprattutto insegnarci a dubitare di quello che essa stessa ci insegna.

E invece?

Il modello dell’educazione di oggi è quello di Tempi moderni, di Charlot che fa l’operaio e esegue un solo gesto: prendere la chiave inglese e girare un bullone. L’ideale del nostro bell’ideologo-intellettuale-riformatore dell’educazione è proprio “formare” qualcuno che fa una sola cosa, e la fa senza pensare. Un modo di mortificare la ricchezza della natura umana. E la democrazia viene uccisa.

A proposito di non-specialismi: quanto è stato importante per lei leggere disinteressatamente, senza un fine di studio. Così per piacere, e per avventura?

E’ essenziale per tutti. La curiosità intellettuale è il sale della formazione. Guai se uno dovesse leggere i libri o guardare i film che qualcuno gli ha ordinato di guardare o di leggere. Tutti inseguiamo delle curiosità senza scopo. E lo facciamo anche con gli esseri umani: se a una cena c’è una persona interessante ci parliamo. Così dobbiamo fare anche coi libri o con la formazione.

Cosa ne pensa degli slogan che erano cominciati con Berlusconi (“Inglese, impresa, internet”) e che proseguono con Renzi (“La buona scuola”)?

L’uno e l’altro slogan sono stati usati in modo superficiale e cinico per sostituire la sostanza. L’etichetta del brandy di lusso mentre nella bottiglia c’è quello del discount. Stesso discorso per il nostro presidente del Consiglio che ama la “Narrazione”. Narrare (in altri termini: raccontare balle) per persuadere gli ingenui. Basta parlare con qualche professore per accorgersi che la cosiddetta “buona scuola” non è una scuola buona: sono in condizioni di grave difficoltà da tutti i punti di vista.

Ecco, al di là dei problemi di reclutamento e del trattamento economico. I professori ormai sono perennemente ingolfati di carte: schede di valutazione, moduli da riempire, piani formativi. Sembra quasi un controllo burocratico-contenutistico kafkiano sul loro lavoro. Cosa ne pensa?

Questo è un punto vitale, per tutte le categorie di professori: elementari, medie, superiori. E anche quelli universitari. E qui c’è un paradosso…

Ci dica…

La burocratizzazione del mondo avanza mentre gli stessi governanti continuano a dirci che stanno facendo una lotta dura e senza paura contro la burocrazia. Il fatto di dover riempire mille moduli, dover scrivere mille sciocchezze: è come se non ci si fidasse della responsabilità dell’essere umano. Un professore si giudica dai risultati, da come fa lezione agli allievi. Nel caso di un professore universitario c’è la ricerca. Che poi viene spesso valutata male.

Perché?

L’Amvur valuta gli articoli senza leggerli. Se esce in una cosiddetta rivista di serie A viene valutato bene, se no niente. E’ una sciocchezza: molti ottimi articoli specialistici escono in riviste di serie B o di serie C. Questo è un modo di ragionare che può uccidere la ricerca unversitaria

Si dice che gli insegnanti abbiano troppe vacanze, che ne pensa?

Il lavoro intellettuale non si può quantificare o conteggiare. Tra i famosi “otium” e “negotium” non c’è soluzione di continuità. Un insegnante non deve essere valutato in base alle ore che fa di lezioni frontali. Chi le prepara? E il tempo che uno ci mette a prepararle chi lo conteggia?

Eh, chi lo conteggia?

Nessuno lo può conteggiare, appunto. Ma si rende conto che col sistema assurdo dei crediti formativi all’università si pretende di conteggiare il tempo che ci vuole a imparare un certo libro? Magari un libro di cento pagine io lo posso imparare in due ore e lei in mezz’ora. Abbiamo un sistema di valutazione che mortifica la diversità tra gli esseri umani. Valutare in base alle ore presunte è una solenne sciocchezza. Questa è la vera perversione che sta facendo danni enormi, e ne farà sempre di più.

Va per la maggiore un modello culturale, un paradigma tecnico-scientificizzante, 2.0, 3.0, 4.0 secondo cui il passato è qualcosa di evitabile. E’ inutile. Sono “nevi dell’anno scorso” come diceva Francois Villon. Ecco, professor Settis: a cosa serve il passato?

Il passato delle comunità, cioè la Storia, serve esattamente alla stessa cosa a cui serve il passato dell’individuo. A quelli che dicono che il passato non serve a nulla vorrei proporre di essere sottoposti all’espianto del proprio cervello, in modo che non sappiano più chi sono, chi sono i genitori, cosa hanno fatto prima. Il nostro presente, le parole che usiamo anche per fare conversazione, ora, vengono dal nostro passato. Anzi da un passato che non è solo in nostro: noi due in questo momento stiamo parlando in una forma molto modificata di latino. La realtà è costruzione del futuro nel presente usando ingredienti che vengono dal passato. Se ignoriamo questo siamo culturalmente morti.

Il passato non è nostalgia o atteggiamento reazionario, ma è una forza critica per non essere schiacciati dalle ideologie, per non finire come “generazioni di neoprimitivi” di cui cantava Battiato in Shock in my town?

Pierpaolo Pasolini usava una formula bellissima: “La forza rivoluzionaria del passato”. E’ un serbatoio di possibilità, di idee. Capiamo che c’erano in Toscana delle città stato, e a un certo punto Firenze si è imposta ed è diventa la capitale del Granducato. Ma non è impensabile che si imponessero altre famiglie sui Medici, e magari venisse fuori un granducato con capitale Siena, o Pistoia, o Pisa. Dante ha finito la Commedia ma poteva non finirla.

Trovare le possibilità inespresse in quello che è successo, per proporre qualcosa di diverso nel presente?

Il passato ci svela le alternative. E’ la possibilità di vedere il mondo sulla base di una visione laica e generosa della società.

Isadora Duncan ha inventato i suoi passi di danza guardando i dipinti vascolari greci. Lei, che non balla, ma fa l’archeologo e lo studioso, ha allestito una mostra di arte antica alla Fondazione Prada. Più che la conoscenza puntuale di una serie di procedure e strumenti già pronti serve immergersi in quello che la storia ha suggerito senza svelarlo del tutto?

Ho cercato di rispondere all’invito di Miuccia Prada con una mostra di arte antica su un tema contemporaneo: la serialità. Sono arrivati artisti contemporanei convinti che l’arte antica non potesse dire più nulla, ed erano stupiti di come queste statue ancora abbiano da dire. Usiamo in continuazione ingredienti che arrivano dal passato anche se non ce ne accorgiamo. Il passato è libertà.

Studenti in piazza il 7 ottobre. Contro la scuola di classe di Renzi, UE e Confindustria da: www.resistenze.org

Fronte della Gioventù Comunista (FGC) | gioventucomunista.it

11/09/2016

Il 7 ottobre la gioventù comunista chiama gli studenti di tutta Italia a mobilitarsi contro la scuola di classe imposta in Italia dai governi di centro-destra e centro-sinistra e dall’Unione Europea. Scenderemo in piazza per rivendicare una scuola diversa, che sia fatta su misura degli studenti e dei futuri lavoratori, e non modellata in base agli interessi delle grandi imprese, della Confindustria e dei padroni.

Sono ormai decenni che in Italia è in atto un processo di mutazione genetica della scuola statale, che parte dalla riforma Berlinguer passando per le riforme Moratti e Gelmini fino alla “buona scuola” di Renzi. Con lo slogan della “autonomia” scolastica si è promossa, dalla fine degli anni ’90 ad oggi, una crescente aziendalizzazione e privatizzazione dell’istruzione pubblica in Italia. Con lo slogan del “merito” vengono sistematicamente ridotte le spese per garantire a tutti il diritto allo studio. Questo processo ha subito un’accelerazione dal 2008 in poi, con lo scoppio della crisi economica. Da allora sono stati tagliati più di 22 miliardi alla scuola pubblica; il governo Renzi con la legge di stabilità 2016 ha programmato altri 660 milioni di tagli all’istruzione fino al 2018. Il risultato è che oggi la scuola in Italia è sempre più inaccessibile: migliaia di studenti scelgono dove studiare in base alle proprie possibilità economiche, mentre l’abbandono scolastico è alle stelle e uno studente su tre non porta a termine gli studi. Si afferma che i soldi per la scuola non ci sono, ma ogni anno si spendono decine di miliardi di euro per pagare i soli interessi sul debito pubblico o per le spese militari, e si regalano milioni alle scuole private: in tutto questo c’è una precisa volontà politica.

Mentre gli studenti finanziano la scuola di tasca propria, pagando i contributi economici che vengono ormai imposti dalle scuole per sopperire alla carenza di fondi, si cerca di legare sempre più la scuola pubblica alle imprese e al capitale privato. La riforma di Renzi va in questa direzione: sostituire progressivamente i finanziamenti statali con i finanziamenti privati, in un meccanismo perverso che renderà le scuole sempre più dipendenti dai finanziamenti delle imprese, che in cambio potranno asservire la scuola e la didattica ai propri interessi. A questo serve l’alternanza scuola-lavoro, oggi tutt’altro che formativa ma funzionale alla fornitura alle aziende private di manodopera gratuita o a bassissimo costo. Nei casi peggiori, intere scuole (in particolare istituti tecnici e professionali) vengono progressivamente convertite in un grande corso di formazione aziendale per una singola grande azienda (capofila di questa tendenza è ad esempio l’ENEL) , cioè in un grande bacino da cui attingere nuova forza-lavoro da assumere con contratti precari.

Tutto questo avviene nel contesto di una profonda ristrutturazione del sistema produttivo in Italia, che si ripercuote sul mercato del lavoro e sull’istruzione. I padroni hanno scelto di far fronte alla crisi con l’abbattimento del costo del lavoro, cioè con la distruzione sistematica di tutti i diritti sociali e con una dequalificazione complessiva del lavoro e dell’istruzione, pur di difendere i loro profitti. Il Jobs Act di Renzi ha definitivamente sancito la libertà di licenziare, eliminando di fatto il contratto a tempo indeterminato e condannando la gioventù a un futuro di precarietà e disoccupazione. La scuola e l’università vengono adattate a un mercato del lavoro che non necessita più di lavoratori specializzati, ma di lavoratori dequalificati e ricattabili: per questo sull’istruzione si taglia e la scuola diventa sempre più di classe, fatta su misura dei padroni e non degli studenti, per i quali è sempre più inaccessibile.

Da anni si riscontra una profonda arretratezza del movimento studentesco in Italia, ingabbiato nella logica delle battaglie giocate in difesa, per cui si lotta ogni volta contro una riforma peggiore della precedente senza mai avanzare di un passo, ma anzi arretrando sempre di più. Non si può più scendere in piazza nell’illusione che avanzare semplici richieste di riforma indirizzate al Governo possa comportare qualche cambiamento reale, né ci si può accontentare di mobilitazioni costruite sulla base del semplice ribellismo giovanile senza alcuna prospettiva chiara. Quello che serve oggi è una inversione di marcia. Bisogna uscire dalla logica degli studenti come soggetto autonomo del conflitto, comprendere che lottare per una scuola migliore significa inevitabilmente lottare contro un sistema che oggi ci impone una scuola fatta su misura per i padroni, che nega il diritto allo studio in favore del privilegio di pochi; significa legare le lotte degli studenti a quelle del lavoro, dei giovani disoccupati, in un fronte di classe che deve vederci protagonisti.

In questo senso il 7 ottobre può diventare un’occasione per rilanciare il movimento studentesco in Italia. Un’occasione per sferrare il primo vero contrattacco dopo anni di battaglie giocate in difesa. Il 7 ottobre costruiremo in ogni città spezzoni contro la scuola di classe, organizzando la lotta contro il modello di scuola imposto da questo sistema. Scenderemo in piazza per rivendicare una scuola totalmente gratuita, dai libri di testo ai trasporti, rivendicando la piena copertura dei costi dell’istruzione con finanziamenti statali. Rivendichiamo l’abolizione dei finanziamenti alle scuole private e dei contributi scolastici, per una scuola che sia accessibile a tutti. Lottiamo contro lo sfruttamento in alternanza scuola-lavoro, rivendicando una giusta retribuzione e tutele per gli studenti in stage, per un’alternanza che sia davvero formativa e non funzionale agli interessi dei padroni, per una scuola che insegni il lavoro e non la precarietà. Vogliamo una riqualificazione di tutta l’istruzione pubblica e in particolare dell’istruzione tecnica e professionale, un aumento della collegialità nella gestione delle scuole contro le ingerenze dei privati e lo strapotere dei Dirigenti Scolastici, rivendichiamo un piano nazionale di interventi per l’edilizia scolastica. Lottiamo contro la scuola di classe imposta dai dettami di UE, BCE e FMI, contro questo sistema che ci condanna a un futuro di precarietà, disoccupazione e assenza di diritti.

 

Scuole nel caos, ancora una denuncia Anief: “Per i presidi è il peggior pasticcio in quarant’anni” da: controlacrisi.org Autore: redazione

Scuole come un ‘cantiere aperto’: miriadi di docenti in attesa di nomina, quelli di Musica sui posti di Matematica. Pure i presidi alzano la testa: il peggior pasticcio in 40 anni.Non era mai accaduto che, a ottobre inoltrato, decine di migliaia di docenti di ruolo dovessero ancora essere utilizzati e assegnati agli istituti. Vi sono poi 100mila precari, di cui 40mila di Sostegno, in attesa della nomina annuale e una bella fetta di insegnanti “potenziatori”, inviati dagli uffici scolastici, rivelatisi diversi da quelli chiesti delle scuole e, quindi, inutilizzabili. Le lezioni, così, si svolgono a singhiozzo, le classi continuano ad essere smembrate perché manca il prof e un alunno disabile su tre rimane ancora senza insegnante specializzato o è in procinto di cambiarlo.

Ne è una conferma anche lo sfogo di un capo d’istituto di Settimo Torinese che denuncia, presso il suo Istituto, “la mancanza di più cattedre dalla Biologia all’Economia aziendale, sino all’Italiano e al Francese: prima c’erano i tagli e non si poteva assumere. Quest’anno, lo Stato paga ma mancano gli insegnanti: l’organico di fatto, pertanto, non c’è poiché si dispone di insegnanti di classi di concorso non utili. Abbiamo già previsto dei supplenti, ma non sappiamo se rimarranno. Dei 6 insegnanti di sostegno che mancano ho preferito non nominare. Non posso permettere che ragazzi con problemi si ritrovino a cambiare insegnante ogni mese. Non si capisce bene come abbia funzionato quest’algoritmo. Non tenendo conto in primis il diritto degli alunni”.

Marcello Pacifico (Anief-Cisal): il Miur è vittima dei suoi errori: come quello di impedire per anni il passaggio degli abilitati Pas, Tfa, Sfp e all’estero dopo il 2011 nelle graduatorie ad esaurimento, salvo doversi piegare proprio in questi giorni alle ordinanze emesse dal Tar del Lazio, secondo cui andavano messi a ‘pettine’. Anche questo determinerà rallentamenti nelle operazioni. Vi sono, poi, i docenti trasferiti su ambiti sbagliati, la cui richiesta di conciliazione è andata a buon fine ma che ancora rimangono nel limbo, ‘appoggiati’ su sedi provvisorie senza classi assegnate. Nel frattempo, nelle scuole stanno arrivando anche i primi docenti che hanno fatto ricorso al giudice del lavoro, che ha deciso per il ritorno d’ufficio sulla provincia di appartenenza, per via degli errori dell’algoritmo impazzito del Miur contro il quale, anche noi, abbiamo fatto ricorso.

La ‘Buona scuola’ vista da insegnanti e studenti: “E’ solo migrazione e umiliazione” da: sudpress.it

protesta docenti

Dicono NO alla migrazione dei docenti e alla nuova scuola-impresa voluta dal governo Renzi. Tra il “rischio corruzione” dei presidi e l’alternanza scuola-lavoro per gli studenti delle superiori, che la etichettano come “sfruttamento gratuito”, ci siamo fatti raccontare tutte le criticità della riforma da chi la vive giornalmente

Più che “buona” questa riforma scolastica è un ring che scotta. In due milioni hanno firmato per abrogarne i passaggi principali e, a ragione, l’incontro sulla tanto contestata 107 alla Festa dell’Unità è stato titolato “Riforme che cambiano l’Italia”. Perché, di fatto, ha stravolto la vita di oltre 120mila docenti.

Le accuse sono gravissime. La riduzione degli insegnanti a “capitale umano” gestito liberamente dai presidi-manager è uno dei nodi principali. Se da un lato la “chiamata diretta” dell’insegnante meritevole si sostituisce al sistema di graduatorie e punteggi per titoli e anzianità, dall’altro, il rischio di corruzione per i presidi è altissimo.

L’anno scolastico non è ancora cominciato ma ci sono già alcune testimonianze preoccupanti. Durante i colloqui, diversi docenti avrebbero subìto interrogatori sulla vita privata: progetti di matrimonio, gravidanze e rapporti con la città di provenienza.

Il tutto, chiaramente, per scegliere secondo “caratteristiche logistiche” il professionista e non per il suo curriculum. Prima richiesta: che faccia poche assenze. Quindi, i preferiti dei presidi a quanto pare sarebbero i docenti già residenti. In altri casi, ancora più imbarazzanti, sarebbe stato richiesto un “video a figura intera per scegliere l’insegnante” più appropriato, come ci racconta Nino De Cristofaro (Cobas).

La “chiamata diretta” dovrebbe favorire, secondo i legislatori, la scelta del docente più adatto al ruolo e alla struttura. Il pericolo, invece, è il sovvertimento della meritocrazia a favore di un’assoluta discrezionalità del dirigente scolastico. Ma non è l’unico tasto dolente. 

Sono gli stessi studenti a spiegarci il significato di quella che definiscono il “continuo della riforma Gelmini”. “Durante il trienno delle superiori, l’alternanza scuola-lavoro è in realtà lavoro non retribuito. Non c’è niente di didattico nello spolverare le mensole dei musei”, ha detto Ludovica Intelisano.

Per questi motivi, lunedì scorso 29 agosto i sindacati hanno presentato ricorso al Tar del Lazio, mettendo in discussione la legittimità costituzionale della riforma che comprometterebbe i principi basilari della scuola pubblica: libertà d’insegnamento, svolgimento imparziale della pubblica amministrazione e diritto all’apprendimento per gli studenti.

Lo hanno chiamato il neoliberismo della scuola ma, tra i tanti posti in Sicilia che rimarranno scoperti per l’obbligo di migrare verso le cattedre del Nord, saranno solo una ventina gli insegnanti siciliani di scuola primaria che potranno rientrare nell’Isola. Tantissimi, infatti, i ricorsi dall’esito negativo per coloro che speravano in un avvicinamento a casa.

Intanto, mentre il partito di governo festeggia la sua unità, molte scuole superiori siciliane rischiano di suonare la campanella il 14 settembre senza i servizi essenziali, come luce e acqua. La causa? Bollette non pagate. E’ il risultato del drammatico passaggio dalle Province ai Liberi consorzi. La Regione con le tasche vuote se la fa alla larga e dopo il fallimento della Finanziaria bis che, se approvata, avrebbe dato ossigeno con nuove risorse, non resta che sperare in un aiutino da Roma.

A Catania a “fare la festa” al Pd ci hanno pensato anche gli insegnanti che non hanno aderito a questa legge. Contestatissimi Davide Faraone, Francesca Puglisi e Gianluca Scarano dagli insegnanti delle Graduatorie ad Esaurimento. “Siamo dimenticati dal governo, tutti gli insegnanti messi gli uni contro gli altri in una guerra tra poveri”, ci ha spiegato Massimo Romano (insegnante GAE).

Villa Bellini anche in questa occasione ha festeggiato più la desolazione che l’Unità e si è confermata passerella e slogan per una politica che ormai riceve solo fischi.

Autore: fabrizio salvatori Scuola, la riforma allunga la lista dei problemi. Inizio d’anno nel caos più totale. La denuncia dell’Anief da: controlacrisi.org

È da non crederci, ma la messa a regime della Legge 107/15 ha fortemente allungato la lista dei problemi che affliggono l’istruzione pubblica e che contrassegnerà l’inizio delle lezioni: si va dal sottodimensionamento degli organici, docenti e Ata, alla conferma, se non all’incremento, della supplentite; dalle disfunzioni del concorso a cattedra al divieto dei contratti sino al 31 agosto all’illegittima chiamata diretta da parte del dirigente scolastico; dal pasticcio della mobilità, che ha prodotto migliaia di trasferimenti errati, all’assenza di circa 1.500 dirigenti scolastici e Dsga con altrettante scuole ancora una volta in reggenza; dal mancato adeguamento dell’organico di fatto in organico di diritto, con decine di migliaia di cattedre ancora nel limbo, ad iniziare da quelle di sostegno, all’individuazione di tanti docenti senza titolo. Per non parlare dei docenti inviati negli istituti senza tenere conto del Piano dell’offerta formativa e delle effettive esigenze scolastiche.

Marcello Pacifico (presidente Anief): “Ecco perché la scuola è sempre più in crisi. Ci sono quasi 100mila posti liberi, di cui solo un terzo andrà alle immissioni in ruolo. Un altro paradosso deriva poi dal conferimento di tanti posti vacanti curricolari a docenti non abilitati, mentre chi era titolato non è stato ammesso al concorso a cattedra. A destare scompiglio sul nuovo anno scolastico c’è pure la chiamata diretta che riguarda anche i 32mila prossimi assunti, oltre che i soprannumerari e altri 56mila assunti con la Legge 107: tutti finiti su ambiti territoriali, alle prese con algoritmi impazziti e troppi presidi che personalizzano i requisiti di scelta. E che dire del flop del ‘potenziamento’ scolastico, con una miriade di docenti inviati alle scuole diversi da quelli richiesti dai collegi tramite i Ptof? Continua a essere trascurato il problema del sostegno, con l’aggravante del pasticcio sulla mobilità 2016: i posti vacanti sono stati negati agli specializzati che hanno chiesto trasferimento e ora vanno assegnati a personale non specializzato in assegnazione provvisoria. Intanto, i precari storici con oltre tre anni di supplenze non vengono assunti, disattendendo Corte europea e Consulta. Largo, infine, a 1.500 reggenze che, con l’autonomia, sono diventate sempre più difficoltose da attuare”.

Alle docenti e ai docenti che stanno per raggiungere le località dove sono stati trasferiti Buon viaggio e Buon lavoro So che è terribile lasciare i vostri figli e i vostri mariti, è un’esperienza che ho fatto dal 1979 per 10 anni, ricordo quando presi il treno con mio marito per Imperia ci vollero 20 ore, un viaggio pesante perchè non c’erano posti a sedere e noi abbiamo ceduto i nostri a 2 anziani che dovevono raggiungere Torino. Quella esperienza è stata durissima soli in una città dove non conoscevi nessuno, ma Imperia è la città che ha dato i natali a mio figlio, ed è nel mio cuore, 1o anni bellissimi con gli abitanti molto accoglienti. Grazie Imperia Santina Sconza

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Test Medicina, studentessa etnea scrive a Mattarella «A Catania è un bel business, ma è incostituzionale» da: meridionews.it

Luisa Santangelo 26 Agosto 2016

  Diciotto anni, il sogno di diventare neurologa e l’idea di farcela solo con le sue forze. Chiara Riscica ha studiato al Convitto Cutelli e da qualche giorno ha iniziato un corso di studi in Belgio. Prima di partire, però, ha scritto al presidente della Repubblica. Scatenando le risposte di economisti di fama nazionale

«Signor presidente, la cultura non si preclude a nessuno». Chiara Riscica, 18 anni, neodiplomata al convitto Cutelli, ha scelto di scrivere al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiedere una moratoria sui test di accesso alla facoltà di Medicina. Una lettera spedita via email e pubblicata su Il fatto quotidiano, alla quale ha risposto perfino l’economista di fama nazionale Michele Boldrin, ex leader di Fare per fermare il declino (il movimento spesso ricordato per il curriculum gonfiato di Oscar Giannino) e noto per aver proposto l’abolizione del liceo classico dalle scuole italiane. «Dopo i deportati, tocca ai forzati allo studio. E guarda caso gli indicatori antropologici sono gli stessi», scrive Boldrin sulla sua pagina Facebook. «Non sapevo chi fosse – ammette Chiara Riscica – Ma se il suo riferimento è al fatto che vengo dal Sud mi pare che stia sbagliando. A me studiare piace».

Catanese, più grande di due figlie, si è appassionata alla Neurologia quando ha iniziato a studiare il cervello in Biologia. «Da quel momento è sempre stato una fissazione – dice – Se avessi capito che volevo fare la neurologa un po’ prima probabilmente non avrei scelto il liceo classico, ma comunque non è una scelta della quale mi pento». Nella sua lettera a Mattarella, Chiara cita la Costituzione, ricordando gli articoli 3 e 34, che parlano dell’uguaglianza di tutti i cittadini e del diritto di accesso agli studi. «Nel caso di Medicina, però, le cose vanno in maniera diversa – sostiene – I test di ammissione sono troppo difficili e la preparazione che dà il liceo non basta a sostenerli. Per questo quasi tutti gli aspiranti medici, a partire dal quarto anno delle superiori, iniziano a fare i corsi a pagamento. Ma chi non se li può permettere? È incostituzionale».

La preparazione agli esami di ammissione all’università in Italia è un business che muove milioni di euro. «I miei compagni di scuola hanno pagato migliaia di euro per apprendere un metodo di studio e per approfondire argomenti che alle scuole superiori non possono essere trattati col livello di dettaglio richiesto dal test», prosegue la studentessa. «Io mi sono rifiutata di iscrivermi: spendere tutti quei soldi mi sembra immorale». Così ha iniziato una preparazione privata, fatta solo di libri e ricerche, alla quale somma l’aiuto di suo padre, professore di Sistemi alle superiori. «A essere in difficoltà non sono solo io che ho fatto il classico, ma anche i miei coetanei che hanno fatto lo scientifico».

Per questo, approfittando anche delle conoscenze di lingua francese che le ha dato il convitto Cutelli, ha deciso di fare un periodo di preparazione fuori dall’Italia. In Belgio, nello specifico, dove sta seguendo dei corsi propedeutici all’ammissione a Medicina. «Sa quanto costa? – domanda, ironica – Ottanta euro». Un risparmio al quale si somma l’esperienza all’estero. «E nonostante la spesa per andare fuori non ho comunque speso quanto avrei fatto se mi fossi iscritta ai corsi». In ogni caso, però, lei non ne ha mai fatto una questione economica: «Non dipende certo dallo stato della mia famiglia o dei miei genitori: io sono contraria, è un business eccessivo e, a mio avviso, il sistema è sbagliato. Perché avrei dovuto sovvenzionare qualcosa in cui non credo?».

La soluzione, per lei come per molti altri, sarebbe un sistema universitario alla francese: «Lo sbarramento avviene dopo il primo anno, sulla base di quello che hai studiato all’università». Una proposta avanzata da più parti e a più riprese. «Creare disuguaglianza è sempre scorretto, per quanto mi riguarda – aggiunge la 18enne – Non è solo il test il problema, è tutto quello che ci sta dietro e che causa un senso di esclusione che non dovrebbe esistere. Mi è stato detto che voglio la strada spianata, ma non è così: in Francia non è che tutti diventano medici». E a chi le dice che non ha abbastanza voglia di rimboccarsi le maniche e sudare sui libri, risponde: «Non sono una scansafatiche: mi sono diplomata con la lode mentre studiavo chitarra al Conservatorio. E non ho paura di trovarmi in difficoltà per una carenza di basi scientifiche: devo studiare più degli altri, ma so di potercela fare».

Lei ai test di Medicina del prossimo 3 settembre parteciperà: «Sarà difficile entrare ma proverà ugualmente. Come prima opzione ho indicato Bologna, poi ho messo Siena e Firenze, e poi Catania». Il capoluogo etneo per via di «un sistema sanitario particolarmente sregolato in Sicilia – commenta – Se devo guardare in prospettiva, preferisco trovarmi in una città in cui gli ospedali funzionano meglio. Sarà un trauma lasciare le mie origini e la mia famiglia, ma devo farlo». Se non riuscisse ad accedere, però, la strada segnata è già quella dell’estero. «Voglio rimanere in Italia per aiutare il mio Paese, in futuro. Ma se è il nostro Paese a non metterci nelle condizioni di farlo che scelta abbiamo?».

San Vito, drammatico suicidio: una prof di 49 anni si toglie la vita

La donna lascia un figlio di appena 8 anni, si è suicidata nel giardino dei genitori.  Sgomento in tutto il Sarrabus: era una professoressa. Aveva raccontato di temere di perdere il lavoro o di essere trasferita con la riforma della scuola

Autore: Redazione Casteddu Online il 27/06/2016 14:31


San Vito, drammatico suicidio: una prof di 49 anni si toglie la vita

Una professoressa si uccide nel Cagliaritano. Ancora un drammatico suicidio nel Cagliaritano. Una donna di soli 49 anni si è suicidata oggi a San Vito: era una professoressa, con un figlio di appena 8 anni.

Si è tolta la vita impiccandosi nel giardino dei genitori, in una tragedia che sta gettando nello sgomento tutto il Sarrabus. Inutile è stato l’intervento dell’ambulanza del 118, accorsa sul posto come vedete nella foto. Un dramma inspiegabile, dovuto al fatto che la donna era in depressione da alcuni mesi a causa di motivi professionali. Stando ai primi accertamenti e alle testimonianze, la donna nel suo stato depressivo aveva paura di perdere il lavoro di insegnante precaria o di essere trasferita con la riforma della scuola disposta dal governo. La donna era tra le ultime in graduatoria, insegnava in una scuola superiore della zona, pare stesse davvero rischiando di perdere il lavoro. La sua diventa una storia simbolo, in tutta Italia, della disperazione di tanti insegnanti precari: in questo caso ha scelto il peggiore dei modi, arrendendosi all’angoscia. Anche il marito, straziato dal dolore, è un insegnante.

I Psp querelano il giornalista Rondolino da: lottaquotidiana.it

Rondolino 2

Prodotta il 12 agosto la denuncia/querela contro Fabrizio Rondolino, giornalista presso l’Unità, da parte dell’avv. Gianfranca Bevilacqua su iniziativa dei Partigiani della Scuola Pubblica.

Contestualmente è anche avvenuta la presentazione di un esposto, per gli stessi fatti, dinanzi al Consiglio Nazionale Ordine Giornalisti, Consiglio Ordine Giornalisti del Lazio (dove risulta iscritto) e Consiglio Disciplina del medesimo ordine.

La deplorevole e reiterata aggressione verbale del giornalista contro i docenti, in special misura meridionali non poteva, infatti, ulteriormente passare inosservata.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata stavolta il tweet del 06.08.16, pubblicato sul profilo “@frondolino”:

Mi chiedo come possano fare i bagagli e traslocare se passano il tempo qui su twitter a insultarmi (parlo delle capre deportate)” in cui il giornalista aggiunge l’ingiuria al danno nei riguardi dei docenti trasferiti in questi giorni dal sud al nord, docenti che saranno costretti a lasciare la famiglia per un destino incerto e, cosa che hanno compreso in pochi, con scarse probabilità di rientro.

Un algoritmo mai svelato ha deciso dove dovesse vivere il primo docente in graduatoria, il più delle volte molto lontano, e l’ultimo, spesso e volentieri a due passi da casa: ecco il perché di tanta disperazione, specie per chi lascia figli, mariti o mogli e anche disabili.

Queste le storture denunciate dai docenti, che non sono pedine, ma esseri umani. Eppure Rondolino non recepisce questi disagi, gli sembrano assolutamente dovuti alla provvida mano renziana che dispensa posti di lavoro a “tempo indeterminato” a gente che di fatto precaria era e tale è rimasta, tant’è che il tweet riportato non è stato che l’ultimo di una sequela di contumeliose invettive, avente come unico comune denominatore una aggressiva e pervicace campagna denigratoria contro una categoria che da un anno a questa parte è stata profondamente ferita dalla legge 107/2015.

Il 05.08.16 compariva sullo stesso profilo twitter di Rondolino: “Se gli insegnanti del Sud che urlano in tv conoscessero l’italiano, almeno capiremmo che vogliono”,   e ancora, andando a ritroso a far data dall’anno 2014:

“…insegnanti…continuano a distruggere la nostra scuola”;

…tutti abbiamo conosciuto insegnanti analfabeti, fancazzisti, assenteisti”;

Non vogliono farsi valutare perché valgono poco”;

Semianalfabeti, scioperano perché hanno paura del lavoro, del merito, della cultura

RondolinoPSP

Poi sempre nel 2014 Incitò alla violenza armata anche contro una docente in particolare, la Prof.ssa Sandra Zingaretti, colpevole di aver esposto in tv a Matteo Renzi le incongruenze della riforma: “ Se mia figlia avesse come insegnante la sindacalista pazza di #portaaporta domani andrei a scuola con un fucile mitragliatore”,

e il 29.06.15: “Ma perché la polizia non riempie di botte sti insegnanti e libera il centro storico di Roma?”. Sono solo i più significativi esempi delle invettive di Rondolino contro la categoria dei docenti, le cui voci durante la protesta di Napoli vengono paragonate a quelle di “pescivendoli indaffarati” .

A questi detti, si associano anche quelli contro i meridionali, per come si evince da un’intervista rilasciata il 31.07.15: “I meridionali sono poveri perché non pagano le tasse, disoccupati perché lavorare stanca”.   E ancora: “…melensi e retorici.   Tutti i meridionali fanno il piagnisteo:…Lo Stato dovrebbe abbandonare completamente il Sud perché rinasca.

Le accuse investirebbero il codice penale in numerose fattispecie di reato che vanno dall’Istigazione a delinquere” all’”Istigazione a disobbedire alle leggi” attraverso “l’odio fra le classi sociali” nonché la “Diffamazione col mezzo della stampa”.

Anche gli insegnanti settentrionali hanno inteso partecipare agli intenti della querela sottoscrivendo in questi giorni un documento di solidarietà stilato sempre dai Partigiani della Scuola Pubblica nei riguardi dei docenti meridionali investiti dalle invettive del giornalista de l’Unitá.

Oltre a numerosi docenti a proprio nome, hanno aderito al documento i gruppi degli insegnanti in lotta contro la legge 107/2015, meglio nota come “buona scuola” che dal varo della riforma sono attivi su Facebook e non, oltre ai promotori, i Psp-Partigiani della Scuola Pubblica, i seguenti :

Scuola,tutti uniti per resistere;

DAT- Docenti Autorganizzati Terni;

LA SCUOLA BRUCIA !;

Iuas – Insieme un’altra scuola;

“Docenti incazzati”;

“Professione insegnante”:

CSV coordinamento scuole Viterbo;

MPS – Movimento per la Scuola Pubblica;

RESISTENZA ATTIVA PRECARI SCUOLA;

Associazione Nazionale Docenti per i Diritti dei Lavoratori;

ILLUMIN’ITALIA – ASSOCIAZIONE NAZIONALE;

LA SCUOLA INVISIBILE;

Desertum fecerunt et bonam scholam appellaverunt;

INVALSICOMIO.