ANPI news n. 162

Su questo numero di ANPInews (in allegato):

 

 

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

Legge elettorale e correttezza politico-istituzionale

Nuovi “partigiani” e vecchi nostalgici

Il Lavoro, il Jobs Act e l’implacabile ISTAT

Le pensioni,  il pianto della Ministra Fornero e la Corte Costituzionale

La riforma della scuola

 

Anpinews n.162

 

 

 

 

Italicum, la vendetta di Matteo Renzi da: l’espresso

La nuova legge elettorale introduce un presidenzialismo di fatto. Un cambiamento storico sul quale si è giocata un’enorme partita di potere. Vinta dal più spregiudicato nella battaglia. Che oggi si gode la rivincita: in mezzo alle macerie

DI MARCO DAMILANO

04 maggio 2015

Italicum, la vendetta di Matteo Renzi

Alle 18.20 la Camera vota, passa l’Italicum a scrutinio segreto con 334 voti, Maria Elena Boschi di rosso vestita bacia tutti e Matteo Renzi consuma la sua Vendetta. A lungo preparata. Perché nulla si capisce in questa storia di voti di fiducia, canguri, opposizioni silenziate e silenziose, indubbie forzature democratiche se non si parte da questo sentimento. La rivincita, la rivalsa, il desiderio di restituire il colpo ferito che anima il premier da quel pomeriggio di mercoledì 4 dicembre 2013.

Mancavano appena quattro giorni alle primarie che secondo tutti i pronostici avrebbero incoronato il sindaco di Firenze nuovo segretario del Pd. Una mina sulla strada del governo Letta, era il pronostico di tutti gli osservatori. Facile prevedere che con l’onda d’urto di milioni di voti nei gazebo il nuovo leader si sarebbe mosso rapidamente per chiudere con la fase politica aperta dal voto del 25 febbraio 2013, rappresentata dal governo Letta, e spingere verso nuove elezioni anticipate. A patto di poterlo fare, con una legge elettorale degna di questo nome.

Matteo Renzi si è approvato l’Italicum

5 Stelle, Forza Italia, Lega e Sel escono dall’aula, e lasciano sola la maggioranza di governo. Aumentano anche i no della minoranza del Pd, ma non abbastanza. L’Italicum è la nuova legge elettorale. E alle opposizioni resta solo il referendum abrogativo

La sentenza della Corte, incostituzionali il premio di maggioranza e le liste bloccate del Porcellum, sfilò a Renzi la legge elettorale sotto il naso, lo strumento per tornare al voto. “Dal punto di vista giuridico e tecnico la trovo sorprendente”, reagì a caldo il candidato segretario. Non nascose la stizza: “La Corte dice che il Parlamento può approvare una nuova legge elettorale? Beh, grazie di cuore per la cortese concessione. Meno male che ce l’hanno detto i giudici. O hanno il senso dell’umorismo, o non so cosa pensare”. E l’8 dicembre, alle primarie, in tanti andarono a votare contro una sentenza che in quel momento appariva di stabilizzazione delle larghe intese, un passo indietro, dalla democrazia maggioritaria verso una nuova democrazia bloccata, come negli anni della Prima Repubblica. Il primo a farlo in nome della difesa del bipolarismo in pericolo fu Romano Prodi, che pure aveva annunciato di non voler votare. E a elezione incassata, Renzi sparò a zero: “Dobbiamo scardinare il sistema”. Niente di meno.

Il commento del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi dopo l’approvazione definitiva della legge elettorale. Per il capogruppo di Forza Italia Brunetta: “I numeri che ha avuto Renzi nel voto di oggi alla Camera se rapportati al Senato fanno sì che Renzi non abbia più la maggioranza”video di Marco Billeci

Saranno gli storici a stabilire chi in quei giorni spinse per quella sentenza della Consulta e chi la coprì ai vertici istituzionali. Ma di certo chi pensava che togliere a Renzi la legge elettorale per tornare a votare avrebbe blindato il governo Letta si è trovato nei mesi successivi di fronte a una gigantesca eterogenesi dei fini. Prima conseguenza: non avendo più la possibilità di tornare al voto perché non c’era la legge elettorale Renzi decise di eliminare Letta e di andare a Palazzo Chigi senza passare dalle elezioni, come aveva sempre giurato di voler fare. Secondo: la necessità di non affogare nel ritorno alla proporzionale spinse Renzi a concludere il Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. Terzo: la consapevolezza di questo Parlamento di essere delegittimato sul piano giuridico, perché eletto con una legge dichiarata incostituzionale, e politico, perché il premier è un leader extraparlamentare, ha spinto i deputati e i senatori a votare qualsiasi cosa pur di mandare avanti la legislatura.

I colleghi di governo si congratulano con la ministra per le Riforme mentre Pierluigi Bersani lascia l’aula subito dopo il voto di Fabio Butera

Sull’Italicum si è dunque giocata un’enorme partita di potere. E oggi l’ha vinta il più spregiudicato nella battaglia, l’inquilino di Palazzo Chigi. Da questa sera c’è una nuova legge elettorale che modifica in profondità il sistema politico. Introduce un presidenzialismo di fatto, la figura inedita del sindaco d’Italia. Un cambiamento storico. Anche se, per paradosso, entrerà in vigore tra più di un anno, nel luglio 2016. In pochi stasera alla Camera scommettono che la scadenza sarà rispettata. La riforma del Senato, inevitabile complemento della legge elettorale, avrà un cammino accidentato. E Renzi potrebbe essere tentato da elezioni anticipate tra un anno con l’Italicum esteso anche al Senato o una mini-legge elettorale solo per Palazzo Madama.

“E’ il figlio legittimo del Porcellum. E’ ispirato dalla stessa ossessione compulsiva: dare più potere ai potenti e meno ai cittadini”. Così il presidente di Sel Nichi Vendola in merito all’approvazione definitiva della nuova legge elettorale. “Rappresenta una deriva autoritaria contro cui occorre mobilitarsi”, ha aggiunto Vendola(video di Francesco Giovannetti)

Oggi si gode la sua vittoria. In mezzo alle macerie: Parlamento svuotato, Pd trasformato in mera cassa di risonanza del premier con le minoranze interne che neppure oggi sono riuscite a balbettare qualcosa di comprensibile per il loro elettorato. Un dibattito di livello infimo. Argomenti sbagliati, citazioni agghiaccianti, invocazioni di pulizie etniche a sproposito (Renato Brunetta). Banalizzazioni a raffica. Con queste opposizioni, fuori e dentro il Pd, e in questo Parlamento, per parafrasare Nanni Moretti, Renzi non perderà mai. E infatti il fronte del No è destinato a scaricarsi fuori dalle aule parlamentari, nelle piazze. Ma è un ben triste Paese quello in cui l’opposizione è affidata alle contestazioni di piazza. O in cui il premier può vantare di essere dalla parte di chi pulisce le strade contro chi sfascia le macchine. Si possono amare le città pulite, le manifestazioni pacifiche e gli stabilmenti dell’Expo senza per forza iscriversi alle tifoserie renziane, perdonate l’ovvietà.

L’Italicum è una legge quasi perfetta se c’è una competizione tra due partiti, tra due liste alternative. In loro assenza costruisce un nuovo sistema bloccato.Non dipende dalla bontà della legge elettorale, ma dalla politica, certo. E da stasrea la questione è: riuscirà il centrodestra a federare le sue anime per costruire un’alternativa al Pd di Renzi, o come si chiamerà? Perché è difficile che il Pd resti simile a quello attuale, con lo stesso nome. Una vecchia classe dirigente esce ingloriosamente di scena. Quella nuova ancora non si vede. Rimane la voglia di correre, sempre, del leader-premier venuto da Firenze. Che stasera può esultare per l’ennesima vittoria, questa sì di portata storica. Ma non deve dimenticare che vincere da soli, per svuotamento degli avversari, alla lunga può diventare noioso. E forse perfino dannoso

Maria Elena Boschi annuncia la fiducia in aula per la legge elettorale _ Vergogna!

Maria Elena Boschi annuncia la fiducia in aula per la legge elettorale
Vergogna
La fiducia sulla legge elettorale l’aveva posta il fascismo nel 1923
con la legge Acerbo
1953 con la legge Truffa
Voluta dal governo di Alcide De Gasperi, venne proposta al Parlamento dal ministro dell’Interno Mario Scelba e fu approvata solo con i voti della maggioranza, nonostante i forti dissensi manifestati dalle altre formazioni politiche di destra e di sinistra

 

 

 

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legge elettorale del 1953, meglio nota come legge truffa dall’appellativo datole dai suoi oppositori[1] fu un correttivo della legge proporzionale vigente dal 1946. Essa introduceva un premio di maggioranza consistente nell’assegnazione del 65% dei seggi della Camera dei deputati alla lista o al gruppo di liste collegate che avesse raggiunto il 50% più uno dei voti validi.

La legge, promulgata il 31 marzo 1953 (n. 148/1953) ed in vigore per le elezioni politiche del 3 giugno di quello stesso anno sia pure senza che desse effetti, venne abrogata con la legge 615 del 31 luglio 1954.

anpi

INVITO ad Associazioni, Sindacati, Movimenti e Partiti

Ci troviamo, quasi senza rendercene conto, nella situazione più difficile e più pericolosa tra tutte quelle che si sono verificate dalla fine della guerra mondiale ad oggi. La rinascita del nazifascismo in tutta Europa, il mondo attraversato da violenze e da guerre. Non siamo mai stati così vicino alla guerra come ora, almeno da molti anni e per finire, ma non meno grave, l’attacco alla Costituzione un vero e proprio strappo al nostro sistema democratico e una legge elettorale che non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali.. Per tutti questi motivi, e per non dimenticare l’articolo 11della nostra Carta Costituzionale, affinché non sia stato vano il sangue versato dai cittadini e dai partigiani per la Libertà,

L’ANPI di Catania vi invita alla riunione che si terrà il 4 marzo alle ore 17,30 presso la sede dell’ARCI di Catania Piazza C. Alberto, 47 con il seguente ordine del giorno:

Difesa della Costituzione.

Preparazione del 25 aprile

Comitato Provinciale ANPI Catania

Catania 27/2/15

in allegato l’appello nazionale dell’ANPI

 

 

Appello ANPI su Senato e legge elettorale ai parlamentari, ai partiti, ai cittadini. Non riforma, ma strappo alla democrazia.

Questo appello in difesa della democrazia verrà inviato agli organi di stampa, a tutti i parlamentari e ad esponenti dei gruppi e dei partiti. Verrà inoltre diffuso, a cura delle organizzazioni periferiche dell’ANPI – e auspicabilmente di qualunque associazione vi abbia interesse – alla più larga sfera di cittadini, ai fini di una corretta, completa e necessaria informazione.

Il 29 aprile 2014 l’ANPI Nazionale promosse una manifestazione al teatro Eliseo di Roma col titolo “Una questione democratica”, riferendosi al progetto di riforma del Senato ed alla legge elettorale da poco approvata dalla Camera.

Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti; ma adesso che si vorrebbe arrivare ad un ipotetico “ultimo atto” (l’approvazione da parte del Senato della legge elettorale in una versione modificata rispetto al testo precedente, ma senza eliminare i difetti e le criticità; e l’approvazione, in seconda lettura, alla Camera della riforma del Senato approvata l’8 agosto scorso, senza avere eliminato i problemi di fondo) è necessario ribadire con forza che se passeranno i provvedimenti in questione (pur non in via definitiva) si realizzerà un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico. Non è più tempo di inascoltate argomentazioni e bisogna fermarsi all’essenziale, prima che sia troppo tardi.

Una legge elettorale che consente di formare una Camera (la più importante sul piano politico, nelle intenzioni dei sostenitori della riforma costituzionale) con quasi i due terzi di “nominati”, non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali. Una legge elettorale, oltretutto, che dovrebbe contenere un differimento dell’entrata in vigore a circa un anno, contrariamente a qualunque regola o principio (le leggi elettorali si fanno per l’eventualità che ci siano elezioni e non dovrebbero essere soggette ad accordi particolari, al di là di ogni interesse collettivo).

Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività. Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza, sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione (in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della governabilità).

Un sistema parlamentare non deve essere necessariamente bicamerale. Ma se si mantiene il bicameralismo, pur differenziando (come ormai è necessario) le funzioni, occorre che i due rami abbiano la stessa dignità, lo stesso prestigio, ed analoga elevatezza di compiti e che vengano create le condizioni perche l’eletto, anche al Senato, possa svolgere le sue funzioni “con disciplina e onore” come vuole l’articolo 54 della Costituzione. Siamo dunque di fronte ad un bivio importante, i cui nodi non possono essere affidati alla celerità ed a tempi contingentati.

In un momento di particolare importanza, come questo, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, affrontando i problemi nella loro reale consistenza e togliendo di mezzo, una volta per tutte, la questione del preteso risparmio con la riduzione del numero dei Senatori, perché uguale risultato potrebbe essere raggiunto riducendo il numero complessivo dei parlamentari.

Ai parlamentari, adesso, spetta il coraggio delle decisioni anche scomode; ed è superfluo ricordare che essi rappresentano la Nazione ed esercitano le loro funzione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione) e dunque in piena libertà di coscienza.

Ai partiti, se davvero vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed alla politica, compete di adottare misure e proporre iniziative legislative di taglio riformatore idonee a rafforzare la democrazia, la rappresentanza e la partecipazione anziché ridurne gli spazi.

Ai cittadini ed alle cittadine compete di uscire dal rassegnato silenzio, dal conformismo, dalla indifferenza e far sentire la propria voce per sostenere e difendere i connotati essenziali della democrazia, a partire dalla partecipazione e per rendere il posto che loro spetta ai valori fondamentali, nati dall’esperienza resistenziale e recepiti dalla Costituzione.

L’Italia può farcela ad uscire dalla crisi economica, morale e politica, solo rimettendo in primo piano i valori costituzionali e le ragioni etiche e di buona politica che hanno rappresentato il sogno, le speranze e l’impegno della Resistenza.

Dipende da tutti noi.

L’ANPI resterà comunque in campo dando vita ad una grande mobilitazione per informare i cittadini e realizzare la più ampia partecipazione democratica ad un impegno che mira al bene ed al progresso del Paese.

La Segreteria Nazionale ANPI

16 gennaio 2015

Appello dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) ai parlamentari, ai partiti, alle cittadine e ai cittadini

EDIZIONE SPECIALE
Riforme: era (ed è)
una questione democratica
Appello dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)
ai parlamentari, ai partiti, alle cittadine e ai cittadini
Il 29 aprile 2014 l’ANPI Nazionale promosse una manifestazione al teatro Eliseo
di Roma col titolo “Una questione democratica”, riferendosi al progetto di
riforma del Senato ed alla legge elettorale da poco approvata dalla Camera.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti; ma adesso che si vorrebbe
arrivare ad un ipotetico “ultimo atto” (l’approvazione da parte del Senato della
legge elettorale in una versione modificata rispetto al testo precedente, ma
senza eliminare i difetti e le criticità; e l’approvazione, in seconda lettura, alla
Camera della riforma del Senato approvata l’8 agosto scorso, senza avere
eliminato i problemi di fondo) è necessario ribadire con forza che se
passeranno i provvedimenti in questione (pur non in via definitiva) si
realizzerà un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico.
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Non è più tempo di inascoltate argomentazioni e bisogna fermarsi all’essenziale,
prima che sia troppo tardi.
Una legge elettorale che consente di formare una Camera (la più
importante sul piano politico, nelle intenzioni dei sostenitori della riforma
costituzionale) con quasi i due terzi di “nominati”, non restituisce la
parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno
diritto per norme costituzionali. Una legge elettorale, oltretutto, che
dovrebbe contenere un differimento dell’entrata in vigore a circa un anno,
contrariamente a qualunque regola o principio (le leggi elettorali si fanno per
l’eventualità che ci siano elezioni e non dovrebbero essere soggette ad accordi
particolari, al di là di ogni interesse collettivo).
Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una
vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività.
Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla
Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza,
sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese
civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione
(in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare
intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della
governabilità).
Un sistema parlamentare non deve essere necessariamente
bicamerale. Ma se si mantiene il bicameralismo, pur differenziando
(come ormai è necessario) le funzioni, occorre che i due rami abbiano
la stessa dignità, lo stesso prestigio, ed analoga elevatezza di compiti e che
vengano create le condizioni perche l’eletto, anche al Senato, possa svolgere le
sue funzioni “con disciplina e onore” come vuole l’articolo 54 della Costituzione.
Siamo dunque di fronte ad un bivio importante, i cui nodi non possono essere
affidati alla celerità ed a tempi contingentati.
In un momento di particolare importanza, come questo, ognuno deve
assumersi le proprie responsabilità, affrontando i problemi nella loro reale
consistenza e togliendo di mezzo, una volta per tutte, la questione del preteso
risparmio con la riduzione del numero dei Senatori, perché uguale risultato
potrebbe essere raggiunto riducendo il numero complessivo dei parlamentari.
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Ai parlamentari, adesso, spetta il coraggio delle decisioni anche
scomode; ed è superfluo ricordare che essi rappresentano la Nazione ed
esercitano le loro funzione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione)
e dunque in piena libertà di coscienza.
Ai partiti, se davvero vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed
alla politica, compete di adottare misure e proporre iniziative
legislative di taglio riformatore idonee a rafforzare la democrazia, la
rappresentanza e la partecipazione anziché ridurne gli spazi.
Ai cittadini ed alle cittadine compete di uscire dal rassegnato silenzio,
dal conformismo, dalla indifferenza e far sentire la propria voce per
sostenere e difendere i connotati essenziali della democrazia, a partire
dalla partecipazione e per rendere il posto che loro spetta ai valori
fondamentali, nati dall’esperienza resistenziale e recepiti dalla Costituzione.
L’Italia può farcela ad uscire dalla crisi economica, morale e politica, solo
rimettendo in primo piano i valori costituzionali e le ragioni etiche e di buona
politica che hanno rappresentato il sogno, le speranze e l’impegno della
Resistenza.
Dipende da tutti noi.
L’ANPI resterà comunque in campo dando vita ad una grande mobilitazione per
informare i cittadini e realizzare la più ampia partecipazione democratica ad un
impegno che mira al bene ed al progresso del Paese.
La Segreteria Nazionale ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia)
Roma, 16 gennaio 2015

Legge elettorale, Roma, Quirinale: il M5S deve essere decisivo (dipende solo da lui) da:micromega

Dall’impasse di Renzi e Berlusconi sulla legge elettorale alla situazione del comune di Roma dopo l’esplosione di Mafiacapitale, fino all’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Ecco come il Movimento 5 Stelle potrebbe essere protagonista in modo straordinariamente efficace. Perché continua a giocare di rimessa?
di Paolo Flores d’Arcais

Cari parlamentari eletti nelle liste M5S, come vostro rappresentato vi sottopongo alcune riflessioni che certamente terrete in considerazione.

La forza che col nostro voto vi abbiamo dato può esercitarsi nella attuale situazione – di crisi morale politica ed economica sempre crescente – in modo straordinariamente efficace. Faccio solo tre esempi: la legge elettorale, la situazione del comune di Roma dopo l’esplosione di Mafiacapitale, l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.

La legge elettorale continua ad essere elemento cruciale della trattativa tra Renzi e Berlusconi, e una pietra d’inciampo dell’accordo politico-istituzionale tra i due. Il M5S potrebbe, come si dice nell’unico gergo con cui ormai i media parlano di politica, quello calcistico, entrare a gamba tesa, o con una metafora scacchistica, compiere la “mossa del cavallo”, insomma diventare protagonista, utilizzando i nostri voti, anziché spettatore passivo, ibernandoli o dissipandoli. E partecipare come protagonisti non significa affatto edulcorare la propria radicalità, ma anzi esercitarla davvero anziché conservarla nella teca delle parole.

Cosa che invece il M5S continua a fare, ripetendo come un mantra che sul sistema elettorale la decisione è già stata presa perché “rete locuta causa finita”. Ma con queste superstizioni non si fa politica radicale, perché per essere radicale una politica deve essere innanzitutto azione.

Ora, proprio l’impasse in cui Renzi e Berlusconi si trovano per la legge elettorale vi offre (ci offre!) l’occasione di diventare protagonisti, di lanciare voi (noi!) una proposta che ponga il M5S al centro della scena politica e costringa gli altri a misurarsi con la propria (vostra, nostra) radicalità. Basterebbe mettere sul tappeto il sistema uninominale a due turni, con ballottaggio al secondo fra i due più votati al primo (erroneamente lo si definisce “alla francese” benché in Francia al secondo turno possano passare anche un terzo e un quarto candidato, se hanno ottenuto il 12,50% al primo, con possibilità di pastette fra partiti per il “désistement”).

È il sistema con cui si eleggono i sindaci. Oltretutto è proprio il sistema che ha permesso al M5S di compiere il grande salto (prima della vittoria di Pizzarotti a Parma le prospettive non erano certo un quarto e oltre dei voti), inoltre è il sistema elettorale più amato dagli italiani poiché per i sindaci funziona benissimo, e infine Renzi e Berlusconi dovrebbero arrampicarsi sugli specchi per rifiutarlo, perché in vari momenti i rispettivi partiti lo hanno magnificato (anche se ora per calcoli di bottega immediati non lo vogliono più). Perché dunque non fare di questo tema un vostro (nostro!) agire politico, anziché lasciare campo libero alle varie componenti della Casta?

Roma, devastata da Mafiacapitale, offre un’occasione ancora più imperdibile. Marino è persona onesta, e costantemente in conflitto col Pd (che aveva ormai deciso di farlo fuori). Ha commesso e continua a commettere gaffes, stupidaggini, errori. Ma è pur sempre giulebbe rispetto a quello che passa il convento partitocratico affaristico-criminale (ora tutti i media si sbracciano a dire che erano cose note, ma quando alcune rarissime testate parlavano della destra di Alemanno come criminale, e di mezzo Pd anche, era tutto uno stracciarsi di vesti contro i “giustizialisti”, “manettari” e “girotondini-giacobini”). Perché il M5S continua a giocare di rimessa anziché ad agire da protagonista?

Infatti significa giocare di rimessa lasciare che le proposte (perfino alquanto ragionevoli) vengano da Rutelli e siano riprese da Marino, mentre sarebbe agire da protagonisti prendere l’iniziativa e proporre in modo ultimativo e credibile a Marino la costituzione di una “giunta degli onesti”, cambiando tutti gli assessori, discutendoli insieme a partire dalle competenze presenti nella società civile, che lo stesso M5S dovrebbe individuare e proporre. Che senso ha ridursi invece ad un altro mantra, quello dello scioglimento o commissariamento, che in concreto significa affidare il governo della città ad una persona scelta dal ministro dell’Interno, il cui nome è Angelino Alfano? Cosa è più radicale? Oggi uno dei “cinque” del direttorio ha giustamente chiesto per il M5S la presidenza dell’assemblea comunale e della commissione alla trasparenza. Ma perché chiamarsi fuori da una “giunta degli onesti”? Non nel senso di farne parte con propri esponenti (neanche esponenti del Pd dovrebbero farne parte) ma di indicarne e discuterne i nomi tratti dalle competenze della società civile.

Quanto alla Presidenza della Repubblica: perseverare diabolicum, come è noto. E si rischia di perseverare se si continua a dire che nella scorsa occasione si è fatto il massimo e il meglio in coerenza con i valori del movimento. Non è vero. Si poteva, e si può, fare di più, senza perdere di radicalità, anzi. Si tratta, come al solito, di occupare il luogo strategico dello scontro, anziché giocare di rimessa o collateralmente, accomodandosi nella mera testimonianza.

Se se vuole fare decidere alla rete la rosa dei primi dieci nomi, si faccia, ma assai più seriamente. Con una discussione sul sito che cominci subito, che comporti proposte argomentate, e discussioni su ciascuno di essi altrettanto argomentate, che sia aperta agli elettori e non solo ai militanti (oltretutto quelli “certificati” e entro una certa data), che veda esprimersi apertamente i vari deputati. Allora, a conclusione di questa elaborazione collettiva di settimane, il voto avrebbe un significato non occasionale, non semplicemente emotivo, non prono alla mera notorietà mediatica (e anzi di quel medium che è un sito generalmente troppo autoreferenziale: quel sito infatti sarebbe stato aperto quanto più possibile a simpatizzanti ed elettori).

A questo punto i dieci nomi dovrebbero essere affidati ai parlamentari, per dare al M5S i margini di manovra necessari in qualsiasi azione che si svolga in Parlamento, e massime in una elezione del Presidente della Repubblica, dove votazione per votazione cambia lo scenario e la possibilità di incidere efficacemente. I parlamentari ovviamente si sentirebbero moralmente obbligati a rispettare le indicazioni della rete, ma tra un indicato al primo posto che dopo varie votazioni non ha alcuna possibilità, e uno al terzo o quarto, che può diventare un outsider con effettive probabilità per i veti reciproci con cui gli altri partiti hanno bruciato i rispettivi candidati, consentire ai gruppi parlamentari di poter decidere non sarebbe certo opportunismo “contro la rete” ma possibilità di rendere efficaci le decisioni della rete, anziché velleitarie e di mera testimonianza.

Riforma elettorale e costituzionale, ma con quale idea di rappresentanza? Parla il rettore Fabrizio Cassella | Autore: marco piccinelli da: controlacrisi.org

Le riforme costituzionali e di riassetto del sistema di rappresentanza parlamentare stanno tenendo il banco della discussione politica da molti mesi, per non parlare di anni. Il dibattito tra le varie organizzazioni politiche è molto serrato circa l’elettività del Senato e l’immunità dei suoi futuri senatori, cioè i rappresentanti delle regioni, un po’ come – nei fatti – è il Bundesrat tedesco.
L’altro dibattito è quello sulla legge elettorale: dopo la sentenza 1/2014 della Corte Costituzionale che eliminava gli elementi di incostituzionalità del ‘porcellum’, il Parlamento sta cercando di mettere in piedi una nuova legge elettorale. Del quadro politico che si è andato a formare, di riforme costituzionali, di rappresentanza e partecipazione popolare ne abbiamo parlato con Fabrizio Cassella, costituzionalista e rettore dell’Università della Val d’Aosta.Di riforme costituzionali e di superamento del bicameralismo se ne parla da anni. Dopo molto tempo, però, pare si sia arrivati ad una strettoia che, pur essendo tale, sembra decisiva. Il tavolo Pd/M5S, però, salta, nonostante le riprese da entrambe le parti. Qual è, secondo lei, l’istantanea del quadro politico attuale?
È una situazione di corsa verso una meta non ben identificata. Mi pare che la velocità di Renzi sia indubbia quanto anche, però, per alcuni versi immotivata, se si stanno a vedere gli obiettivi. Mi spiego: le riforme costituzionali, per definizione, hanno un significato se sono condivise. Questi continui strappi, queste accelerazioni continue, fanno sì che si aumenti la resistenza. Per definizione nei confronti delle riforme costituzionali, si sviluppa resistenza. Questo, peraltro, è un aspetto virtuoso del sistema cioè quello del cercare di riflettere prima di abbandonare una strada e di intraprenderne un’altra.
Questa resistenza, però, inizia ad essere sempre più stimolata da questi stop&go continui. Il rischio che io vedo, francamente, è che alle riforme ci si arrivi ma che esse poi siano solo rappresentative di un refrain.
Come dire: ‘le abbiamo fatte’ senza porsi la domanda del ‘ma in cosa consistono?’.
Ormai ‘le riforme’ sembrano quasi un mantra: nella trasmissione ‘In Onda’ di qualche giorno fa, trasmessa dall’emittente La7, era presente Catricalà che, interpellato, affermava criticamente: ‘Va bene tutto, ma per ora si sono scritte solo delle copertine, non ancora i contenuti’.
In realtà, comunque, non pongo la questione su un piano critico, è ovvio che chi affronta la questione delle riforme corre rischi enormi. Quindi, tanto di cappello a chi ha deciso di farne un punto d’orgoglio. Come cittadino, certo, va bene se si fanno ma bisogna vedere il contenuto delle stesse, non tanto sul piano ‘è meglio un Senato piuttosto che un altro’ o ‘meglio una legge elettorale piuttosto che un’altra’ ma sul fatto che l’obiettivo finale a cui si tende, e che ora mi pare sia un po’ confuso, sia poi effettivamente raggiunto.

Già nella nostra precedente intervista del 14 ottobre 2013, parlavamo di superamento del bicameralismo perfetto e di ipotesi del Senato delle regioni e delle autonomie. Ora, il superamento del bicameralismo perfetto si traduce, nella proposta del Partito democratico, in un Senato non elettivo.
Lei che idea si è fatto a riguardo, anche come esponente di un’autonomia come quella Valdostana?
Ci sono due aspetti diversi: le competenze e la composizione. Sulle competenze, quindi sul superamento del bicameralismo perfetto, cioè, riduzione dei tempi della complessità e dell’incertezza del contenuto nella formazione delle leggi, questo va nel senso della semplificazione.
E, inoltre, della formazione di un processo decisionale più efficiente. È chiaro che il prezzo è quello della composizione di interessi più ampi: se riduco l’ambito dove viene assunta la decisione e riduco i tempi lascio fuori qualcosa in termini di condivisione, di considerazione di interessi contrapposti et cetera. Però, probabilmente, questa è un’esigenza sentita e che io vedo soprattutto dal punto di vista della certezza dei contenuti, cioè: il problema grosso del nostro bicameralismo perfetto è sintetizzato dal fatto che un disegno di legge parte con ottimi propositi – e con un drafting legislativo, anche funzionale al raggiungimento di essi – ma che alla fine arriva ad essere un documento finale che ha tenuto conto di tutto che, però, non corrisponde più all’obiettivo iniziale. O non è più funzionale al raggiungimento di quegli obiettivi. E questa è una degenerazione del sistema che va corretta. Per quanto riguarda la composizione vige un dibattito più serrato: da parte di alcuni colleghi, ad esempio, c’è l’opinione che è la Nazione che deve essere rappresentata attraverso le sue componenti e che non può essere altrimenti, ovvero, devono essere i cittadini che eleggono i componenti del Senato.

E’ vero, ma dall’altra parte c’è anche, come dire, il modello ‘lato sensu’ federalista, cioè dove i rappresentati non sono i cittadini ‘uti singuli’ ma le comunità territoriali.
Che l’attuale disegno di legge, che pare che la prossima settimana arrivi in aula, corrisponda questo secondo modello, sì corrisponde. Ma nel senso che c’è lo strumento. Il problema è che, a monte, ci sono i territori da rappresentare? Non lo dico col dubbio che ci siano comunità con una propria cultura, storia, tradizioni, costumi, perché quello è fuori da ogni dubbio. Il problema è se queste comunità si percepiscono loro stesse come un elemento di unità, certamente composito, ma che si riconoscono in una matrice unitaria da fare in modo da sedersi in una Camera assieme ad altri rappresentanti territoriali per portarvi le istanze del proprio in quella sede. Forse questa omogeneità dei territori non c’è. In fin dei conti continuiamo a basarci sull’idea che la nostra ripartizione territoriale è regionale… la nostra storia è comunale.

Non crede, però, a proposito di quello che ha detto circa il superamento del bicameralismo perfetto, che ci sia una strozzatura della rappresentatività?
Mi spiego: nei giorni scorsi Renzi ha dichiarato come sia più rappresentativo un consigliere regionale che ha preso milioni di voti che non, testualmente, «un Mineo o un Minzolini».
Se si volesse andare nello specifico, per la verità, neanche i deputati li ha scelti nessuno, secondo il ragionamento renziano, date le liste bloccate.
Quindi la questione delle preferenze della legge elettorale, estremamente connessa con la riforma costituzionale, è un tema che, secondo lei, si può ridurre in una tempesta in un bicchier d’acqua o è qualcosa di più ampio?
Concettualmente il problema è più ampio. Dopodiché, però, bisogna cercare di far coincidere le concezioni della rappresentanza nella loro ‘più che bicentenaria’ elaborazione dottrinale con l’applicazione pratica. A me pare che oggi noi siamo arrivati ad una concezione della rappresentanza molto strumentale, cioè, si ha necessità di uno strumento per poter attribuire alla volontà di tutti la decisione di pochi. Oggi però la mano è più calcata. Costruisco un’assemblea ma essa, in realtà, è il portato di una serie di partiti con le loro liste (domani, forse, se passa la riforma del Senato, gli ambiti territoriali, le regioni eccetera) ma non ha nulla a che fare con il rapporto tra mandanti/mandatari, elettori/eletti, rappresentanti/rappresentati.
Cioè, il rappresentante, il deputato, che torna nel suo collegio, che ‘porta la notizia’ dalla Capitale, si confronta con le esigenze del territorio e della comunità, si rende portavoce di un’istanza, è antistorica: faceva parte della concezione di Edmund Burke in un contesto completamente diverso.
Oggi, secondo me, ci siamo ridotti all’essenza minima: cioè, io ho bisogno di poter fare in modo che una decisione sia imputabile a tutti.
Per fare questo si cerca nel modo più vicino alla tradizione, cioè l’elezione, oppure vado anche all’estremo opposto, cioè il sorteggio, come teorizzato da costituzionalisti francesi contemporanei. Tutto sommato, noi oggi siamo diventati, come opinione pubblica un po’ protestanti, noi che abbiamo una cultura cattolica.
Perché? Perché cerchiamo di introdurre il controllo della collettività rispetto all’operato, che è un controllo che normalmente, però, nei paesi veramente a cultura prestante, cioè dove il protestantesimo ha influenzato la cultura politica, il controllo è preventivo.
Basti pensare all’atteggiamento degli americani per cui se si ha solo un’ombra moralmente percepita come ‘non pulita’, non ci si può candidare.
In Italia, da questo punto di vista, siamo fortemente cattolici perché stiamo a sentire le promesse di questo o quell’esponente politico ma, a posteriori, diventiamo un po’ protestanti dicendo ‘quel rappresentante X ha tradito la fiducia’.
Si cerca di creare una sorta di controllo rispetto al codice morale della collettività che viene elaborato volta per volta, situazione per situazione e, in quel momento lì, conta poco qual è la tua investitura.
Fino ad ora, l’investitura di tutti i soggetti che riempiono le pagine della cronaca più bieca, cioè quella dello sperpero del denaro pubblico, è un’investitura elettiva che è passata attraverso delle fasi elettorali. Poi, certo, nell’ultima fase della vita repubblicana, queste fasi elettorali sono state tali per cui non c’è più stato il voto sulla persona ma sui listini, quindi andando ad attenuale il rapporto elettore/eletto.

A tal proposito, in questi giorni si fa un gran parlare di immunità, riguardo quello che dovrà essere il ‘Bundesrat’ italiano. I consigli regionali, però, sono stati i più grandi ‘contenitori di scandali’, tra corruzione et similia. Penso al Lazio, all’Abruzzo, al Veneto, alla Sardegna, alla Campania, al Piemonte. Quella dell’immunità per i Senatori/Consiglieri regionali non rischia di essere un’arma a doppio taglio?
Vista così di pancia, come ognuno di noi la vede, è sacrosanto. Se si vuole vederla in una prospettiva più lunga, ci si dovrebbe chiedere ‘posso, oggi, rinunciare ad una garanzia (oggi sfruttata) per un futuro nel quale si ammetterà che, effettivamente, l’esigenza di tenere sufficientemente protetta la rappresentanza politica da un esercizio improprio delle funzioni giurisdizionali, soprattutto quelle inquisitorie?’.
Mi è perfettamente chiaro che è contrario alla sensazione di qualunque cittadino, ma forse anche del buon senso!
Però, dal punto di vista delle soluzioni tecniche è un po’ quando il medico dice ‘guardi quest’intervento è da fare’, nonostante il paziente si senta benissimo. Il problema non è l’imminenza dello stato ottimale di salute del paziente, quanto la malattia che potrebbe degenerare a lungo andare nel tempo, quindi il dottore farà in modo che l’operazione si realizzi nel più breve tempo possibile.
Questo fatto dell’immunità la si prenda quasi come una medicina amara in questo senso.

Un po’ come il proemio della Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso… («Così a l’egro fanciul porgiamo aspersi di soavi licor gli orli del vaso: succhi amari ingannato intanto ei beve, e da l’inganno suo vita riceve»)
Esatto, proprio così!

C’è anche un tema che riguarda la partecipazione popolare, in tutto questo, però. In un periodo di astensione fortissima in termini elettorali, di populismi, c’è una forte richiesta di partecipazione politica. Non crede che il Senato non eletto andrebbe a restringere questa ‘pulsione’ partecipativa, così come sarà per le leggi di iniziativa popolare? E’ una medicina amara anche questa?
No, non è una medicina amara. I temi sono due: l’iniziativa popolare, in questo caso legislativa, e l’altro è l’elezione dei componenti della seconda Camera. Partendo dal secondo tema, l’elezione dei componenti della seconda Camera fanno il paio col discorso che facevamo prima, cioè: che cos’è che è ‘rappresentato’? Sono rappresentati i cittadini singolarmente, cioè quelli legittimano che con il voto il ruolo, o sono rappresentate delle comunità maggiormente organizzate? Che poi, magari, non le percepiamo come tali, ma l’obiettivo non è quello di non rendere rappresentativa la seconda Camera, ma renderla rappresentativa di altro.

Oggi noi abbiamo le due Camere che rappresentano lo stesso soggetto: il ‘rappresentato’ è uguale. Si potrebbe cercare la differenza tra l’elettorato attivo e passivo ma lo vedo più come un escamotage per ricercarne una qualche forma di differenziazione che non la sostanza effettiva.
Si tratterebbe, in questo caso, di cambiare il ‘rappresentato’: le comunità organizzate ce le ho dentro il Senato mentre, la Nazione (come dicevamo prima) e il ‘singolo’ alla Camera. Il Presidente di Regione che va al Senato, però, è stato eletto dalla sua comunità, quindi non va lì in forza di un mandato dall’alto, va lì in quanto esponente scelto dai cittadini di una comunità territoriale. Va al Senato per rappresentare la comunità territoriale nella sua omogeneità, per quanto lo possa essere. Il problema è se l’organizzazione di queste comunità sia oggi rispondente al sentire comune e al governo territorio. Quindi torneremmo al discorso che stavo facendo prima, la rappresentanza comunale.
Tra il dire che il soggetto rappresentato è diverso e dire che non c’è rappresentanza, secondo me, c’è un passaggio in mezzo. La rappresentanza c’è ma è di altro, non degli stessi soggetti che sono rappresentati alla Camera.

Sulle firme per le leggi d’iniziativa popolare, effettivamente, sono un po’ più critico. È vero che i lavori Parlamentari sono intasati da ogni genere di iniziativa, però non sono quelle di iniziativa popolare quelle che creano problemi.
E infatti quest’innalzamento del numero delle firme potrebbe essere percepito non molto bene dall’opinione pubblica.
Sembra essere un provvedimento senza ‘ratio’ che rischia di suonare come uno sfregio della partecipazione.

“Tutti a Roma per fermare la controriforma Renzi/Berlusconi” L’appello di Pancho Pardi Tratto da: temi.repubblica.it

calderoli-finocchiaro-riformeL’appello di Pancho Pardi

di Pancho Pardi – 3 luglio 2014
Prepariamoci ad andare davanti al Senato il giorno in cui comincerà in aula la discussione della riforma istituzionale. Ancora non sappiamo quando ma teniamoci pronti. Abbiamo alcuni buoni motivi per farlo.

Il primo. Questo Parlamento composto da nominati in base a una legge elettorale incostituzionale non ha alcuna legittimità a modificare la Costituzione. Solo Camere elette con una legge che restauri il principio dell’articolo 48 (il voto è personale ed eguale) ne avranno il diritto.

Al contrario la legittimità invocata dal governo Renzi poggia su due argomenti inconsistenti.
Le riforme le avrebbe volute il popolo quando ha votato per lui nelle primarie del PD. Renzi, come Berlusconi, è un analfabeta costituzionale: le primarie del PD non sono il suffragio universale e in ogni caso chi l’ha scelto come candidato leader del partito non ha sottoscritto in anticipo le fantasie che ha partorito dopo (il Senato come dopolavoro dei sindaci).

In secondo luogo il successo nelle elezioni europee non sostituisce un successo ancora futuribile nelle elezioni politiche. Nè conferisce nobiltà istituzionale alla chirurgia di partito che l’ha innalzato al vertice del potere politico. La realtà è semplice e cruda: i parlamentari del PD si sono consegnati a lui perché, a torto o a ragione, avevano fiutato che con lui avrebbero portato a termine la legislatura. Dopo di che venga pure il diluvio.

Il secondo motivo. Le riforme non sono di Renzi. Sono di Berlusconi e Renzi e già questo basterebbe ad aumentare la diffidenza. Sono il prodotto di un patto oscuro i cui termini reali sono ignorati anche da parte della classe dirigente PD. Alcune voci della stampa hanno ad esempio già parlato di una promessa di grazia a Berlusconi, anche di fronte a nuove eventuali condanne, mantenuta dal futuro presidente della Repubblica.
Al di là delle illazioni, e senza troppi tecnicismi, le riforme sono pessime.

La legge elettorale è platealmente incostituzionale come quella attuale: con un mostruoso premio di maggioranza mantiene il voto diseguale ed esclude dalla rappresentanza politica milioni di cittadini. Se mai dovesse essere approvata e promulgata faremo scattare decine di ricorsi analoghi a quello che ha prodotto la dura critica della Corte Costituzionale alla legge attuale.

La riforma del Senato è un brutto pasticcio con un fine chiarissimo. Il pasticcio: non è più, forse, il dopolavoro sindaci ma sarà, forse, il dopolavoro consiglieri regionali. Le sue competenze sono aumentate rispetto al disegno originale, ma l’aumento (insufficiente perché sottrae al Senato importanti questioni di diritto universale) è un espediente retorico per mascherare il declassamento.

Il fine: declassare il Senato e lasciare intatta la Camera, formata sulla base di una legge elettorale ultramaggioritaria, permette al partito che prende più voti un dominio assoluto: dittatura della maggioranza e dittatura del leader sulla sua stessa maggioranza. Svuotare il Senato significa fare della Camera, unica assemblea elettiva, un organismo prono al volere del capo. Era il sogno di Berlusconi: Renzi sta applicando il programma che Berlusconi non era riuscito a realizzare.

La rappresentanza politica non conta più nulla, la governabilità è tutto. Con la stessa logica i provvedimenti del governo Renzi svuotano dall’interno l’articolazione democratica e i diritti sindacali dei grandi organismi pubblici (scuola, amministrazione).

Il sindaco di Firenze faceva il “mestiere più bello del mondo” ma alla prima occasione se n’è liberato per farne un altro ancora più bello. Ma è rimasto sindaco: si comporta come se fosse stato eletto direttamente dal popolo. Invece si trova dov’è non per volontà del popolo ma per volontà del suo partito o, meglio ancora, perché il suo partito si è arreso alla sua volontà.

Lottare per più di un decennio contro Berlusconi e ritrovarsi nelle mani di Renzi non è un destino accettabile. Chi ha impedito a Berlusconi, leader della destra, di rovinare la Costituzione non può lasciare che lo faccia Renzi, che si dice di centrosinistra. Aggiornare la Costituzione si può fare ma va fatto con sapienza ed equilibrio e soprattutto senza farsi prendere la mano dall’analfabetismo costituzionale.

Facciamo appello a tutti i parlamentari dotati di spirito democratico affinché sappiano comportarsi in commissione e in aula con dignità e onore.
Facciamo appello ai cittadini affinché sentano il bisogno di manifestare in prima persona il loro diritto-dovere di custodi della Costituzione.

Scambiamoci la promessa di ritrovarci tutti insieme, senza sigle e senza bandiere, davanti al Senato il giorno in cui la legge andrà in aula.
Appena sarà noto il giorno tutti pronti a partire per Roma.

Tratto da: temi.repubblica.it

Legge elettorale, la governabilità al di sopra di tutto, ecco il punto in comune di M5S e Renzi Autore: marco piccinelli da: controlacrisi.org

Chi voleva il gossip, il dibattito calcistico del ‘ha vinto Grillo!’, ‘no, macché, ha vinto Renzi’, è restato a bocca asciutta in pieno deserto.
Il confronto tra Movimento 5 stelle e Partito Democratico è stato serrato e non ha lasciato spazio ad interpretazioni doppie.
La prima differenza che si nota è materiale, di presenza: Beppe Grillo non c’è. Al contrario Matteo Renzi, che in un primo momento aveva detto di non poter partecipare delegando il vicesegretario del partito Guerini, ha partecipato all’incontro.
La delegazione del Pd era così composta, oltre a Matteo Renzi c’erano Debora Serracchiani (vice segretaria), Roberto Speranza (capogruppo alla Camera dei Deputati), Alessandra Moretti (eurodeputata neo eletta).
I cinque stelle si presentavano con Danilo Toninelli (deputato), Luigi di Maio (vice presidente della Camera) e i capigruppo al Senato Giuseppe Brescia e Maurizio Buccarella.

Poco prima dell’evento, trasmesso in streaming dal sito della Camera, da Rainews24 e da ‘la Cosa’, il professore Becchi scrive un post per il Blog di Beppe Grillo, digitando così: «La legge elettorale è un nodo da risolvere, spartiacque per la vita politica futura del paese. Dopo che la Consulta ha dichiarato che due punti fondamentali del Porcellum sono incostituzionali, Pd e Forza Italia hanno trovato l’intesa su un disegno di legge che presenta gli stessi profili di illegittimità di quella precedente. Con un grande gesto di responsabilità politica, l’opposizione ha offerto al principale partito del Paese di discutere una proposta alternativa che introdurrebbe in Italia un sistema elettorale in grado di bilanciare rappresentatività e governabilità. Anche gli organi di informazione si sono dovuti piegare alla realtà dei fatti ed ammettere che esiste un’alternativa e questa è già una grande vittoria per il M5S».

Le 14:30 arrivano, lo streaming parte e Movimento 5 Stelle e Pd sono di nuovo faccia a faccia.
Ma c’è qualcosa di molto diverso. I parlamentari pentastellati, qualsiasi sia il giudizio politico di chi legge queste righe, stanno lavorando con spirito di sacrificio e con grande dedizione.
Il frutto del loro alacre lavoro si è potuto sentire e vedere, dunque, attraverso la voce e i fogli che distribuiva Toninelli dalla sua postazione del tavolo, frontale al segretario del Partito Democratico.
I cinque stelle sono entrati nel terreno di traduzione del Partito Democratico e, verrebbe quasi da dire, i democratici ne sono fin troppo impacciati.
Ci si pizzica poco durante i primi minuti del confronto, si è attenti al primo relatore (Toninelli) che illustra la proposta chiamata Democratellum. Poi chiamata Toninellum e Complicatellum da Renzi nel corso del confronto.
Si ascolta e si interrompe poco.
Quando prende la parola Renzi che, oltre ad essere il segretario del Pd e Presidente del Consiglio dei Ministri, è l’uomo che aveva bollato con un ‘chi?’ un componente del suo stesso partito: qualche frecciatina vola. Ma i 5 stelle non cadono nel suo tranello, stavolta nervi saldi. Possono non piacere, ma sono cresciuti in maniera esponenziale.

Comunque sia, la proposta di Toninelli, come quella di Renzi, è – di fatto – a stampo maggioritario. Articolata e molto molto complessa sul voto delle preferenze che limiterebbe il voto di scambio, ma chiara su alcuni punti cardine: collegi uninominali molto piccoli, sbarramento al 5% per le liste, voto di preferenza.
«Abbiamo paura che possa capitare con l’Italicum quello che è capitato col Porcellum: pensiamo che Italia non si possa permettere una crisi istituzionale di otto anni come è capitato col Porcellum», ha dichiarato Danilo Toninelli nel corso dell’incontro.
«Dopo le elezioni ci sarà, quindi, una rosa di partiti ridotta e ci sarà una governabilità certa», conclude Toninelli. Di Maio, invece, porta gli esempi del 2006 quando la coalizione di Centrosinistra fu fatta cadere dai voti di Mastella e dalla sua piccola pattuglia, così come lo strappo Fini/Pdl aveva messo in moto il cataclisma che avrebbe poi portato alla nascita di Fli-futuro e libertà per l’Italia.
Nel documento della legge elettorale proposta dal Movimento 5 Stelle si legge: «Ci si attende pertanto che il sistema produca i seguenti effetti: un Parlamento rappresentativo di più forze politiche capaci di attrarre un certo consenso elettorale; esclusione dei partiti piccoli e piccolissimi, salvo quelli molto forti a livello regionale; incentivo alla stabilità intrapartitica; facilitazione alla creazione di maggioranze stabili; rafforzamento delle opposizioni parlamentari, anch’esse concentrate in pochi gruppi di minoranza e quindi in grado di svolgere con più forza la loro funzione di controllo, di proposta e di critica. Si tratta dunque di un sistema proporzionale che, pur incentivando le forze politiche ad aggregarsi prima del voto, non impone fittizie e artificiose costrizioni bipolari».

Da parte del M5S si propone come proporzionale la legge esposta per bocca di Toninelli che, per la verità,di proporzionale non ha molto e infatti, nel documento messo a disposizione dal portale di Grilli, si può ben leggere: «In quest’ottica è rivolta la scelta della rete a favore di un sistema proporzionale sensibilmente corretto con circoscrizioni di ampiezza intermedia. La formula proporzionale di attribuzione dei seggi viene preferita perché garantisce maggiormente la rappresentatività del Parlamento. Il sistema proporzionale non è però puro essendo sensibilmente corretto allo scopo di raggiungere una genuina governabilità del Paese».Corretto, dunque, ma che non va bene a Renzi: ci deve essere un doppio turno, chi vince deve governare. Si deve avere la certezza che, la sera delle elezioni, ci sia un vincitore scandisce il Primo Ministro e segretario del Pd. Inizia qualche battibecco quando entrambe le parti iniziano a rinfacciarsi questioni importanti: la questione delle preferenze ha portato Di Maio a far luce sul fatto che l’unica forza politica a non aver portato indagati e corrotti è stata la sua, al contrario di quella rappresentata dal segretario Renzi.

In sintesi, le resistenze renziane si fondano su alcuni blocchi: il doppio turno e il premio di maggioranza perché «vogliamo fare in modo, per il rispetto dei cittadini, che non ci siano più larghe intese». Non proprio una frase da Matteo Renzi che governa assieme al Nuovo Centrodestra di Alfano, a riprova della messa all’angolo del segretario adoperata dai 5 stelle.
Gli ultimi minuti i più infuocati ma con la proposta di aggiornarsi in un secondo incontro da tenere a breve, secondo di Maio la legge elettorale va fatta entro 100 giorni. Staremo a vedere, certo è che il confronto di oggi ha mostrato come se il M5S si confronta sul terreno del Pd, per i democratici l’asfalto si fa terribilmente scivoloso: l’alibi ‘Grillo urla’, stavolta, non c’è stato

Altro che Italicum, la Cassazione a Napolitano: tornare subito al voto da: affaritaliani.it

Altro che Italicum, la Cassazione a Napolitano: tornare subito al voto

ESCLUSIVO AFFARITALIANI.IT/ Sentenza clamorosa della Cassazione. Dopo la Consulta, che a gennaio aveva dichiarato incostituzionale l’attuale legge elettorale, arriva il pronunciamento decisivo della Suprema Corte. Che mette nero su bianco una serie di considerazioni che potrebbero portare, secondo gli avvocati che hanno patrocinato la causa, addirittura a una impossibilità da parte del Parlamento a cambiare la legge elettorale

Mercoledì, 30 aprile 2014 –

Sentenza clamorosa della Cassazione. Dopo la Consulta, che a gennaio aveva dichiarato incostituzionale l’attuale legge elettorale, arriva il pronunciamento decisivo della Suprema Corte. Che mette nero su bianco una serie di considerazioni che potrebbero portare, secondo gli avvocati che hanno patrocinato la causa, addirittura a una impossibilità da parte del Parlamento a cambiare la legge elettorale. Insomma, l’Italicum di Renzi potrebbe essere approvato solo a fronte di nuove elezioni. Gli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani, in una lettera al presidente della Repubblica, scrivono: “Vorremmo attirare la Sua attenzione sulla importantissima recente sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, n. 8878/14 del 4 aprile 2014, nella quale, con l’efficacia del “giudicato erga omnes ” è stato accertato e dichiarato che “…i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento…”.

Dopo questa premessa, arriva la parte decisiva: “Il principio di continuità dello Stato non può legittimare fino alla fine della legislatura le Camere elette in violazione della libertà di voto e che sono il frutto della grave ferita inferta “alla logica della rappresentanza consegnata dalla Costituzione”. Ciò comporterebbe una grave violazione del giudicato costituzionale e di quello della Corte di Cassazione, nonché una persistente inammissibile violazione della Costituzione. Si tratta di pronuncia che è destinata a spiegare i propri effetti proprio per il futuro e che, quindi, non può essere ignorata, poiché ha accertato con forza di giudicato l’avvenuta violazione del diritto di voto di tutti gli elettori italiani, non soltanto dei ricorrenti. Ne consegue che l’attuale Parlamento, stante ” la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica”, non ha alcuna legittimazione democratica per apportare modifiche alla vigente Costituzione, né per  modificare la legge elettorale risultante dalla sentenza n. 1/2014 della Corte Costituzionale. Auspichiamo, pertanto, che Lei, preso atto dell’ineludibile giudicato e dell’obbligo giuridico di darvi pronta attuazione, promuova gli atti necessari affinché il Popolo Italiano sia finalmente messo in grado di “esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto secondo il paradigma costituzionale”.