Fonte: il manifestoAutore: Benedetto Vecchi Zygmunt Bauman, un pensiero errante nel flusso della società

Sorridente, con il vezzo incessante di usare l’amata pipa per dare ritmo alle parole delle quali non era avaro. Da ieri, lo sbuffo di fumo che accompagnava le conversazioni di Zygmunt Bauman non offuscherà più il suo volto. La sua morte è arrivata come un colpo in pancia, inaspettata, anche le sue condizioni di salute erano peggiorate negli ultimi mesi. E subito è stato apostrofato nei siti Internet come il teorico della società liquida, una tag che accoglieva con divertimento, segno di una realtà mediatica tendente alla semplificazione massima contro la quale invocava un rigore intellettuale da intellettuale del Novecento.Spesso si inalberava. «Di liquido mi piace solo alcune cose che bevo», aveva affermato una volta, infastidito del suo accostamento ai teorici postmoderni o ai sociologi delle «piccole cose». La sua modernità liquida era una rappresentazione di una tendenza in atto, non una «legge» astorica che vale per l’eternità a venire. Per questo, rifiutava ogni lettura apocalittica del presente a favore di un lavoro certosino di aggiungere tassello su tassello a un puzzle sul presente, che avvertiva non sarebbe stato certamente lui a concludere. Bauman, infatti, puntava con disinvoltura a non far cadere nel fango la convinzione di poter pensare la società non come una sommatoria di frammenti o di sistemi autoreferenziali, come invece sostenevano gli eredi di Talcott Parson, studioso statunitense letto e anche conosciuto personalmente da Bauman a Varsavia nel pieno della guerra fredda.

OGNI VOLTA CHE PRENDEVA la parola in pubblico Bauman faceva sfoggio di quella attitudine alla chiarezza che aveva, non senza fatica, come ha più volte ricordato nelle sue interviste, acquisito negli anni di apprendistato alla docenza svolto nell’Università di Varsavia. Parlava alternando citazioni dei «grandi vecchi» della sociologia a frasi tratte dalle pubblicità, rubriche di giornali. Mettere insieme cultura accademica e cultura «popolare» era indispensabile per restituire quella dissoluzione della «modernità solida» sostituita da una «modernità liquida» dove non c’era punto di equilibrio e dove tutto l’ordine sociale, economico, culturale, politico del Novecento si era liquefatto alimentando un flusso continuo di credenze e immaginari collettivi che lo Stato nazionale non riusciva a indirizzarlo più in una direzione invece che in un’altra.

E teorico della società liquida Bauman è stato dunque qualificato. Un esito certo inatteso per un sociologo che rifiutava di essere accomunato a questa o quella «scuola», senza però rinunciare a considerare Antonio Gramsci e Italo Calvino due stelle polari della sua «erranza» nel secolo, il Novecento, delle promesse non mantenute.

Nato in Polonia nel 1925 da una famiglia ebrea assimilata, aveva dovuto lasciare il suo paese la prima volta all’arrivo delle truppe naziste a Varsavia. Era approdato in Unione Sovietica, entrando nell’esercito della Polonia libera.

FINITA LA GUERRA , la prima scelta da fare: rimanere nell’esercito oppure riprendere gli studi interrotti bruscamente. Bauman fa suo il consiglio di un decano della sociologia polacca, Staninslaw Ossowski, e completa gli studi, arrivando in cattedra molto giovane. E nelle aule universitarie si manifesta il rapporto fatto di adesione e dissenso rispetto al nuovo potere socialista. Bauman era stato convinto che una buona società poteva essere costruita sulle macerie di quella vecchia. A Varsavia, la facoltà di sociologia era però un’isola a parte. Così le aule universitarie potevano ospitare teorici non certo amati dal regime. Talcott Parson fu uno di questi, ma a Varsavia arrivano anche libri eterodossi. Emile Durkheim, Theodor Adorno, Georg Simmel, Max Weber, Jean-Paul Sartre, Italo Calvino, Antonio Gramsci (questi due letti da Bauman in lingua originale). Quando le strade di Varsavia, Cracovia vedono manifestare un atipico movimento studentesco, Bauman prende la parola per appoggiarli.

È ORMAI UN NOME noto nell’Università polacca. Ha pubblicato un libro, tradotto con il titolo in perfetto stile sovietico Lineamenti di una sociologia marxista , acuta analisi del passaggio della società polacca da società contadina a società industriale, dove sono messi a fuoco i cambiamenti avvenuti negli anni Cinquanta e Sessanta. La secolarizzazione della vita pubblica, la crisi della famiglia patriarcale, la perdita di influenza della chiesa cattolica nell’orientare comportamenti privati e collettivi. Infine, l’assenza di una convinta adesione della classe operaia al regime socialista, elemento quest’ultimo certamente non salutato positivamente dal regime Ma quando, tra il 1968 e il 1970, il potere usa le armi dell’antisemitismo, la sua accorta critica diviene dissenso pieno. Gran parte degli ebrei polacchi era stata massacrata nei lager nazisti. Per Bauman, quel «mai più» gridato dagli ebrei superstiti non si limitava solo alla Shoah ma a qualsiasi forma di antisemitismo. La scelta fu di lasciare il paese per il Regno Unito.

Il primo periodo inglese fu per Bauman una resa dei conti teorici con il suo «marxismo sovietico». L’università di Leeds gli ha assicurato l’autonomia economica; Anthony Giddens, astro nascente della sociologia inglese, lo invita a superare la sua «timidezza». È in quel periodo che Bauman manda alle stampe un libro, Memorie di classe (Einaudi), dove prende le distanze dall’’idea marxiana del proletariato come soggetto della trasformazione. E se Gramsci lo aveva usato per criticare il potere socialista, Edward Thompson è lo storico buono per confutare l’idea che sia il partito-avanguardia il medium per instillare la coscienza di classe in una realtà dove predomina la tendenza a perseguire effimeri vantaggi.

TOCCA POI ALL’IDENTITÀ ebraica divenire oggetto di studio, lui che ebreo era per nascita senza seguire nessun precetto. La sua compagna era una sopravvissuta dei lager nazisti. E diviene la sua compagna di viaggio in quella sofferta stesura di Modernità e Olocausto (Il Mulino). Anche qui si respira l’aria della grande sociologia. C’è il Max Weber sul ruolo performativo della burocrazia, ma anche l’Adorno e il Max Horkheimer di Dialettica dell’illuminismo . La shoah scrive Bauman è un prodotto della modernità; è il suo lato oscuro, perché la pianificazione razionale dello sterminio ha usato tutti gli strumenti sviluppati a partire dalla convinzione che tutto può essere catalogato, massificato e governato secondo un progetto razionale di efficienza. Un libro questo, molto amato dalle diaspore ebraiche, ma letto con una punta di sospetto in Israele, paese dove Bauman vive per alcuni anni.

CAMMINARE NELLA CASA di Bauman era un continuo slalom tra pile di libri. Stila schede su saggi (Castoriadis e Hans Jonas sono nomi ricorrenti nei libri che scrive tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta del Novecento) e romanzi (oltre a Calvino, amava George Perec e il Musil dell’ Uomo senza qualità ). Compagna di viaggio, come sempre l’amata Janina, morta alcuni anni fa. Manda alle stampe un saggio sulla globalizzazione che suona come un atto di accusa verso l’ideologia del libero mercato. E forte è il confronto, in questo saggio, con il libro di Ulrich Beck sulla «società del rischio», considerata da Bauman un’espressione che coglie solo un aspetto di quella liquefazione delle istituzioni del vivere associato. La famiglia, i partiti, la chiesa, la scuola, lo stato sono stati definitavamente corrosi dallo sviluppo capitalistico. Cambia lo «stare in società». Tutto è reso liquido. E se il Novecento aveva tradito le promesse di buona società, il nuovo millennio non vede quella crescita di benessere per tutti gli abitanti del pianeta promessa dalle teste d’uovo del neoliberismo. La globalizzazione e la società liquida producono esclusione. L’unica fabbrica che non conosce crisi è La fabbrica degli scarti umani (Laterza), scrive in un crepuscolare saggio dopo la crisi del 2008.

SONO GLI ANNI dove l’amore è liquido, la scuola è liquida, tutto è liquido. Bauman sorride sulla banalizzazione che la stampa alimenta. E quel che è un processo inquietante da studiare attentamente viene ridotto quasi a chiacchiera da caffè. Scrolla le spalle l’ormai maturo Bauman. Continua a interrogarsi su cosa significhi la costruzione di identità patchwork ( Intervista sull’identità , Laterza), costellata da stili di vita mutati sull’onda delle mode. Prova a spiegare cosa significhi l’eclissi del motto «finché morte non ci separi», vedendo nel rutilante cambiamento di partner l’eclissi dell’uomo (e donna) pubblico. La sua critica al capitalismo è agita dall’analisi del consumo, unico rito collettivo che continua a dare forma al vivere associato.

È MOLTO AMATO dai teorici cattolici per il suo richiamo all’ ethos , mentre la sinistra lo considera troppo poco attento alle condizioni materiali per apprezzarlo. Eppure le ultime navigazioni di Bauman nel web restituiscono un autore che mette a fuoco come la dimensione della precarietà, della paura siano forti dispositivi di gestione del potere costituito, che ha nella Rete un sorprendente strumento per una sorveglianza capillare di comportamenti, stili di vita, che vengono assemblati in quanto dati per alimentare il rito del consumo.

BAUMAN NON AMAVA considerarsi un intellettuale impegnato. Guardava con curiosità i movimenti sociali, anche se la sua difesa del welfare state è sempre stata appassionata («la migliore forma di governo della società che gli uomini sono riusciti a rendere operativa»). Nelle conversazioni avute con chi scrive, parlava con amarezza degli opinion makers , novelli apprendisti stregoni dell’opinione pubblica, ma richiamava la dimensione etica e politica dell’intellettuale specifico di Michel Foucault, l’unico modo politico per pensare la società senza cade in una arida tassonomia delle lamentazioni sulle cose che non vanno.

Karl Marx, il filosofo più “mondano” da: www.resistenze.org

 

Zoltan Zigedy | mltoday.com
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

15/10/2016

Karl Marx salta fuori nei posti più improbabili. Due decadi e mezza dopo che molti tra i noti intellettuali europei e statunitensi avevano gioiosamente annunciato che d’ora in avanti le idee di Marx sarebbero state irrilevanti, il Wall Street Journal ci offre un dibattito sorprendentemente misurato sul suo pensiero sotto il titolo “Il filosofo più mondano” (The Most Worldly Philosopher, 10.12.2016). L’autore, Jonathan Steinberg, rampollo emerito di Cambridge e professore all’Università di Pennsylvania, conclude così: “Marx ha lasciato un’eredità di idee potenti che non possono essere abbandonate come una obsoleta fantasia di un clima intellettuale scomparso” e ciò ha stimolato “… la crescita dei partiti Marxisti e di milioni di persone che hanno accettato quell’ideologia per tutto il corso del XX secolo. Quella era la filosofia certamente più in voga.”

Mi piacerebbe credere che gli editori del WSJ, che hanno stampato il seguente occhiello sull’articolo a tutta pagina, stessero godendosi un buffo intermezzo nell’odierna patetica stagione elettorale: “Agli oppressi è concesso una volta ogni pochi anni di decidere quali particolari rappresentanti della classe dominante possano rappresentarli e reprimerli” La felice citazione, attribuita a Marx da Lenin (più probabilmente una parafrasi di Engels) non ha mai cittadinanza nei discorsi degli amici dei due mali meno peggiori i quali sbraitano ogni quattro anni che sono le elezioni a cambiare tutto.

Il professor Steinberg sfrutta l’opportunità di una recensione di un libro attuale su Karl Marx di Gareth Stedman Jones per condividere alcuni dei suoi punti di vista  su Marx. E, a giudicare da alcune delle sue attribuzioni al libro di Jones, ciò è buona cosa. Stedman Jones, come molti dei suoi contemporanei d’accademia, un tempo si riteneva una sorta di marxista, ma solo finché Marx rimase di moda. Con il cambiare dei tempi, le identità si sgretolano, una riflessione spiacevole a farsi sull’integrità delle discipline umanistiche nell’accademia. Non c’è da meravigliarsi che solo pochi studenti si battano per avere curriculum pieni di discipline umanistiche.

Sebbene per niente seguace delle idee di Marx, Sternberg ne mostra un sano rispetto e una volontà di differenziarsi in modo intellettualmente onesto; non c’è nessuna conta da libro nero del comunismo delle vittime delle idee di Marx, nessuna denigrazione delle persone e della moralità dei marxisti; e nessun inno di lode alla gloria del capitalismo che ci si potrebbe aspettare dal Wall Street Journal.

Idee a confronto

Steinberg offre una collezione di sfide al Marxismo che, sebbene né nuove né originali, sono state il cuore di molte critiche da parte degli intellettuali.

Il cosiddetto “problema della trasformazione”. Sternberg scrive che “Eugen von Böhm-Bawerk, una delle principali figure della scuola economica austriaca, ha dichiarato che [il Capitale di Marx] ha fallito nel fornire una teoria soddisfacente delle relazioni tra il valore ed il prezzo…” Il periodo dopo la morte di Marx, dopo la pubblicazione del terzo volume del Capitale, ha coinciso con il declino dell’economia politica classica e con il sorgere dell’economia basata sulle ricostruzioni formali e matematiche delle relazioni economiche immediate e con la crescita dei rapporti di mercato in relazioni alle disposizioni psicologiche ed alle scelte individuali.

Molti marxisti (incluso Engels), forse eccessivamente impressionati dal rigore professato dai nuovi economisti, accettarono la sfida, costruendo “prove” della relazione quantitativa tra il calcolo del valore di Marx ed il mondo reale dei prezzi. Questo dibattito tra “prove” e “controprove” continua ad ossessionare gli accademici marxisti fino ad oggi, in particolare quelli cresciuti nelle economie borghesi.

Marx cercò solamente di dimostrare una relazione quantitativa approssimativamente ragionevole tra il valore delle merci e il prezzo delle merci. Prezzi e valori sono come il contrasto tra i valori morali condivisi e il sistema legale comune (la giurisprudenza del mondo reale); non è necessario dimostrare una derivazione formale od una rigida correlazione tra un valore morale e il suo corrispettivo legale per sapere se uno è fondato sull’altro. Per certo, sarebbe assurdo sostenere che i sistemi legali non sono definitivamente conformati sui codici morali sottostanti, ma piuttosto che possiedono una notevole esistenza indipendente, unicamente basata sul capriccio del giudice o sulla scelta individuale. Ragionare in questo modo è un’eredità di un positivismo screditato.

La ricerca di una rigorosa dimostrazione che i prezzi possono essere derivati dai valori è un esercizio scolastico che impegna gli accademici, ma è di scarsa rilevanza per il progetto Marxista. Che i valori stiano sotto i prezzi è così certo come la convinzione che la prescrizione morale contro le uccisioni arbitrarie sia la base per tutte le leggi contro l’assassinio. Immaginate, sullo stesso filone, se lo status scientifico della psicologia fosse incatenato ad una dimostrazione formale della relazione tra le disposizioni psicologiche e il comportamento fisico esterno. La psicologia come disciplina scientifica sparirebbe.  E se Böhm-Bawerk e la sua balordaggine fossero ascoltate, il Marxismo come scienza dovrebbe altrettanto sparire!!

La cosiddetta “tesi dell’impoverimento”. Steinberg scrive: “Nel 1899 anche Eduard Bernstein, uno dei colleghi più vicini ad Engels, attaccò la cosiddetta teoria dell’impoverimento, la quale affermava che la classe operaia fosse destinata a diventare sempre più povera e la concentrazione dell’industra sempre più grande.

Il professor Steinberg, come Bernstein ed altri, interpreta Marx in modo errato su questo punto. Nel Capitale, nelle teorie del plusvalore, del lavoro retribuito e del Capitale, Marx è inequivoco: “Un aumento discreto nella quantità pagata in salario presuppone un rapido aumento del capitale produttivo… Quindi, sebbene le comodità per i lavoratori sono aumentate, la soddisfazione sociale che permettono sono diminuite a paragone delle aumentate comodità dei capitalisti, le quali sono irraggiungibili per i lavoratori, e a paragone con la scala dello sviluppo generale che la società ha raggiunto… Dal momento che la loro natura è sociale, è di conseguenza relativa”

Marx vide chiaramente la miseria dei lavoratori in relazione ai miglioramenti degli standards di vita dei più alti livelli sociali.  Quando la produttività aumenta, le condizioni di vita della classe lavoratrice possono altrettanto aumentare, sebbene diminuiscano, con riferimento ai guadagni della classe capitalista. Il periodo immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale fu uno di quei periodi in cui l’aumento della produttività portò un generale, ma diseguale, aumento degli standards di vita. Liberali e socialdemocratici celebrano questa era come l’età d’oro del capitalismo dal volto umano, ignorando per convenienza il relativo impoverimento della classe operaia, l’aumento dello sfruttamento dei lavoratori.

Comunque, per gran parte degli ultimi quattro decenni, l’impoverimento della classe operaia è stato sia relativo che assoluto, con gli standards di vita dei lavoratori in stagnazione od in declino. Pertanto, noi stiamo vivendo in un periodo anche molto più tragico e più miserabile delle previsioni di Marx.

Il motore per l’impoverimento relativo della classe operaia è la crescita di ciò che Marx chiamò “esercito industriale di riserva dei disoccupati” (disoccupazione), un processo che riduce il potere contrattuale del lavoro a causa di una forza lavoro disperata e pronta all’impiego.  Questa pressione sugli standards di vita della classe operaia è radicalmente mutata nella nostra epoca coll’incarcerazione di massa di potenziali lavoratori (grandemente rappresentati dalle minoranze) nel corso degli ultimi decenni. Mentre l’incarcerazione di massa di oltre due milioni di persone riduce sensibilmente la disoccupazione potenziale (“esercito di riserva”) e la concomitante pressione sui salari e sulle comodità, rappresenta il riconoscimento da parte della classe dominante delle esplosive ed anche rivoluzionarie possibilità di molti giovani individui ribelli senza speranza d’impiego nell’economia deindustrializzata del tardo ventesimo secolo. Pertanto, questi vengono messi fuori dall’esercito industriale di riserva attraverso l’incarcerazione.

Materialismo storico. Il prof. Steinberg è perplesso dalla visione di Marx secondo cui le condizioni socio-economiche all’interno delle quali i popoli sono immersi determinano in gran parte i parametri del loro comportamento. O come Marx più semplicemente ed in modo più eloquente la mette nel Diciotto Brumaio di Luigi Bonaparte: “Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione. La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo sul cervello dei viventi…” Steinberg cita la più criptica, ma concordante con lo stesso effetto, affermazione nella prefazione del Capitale.

Ma, Steinberg riflette: “Quando, se mai, il lavoratori conoscerebbero ciò che sta loro accadendo? Se la prefazione a “Das Kapital” è nel giusto – che gli umani si comportano secondo le leggi economiche senza consapevolezza né intenzione – come potrebbe mai cambiare il sistema?”

Il professore confonde la ricognizione dei processi storici con la resa al fatalismo.

Come la citazione dal Diciotto Brumaio afferma, i lavoratori cambieranno il sistema quando le condizioni socio economiche che si sono storicamente evolute saranno mature, e non prima. I luddisti inglesi del diciannovesimo secolo combatterono ferventemente ma vanamente contro la devastazione capitalista delle loro condizioni di vita. Ma il nascente capitalismo industriale emerse con vitalità per schiacciare un sincero movimento associato col vecchio ordine. Il capitalismo del ventunesimo secolo, come l’ordine a cui erano aggrappati i luddisti, è il vecchio ordine, un sistema decadente ed insostenibile, che porta con se una lotta riuscita ma destinata al fallimento contro la sua dismissione. Marx sostenne che una volta che il sistema avesse esaurito le proprie possibilità, le condizioni socio-economiche sufficienti ai lavoratori per rovesciarlo si sarebbero altrettanto manifestate.

E’ precisamente quando le condizioni per un cambiamento rivoluzionario sono apparenti che i lavoratori possono “conoscere ciò che sta accadendo loro” Per assicurare che i lavoratori comprendano e possano afferrare il momento rivoluzionario, Marx – e specialmente Lenin – sottolinearono il bisogno di un partito rivoluzionario, un partito di Comunisti. Quel partito porterà avanti le idee per un nuovo ordine.

Umanesimo Marxista. Il Prof. Steinberg allude alla “vasta letteratura” su quello che sarebbe stato chiamato come “Umanesimo Marxista”. Prendendo spunto dalla pubblicazione e dalla divulgazione dei primi inediti quaderni di Marx (i Manoscritti Economici e Filosofici del 1844) , molti a sinistra fabbricarono ed idealizzarono un Marx quale personificazione dei valori liberali. All’apice della guerra fredda, gli anticomunisti di sinistra abbracciarono il pensiero provvisorio di un giovanissimo Marx – un Marx a tre anni dal conseguimento della sua laurea, pregno di socialriformismo, ancora nuovo al movimento operaio e solo da poco seriamente dedito allo studio della politica economica – e lo presentarono come il vero Marx.

Centrale per la svolta “umanista” fu il concetto chiave di “alienazione”, un termine che Marx prese a prestito da Feuerbach. Per il giovane Marx, il termine serviva come provvisorio marcatore delle distanze sociali che si frappongono agli individui nella realizzazione della loro “natura”. Da acerbo strumento filosofico qual’era, il concetto chiamava a gran voce l’elaborazione e la raffinazione realizzata dal Marx maturo. Il materialismo storico ha rimpiazzato la velata teologia delle “specie viventi”. Concetti come “classe” e “sfruttamento” rimpiazzarono la vaghezza e l’approssimazione del termine “alienazione”. Come spiega Dirk Struik: “Quando studiamo l’esposizione di Marx [nei manoscritti] nel dettaglio, troviamo l’inizio della sua analisi matura della società capitalista…” [il corsivo è mio]. Solo l’inizio!

Ma molti scrittori, come Erich Fromm ed Herbert Marcuse, si aggrapparono all’opportunità di profilare “l’alienazione” in un concetto aclassista utile come espressione di ogni forma di divisione sociale – dalla violazione più banale alle crudeltà più orribili.  I liberali annunciarono il nuovo marxismo finché elevava il tedio di una borghesia viziata al livello delle più grandi ingiustizie di classe e di razza. In accordo con tale visione, il nesso con lo sfruttamento capitalistico fu smarrito in un mare di alienazioni sociali. La politica dell’individuo e del personale di oggi deve molto a questo abuso contorto e senza briglie del concetto di alienazione.

Il Marxismo di “quei milioni che accettarono questa ideologia per tutto il corso del XX secolo” come il Prof. Steinberg felicemente lo descrive, non fu il marxismo di una dissoluta gioventù o di una relazione fallita, ma il Marxismo dei bassi salari, delle brutali condizioni di lavoro e delle guerre insanguinate. Ispirato dal maturo Marx, la lotta contro queste condizioni per un nuovo ordine sociale è stato il vero “Umanesimo Marxista”.

Zoltan Zigedy – zzs-blg.blogspot.it

 

Autore: fabio sebastiani Migranti, “di solidarietà si vive”. Storie di chi crede che l’umanità non può andare alla deriva da: controlacrisi.org

Dal primo gennaio al 2 agosto sono sbarcati in Italia 95.304 migranti, di questi 63.487 in Sicilia, 17.996 in Calabria, 6.826 in Puglia, 4.625 in Sardegna e 2.370 in Campania. I numeri parlano da soli. E raccontano nel modo piu’ efficace l’impatto del fenomeno sulla Sicilia e il suo ruolo di regione in prima linea nella gestione dell’accoglienza. Eppure le cronache dell’isola difficilmente parlano di intolleranza ed esasperazione. “Dovrebbe avere il premio Nobel per la pace per la sensibilita’ pazzesca che altre regioni hanno molto meno”, dice Andrea Bellardinelli, coordinatore del Programma Italia, che pochi giorni fa è intervenuto ad una tavola rotonda su ‘Immigrazione e legalita” a Patti.

In Italia, per Emergency, il fronte più difficile e’ combattere una “narrazione, una percezione sbagliata del fenomeno migratorio, a partire dall’uso distorto delle parole: si parla di ‘problema’ ed e’ un’opportunita”; si parla di razzismo, quando non esistono razze, ma culture e pensieri devianti- sottolinea Bellardinelli citando i biologi a partire da Cavalli-Sforza- come l’idea che i migranti ‘portano malattie’. Non e’ vero, le poche malattie che troviamo non sono preoccupanti ma gestibili con una presa in carico”. Meno gestibile e’ un altro pensiero deviante, come ‘ci tolgono il lavoro’, o ‘e’ un’invasione’: “Non e’ un’invasione, 170, anche 200mila persone sono numeri che, se distribuiti su tutti i Comuni italiani, non rappresenterebbero alcun problema. Ci si e’ sempre spostati, dal tempo degli ominidi e in ogni civilta’, sempre si scappa dalla guerra e dalla miseria. E non si arriva in business class”. Il punto e’, insiste Bellardinelli, che “prima delle leggi deve arrivare la testa, perche’, come dice Emma Bonino, non ci da’ fastidio l’islamico ricco ma il povero” e su questo dobbiamo riflettere.

Ma il mar Mediterraneo, intanto, e’ diventato una ‘tomba liquida’, dove “naufragano anche diritti disattesi”. Le storie di solidarietà si perdono, anch’esse, nel “muro liquido” dell’indifferenza.
Giorgia Butera, sociologa e presidente della Mete Onlus, zaino in spalla, va nei porti della Sicilia ad attendere i migranti agli sbarchi. Scruta gli sguardi di donne e bambini, perché lì è contenuta la “scatola nera” della travesata. Quello sguardo, racconta intervenendo a Patti, “e’ uno sguardo di paura, non diretto e una donna che non ti guarda e’ una donna che te lo sta dicendo proprio: ‘Io sono stata abusata, ho bisogno di te’. In quel momento e’ importante ascoltare la loro storia, bisogna farle sfogare”.
E sono storie impressionanti: “Ricordo, nel penultimo sbarco dalla Libia- aggiunge Giorgia- racconti di donne che vengono abusate da piu’ uomini, che vengono prese a martellate per stonarle, per renderle piu’ confuse. Le violenze arrivano anche durante le traversate in mare e poi continuano. Vengono rese prigioniere, perche’ quella donna e’ considerata una prostituta, sempre”.
Al porto, le donne con i loro bambini passano attraverso le altre procedure, quelle burocratiche, e poi proseguono il viaggio su strada, dirette quasi tutte verso il nord. Non prima pero’ di aver ricevuto vestiti e giocattoli.
“Ho capito un anno e mezzo fa l’importanza di un giocattolo- continua Butera- puo’ essere anche di pezza, o semplici bolle di sapone, il bambino che lo riceve lo stringe subito a se’, passa in un attimo dal pianto al riso e diventa come tutti i bambini del mondo. Dovrebbe essere sempre cosi’ perche’ i bambini sono tutti uguali, ma questi tempi purtroppo li rendono molto diversi”. Il giocattolo pero’ fa la sua magia, li fa ridere, “si divertono, giocano e poi magari vogliono anche fare il selfie. Ecco, l’obiettivo che mi sono imposta ogni volta e’ di rendere questa disumanita’ un gioco”.
Giorgia Butera e la sua Onlus in genere seguono gli sbarchi dei migranti su convocazione della Prefettura, ma lei ora lo fa anche per conto suo, perche’ e’ li’, sul molo, che intende il suo lavoro, agli sbarchi, per attivare, anche da sola, la sua particolare ‘procedura’ di accoglienza: “Lo sbarco ha un suo odore specifico che mi rimane sempre dentro”, dice. Come quello fortissimo, di carne bruciata che senti’ l’anno scorso a Palermo: c’erano 53 salme nella stiva.

Un’altra storia “estrema” arriva proprio dal mondo del giornalismo, quella macchina “a parola” che sparge quotidianamente intossicazioni di luoghi comuni come fossero caramelle. La racconta Elvira, cronista di AdnKronos. Racconta di Severin, il bambino salvato dalle onde grazie al suo intervento. Severin, nigeriano, le e’ rimasto nel cuore e le piacerebbe tanto rivederlo. Il piccolo aveva appena 4 mesi quando, nella notte tra il 7 e l’8 maggio 2011, Elvira Terranova lo salvo’ a Lampedusa buttandosi in acqua. Il barcone su cui Severin era stipato con la sua mamma e altre 700 persone si era incagliato e stava per rovesciarsi. I profughi si buttavano in acqua, con i bambini. Elvira era li’ come cronista dell’AdnKronos, ha gettato il taccuino e si e’ aggiunta ai soccorritori cercando di salvare piu’ persone possibile.
E’ lei stessa a ripercorrere quella incredibile esperienza partecipando a una tavola rotonda sui migranti organizzata a Patti da Indiegeno Fest, che proprio a questo tema dedica la sua terza edizione, alternando la musica, con concerti di grandi artisti come Finardi e gli Afterhours, a momenti di riflessione su un tema che la Sicilia non affronta solo nei dibattiti ma sulla sua pelle, vivendo sbarchi e accoglienza come ordinaria amministrazione.
“Quella notte- racconta Elvira Terranova- rappresenta per me una sorta di spartiacque, in quell’istante ho smesso subito di fare la giornalista, e mi sono buttata in acqua con tutti gli altri. Molti avevano gettato i propri figli per tentare salvarli, perche’ era chiaro che il barcone si sarebbe capovolto. Mi sono trovata tra le braccia un bimbo di 4 mesi che ho coperto come potevo. Solo dopo diverse ore sono riuscita a trovare la mamma, che piangeva perche’ convinta di avere perso il suo bambino. E invece sono riuscita a ridarglielo e per lei e’ stato come rimetterlo al mondo, darle una seconda vita”.
Severin e la sua mamma sono poi partiti ed Elvira non e’ piu’ riuscita a vederli. La giornalista ha avuto varie onorificenze, fra cui quella di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana conferitale dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ma soprattutto, come Elvira stessa sottolinea, quella notte per lei rappresenta “uno spartiacque”, umano e professionale: “Quando si vivono esperienze come queste, appena ricominci a scrivere di nuovo, lo fai sempre cercando di tenere il giusto distacco ma senti il dovere di raccontare questo tipo di situazioni mettendoci tutta l’anima”.

Pokémon Go: indottrinamento all’occultismo e al satanismo, altro che “gioco” Fonte: https://noalsatanismo.wordpress.com/2016/07/20/pokemon-go-indottrinamento-alloccultismo-e-al-satanismo-altro-che-gioco/

Pochi giorni prima della strage perpetrata dall’ennesimo terrorista islamista a Nizza, un videogioco chiamato Pokemon Go è stato lanciato sul mercato mass mediatico dalla Nintendo ed è diventato un fenomeno internazionale. In Italia è uscito il 15 luglio 2016, il giorno dopo la strage di Nizza ..e scusate se sottolineo questa macabra coincidenza, ma per me non è casuale: ricordate il famoso detto degli antichi romani “Panem et circenses”, espressione con la quale Giovenale (Satire X, 81), ironicamente polemizzava sui metodi usati dagli Imperatori per domare le masse, ovvero “date i giochi alla plebe e sottometterete i loro cervelli ai diktat dell’impero, così i popolani vengono inebetiti dai giochetti e non si rendono conto dei veri mostri che li dominano”….Guarda caso, Pokemon Go consiste in una “caccia al mostro virtuale”…che poi tanto virtuale non è, come vedremo in seguito.

Pokemon Go è il primo videogioco di massa che fonde  il mondo reale con il mondo digitale. Mischiando realtà virtuale e realtà “analogica”, il giocatore – la cui posizione sarà tracciata tramite il GPS del dispositivo Android o iOS – dovrà stare attento a scovare i pokemon (demoni) nelle sue immediate vicinanze. Si possono trovare in casa, nel parco giochi del quartiere, in piscina, ovunque. Il mondo è stato inondato di pokemon e il giocatore dovrà girare fisicamente per il mondo alla scoperta di tutte le specie possibili.  Il valore economico delle azioni di Nintendo sta impazzendo, ma anche la gente ne diventa ossessionata e DIPENDENTE: come il neozelandese di 24 anni che è praticamente diventato “una star”, perchè le ore libere alla ricerca dei Pokemon non gli bastavano più. Così ha deciso di licenziarsi e di continuare a girare la Nuova Zelanda alla ricerca dei mostriciattoli. Ed il padre è pure fiero della totale irresponsabilità del figlio e neanche lo corregge.

IL PARERE DI PSICOLOGI:

li psicologi sconsigliano questo gioco che dissolve la realtà quotidiana con il mondo virtuale e irreale del gioco, trasportando i bambini in un mondo simulato.
Il gioco viene definito non violento, ma è una menzogna, perché in realtà la violenza ha un ruolo centrale. Il giocatore deve allenare il suo Pokemon, il suo mostro, e combatte con lui contro gli altri.
Pokemon non è un gioco che favorisce qualità come cameratismo e sobrietà: al contrario, si viene incitati alla cupidigia e alla gelosia, perché ogni giocatore vuole possedere al più presto tutti i mostri, con la conseguenza che i ragazzi diventano aggressivi e ricorrono all’inganno.
Dato che il gioco ha provocato nei bambini estrema distrazione e aggressività, è stato già proibito in molte scuole americane, inglesi, belghe e francesi.
Ciò che spesso sembra innocente è tutt’altro che innocuo!! C’è veramente il rischio di stati di ansia e di ossessione, che questo “gioco” può provocare, dato che sono moltissimi i casi di dipendenza ossessiva in molti bambini ed adolescenti, istigata dalle dinamiche del “gioco” Pokemon, (come la spasmodica corsa a possedere le “carte di energia dei Pokemon”: perchè viene inculcato il principio per cui “più Pokemon hai, più potere possiedi”), che spesso creano un vero LAVAGGIO DEL CERVELLO.
 Se i figli scappano in queste false compensazioni, è solo per colmare un vuoto terribile… In famiglia non si parla più, si sta incollati  allo smarthpone o al pc: le Elite che comandano il business mediatico, stanno programmando la disgregazione delle famiglie e delle vere relazioni umane. 

http://edition.cnn.com/ASIANOW/time/magazine/99/1122/pokemon3.psychology.html

IL LATO OSCURO DEL “POKEMON GO”

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Nel 1997, la diffusione massiccia in Giappone del “gioco dei Pokemon” ha provocato non pochi ricoveri ospedalieri di bambini per crisi epilettiche e non sono mancati tra adolescenti casi di incubi legati direttamente a questi mostri. Il creatore dei Pokemon, il giapponese Satoshi Tajiri, in un’intervista rilasciata a Time Magazine nel 1999, ha ammesso che nei Pokemon ha “dato vita ai suoi demoni interiori”. Una frase molto ambigua, dato che quei demoni Pokemon hanno nomi ben precisi e riscontrabili nel satanismo. Questi esseri favolosi ovvero i mostri (né uomini né animali) sono inoltre immortali e continuano ad evolversi. In tal modo viene comunicata l’idea della reincarnazione, ovvero metempsicosi, assolutamente contraria alle dottrine bibliche.
Il gioco è pervaso da bizzarri rituali: le forze sovrannaturali e le metamorfosi giocano un ruolo importante. Del grazioso Ponita 40 ad esempio si dice: “I suoi zoccoli sono dieci volte più duri del diamante. Può calpestare qualsiasi cosa in brevissimo tempo”.
Il Pokemon Kadabra 64 emette onde alfa che provocano emicranie a chi si trova nelle vicinanze, e quando i grandi occhi di Pummeluff 39 luccicano, esso canta una misteriosa melodia calmante che fa venire sonno ai nemici.
Il confine tra realtà e fantasia viene cancellato.
In questo modo, si preparano i giocatori a compiere esperimenti o pratiche occulte, cosa che la Sacra Scrittura vieta espressamente (leggi Deuteronomio 18, soprattutto il verso 12).  

Molte persone respingono l’evidenza della dannosità di questo falso gioco, con la solita frase” ma sono solo assurdità!” e siccome lo fanno tutti, il branco va dietro ai caproni. A differenza di molti videogiochi , Pokemon Go è fin troppo reale: ha bisogno di persone che escano di casa, che vadano a scovare il mostro, è una “realtà aumentata”, e la scusa simpatica del gioco è quella che si possono anche conoscere ed incontrare persone nuove, in modi inconsueti… il Washington Post riporta che un sacco di persone sono addirittura finite in chiesa, nell’inseguimento delle creature Pokemon… ma entrare in una chiesa per seguire un video gioco che ti manipola la mente, oltre ad essere dissacrante, è veramente squallido.

NON E’ UN GIOCO. Durante la scorsa settimana, abbiamo visto persone commettere rapine nei luoghi segnalati dalle mappe del Pokemon Go, e ci sono gravi problemi di sicurezza. Sono già diversi i casi segnalati di furti a persone finite in zone isolate, o di cacce all’uomo portate a termine seguendo la localizzazione sull’app Pokemon Go della propria vittima. Di seguito riportiamo i dati inquietanti raccolti dal giornalista  americano Ricky Scaparo

I nuovi dati statistici rivelano i pericoli pratici di questo gioco, come un recente rapporto di Baltimora, dove molte persone  sono state derubate in seguito alla riproduzione del “Pokemon Go”  la scorsa settimana, secondo il dipartimento di Polizia di Baltimore County. E poi ci sono problemi di sicurezza personali che sono emersi: un nuovo rapporto ha indicato che i giocatori che si sono registrati nel gioco utilizzando il proprio account Google possono aver dato il permesso all’ applicazione di passare attraverso tutti i loro dati di Google, tra cui e-mail e le loro visite ai siti  web. Un VERO CONTROLLO DI MASSA E VIOLAZIONE DEI DATI PERSONALI, che espone ad ogni tipo di pericolo sul web.

Ma molto più allarmante è il contenuto del gioco stesso. “Pokemon” in realtà deriva da due parole giapponesi che significano “Pocket Monster”6013-pikachu610

Significato della parola Pokémon: una contrazione di due parole giapponesi, “Poketto” e “Monsut”, che significa “mostro tascabile“.

Si tratta di angeli caduti, quindi demoni che usano poteri malefici. Uno di questi mostri si chiama Pikachu, che significa «cento volte più potente di Dio». Ogni mostro possiede la propria tecnica di combattimento: Pikachu sfinisce i suoi avversari tramite elettroshock fulminei, Kadabra emana onde di energia mentale alfa che provocano violenti dolori di testa al nemico, Drowzee divora i sogni del suo avversario, Tentacolo ferisce col suo acido pungente e Psyduck combatte con i poteri della psicocinesi. Alcuni dei Pokemon hanno nomi di demoni come ad esempio Bellsprout, Trctrebell, Weepinbell; possiedono tutti la parola bell, contrazione di Baal o Beel, antica divinità canaanea (Beelzebul). Tra le 151 carte dei Pokemon che i bambini comprano in edicola e si scambiano tra di loro, alcune hanno nomi di parole rovesciate come Ekans e Arbok che stanno per Snake (serpente) e Kobra. Ora, tutti sanno che il linguaggio rovesciato è tipico delle pratiche magiche.

Anche il Washington Post ammette che nel gioco ci sono creature come “un demone di fuoco” in Pokemon Go. Mentre i giocatori progrediscono attraverso il gioco, nel raccogliere questi mostri e demoni, nella loro formazione, e nel farli combattere contro i Pokémon di proprietà di altri, in realtà vengono indottrinati al mondo dell’occultismo. Qui leggiamo ancora da un sito cristiano, a cura di Ricky Scaparo

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IMMAGINI SUBLIMINALI NEI POKEMON: PENTACOLO SATANISTA

I Pokemon si suppone siano “mostri” che hanno poteri speciali e condividono il mondo con gli esseri umani. L’idea del gioco è quella che i giocatori  imparino a raccogliere il maggior numero di Pokemon possibile , imparino la loro formazione , per usarli contro i Pokémon di altre persone invocando le diverse abilità di ogni creatura Pokemon. I Pokémon possono evolversi e passare attraverso i vari livelli, 100 è il più alto. Il gioco dei Pokemon è pericoloso? Potenzialmente, sì lo è. Condiziona il bambino, che si immerge nel gioco, ad accettare i princìpi dell’occultismo, ad accettare ed avere contatti coi demoni, facendoli apparire “attraenti ed accattivanti”. I Pokemon più forti sono dotati di “grandi poteri occulti”. Così si insegna ai bambini ed ai giovanissimi (nonchè agli adulti sprovveduti) che si possono utilizzare queste “entità” per eseguire il nostro volere,  EVOCANDOLI tramite carte colorate cariche di energia e comandi. Questo falso gioco si basa su pratiche di occultismo anche orientale.

Le organizzazioni occulte ammettono che uno dei loro migliori strumenti di reclutamento sono i videogiochi e film e serie tv, ad esempio la serie di film del maghetto Harry Potter. Dopo la lettura dei libri o la visione dei film, molti bambini ed adolescenti hanno acquisito curiosità verso il mondo dell’occultismo e vi si sono addentrati.    

LO AFFERMANO EX OCCULTISTI ED EX SATANISTI. Secondo l’esperto di occultismo  Bill Schnoebelen, ex wiccano ed ex sacerdote satanista, convertito al Cristianesimo, i giocatori di Pokemon vengono indotti ad  impegnarsi in ogni sorta di attività occulta, perchè con Pokemon Go tutto è molto reale ed intriso di ritualità occultiste…Bill Schnoebelen ha concesso la sua testimonianza di conversione dal satanismo al Cristianesimo in molti scritti, ma anche in VIDEO testimonianze di ex satanisti americani , esponendosi in prima persona.  

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Come molti videogiochi, Pokémon è pieno di concetti occulti. Concetti come “pietre magiche”, teletrasporto, fantasmi, l’occhio che tutto vede, potere psichico e l’utilizzo di spiriti per ottenere risultati nel mondo reale sono tutti “doni occulti”. Tutto questo è contrario alla Parola di Dio. I giochi e fumetti Pokémon, ecc insegnano una visione del mondo magico, che è completamente anticristiana, opposta alla Bibbia.

La visione del mondo della magia nei Pokemon è l’idea, comune a tutti i sistemi di credenze occulte, che in realtà non c’è alcuna divinità sovrana sulla creazione. Al contrario, la creazione è governata da una serie di leggi occulte. In un certo senso, l’universo è come un distributore automatico di “energia cosmica”.  Si insegna che, finchè si inserisce la  giusta moneta (cioè il rituale occultista, la “formula”) si può raggiungere automaticamente il risultato desiderato.

Particolarmente deviante è il concetto diffuso da Pokemon, secondo il quale i bambini vengono addestrati a “catturare” le entità demoniache per imparare a controllarle e ad usarle contro gli altri. Molti ritengono che questo rispecchia molto da vicino quello che molti occultisti di alto livello tentano di fare con i demoni reali. Afferma Bill Schnoebelen

Il mago lavora all’interno di un cerchio magico appositamente preparato che presumibilmente lo protegge dal demone fintanto che rimane al suo interno. Egli usa le armi magiche speciali come una bacchetta, o la spada per minacciare il demone e fargli fare la sua offerta. Una volta che il rituale è avvenuto, presumibilmente il demone appartiene al mago che deve fargli la sua offerta – le clausole del loro contratto  vengono gestite attraverso i rituali di uno stregone. Spesso il demone concederà al mago poteri occulti  e gli conferirà talismani speciali per controllare gli altri. Tutto ciò fa parte dei gradi più alti dei rituali di magia.

Lo stesso viene rappresentato nel gioco Pokemon, che alla fine non è “finzione”!

Proprio come è avvenuto con i libri ed i film di Harry Potter, l’indottrinamento all’occultismo tra i giovani avviene in “modo ludico”.. quanti bambini dopo aver visto Harry Potter, hanno cominciato a praticare magia e spiritismo, con le conseguenze devastanti che sappiamo, a livello psicofisico e spirituale.

Basti ricordare cosa è accaduto con il “gioco Charlie Challenge” cominciato l’anno scorso e diventato virale in tutto il mondo.11201118_987795594573059_3325709321365371429_n Anche quello NON E’ UN GIOCO, MA UNA SEDUTA SPIRITICA (evocazione di demoni), SIMILE ALLA TAVOLA OUIJA: ADOLESCENTI E BAMBINI RICOVERATI IN OSPEDALE PER ISTERIA COLLETTIVA, dopo aver giocato a scuola con il Charlie Challenge. Chiamato un sacerdote esorcista in ospedale, dato che l’intervento medico e psichiatrico non era servito a nulla, come riferisce il quotidiano Colombia Reports. Uno studente non identificato ha detto al giornale: “Una settimana fa era già accaduto: un compagno di classe, dopo aver giocato con la tavola Ouija, ha cominciato a parlare in lingue antiche che mai poteva aver studiato, colpiva se stesso, poi ha afferrato un bastone per colpire suo fratello.” 

http://colombiareports.com/charlie-charlie-challenge-sends-4-hysteric-teens-to-hospital-in-central-colombia/ 

ANCHE IN ITALIA il “gioco Charlie Challenge” ha avuto effetti tremendi sulla psiche dei giovani ed in molte scuole italiane i dirigenti ne hanno vietato l’uso e la diffusione.

Tutti noi abbiamo la responsabilità di valutare ciò che stiamo alimentando nelle nostre menti, e questo è particolarmente vero se sei un genitore con bambini piccoli.  Ecco il baratro in cui la nostra società, stregata dai media, sta precipitando. Milioni di persone vaganti come zombie alla ricerca di mostriciattoli: persone a caccia di demoni Pokemon nei cimiteri monumentali, nelle stazioni di polizia e nei siti dedicati alla memoria delle vittime di guerra fino ai ragazzi che rifiutano le cure mediche pur di poter continuare a giocare a Pokémon Go.

Una vera manipolazione mentale, altro che “gioco”, a corredo di un carosello di idiozie dove già non manca chi è andato a sbattere con la propria auto ed ha creato incidenti, perchè troppo intento a smanettare con lo smartphone a caccia di Pokemon…

Alla fine, ognuno farà quello che ritiene sia meglio per se stessi, ma per quanto riguarda me, la mia casa ed i miei cari, diciamo NO a Pokemon Go & inganni occultisti analoghi.

 

Fonte: https://noalsatanismo.wordpress.com/2016/07/20/pokemon-go-indottrinamento-alloccultismo-e-al-satanismo-altro-che-gioco/

Seminato il vento, raccogliamo tempesta Tratto da: megachip.globalist.it

chiesa giulietto ppdi Giulietto Chiesa
L’impazzimento generale, che attanaglia la società europea è il frutto velenoso di un “modello” sociale e politico disumano.
Anch’io, come Pino Cabras, guardando Nizza (e adesso Monaco di Baviera), più che all’ISIS ho pensato a GTA (Grand Theft Auto).

Quando, qualche anno fa, scrissi un articolo contro l’aberrazione dei videogiochi violenti, fui sottoposto a un “shit storm”, tempesta di m… organizzata dalle compagnie produttrici di quella m…, utilizzando decine di migliaia di fan dei videogiochi, che protestavano contro la mia proposta di vietarli per legge, in nome della “libertà di gioco”, e della “libertà del mercato”.

Se guardiamo, di fronte all’ondata assassina di luglio 2016, la Luna invece del dito, capiremo che questo approdo odierno è il frutto della deificazione del Mercato, del Denaro, dell’individualismo sfrenato, della degenerazione libertaria trasformata in arbitrio totale in cui ogni desiderio è diventato legge.

L’impazzimento generale, che attanaglia la società europea è il frutto velenoso di un “modello” sociale e politico disumano, dove l’egoismo, la competizione sfrenata, la violenza sono la regola, mentre la solidarietà e l’amicizia, l’onestà e la civile convivenza sono stati banditi come obsoleti e non “divertenti”.

Tutto si tiene. E, anche quando “non si tiene”, c’è chi usa il tutto ai suoi fini. Il pazzo che spara a Monaco non è probabilmente, un terrorista, men che mai islamico. È solo un povero disgraziato demente gettato ai margini della società, che “si vendica” in un colpo solo di quello che ha subito. Ma i creatori di questo mostro, i creatori del Dio Mercato, usano le creature impazzite (che loro stessi hanno prodotto su scala planetaria) per cambiare l’assetto sociale. Il terrorismo viene da quella sorgente. E usa il caos che ha prodotto per trarre il massimo profitto politico.

C’è un filo che lega Charlie Hebdo, Bataclan, Bruxelles, Nizza, Monaco, il golpe turco, Daesh, Afghanistan, Libia, Siria, il nazismo di Kiev, l’esclusione della Russia dalle Olimpiadi?
Io credo che ci sia. È la crisi, temo finale, dell’Occidente e dell’Impero.

I padroni universali hanno una ricetta: preparare alla guerra, attraverso la paura, i popoli dell’Occidente, per scagliarli contro Russia e Cina.
Prima che Russia e Cina siano in grado di fermare la loro follia.

Ragionando in grande – solo ragionando in grande – si vede il disegno.
E questo disegno prevede prevede la guerra, come passo obbligato.

Tratto da: megachip.globalist.it

Fonte: Il ManifestoAutore: Marina Catucci Guerra informatica tra Wikileaks e Ankara

Turchia. Il sito di Assange pubblica 300mila mail inviate dal partito del presidente, l’Akp, dove si attacca Gulen e si parla della base Nato di Incirlik. Reazione immediata: il website subito oscurato

Wikileaks l’aveva preannunciato e Wikileaks ha mantenuto la promessa: le quasi 300mila email dell’Akp, il partito di Erdogan, sono state rese pubbliche. La corrispondenza va dal 2010 al 6 luglio 2016: il nuovo leak è stato definito dallo stesso Assange «la risposta alla repressione di Erdogan».Questo primo scaglione contiene migliaia di file provenienti da 762 caselle di posta elettronica dal dominio primario del partito, akparti.org.tr: «Il materiale – spiega Wikileaks – è stato ottenuto una settimana prima del tentato golpe. Tuttavia, Wikileaks ha posticipato la sua pubblicazione in risposta alle epurazioni del governo. Abbiamo verificato il materiale e la fonte che non è collegata in alcun modo agli elementi dietro al tentato golpe o a un partito politico o Stato rivali».

Le puntualizzazioni dell’organizzazione non sono bastate ad evitargli gli attacchi DDoS (Distributed denial of service) e tutti i conseguenti problemi tecnici, attacchi che, afferma Wikileaks, sono probabilmente da attribuire a “fazioni del potere statale turco o suoi alleati”.

Da parte sua la Turchia ha bloccato Wikileaks, tutt’ora oscurato. «Il Consiglio di Comunicazioni e Telecomunicazioni ha confermato di aver adottato una misura amministrativa», è stata la dichiarazione di Ankara che ha definito in questo modo la censura del sito. I tempi in cui Erdogan comunicava via chat su di un telefonino e i suoi esortavano tramite Twitter a scendere per strada, sono già lontani.

Il contenuto delle mail divulgate da Wikileaks è in turco e questo crea lentezza nella disponibilità di contenuti, ma ciò che sembra già chiaro è che molti documenti vertono su attività sovversive e il coinvolgimento della Cia nel proteggere Fethullah Gülen, il predicatore e arci-nemico del partito al potere. Stando a una delle mail, il predicatore è definito traditore, cane e sionista che, attraverso una fitta rete di fondazioni, sarebbe in grado di controllare buona parte dell’esercito e del sistema scolastico turco. E questo grazie al sostegno della Cia.

Ad essere citata spesso è anche la base Nato di Incirlik, quella che, durante le ore del mancato colpo di Stato, era stata isolata da Erdogan e di cui il presidente ha arrestato il generale. La base viene citata nelle mail riguardanti la lotta ai kurdi e, ovviamente, ai rapporti con la Nato che non sembrano, a conti fatti, essere più così idilliaci. Le mail sono state rese pubbliche proprio nel giorno della telefonata tra Obama ed Erdogan: il presidente americano lo ha esortato a rispettare i diritti civili e chiesto prove formali riguardo Gülen, per il quale la Turchia chiede l’estradizione.

Ma buona parte di questa vicenda si sta svolgendo in rete da tempo. A primavera i database dell’anagrafe turca erano stati soggetti a un attacco violento al fine, raggiunto, di appropriarsi di dati su circa 50 milioni di cittadini. Date di nascita, indirizzi, numeri di previdenza sociale di mezza Turchia sono stati poi pubblicati su un server locato in Romania.

Questa guerra informatica probabilmente continuerà ancora. Già ora Anonymous, tramite l’account Twitter @AnonOpsLegion, ha definito il blocco aWikileaks «una vergogna». E questo sembra un inizio.

Seminario alla Scuola della Magistratura, è polemica fra Di Matteo e Fiandaca da: repubblicapalermo.it

Seminario alla Scuola della Magistratura, è polemica fra Di Matteo e Fiandaca
Seminario alla Scuola della Magistratura, è polemica fra Di Matteo e Fiandaca

Il pm: “Criticare l’impianto accusatorio dei processi è motivo di merito?”. Il docente: “Ideologia da Stato autoritario”

Nuova polemica sul fronte antimafia. Il pubblico ministero Antonino Di Matteo risponde in modo risentito all’invito degli organizzatori della Scuola superiore della magistratura a partecipare a un seminario di studi, un corso di formazione per pm e giudici ma la sua risposta viene letta in copia da tutti colleghi della Procura della Repubblica di Palermo e dell’intero distretto giudiziario.

“Questo è troppo”, ritiene il magistrato dopo avere letto che le conclusioni di un seminario sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in programma il 28 e 29 aprile prossimi al Palazzo di giustizia di Palermo, sono state affidate a Giovanni Fiandaca, ordinario di Diritto penale della facoltà palermitana di Giurisprudenza. A febbraio era toccato a un altro docente universitario, Salvatore Lupo, intervenire ad un evento della stessa Scuola. Ora è stato scelto Fiandaca.

Sono lo storico e il giurista che hanno firmato il saggio “La mafia non ha vinto – Il labirinto della trattativa” nel quale, in soldoni, dicono che il processo sul patto scellerato tra i boss e pezzi delle istituzioni non sta in piedi. Una critica tranciante sul piano giuridico e per il contesto storico-politica in cui viene inquadrato. Di Matteo non ci sta. Il cognome Fiandaca non viene citato espressamente, ma il riferimento è chiarissimo: “Una domanda che mi pongo con sempre maggiore insistenza. L’avere espresso giudizi fortemente critici nei
confronti dell’impianto accusatorio di processi attualmente in corso nel distretto è forse diventato motivo di ulteriore merito per la scelta di relatori negli eventi di studio organizzati dalla formazione decentrata?”.

“La Costituzione tutela la libertà di pensiero e di ricerca – replica Fiandaca – L’atteggiamento del pm è tipico di un’ideologia da Stato autoritario, ma la cosa grave è che forse lui non se ne rende conto”.

Augusta, Curia chiede dimissioni del prete che legge in chiesa i nomi dei morti per inquinamento. E la città si mobilita da: ilfattoquotidiano.it

 

Il vescovo, Salvatore Pappalardo, ha chiesto a don Palmiro Prisutto, il parroco della città del petrolchimico, di lasciare. Ogni mese il prete legge durante la messa i nomi di tutti i morti per cancro. Le ragioni della richiesta di dimissioni non sono quelle, ma i cittadini organizzano eventi per difendere don Palmiro

La Curia gli ha chiesto di lasciare il suo incarico e fare un passo indietro, ma i suoi concittadini hanno deciso di opporsi, sfidando la pioggia pur di darsi appuntamento davanti al Duomo ed esprimergli sostegno. È un caso più unico che raro quello andato in scena ad Augusta, in provincia di Siracusa, dove qualche giorno fa il vescovo, Salvatore Pappalardo, ha chiesto le dimissioni di don Palmiro Prisutto, il parroco della città. Il motivo? Ufficialmente al sacerdote viene contestato di non aver curato abbastanza i rapporti con le storiche confraternite di Augusta. Una motivazione che appare blanda, soprattutto se paragonata alla richiesta di dimissioni avanzata dal presule, e che ha fatto scendere sul piede di guerra centinaia di concittadini di don Palmiro. In poche ore, su facebook sono cominciati a spuntare gruppi di sostegno per il sacerdote, hashtag che lo invitano a resistere, fino al flash mob di solidarietà andato in onda domenica pomeriggio sul sagrato della chiesa. “Le confraternite sono importanti per la nostra storia ma lo è anche don Palmiro, senza di lui nessuno in Italia avrebbe mai conosciuto il dramma che attanaglia la nostra città e cioè l’enorme emergenza rappresentata dalle tante morti a causa di tumore”, dice Cettina Di Pietro, il sindaco eletto dal Movimento 5 Stelle meno di un anno fa, che insieme ai suoi concittadini è andata a sostenere il sacerdote.

“Questa storia mi fa molto male, spero che si possa risolvere al più presto”, è invece l’unica frase che si lascia sfuggire al momento il diretto interessato, nominato parroco di Augusta nel novembre del 2013 e autore di una clamorosa intuizione soltanto pochi mesi dopo. Era il 28 febbraio di due anni fa, infatti, quando don Palmiro iniziò a leggere in chiesa, durante la messa, i nomi di tutti i morti di cancro della città. Ad Augusta, al centro del triangolo della morte tra Priolo e Melilli, dove tra centrali elettriche e impianti di raffinazione si contano 18 stabilimenti, si muore, infatti, soprattutto per un motivo: carcinoma ai polmoni, ai reni, al colon. Un male che non risparmia nessuno, dato che – come raccontato da Ilfattoquotidiano.it – chiunque nella città siciliana ha perso un familiare a causa di un tumore. “Come mi è venuta l’idea? Parlando con gli impresari delle pompe funebri. Mi dicevano: padre, questo mese ho fatto undici funerali, ma nove erano morti di cancro”, spiega il sacerdote.

E siccome ad Augusta il registro tumori era praticamente inaccessibile, ecco che don Palmiro aveva trovato il modo di elaborare una statistica parallela sui decessi e sulle patologie.  “Ho semplicemente detto: voglio fare una messa per ricordare i morti di cancro. Ma ho detto anche che i morti di cancro non sono fantasmi, ma hanno nomi e cognomi: da lì hanno iniziato a comunicarmi le generalità dei loro cari”. Da quel momento in poi la lista che ogni 28 del mese il sacerdote legge alla fine della messa ha cominciato ad allungarsi: prima 100, quindi 300, poi 500, fino a 800 nomi, cognomi, professioni e patologie di persone che negli ultimi tempi sono morte di tumore in città. Un rituale di fortissimo impatto, che ha fatto di Augusta la Spoon River di Sicilia. “Bisogna chiamare le cose con il proprio nome: quello che avviene ad Augusta è genocidio”, tuona don Palmiro, che per sostenere la sua battaglia ha scritto sia a Giorgio Napolitano che a Sergio Mattarella, invitando i due capi di Stato a visitare la sua città. Dove, fino a poco tempo fa, non tutti parlavano volentieri del gigantesco numero di morti per tumore. “Hanno paura che dal Petrolchimico licenzino i parenti che ci lavorano: è questa la loro arma vincente”, spiega il sacerdote. Sul quale adesso pende la richiesta di dimissioni avanzata dal suo stesso vescovo. Una richiesta che, però, è stata in grado di mobilitare un’intera città a difesa del parroco anti tumore.

Twitter: @pipitone87

Tutti i nemici del Papa da:repubblica.it

Tutti i nemici del Papa
(agf)

Non solo i cardinali della lettera che scuote il Sinodo, definita da padre Lombardi un “atto di disturbo”, ma anche gruppi economici e di potere che vogliono sovvertire la rivoluzione di Francesco

di PAOLO RODARI

 CITTÀ DEL VATICANO – Lo chiamano “Papa argentino ” per screditarlo. Per rimarcare la distanza, culturale e ideologica, fra loro e lui. Sono cardinali di curia e vescovi, certo, che tuttavia hanno dietro di loro anche gruppi di potere e di pressione precisi, consorterie fin dal 13 marzo del 2013 in-sofferenti verso il magistero sociale del Pontefice.

Ieri padre Federico Lombardi ha sminuito la portata deflagrante della lettera dei cardinali inviata a Francesco e pubblicata da L’Espresso . “Chi a distanza di giorni ha pubblicato la lettera ha compiuto un atto di disturbo non inteso dai “firmatari”, almeno da alcuni dei più autorevoli”, ha detto il portavoce vaticano. Che ha chiesto anche di “non lasciarsi condizionare”, in quanto l’azione di disturbo è mossa da seconde linee. Eppure, l’effetto è il medesimo dei tempi di Vatileaks, quando le carte passavano da dentro il Vaticano e arrivavano fino ai media. La vera pistola fumante del Sinodo, ha scritto non a caso il sito d’informazione Il Sismografo vicino alla Santa Sede, “è l’esistenza di una cordata di eminenti vaticanisti che hanno abbandonato il nobile mestiere dell’informazione per passare, con corpo e anima, a quello del velinaro (per di più maldestro)”. Certo, per molti Oltretevere una differenza almeno apparente esiste fra l’ultimo periodo del pontificato di Ratzinger e oggi. Mentre allora c’erano cordate interne alla Santa Sede che si combattevano per ragioni di potere, oggi le posizioni eterogenee sembrano essere principalmente ideali, culturali. Ma, si chiedono nello stesso tempo ancora in Vaticano, può essere tanta insofferenza causata soltanto da posizioni divergenti sulla dottrina?

Per Nello Scavo, giornalista di Avvenire e autore di “I nemici di Francesco” (Piemme) appena uscito, gli avversari del Papa sono anche coloro che lo screditano cercando di metterlo a tacere. “C’è una battaglia ideologica  –  dice  – , questo è vero, condotta anche in buona coscienza. Tuttavia, in questi anni, dentro la curia c’è anche chi ha provato a rifilare a Francesco qualche polpetta avvelenata. Oltre al Sinodo e al recente caso del teologo omosessuale Charamsa, c’è stata la vicenda di un progetto che prevedeva la costituzione da parte dello Ior di una Sicav  –  fondo di investimento a capitale variabile  –  in Lussemburgo. Il Papa se ne accorse all’ultimo momento e bloccò il progetto. Certo, non era niente di illegale, eppure l’immagine del Papa ne sarebbe stata compromessa. A significare che dentro c’è anche chi manovra per indebolire il carisma e la forza di Francesco”.

Una tesi, quella di Scavo, che combacia, in parte, con quanto affermato da uno dei teologi sudamericani più vicini a Bergoglio, Leonardo Boff. Pur aperto sull’omosessualità  –  la visione dei vescovi che essa debba essere vissuta castamente “è riduttiva “, ha affermato ad Oggi  –  il paladino della teologia della liberazione ritiene che dentro il Vaticano vi sia chi ordisce trappole contro il Papa. Boff pensa in particolare che dietro il coming out di Charamsa vi sia “una trappola montata dagli ambienti di destra nella Chiesa che si oppongono al Papa. Perché non lo ha fatto in modo semplice ma provocatorio, per creare un problema al Sinodo e a Francesco. Ostentare in quel modo la sua scelta, il suo compagno… Non si deve giocare per mettere il Papa alle strette”.

Francesco dà l’impressione di sapere bene chi sono gli amici e chi i nemici. E che se c’è chi lo ama e lo segue, vi è anche chi farebbe volentieri a meno di lui. Nello stesso tempo, tuttavia, non vuole cedere alle teorie cospirative, all’idea che il Vaticano sia un covo di serpi. Eppure, spiega Massimo Faggioli, storico del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis, “è questo il momento più visibile e temerario nella lotta condotta da parte dell’establishment ecclesiastico contro di lui”. E ancora: “Fin dal marzo 2013 si era percepito il montare della resistenza al pontificato, e si sapeva che il Sinodo dei vescovi era il punto chiave. Il fatto che la lettera sia stata consegnata al Papa il 5 ottobre, primo giorno del Sinodo, è prova che si tratta di un’iniziativa coordinata ben prima dell’inizio dell’assemblea a Roma (ed è a questa iniziativa che Francesco rispose col discorso sulla “ermeneutica cospirativa” del 6 ottobre in aula sinodale). È anche chiaro che mentre Francesco era in visita in America, alcuni vescovi americani, tra un abbraccio e l’altro al Papa, stavano preparando contro Bergoglio un attacco che non si sarebbero mai sognati di fare contro i sinodi per finta di Papa Wojtyla e Papa Ratzinger”. In sostanza si riferisce al caso del saluto ricevuto presso l’ambasciata di Washington da parte di Kim Davis, l’impiegata comunale del Kentucky che ha rifiutato la licenza matrimoniale a diverse coppie gay, e che per questo è stata arrestata. La Davis, e parte del mondo conservatore statunitense, ha fatto passare questo saluto come un appoggio papale alle sue battaglie anti gay.

Chi ha consegnato, e con ogni probabilità ideato, la lettera al Papa critica sui lavori del Sinodo è il cardinale australiano George Pell. Zar dell’economia vaticana, ha posizioni dure sulle aperture papali. Ritiene che concedere l’eucaristia ai divorziati risposati sia un male. Una posizione simile a quella di altri firmatari della lettera, fra cui il cardinale Robert Sarah per il quale pensare di dare l’eucaristia ai divorziati è opera del Maligno. La costituency di Pell è quella della finanza americana. Ritenuto vicino ai potenti Cavalieri di Colombo, quando deve tenere una conferenza va sempre al Pontifical North American College sul Gianicolo, il luogo in cui i circuiti curiali finanziari americani danno sfoggio di sé nella capitale. Così anche altri due cardinali firmatari della lettera: Daniel N. Di Nardo, arcivescovo di Galveston- Houston e vicepresidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti, e Timothy Dolan, arcivescovo di New York e capo dei vescovi Usa. Gran parte dell’opposizione mossa a Francesco viene dal mondo conservatore nord americano. È ancora Scavo, nel suo volume, a ricordare che a sostenere le battaglie dei “neocon” anti-Bergoglio ci sono uomini come Dick Cheney e capitali come quelli messi a disposizione dalla Halliburton. Scrive Scavo: “Bastano questi due nomi per farsi un’idea precisa degli ambienti “antipapisti” a stelle e strisce da cui partono alcuni degli attacchi a Bergoglio su vari fronti: economia, teologia, visione geopolitica “. Cheney è l’uomo ombra dell’American Enterprise Institute, di cui è stato

vicepresidente e nel quale mantiene incarichi direttivi sua moglie Lynne, già consigliere d’amministrazione di Lockheed Martin, il principale produttore mondiale di sistemi di difesa: dai velivoli caccia ai missili a testata nucleare, dai radar ai blindati per il trasporto delle truppe.

Cardinali milionari: la mappa delle proprietà private del cleroda: l’espresso

Appartamenti, ville, vigneti, uliveti, boschi. I risultati di mesi di ricerche catastali sui patrimoni personali di oltre cento alti prelati: una collezione di fortune private (regolarmente dichiarate al fisco), alla faccia dell’umiltà e alla modestia di Papa Francesco

di Paolo Biondani
Cardinali milionari: la mappa delle proprietà private del clero

Beati i poveri, perché di essi è il regno dei cieli, insegnava Gesù di Nazareth nel  Discorso della Montagna. Dopo duemila anni di predicazioni nel nome di Cristo, però, sulla terra continuano a passarsela meglio i ricchi. Non solo i laici, agnostici o miscredenti. Anche tra i cattolici più devoti c’è chi ostenta patrimoni invidiabili. E perfino tra gli alti prelati di Santa Romana Chiesa ora spunta una specie di club dei milionari: cardinali e vescovi che sono proprietari di grandi fortune private. Palazzi, appartamenti, monolocali, fabbricati rurali, capannoni, cantine, fattorie, agrumeti, uliveti, frutteti, boschi e pascoli sterminati.

Si tratta di ricchezze assolutamente lecite, spesso frutto di lasciti testamentari o eredità familiari, che non si possono in alcun modo accostare alle fortune illegali accumulate da quelle pecore nere che, ieri come oggi, non sono mai mancate neppure nelle greggi cattoliche. Dopo l’avvento di Papa Bergoglio, il pontefice che ha scelto di ispirarsi già dal nome a San Francesco d’Assisi e che non perde occasione per richiamarsi alla «Chiesa dei poveri», ammonire che «San Pietro non aveva il conto in banca», scagliarsi contro «il peccato della corruzione» e «certi preti untuosi, sontuosi e presuntuosi» che sfoggiano «macchine di lusso», però, anche in Vaticano c’è chi comincia a chiedersi quante ricchezze personali possiedano i prelati più potenti. Chi riuscirà a passare dall’evangelica cruna dell’ago?

A regalare le prime risposte documentate è il nuovo libro-inchiesta di Mario Guarino (“Vaticash”, ed. Koinè), il giornalista investigativo che più di vent’anni fa svelò molti segreti di Silvio Berlusconi quando era solo “il signor tv”. Dopo aver ripercorso i vecchi e nuovi intrighi ecclesiastici, dall’Ambrosiano allo Ior, dalle collusioni mafiose alle cricche edilizie e finanziarie, Guarino espone i risultati di mesi di ricerche catastali sui patrimoni personali di oltre cento alti prelati, con dati aggiornati all’aprile 2014. Una collezione di fortune private regolarmente dichiarate al fisco, che non ha nulla a che fare, dunque, con le polemiche sulle leggi di favore per le istituzioni religiose o sull’esenzione dalle tasse riservata ai beni degli enti ecclesiastici. Nessuno scandalo giudiziario, insomma: solo un viaggio ragionato, tra citazioni dei vangeli e appelli all’umiltà e alla modestia di Papa Francesco, alla scoperta delle fortune immobiliari, schedate nei pubblici registri del catasto italiano, che fanno capo alle persone fisiche di cardinali e vescovi. Un’inchiesta giornalistica che sfata e riserva parecchie sorprese.

Monsignor Liberio Andreatta è da molti anni il responsabile dell’Opera romana pellegrinaggi (Orp), l’agenzia vaticana per il turismo religioso, che organizza i viaggi di milioni di pellegrini verso mete di culto come Assisi, Fatima o Medjugorje. Nato nel 1941 in provincia di Treviso, il religioso proviene da una famiglia molto in vista e oggi risulta titolare di un notevolissimo patrimonio personale: a suo nome, il catasto italiano rilascia ben 38 fogli di visure immobiliari. Monsignor Andreatta infatti possiede a titolo personale svariate centinaia di ettari di terreni, coltivati a uliveti, frutteti, boschi da taglio e castagneti, sparsi tra la Maremma e le campagne di Treviso. Nella provincia natia, precisamente a Crespano del Grappa, possiede anche un edificio di 1432 metri quadrati e, insieme ad alcuni parenti, ha altri tre immobili in usufrutto. Inoltre risulta proprietario di una serie di fabbricati rurali tra Fibbianello e Semproniano, sulle colline toscane attorno a Saturnia. Stando ai registri catastali, ha accresciuto il suo patrimonio anche in tempi recenti, acquistando tra il 2008 e il 2011 altre centinaia di ettari di uliveti in Maremma.

Grande possidente, specializzato però nell’edilizia residenziale, è anche l’attuale arcivescovo di Palermo, il cardinale Paolo Romeo, nato nel 1938 ad Acireale: nella sua cittadina d’origine risulta aver acquistato, dal 1995 al 2013, otto appartamenti e quattro monolocali in via Felice Paradiso, oltre ad alcune abitazioni per complessivi 22 vani e altri due monolocali in corso Italia. Le visure catastali, inoltre, attribuiscono all’arcivescovo la proprietà di altri nove appartamenti (più un monolocale) in otto diversi stabili in via Giuliani; tre abitazioni e due monolocali in via Kennedy; altri cinque appartamenti (il più grande di 15 vani) in via San Carlo; un altro edificio residenziale e tre monolocali in altre strade sempre di Acireale, dove è intestatario di un ulteriore appartamento in via Miracoli. Nella stesso comune siciliano, il cardinale possiede anche decine di ettari di terreni seminativi, oltre a un vastissimo agrumeto che però è in comproprietà con alcuni familiari.

Più diversificato il patrimonio personale del cardinale Camillo Ruini: l’ex presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), nato a Sassuolo nel 1931, è proprietario di tre appartamenti e tre monolocali a Modena, in via Fratelli Rosselli. A Reggio Emilia possiede un ulteriore appartamento, più un monolocale e un seminterrato. Insieme a una sorella, inoltre, è cointestatario di un’abitazione (con pertinenze immobiliari) nella natia Sassuolo. Il catasto infine attribuisce all’ex rappresentante dei vescovi italiani la proprietà di altri tre appartamenti e un monolocale a Verona.

Il cardinale Fiorenzo Angelini, nato a Roma nel 1916, storico sponsor di Giulio Andreotti ed ex responsabile della sanità vaticana, si accontenta invece della proprietà di due appartamenti su due piani a Roma, per complessivi 16,5 vani, in via Anneo Lucano, zona Monte Mario.

Molto meglio se la passano alcuni prelati che hanno assunto cariche importanti negli ultimi anni. L’arcivescovo ciellino Ettore Balestrero, nato a Genova nel 1966, che si schierò al fianco del cardinale Tarcisio Bertone nella contesa sullo Ior, è un poliglotta che ha girato il mondo e ora è nunzio apostolico in Colombia. Eppure conserva numerose proprietà in Italia, tra cui una residenza di dieci vani a Roma, in via Lucio Afranio, alle spalle dell’Hotel Hilton Cavalieri, altre quattro unità immobiliari a Genova tra le vie Tassorelli e Pirandello (la più grande è di 9,5 vani) e un appartamento in nuda proprietà a Stazzano, nell’Alessandrino, dove però possiede anche molti terreni agricoli e boschi da taglio.

Monsignor Carlo Maria Viganò, nato a Varese nel 1941, che sotto papa Ratzinger si era conquistato la fama di incorruttibile moralizzatore, proviene da una famiglia più che benestante: insieme a un familiare è comproprietario di circa mille ettari di terreni a Cassina de’ Pecchi, vicino a Milano. Nello stesso comune possiede inoltre quattro appartamenti e tre fabbricati.

Anche il vescovo Giorgio Corbellini, nato a Travo (Piacenza) nel 1947, attuale presidente dell’Autorità d’informazione finanziaria (Aif, cioè l’antiriciclaggio) dopo le dimissioni di Attilio Nicora, appartiene a una famiglia ricca. Con alcuni parenti è comproprietario, sulle colline di Bettola (Piacenza), di circa 500 ettari di boschi, due fabbricati e altre centinaia di ettari di pascoli e terreni seminativi. Inoltre possiede tre appartamenti e un fabbricato nel suo paese natale.

Il cardinale Domenico Calcagno, nato a Parodi Ligure (Alessandria) nel 1943, ha dovuto lasciare in gennaio la commissione di vigilanza sullo Ior, mentre mantiene dal 2011 la carica di presidente dell’Apsa, l’ente che amministra gli immobili dello Stato vaticano. Ma anche il suo patrimonio privato non è trascurabile: il catasto italiano gli attribuisce, tra l’altro, un appartamento di 6,5 vani in via della Stazione di San Pietro e altri quattro edifici residenziali nel suo paese natale. Inoltre, insieme a due parenti, è comproprietario di oltre 70 ettari di campi e vigneti in Piemonte.

I terreni agricoli sono un bene-rifugio molto apprezzato anche da altri prelati. L’arcivescovo Michele Castoro, presidente dal 2010 della fondazione che controlla tra l’altro il grande ospedale di San Giovanni Rotondo, possiede 43 ettari di terreni a Gravina di Puglia, oltre a vari fabbricati rurali e a due appartamenti (il più grande di 12,5 vani). Ad Altamura, dove è nato nel 1952, risulta inoltre comproprietario, con cinque familiari, di altri 63 ettari di vigneti. Mentre l’ex decano dei cerimonieri pontificali, monsignor Paolo Camaldo, possiede insieme a due parenti nella natia Basilicata, tra Lagonegro e Rivello, un totale di 281 ettari di campi e vigneti.

Il libro di Guarino riporta correttamente che decine di cardinali italiani anche con ruoli di prim’ordine, come Angelo Bagnasco, Pio Laghi, Giovan Battista Re o Angelo Sodano, non hanno alcuna proprietà immobiliare.

Nullatenente risulta, come molti altri, anche l’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone, criticato però per la scelta di una lussuosa abitazione intestata al Vaticano: un attico di circa 700 metri quadrati a Palazzo San Carlo, ricavato dall’accorpamento di due residenze (la prima di un monsignore morto nel 2013, l’altra di una vedova convinta a sgomberare). Va ricordato che Papa Francesco vive in un semplice bilocale di 70 metri quadrati, così come monsignor Pietro Parolin, il nuovo segretario di Stato vaticano.

Gli archivi del catasto gettano nuova luce anche sulle ricchezze personali di alcuni dei personaggi più controversi della Chiesa siciliana. Monsignor Salvatore Cassisa, l’ex vescovo di Monreale più volte inquisito dai magistrati di Palermo ma sempre assolto in Cassazione, risulta tuttora contitolare, insieme a una parente, di due immobili per complessivi 18 vani a Palermo. Con altri familiari, inoltre, ha un appartamento in comproprietà e tre in usufrutto a Erice, che si aggiungono a 26 ettari di terreni e 14 unità immobiliari (per complessivi 54 vani) a Trapani.

Un vero mistero (errore della burocrazia o qualcosa di peggio?) riguarda don Agostino Coppola, l’ex parroco di Carini che fu arrestato e condannato come complice dei mafiosi corleonesi di Luciano Liggio nella sanguinosa stagione dei sequestri di persona. Gettata la tonaca e sposatosi, si era visto sequestrare tutti i beni scoperti dai giudici di Palermo e Milano, tra cui una villa da un miliardo di lire, prima di morire nel 1995. Eppure l’ex sacerdote, che celebrò le nozze in latitanza di Totò Riina, compare tuttora come proprietario di 83 ettari di uliveti e 14 di agrumeti a Carini. A nome del defunto e dei suoi familiari è registrato pure il possesso perpetuo (con l’antico sistema dell’enfiteusi) di altri 49 ettari di campagne e due fabbricati a Partinico. Terreni concessi al prete mafioso, stando ai dati del catasto siciliano, da due proprietari istituzionali: il Demanio statale e l’Amministrazione del fondo per il culto