I MARTIRI DELLA
FONTANELLA
Brevi cenni sulla Resistenza
Ritengo siano ben note ai più le vicende legate alla seconda guerra mondiale 1940/45 sino all’8 settembre 1943 data dell’armistizio tra l’Italia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America.
Da tale data l’Italia è stata invasa dall’esercito germanico, tra l’altro con forte limitazione della libertà, che si contrapponeva a quello anglo-americano proveniente dal meridione.
Verso la fine del 1943 si insediarono, per lo più sulla montagne dell’Appennino, bande di partigiani composte da giovani delle classi 1923, ’24 e’ 25 renitenti alla chiamata della Repubblica di Salò di stampo fascista che di fatto doveva ubbidire alle direttive dei tedeschi, da ex soldati del disciolto esercito italiano impossibilitati a raggiungere le loro case, da disertori di formazioni tedesche soprattutto russi, algerini, jugoslavi, francesi, greci e da antifascisti che non sopportavano le restrizioni imposte dal regime.
Nell’autunno 1944 – inverno 1945 l’avanzata degli anglo-americani si arrestò sulla linea “Gotica” che attraversava la dorsale appenninica dal pesarese al passo della Futa sul confine Emilia-Toscana fino al litorale tirrenico di Massa Carrara.
Nel mese di novembre 1944 il generale inglese Alexander diramò un proclama ai partigiani, esortandoli ad andare a casa e attendere i suoi ordini. Grande fu la delusione dei partigiani perché essi consideravano ormai prossima la libertà per la quale avevano duramente lottato, con la imminente sconfitta delle armate tedesche. L’esortazione di Alexander non venne accolta.
Non deve sorprendere la constatazione che gli alleati, specialmente gli inglesi, non gradivano la crescita del movimento partigiano e il rafforzamento delle brigate nelle quali militavano in maggioranza i comunisti. La sorte della guerra era ormai segnata in favore degli Alleati ed essi guardavano al dopo e temevano anche per l’Italia una situazione simile a quella verificatasi nella Jugoslavia comunista di Tito.
Per i generali Alexander, Montgomery, Eisenhower la strategia militare dei partigiani non doveva tendere alla costituzione e difesa di un fronte territoriale ma, invece, mirare ad azioni di sabotaggio e attività di informazione. Forse per questi motivi proprio nell’autunno 1944 vennero meno i rifornimenti di armi e munizioni che spesso durante l’estate erano stati forniti con lanci aerei.
I partigiani provocarono nei tedeschi una certa preoccupazione specialmente per le continue incursioni sulle grandi vie di comunicazione, quale la Via Emilia, che essi utilizzavano per i rifornimenti di materiale bellico e di truppe al fronte.
Il maresciallo Kesselring, comandante in capo dell’esercito tedesco in Italia, nel mese di ottobre ordinò un poderoso rastrellamento che secondo le sue intenzioni nell’arco di una settimana avrebbe dovuto distruggere il movimento della Resistenza. Gli avvenimenti si svolsero in modo ben diverso e nonostante l’operazione si protrasse sino al mese di gennaio la Resistenza non venne annientata.
Nel settore Piacenza-Voghera fu impiegata la divisione “Turkestan” composta da nazisti, mongoli, fascisti, tutti in uniforme di combattimento tedesca, affiancata da reparti repubblichini. Era impensabile che i partigiani dotati soltanto di armi leggere e con scarsità di munizioni potessero resistere ad una formazione superiore per numero, bene equipaggiata e addestrata, con disponibilità anche di armamento pesante.
I partigiani tentarono di mantenere le loro posizioni subendo forti perdite ma non riuscirono. Per più di un mese rimasero nascosti nei luoghi isolati, protetti e nutriti dalla popolazione per puro spirito umanitario, mentre i reparti della “Turkestan” dilagavano in tutto il territorio terrorizzando i civili con fucilazioni, deportazioni, rapine, incendi e violenze di ogni genere.
Il fatto
La tecnica di rastrellamento consisteva nel circondare i centri abitati, disporre sentinelle sulle vie di entrata e uscita, reperire ostaggi e quindi setacciare le abitazioni facendo razzia di tutto ciò che era di gradimento, le stalle, i fienili e quant’altro.
Il 18 dicembre 1944 la colonna dei tedeschi che proveniva da Pecorara, ovviamente appiedata perché le nostre strade erano ancora mulattiere, a Lago Brado venne avvistata verso sera dai partigiani che corsero a Cicogni per darne notizia. Un gruppo di partigiani si nascose in località Nosoni al limite del paese verso monte Mosso; un secondo gruppo alla Casa Bianca (il Creus) vicino ai boschi a circa un chilometro di distanza.
I tedeschi prelevarono dall’osteria di Pozzi Santino (ora Achille) una decina di ostaggi. Chi scrive ne ricorda solo alcuni: Bongiorni Vittorio, Rossi Giuseppe, Pozzi Serafino, Rossi Vincenzo, Pozzi Dante. Vennero rinchiusi nella stalla di Pozzi Guglielmo. Poi disposero le sentinelle ai lati della stradina che conduce alla Casa Bianca .
Anastasi Alfio era ospite fisso in casa Losi e benché sconsigliato dalla Marietta che gli disse: “stai qui, corre voce che vi siano i tedeschi e hai anche il tesserino di partigiano..”, “ma questo, nel caso, lo mangio” – rispose Alfio – volle trascorrere la serata, come d’abitudine, presso la famiglia Pozzi alla Fontanella.
Al Cantone le donne che scendevano dalla chiesa dopo il rosario lo avvertirono della presenza dei tedeschi, ma lui proseguì per la via Sarino tranquillo per essere in abiti civili e senz’armi.
Il tempo era pessimo: nebbia fitta, freddo, fango dappertutto, buio pesto. Ritenendo che i tedeschi si fossero allontanati, verso le ore 21 Gamba Tarcisio e Foglia Sunter lasciarono il gruppo alla Casa Bianca e, passando vicinissimi alle silenziose sentinelle, entrarono in casa Pozzi. Qui era giunto Alfio che assieme ai due anziani coniugi, le figlie Maria e Linda, i piccoli Vito e Sergio e la mamma Albina, stava consumando le caldarroste nella seconda stanza a pianterreno.
I tedeschi dopo aver circondato la casa intimarono la resa. Colti di sorpresa, Gamba intendeva resistere con lancio di bombe a mano, ma Alfio, il più anziano, lo dissuase dicendo: “è inutile ragazzi, qui c’è una famiglia con vecchi e bambini”. Spalancata la porta, nella penombra dell’ingresso vennero sparate raffiche di mitra e Alfio, gravemente ferito, si accasciò su un mobile. Catturati, Gamba e Foglia vennero all’istante passati per le armi.
La famiglia Pozzi quasi per miracolo rimase indenne dall’attacco. Fortuna volle che i partigiani dei Nosoni che disponevano di mitragliatrici non intervennero altrimenti Cicogni sarebbe stato incendiato e gli abitanti avrebbero subito tragiche rappresaglie come successo in altri paesi.
Alla luce delle torce elettriche gli ostaggi, prelevati a turni di due e ignari di quanto accaduto, furono costretti a scavare, a distanza di pochi metri, una larga fossa comune profonda circa 40 centimetri in cui collocarono poi le salme dei caduti, una accanto all’altra semicoperte da fango e terra.
Gli ostaggi vennero liberati nella notte e significativo è il fatto che uno di essi venne apostrofato in dialetto da un militare di guardia alla stalla: “adess ti va cà balurd” (adesso tu vai a casa balordo). E’ la prova dell’esistenza di informatori locali nei reparti in azione di rastrellamento.
I nazi-fascisti avevano raggiunto il loro obbiettivo: catturato e ucciso tre partigiani benchè questi non avessero opposto resistenza alcuna. Lasciarono Cicogni a tarda notte. Al mattino la gente di Cicogni fece la spola per recitare una preghiera davanti ai tre ragazzi affiancati con gli occhi immobili rivolti al cielo.
La narrazione è di Ettore Losi
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