Gentile Famiglia Ferrari, avendo appreso la triste notizia della scomparsa del caro Sergio, nel giorno doloroso delle sue esequie desidero inviare a voi tutti, a nome mio personale, dell’ANPi provinciale di Catania e di tutti gli antifascisti e democratici di Catania e provincia, le più sentite condoglianze. Abbiamo conosciuto Sergio in occasione della iniziativa che si tenne in videoconferenza per la celebrazione del 27 gennaio, Giorno della Memoria e siamo rimasti tutti commossi per il suo bellissimo intervento, che è stato toccante, umano e ricco di notazioni personali e storiche. Ci legava a lui, inoltre, il fatto di essere stato compagno di lotta in Liguria, tra le file di Giustizia e Libertà, del partigiano nostro concittadino Santino Serranò, anche lui scomparso e figura conosciuta, amata e rispettata negli ambienti antifascisti della nostra città. Sergio apparteneva a quella generazione di giovani che negli anni terribili della occupazione nazifascista ha deciso di impugnare le armi per liberare l’Italia dalla dittatura e dare al nostro Paese, per la prima volta nella sua storia, una vera democrazia partecipata e partecipativa, basata sulla tolleranza, sul rispetto dei diritti di tutti e sull’accoglienza, ossia una democrazia compiutamente antifascista. Purtroppo vi è ancora da fare molta strada per raggiungere queste mete, ma è grazie anche all’impegno del caro Sergio che la strada è stata tracciata. Tocca alle nuove generazioni fare in modo che le lotte della generazione di Sergio proseguano. Quando scompare una persona a noi cara, proviamo un dolore forte ed insopprimibile. Quando la persona cara che scompare ha fatto il partigiano ed ha lottato per liberare l’Italia dal nazifascismo io ritengo che il dolore sia ancora più forte, in quanto scompare un protagonista ed un testimone di quella stagione irripetibile che è stata la Resistenza, a cui tutti dobbiamo qualcosa di più di un semplice grazie. Per questi motivi il suo insegnamento dovrà essere raccolto da voi familiari, soprattutto i giovani, i nipoti e proseguito nella società come ha fatto lui, con l’orgoglio di avere avuto un partigiano come nonno e papà. Questo è il testamento più importante che Sergio vi lascia. Sta a voi, nella vita di tutti i giorni, sul lavoro, nei rapporti sociali e personali, fare in modo che questo testamento sia realizzato. Se è vero che non si muore del tutto finchè non si è dimenticati, questo sarà il modo migliore per fare si che la memoria del caro Sergio continui e soprattutto che il suo impegno non sia stato vano. Invio queste note anche a Marcella Giammusso e Paolo Parisi, che con Sergio avevano intrecciato nel tempo un rapporto di rispetto e di riconoscenza. Nella speranza di continuare i contatti tra voi e l’ANPi di Catania vi invio i miei più affettuosi saluti. Il Presidente Provinciale Claudio Longhitano

In ricordo di Sergio Ferrari qui l’articolo scritto su “I Cordai” del Gennaio 2016
RACCONTI DI UN PARTIGIANO
di Paolo Parisi
Nell’articolo pubblicato su “I Cordai” del mese di settembre 2015 “I partigiani dellaLunigiana”, il partigiano Santino Serranò, incontrato presso la sede dell’associazione G.A.P.A., raccontava la sua esperienza della lotta di Resistenza antifascista nella zona della Lunigiana e fra l’altro diceva che gli unici ancora vivi di quella brigata sono rimasti lo stesso Santino e Sergio Ferrari. Quest’ultimo vive ancora negli stessi luoghi dove ha combattuto contro i nazifascisti a Valeriano frazione del comune di Vezzano (SP).
Grazie a Santino Serranò sono riuscito a rintracciare il suo compagno Ferrari. Mi viene incontro un uomo
grande austero che porta benissimo il peso dei suoi novanta anni. Racconta con gioia la sua esperienza di
partigiano, esaltando le qualità del loro comandante: “Se la nostra brigata ha potuto realizzare tante azioni con pochissime perdite è dovuto alle capacità ed al coraggio del nostro comandante Amelio Guerrieri.
Ci dava tanto coraggio nelle azioni che realizzavamo, trovava sempre le giuste soluzioni alle difficoltà che si presentavano ed avevamo sempre la certezza che con lui avremmo superato ogni ostacolo.” Continua raccontando un episodio: “Era il 21 gennaio 1945, Amelio aveva dato il permesso di rientrare nelle proprie famiglie dopo che avevamo passato indenni l’accerchiamento dei nazifascisti sul monte Gottero, così lasciate le montagne scendemmo a Valeriano. A sera inoltrata in paese erano stati avvistati i tedeschi insieme alle camice nere che erano venuti nel borgo per darci la caccia. Sicuramente c’era stata una
spiata, il comandante ci radunò nella piazza del paese, fra l’altro un nostro compagno era ferito, e ci indicò il percorso da fare per scampare all’accerchiamento, dopo avere studiato i movimenti del nemico. Così indicò un percorso ben preciso invitandoci a passare uno alla volta. Eravamo una quarantina, tutti, compreso il ferito, riuscimmo a lasciare il paese.”
Il partigiano continua il suo racconto parlando del suo comandante: “Amelio Guerrieri dopo aver finito il
corso allievi ufficiali disertò, lasciando la città di Roma. Egli rientrò in paese facendo credere che fosse in
licenza, così tranquillamente organizzava i gruppi partigiani.”
Poi ritorna a parlare della sera del 21 gennaio 1945: “Eravamo riusciti a passare l’accerchiamento per allontanarci dal luogo, attraversammo il fiume Vara quasi gelato, Amelio per 5 volte si immerse nelle acque per aiutare chi era in difficoltà. Successivamente accortosi che ne mancava uno tornò indietro a cercarlo finché fra i cespugli del fiume si sentì chiamare. Individuato il compagno lo caricò sulle spalle e lo portò via.”
Continua raccontando un altro episodio: “Un gruppo di fascisti su nelle borgate fra i monti molestavano gli abitanti, allora il comandante prese con sé alcuni uomini e mise a ferro e fuoco la caserma di quei fascisti rendendola inagibile. Così i fascisti abbandonarono quei luoghi e le molestie cessarono.
Il comando della divisione aveva grande fiducia in Amelio e veniva incaricato nel mettere ordine e fare
pulizia quando nella zona operativa si infiltravano fra i partigiani ladri e gentaglia di malaffare.
Finita la guerra gli furono offerti sia la candidatura presso partiti politici che posti importanti nella vita pubblica ma lui li rifiutò sempre, anzi segnalava altri nominativi. Una volta vennero a trovarlo dei responsabili di una casa editrice di Roma proponendogli di scrivere un libro sulla sua storia di partigiano, lui rifiutò perché non amava mettersi in mostra”.
Interviene la moglie del partigiano la signora Gilda Moretti e dice: “Per me Amelio non è morto, è ancora
vivo. Ancora adesso ne sentiamo la presenza!”
Alla richiesta di raccontare qualche episodio personale Sergio Ferrari continua: “Era il 3 agosto 1944, i fascisti avevano fatto rientrare dalla Germania una divisione di Alpini per ripulire le montagne dalla presenza dei partigiani. La sera stavamo rientrando alla base, io avevo 17 anni e tanta paura, ci fermammo a riposare poggiati su un muretto, dormivano tutti per forte stanchezza, mentre io non riuscivo a prendere sonno a causa della mia paura. Mentre gli Alpini stavano rastrellando la zona, essendo sveglio, li sentii avvicinare, così svegliai tutti i miei compagni, riuscendo a fuggire via. Quella volta la mia paura aveva salvato la vita a me ed ai miei compagni.”
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