Legge di stabilità, i deboli restano scoperti Fonte: Il ManifestoAutore: Antonio Sciotto

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Tra il mini­stero dell’Economia e Palazzo Chigi si pre­para la legge di Sta­bi­lità che com­por­terà una mano­vra da 27 miliardi, e già il mini­stro Pier Carlo Padoan è costretto a fare un impos­si­bile zig zag tra le richie­ste a cui il governo pre­fe­ri­rebbe non rispon­dere: ma la mani­fe­sta­zione degli eso­dati di due giorni fa, che ha visto i sin­da­cati som­mati alla Lega di Sal­vini, non poteva pas­sare sotto silen­zio. E così ieri Padoan, nel corso di un que­stion time alla Camera, ha dovuto riba­dire che l’esecutivo «rico­no­sce il disa­gio» e che «valuta un nuovo inter­vento». Se man­cano i panini, forse arri­ve­ranno le brio­che , ma fatto sta che per ora le risorse non sono ancora state repe­rite: e invece il taglio dell’Imu e della Tasi per tutti — anche per i ric­chi con case di lusso e castelli — resta una priorità.

I sin­da­cati hanno aggiunto almeno altri due capi­toli urgenti, con richie­sta di rela­tiva rispo­sta, ma per il momento le loro quo­ta­zioni restano molto basse: l’adeguamento degli asse­gni da pen­sione e il rin­novo dei con­tratti del pub­blico impiego, come dispo­sto dalla Corte costi­tu­zio­nale con due dif­fe­renti sen­tenze (solo una, finora, ha avuto par­ziale sod­di­sfa­zione, con il pic­colo rim­borso già ero­gato ai pen­sio­nati lo scorso agosto).

Ma ieri è stata una gior­nata piut­to­sto posi­tiva per il governo, almeno sul fronte eco­no­mico, per­ché la poli­tica di Renzi è stata pre­miata dall’Ocse, che ha rivi­sto al rialzo le pre­vi­sioni del Pil per il 2015, rico­no­scendo un merito alla riforma del lavoro e più in gene­rale al Jobs Act. L’organizzazione pari­gina pre­vede che il Pil ita­liano cre­scerà dello 0,7% nel 2015, e quello dell’area euro dell’1,6%: in entrambi i casi la stima è supe­riore dello 0,1% rispetto alle pre­vi­sioni del mag­gio scorso.

Sono invece rivi­ste al ribasso di 0,2 punti le pre­vi­sioni per la cre­scita del 2016, all’1,3% per l’Italia e all’1,9% per l’eurozona. Per il nostro paese, tra le prin­ci­pali cause del mag­giore otti­mi­smo sul 2015 c’è il miglio­ra­mento del mer­cato del lavoro, con l’aumento della par­te­ci­pa­zione e della crea­zione d’impiego. Que­sto «ha dato un sup­porto ai con­sumi pri­vati, che quest’anno sono cre­sciuti più di quanto si fosse pre­vi­sto», dando un mag­giore con­tri­buto alla cre­scita. Inol­tre, nell’ultimo periodo «sono state fatte riforme impor­tanti, che stanno dando un traino all’economia». L’Italia bene­fi­cia inol­tre dell’impatto posi­tivo della cre­scita nell’area euro. Che però, avverte l’Ocse, ha fatto «meno di quanto si spe­rava viste le spinte favo­re­voli di prezzo del petro­lio più basso, euro più debole e tassi d’interesse a lungo ter­mine più bassi». Inol­tre, a fre­nare la nostra eco­no­mia, come anche quella euro­pea, potreb­bero essere le dif­fi­coltà pre­vi­ste nei pros­simi mesi per i paesi emer­genti, a par­tire dalla Cina.

La revi­sione in posi­tivo della stima sul Pil comun­que è un inco­rag­gia­mento per il pre­mier Renzi, che spera pro­prio nella cre­scita per poter attin­gere alla famosa «fles­si­bi­lità» Ue e avere in gene­rale più mar­gini: spera di otte­nere da Bru­xel­les il via libera per poter uti­liz­zare almeno 7 miliardi in più, gio­strando sul defi­cit (che comun­que vuole man­te­nere sotto il 3%), senza con­tare l’eventuale bene­fi­cio del calo degli inte­ressi sul debito.

«Smen­ti­sco che il governo abbia alcuna inten­zione di fare cre­scere l’indebitamento e farlo veleg­giare verso il 3%», ha spie­gato ieri Padoan. Il disa­vanzo, ha aggiunto, sarà «al 2,6% quest’anno e in discesa» negli anni suc­ces­sivi. Sul nego­ziato con Bru­xel­les per una mag­giore fles­si­bi­lità sui conti, il mini­stro ha riba­dito che «il governo ha già otte­nuto dalla Com­mis­sione Ue la clau­sola per le riforme» e adesso punta a quella per «gli inve­sti­menti». Il tutto, «per costruire una legge di Sta­bi­lità che faci­li­terà un’uscita non ciclica ma strut­tu­rale dalla reces­sione».
«Il governo sta valu­tando la pos­si­bi­lità» di «un nuovo prov­ve­di­mento di sal­va­guar­dia», ha poi detto il mini­stro dell’Economia sul nodo esodati.

Quanto alle indi­scre­zioni su circa 3 miliardi di pos­si­bili risparmi per una sovra­stima di alcune sal­va­guar­die, Padoan ha spie­gato che tali even­tuali risorse «a par­tire dal 2013 non hanno cer­tezza in quanto non è stata con­clusa la pro­ce­dura di cer­ti­fi­ca­zione». Ma, se que­sti risparmi fos­sero accer­tati, ser­vi­rebbe comun­que una «dispo­si­zione nor­ma­tiva» appo­sita per l’utilizzo.

«Non con­fon­diamo le acque — dichiara la Cgil — Le risorse per gli eso­dati e l’opzione donna ci sono. Nella legge di Sta­bi­lità va affron­tato il pro­blema dell’uscita fles­si­bile» in riforma della legge For­nero. La Cisl chiede di «ade­guare le pen­sioni e rin­no­vare i con­tratti pub­blici», e appog­giando «il taglio delle tasse sulla casa, ma non per i più ric­chi», vor­rebbe in più una riforma radi­cale del fisco, «che dia la pos­si­bi­lità di pagare meno tasse, mille euro in meno, a tutti coloro che, pen­sio­nati e lavo­ra­tori, non arri­vano ai 40 mila euro»

Sciopero, il governo insiste che intende abolirlo. Delrio “nomina” Sacconi e Ichino come plenipotenziari in Parlamento! Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Governo sempre più determinato a rivedere dalle fondamenta il diritto di sciopero. Così determinato che tutto quello che accade nella pubblica amministrazione, fino agli enti locali, viene strumentalizzato come un argomento a favore di una stretta ulteriore. E così il neoministro delle Infrastrutture Graziano Delrio passa il suo tempo a “monitorare” le proteste al sito archeologico di Pompei, piuttosto che all’Atac. Il quadro che ne trae così come quello del presidente del Consiglio Renzi, è impietoso, per lui. “Una cosa e’ chiedere un contratto collettivo che non venga rinnovato ogni dieci anni senza dover aspettare la Corte costituzionale, un’altra e’ timbrare il cartellino e poi non lavorare come il contratto impone. Chi non rispetta le regole non sta protestando ma sta facendo un atto di sabotaggio, di spregio verso il bene pubblico. Con loro si deve essere molto duri, nessuna timidezza”. Insomma, non pago di aver praticamente annullato gli scioperi a Milano con la scusa dell’Expo ora si scaglia contro tutto, il resto degli altri settori, e tutti, i lavoratori: per proclamare una astensione dal lavoro, laddove sarà ancora possibile considerato che tutto verrà “spammato” attraverso la definizione di “servizio pubblico essenziale” ci vorrà il referendum. Non ha fretta l’ex braccio destro di Renzi. Aspetta la legge. E nomina come suoi plenipotenziari, pensate un po’, due “paladini” della difesa dei diritti dei lavoratori Ichino e Sacconi. In un intervista comparsa oggi sul Corriere della Sera sfoga tutto il suo odio di classe contro i lavoratori e mostra i denti a chi intende portare avanti le sue rivendicazioni attraverso una qualche forma di mobilitazione. Ma ancora non basta, a quanto pare. Una causalità la contemporanea espulsione dalla Cisl del delegato a capo della rivolta a Pompei? Roma e a Pompei che c’azzeccano? “Possono sembrare molto diversi fra loro. Ma hanno anche qualcosa che le mette sullo stesso piano, sono beni comuni, appartengono alla collettivita’. E quindi credo sia giusto far rientrare la fruizione dei beni culturali tra i servizi pubblici essenziali”.
In questa prospettiva il cosiddetto “sciopero selvaggio” (che non lo è nei fatti) diventa inammissibile, anche se Delrio non ritiene opportuno un intervento diretto del governo su questa delicata materia: “Lo sciopero e’ un diritto tutelato dalla Costituzione e quindi credo sia meglio evitare un intervento diretto del governo. In Parlamento ci sono gia’ diverse proposte di legge, come quella dei senatori Maurizio Sacconi e Pietro Ichino, ad esempio, e c’e’ anche una proposta di iniziativa popolare”. Proposte in cui si ammette lo sciopero solo se proclamato dal 50% piu’ uno dei lavoratori e per Delrio si deve partire da qui, come anche “sono convinto- dice- che il referendum preventivo fra i lavoratori sia una buona idea”

Il vero obiettivo tedesco è l’eliminazione di Syriza da: il manifesto

Germania e Ue. La posta in gioco dietro il fuoco tedesco

Ancora una volta era sem­brato che l’accordo tra Ue e Gre­cia si potesse fare, rag­giun­gendo così l’obbiettivo di chiu­dere la bat­ta­glia ini­ziata con la vit­to­ria di Syriza nel gen­naio 2015, nono­stante l’obbiettivo vero delle auto­rità euro­pee sia sem­pre stato l’estromissione di Syriza dal governo. In que­sti mesi, infatti, quasi mai la posta in gioco dello scon­tro ha coin­ciso con le misure discusse. Bensì, da parte euro­pea, otte­nere l’adesione alla filo­so­fia del Memo­ran­dum. Ma que­sta sot­to­mis­sione al Memo­ran­dum che l’Eurogruppo voleva non c’è mai stata.

Le «Isti­tu­zioni», via via sem­pre più irri­tate dalla tat­tica nego­ziale di Tsi­pras, prima attac­ca­rono vio­len­te­mente Varou­fa­kis per espel­lerlo dalla trat­ta­tiva, e poi lan­cia­rono l’ultimatum al governo greco dopo la riu­nione «segreta» dei quat­tro (Com­mis­sione, Bce, Fmi e Eurogruppo).

A que­sta richie­sta fu rispo­sto no, con durezza, e le trat­ta­tive rico­min­cia­rono. Ma nono­stante le dif­fe­renze nelle misure da adot­tare si ridu­ces­sero, appa­riva chiara la volontà dell’Eurogruppo di accet­tare solo una resa com­pleta della Grecia.

E creb­bero le mano­vre euro­pee in Gre­cia per arri­vare a una sosti­tu­zione del governo di Syriza con uno di unità nazio­nale. A que­sto Tsi­pras rispose col refe­ren­dum, con­si­de­rato dagli euro­pei una mossa tal­mente ostile da dichia­rare, sia prima che subito dopo, che il refe­ren­dum ren­deva impos­si­bile la ria­per­tura delle trattative.

Tutti sap­piamo che la trat­ta­tiva si è ria­perta solo per l’esito quasi ple­bi­sci­ta­rio del refe­ren­dum, e per l’intervento pesante degli Stati Uniti. Dopo il refe­ren­dum e l’evidenza dei cal­coli poli­tici sba­gliati, gli Usa hanno ricor­dato bru­sca­mente agli euro­pei che i vin­coli geo­stra­te­gici non pote­vano essere un optio­nal subor­di­nato agli obbiet­tivi poli­tici intra-europei.

Rispetto a que­sto punto va valu­tata accu­ra­ta­mente la posta in gioco in que­sto momento. Che non può che essere che la soprav­vi­venza del governo di Syriza come obbiet­tivo asso­lu­ta­mente prio­ri­ta­rio. Evi­den­te­mente nel lato euro­peo sta pren­dendo di nuovo piede la posi­zione esat­ta­mente oppo­sta: che sia asso­lu­ta­mente prio­ri­ta­rio invece libe­rarsi di que­sto governo; e, in subor­dine, se que­sto non fosse pos­si­bile, libe­rarsi della Gre­cia nell’euro, pre­ci­pi­tan­dola in un caos che comun­que sia di monito a chiun­que volesse seguire quella via.

Solo così si spiega, infatti, la ria­per­tura vio­lenta dei gio­chi che sem­bra­vano taci­tati dall’intervento ame­ri­cano. Evi­den­te­mente pesano due moti­va­zioni entrambe vitali per la diri­genza tede­sca. La prima che que­sta rot­tura «poli­tica» della disci­plina dell’austerità era comun­que inac­cet­ta­bile per il con­ta­gio che avrebbe potuto pro­vo­care, indi­pen­den­te­mente dal con­te­nuto delle misure con­te­nute negli accordi. Ma c’è un secondo lato, fin qui in ombra, che sta venendo in luce. Ed è la stessa sta­bi­lità poli­tica tedesca.

È evi­dente, infatti, che Schäu­ble sta gio­cando pesan­te­mente sulla asso­luta osti­lità dell’opinione pub­blica tede­sca nei con­fronti di un qual­siasi accordo con la Gre­cia, che smuove strati pro­fondi di disprezzo verso il Sud d’Europa. L’incertezza della Mer­kel nel dare corso alle richie­ste ame­ri­cane di tener conto degli aspetti geo­stra­te­gici che l’esito nega­tivo dell’accordo impli­che­rebbe, pare quindi dovuto al timore che que­sta opi­nione pub­blica, da lei stessa aiz­zata fino al paros­si­smo, possa rea­gire vio­len­te­mente, desta­bi­liz­zando tutto il qua­dro poli­tico tedesco.

Non sarebbe più allora il peri­colo di for­ma­zioni popu­li­ste a pre­oc­cu­parla, ma che forse la stessa Csu bava­rese di Schäu­ble possa scen­dere sul piede di guerra.

Equi­li­bri tede­schi con­tro equi­li­bri euro­pei e geo­stra­te­gici mon­diali. Que­sta è la par­tita tre­menda che si sta gio­cando. Syriza deve morire, è l’urlo della destra tede­sca, e europea.

Che chia­ri­sce anche ai più tardi qual è la posta in gioco. Non certo le per­cen­tuali dell’accordo. Ma il potere in Europa. Che, per la prima volta, da Maa­stri­cht in poi, è stato messo in discus­sione dalla for­ma­zione poli­tica di un pic­colo paese di grande corag­gio. Chapeau.

Ncd, Pd e FI bocciano mozioni di sfiducia a Castiglione da: ilsetteemezzo

Giuseppe-Castiglione

Le ordinanze sul sistema Mafia Capitale e il sistema specifico creato ad arte dal factotum istituzionale Luca Odevaine che si avvantaggiava dell’emergenza immigrazione per facili guadagni hanno coinvolto già dalle sue prime battute nel dicembre dello scorso anno sino a riconfermarne l’implicazione, una cerchia di soggetti che negli anni dal 2011 ad oggi ha gestito e amministrato il Cara di Mineo, il centro richiedenti asilo più grande d’Europa. Tra questi il sottosegretario Giuseppe Castiglione nei confronti del quale dal versante parlamentare sono state prima esposte nella giornata di lunedì tre diverse mozioni in riferimento alla sua permanenza in carica nel Governo e poi esaminate oggi. E mentre dalle opposizioni critiche impietose, corredate da stralci che raccontano la vita del Cara di Mineo e del ruolo di Castiglione, si sono levate parole di accusa di responsabilità anche nei confronti del Ministro Alfano, il Partito democratico per salvare la tenuta del Governo si rimette nelle mani dei processi che saranno loro a stabilire la verità. E così il contenuto dell’intervento di ieri del deputato Pd Miccoli diventa l’alibi al voto contrario sulle mozioni, “il nostro compito sarà di correggere quelle storture che hanno permesso tutto questo. È un sistema inaugurato, lo voglio ancora una volta ribadire, nel 2011 – non c’era il Governo Renzi – e per questo noi non vogliamo anticipare, al momento, il giudizio della magistratura.” La politica può e dovrebbe dare risposte indipendentemente dalla magistratura per il ruolo che le compete è invece quello che viene ribadito dai banchi della Camera prima del voto, dai sostenitori delle mozioni e sulla necessità che questa si interroghi su fatti come quelli di mafia capitale in cui la politica emerge protagonista del sistema corruttivo del nostro Paese.

Una volta espresso il Governo il voto contrario, sono stati annunciati il voto favorevole del gruppo misto-Alternativa libera e della Lega Nord, Sel attraverso il deputato siciliano Erasmo Palazzotto ha spiegato l’ulteriore significato della propria mozione e della questione morale su cui andare ad accendere i riflettori chiedendo anche al ministro Alfano di assumersi la responsabilità su questa vicenda perché o ha fatto finta di non sapere o sapeva e non è voluto intervenire, considerando sia il titolare del Viminale ed il capo del partito i cui rappresentanti sono i principali esponenti di tutto il sistema Mineo. Si sono espressi in seguito contrari alle mozioni di ritiro delle deleghe a Giuseppe Castiglione Scelta Civica e  Paolo Tancredi per Ncd- Udc il quale ha parlato di intercettazioni blande, che non rilevano ruoli centrali del sottosegretario, eppure è chiaro i vari omissis nei documenti consultabili sono stati posti dalla magistratura per continuare a condurre le indagini con riserbo. Anche contrario il voto di Forza Italia che ha fatto leva, attraverso l’intervento di Rocco Palese sul proprio storico principio di garantismo pur chiedendo per i medesimi fatti lo scioglimento del Comune di Roma, un atteggiamento contraddittorio probabilmente legato alla conduzione politica del comune capitolino, accusando il Pd di non avere più titoli di moralità per esprimersi. Vega Colonnese per il M5S ribadendo l’attività di denuncia operata sul Cara di Mineo ha chiesto al Governo il ritiro delle deleghe a Giuseppe Castiglione colpevole come la sua parte politica, secondo il M5S, di quanto avvenuto e di quanto avviene in maniera opaca nel centro richiedenti asilo. Ad Andrea Romano è toccato per il Pd invece esprimere il voto contrario del gruppo perché non vi è intenzione, da parte dell’alleato di governo, di limitare l’efficacia dell’attività di Castiglione, nel suo ruolo sottosegretario all’agricoltura, che non possono essere influenzati e giudicati da ciò che sta avvenendo in sede giudiziaria. Le votazioni si sono concluse con una prevedibile bocciatura delle mozioni. Domani Giuseppe Castiglione sarà audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui Cara e sui Cie la quale circa un mese fa in visita in missione in Sicilia aveva parlato della necessità di approfondite indagini, di storture e di un sospettoso “monopolio” nella attribuzione degli appalti.

Mozione Lorefice favorevoli 108 contrari 304

Mozione Scotto favorevoli  92  contrari 303

Mozione Attaguile favorevoli 86  contrari 306

Pubblico impiego, in arrivo un’altra sentenza della Consulta, quella sul blocco dei contratti. Renzi va allo scontro Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Il 23 giugno è prevista l’udienza della Consulta sul blocco degli stipendi nella Pubblica amministrazione. Martedì la Corte ha in calendario due ricorsi ma con lo stesso oggetto: l’incostituzionalità del blocco. Dalla Corte costituzionale ci si aspetta almeno un monito all’indirizzo del Governo. Escluso quindi che i giudici possano scrivere nero su bianco un risarcimento come nel caso delle pensioni. Anche perché si tratterebbe di quasi un punto di Pil. E visto come è andata la volta scorsa nessuno è in grado di sostenere un nuovo scontro tra poteri dello Stato. Ed infatti, i sindacati più che fare pressioni sui giudici pensano a come uscire da una situazione di stallo. Si fanno varie ipotesi, tra cui l’adozione come parametro-base del Pil al posto dell’inflazione, attualmente poco remunerativa. Pressioni nella direzione di un adeguamento delle buste-paga del pubblico impiego arrivano anche dal Parlamento.

Le commissioni parlamentari già nel 2013 avvisarono il Governo che proseguire sulla strada del blocco della contrattazione determinava una violazione della Costituzione. E ancora oggi i deputati rilanciano la necessità di invertire rotta: nel parere alla riforma della P.A. la commissione Lavoro fa una lunga premessa dove invita a compiere “un ulteriore sforzo per creare le condizioni, anche sul piano finanziario, necessarie a un progressivo superamento del blocco della contrattazione”. Lo stesso presidente della commissione, Cesare Damiano (Pd), sottolinea come “la riapertura di un confronto con i sindacati per il rinnovo dei contratti può rappresentare l’occasione per un indispensabile dialogo sociale”. Nel ddl Madia infatti i parlamentari spingono, attraverso un emendamento dem, a ridare centralità alla contrattazione collettiva.La Flp-Cisl, intanto, torna a criticare le stime contenute nella memoria dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui l’onere della contrattazione di livello nazionale, per il periodo 2010-2015, relativo a tutto il personale pubblico, “non potrebbe essere inferiore a 35 miliardi”, con “effetto strutturale di circa 13 miliardi” annui dal 2016). Per la Flp invece nel complesso “il costo dello sblocco non supera i 10-12 miliardi”.

Anche Cgil, Cisl e Uil hanno presentato reclami ma ancora non sono arrivati davanti alla Consulta. Per la categoria del pubblico impiego del sindacato di Corso d’Italia se il Governo “vuole superare i continui ricorsi” non può che rinnovare subito i contratti. E avverte: “Non ci accontenteremo di cifre irrisorie”.
Rosanna Dettori, segretaria della Fp-Cgil, fa sapere come i sindacati del pubblico impiego si stiano già muovendo: “Noi siamo già pronti. L’1, il 2 e il 3 luglio faremo le assemblee delle rsu, a Milano, Roma e Bari, coinvolgendo 3 mila eletti. Così da mettere a punto una piattaforma”. Uno degli argomenti principali sul tavolo è, ribadisce Dettori, “la modalità per decidere le quantità economiche su cui basare il rinnovo. Si tratta di scegliere il meccanismo, visto che ad oggi non c’è un modello prestabilito, nessuno dei precedenti accordi è infatti più in piedi, né‚ quello sull’inflazione né‚ quello sull’Ipca. Occorre trovare la formula e noi non siamo chiusi a nessun ragionamento”.

Secondo la Cisl la sentenza imprimerà quanto meno “un’accelerazione” all’aggiornamento dei contratti. Tuttavia la definizione di un modello attraverso cui adeguare gli stipendi non è certo una questione secondaria, implica infatti un nuovo accordo (i precedenti sono scaduti) non solo relativo all”algoritmo’ con cui calcolare gli aumenti ma anche alla durata del contratto (triennale, quadriennale) ed altri aspetti rilevanti. Restano poi da chiudere alcuni dossier rimasti aperti durante il lungo periodo di paralisi, tra cui la riduzione dei comparti contrattuali.

L’esecutivo sembra intenzionato a fare la guerra sulle buste paga del pubblico impiego. La vicenda tra Campidoglio e Mef è, da questo punto di vista, molto emblematica. Per i tecnici del Ministero il Comune di Roma tra il 2008 e il 2011 avrebbe illecitamente speso 360 milioni di euro per pagare il cosiddetto salario accessori ai suoi dipendenti, ma il Campidoglio non ci sta e replica al Mef che non gli deve un bel niente: “non è titolato ad esigere quei soldi”. Al già provato sindaco Ignazio Marino, nel momento peggiore del suo mandato, non resta che cercare un’alleanza con i suoi 23 mila dipendenti e i sindacati i quali già promettono “guerra anche durante il Giubileo”. “Va bene il rigore ma non deve pagare chi guadagna 1200 euro al mese”, dice Marino battagliero. Il Mef replica col sottosegretario Zanetti sottolineando che “il salario accessorio non poteva essere dato a pioggia, ma doveva essere agganciato alla produttivit… del dipendente”.
Sulla questione salario accessorio indaga anche la Corte dei Conti che ha aperto un fascicolo circa un mese fa. Il lavoro dei magistrati contabili prenderebbe in esame il periodo che va dal 2009 al 2013, in sostanza quello indicato nei rilievi del Mef.

Il PMLI tinge di rosso il corteo del 25 Aprile, guadagnandosi il consenso della piazza. La presidente dell’Anpi Sconza: “Ribellarsi al governo Renzi. Siamo caduti dalla padella alla brace” da: PMLI

Catania
Il PMLI tinge di rosso il corteo del 25 Aprile, guadagnandosi il consenso della piazza. La presidente dell’Anpi Sconza: “Ribellarsi al governo Renzi. Siamo caduti dalla padella alla brace”
Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania
Anche quest’anno gli antifascisti catanesi sono scesi in piazza il 25 Aprile: le compagne e i compagni della Cellula “Stalin” di Catania e dell’Organizzazione di Caltagirone hanno partecipato al corteo indetto dall’Anpi tingendolo di rosso con numerose bandiere e le magliette rosse del PMLI, attirando l’attenzione di molti manifestanti.
Nel documento di indizione l’Anpi provinciale denuncia chiaramente alcuni degli elementi che caratterizzano la politica neofascista e piduista che il governo Renzi sta portando avanti contro le masse lavoratrici e ciò che rimane dell’impianto istituzionale e costituzionale dello Stato democratico borghese: “Per legge ordinaria – si afferma nel testo in un passaggio che il PMLI condivide appieno – è stato violato l’articolo 1 della Costituzione con la cancellazione dello statuto dei lavoratori, l’articolo 33 che vieta il finanziamento pubblico delle scuole private e sbeffeggiato l’articolo 11 con gli interventi militari in Serbia, Iraq, Afghanistan ed in Libia. Un governo, eletto da un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, opera per una profonda demolizione del dettato costituzionale, nella direzione di un’inaudita concentrazione dei poteri in ristrette oligarchie”.
Durante tutto il lungo corteo, partito dalla centrale piazza Stesicoro, i compagni hanno distribuito i volantini “Facciamo rivivere lo spirito della Resistenza” che sono stati accolti con piacere dagli antifascisti, catanesi e non, con cui si sono intrattenuti. Ad essere apprezzati sono stati anche gli interventi al megafono fatti dai compagni durante il corteo, nei quali è stata ribadita la necessità di unirsi per lottare contro il nuovo fascismo che ha il volto di Matteo Renzi, la reincarnazione moderna e tecnologica di Mussolini e Berlusconi, che continua a calpestare la Costituzione al fine di completare il piano fascista della P2. I compagni hanno ricordato lo spirito della Resistenza che fu l’antifascismo, l’importante ruolo che ebbe l’URSS di Stalin per la sconfitta del nazi-fascismo e gli interventi fatti in questi anni dalla destra come dalla “sinistra” borghese per denigrare la Resistenza e criminalizzare i partigiani jugoslavi istituendo giornate della memoria per le vittime delle foibe. Lungo il tragitto ci si è fermati più volte per ricordare i partigiani catanesi scomparsi, in particolar modo Graziella Giuffrida, violentata e massacrata dai nazisti a soli 22 anni a Genova.
Il corteo si è concluso in piazza Dante con l’intervento della presidente dell’Anpi della provincia di Catania, Santina Sconza, che ha voluto ricordare il partigiano “Mitraglia”, nome di battaglia di Antonino Mangano, scomparso la sera prima, e le vittime dell’ultima strage di migranti, l’importanza di lottare contro il razzismo alimentato dal fascio-leghista Salvini e dal suo partito, contro gli interventi militari e per l’applicazione della Costituzione.
Nel suo discorso la presidente dell’Anpi ha attaccato frontalmente il governo Renzi. Rivolta al deputato Pd Giovanni Burtone ha esclamato: “Si ribelli al governo Renzi”; “lei deve ribellarsi a questo esecutivo che vuole stravolgere la Costituzione, frutto delle lotte partigiane”. E così ha proseguito: “Da molti anni c’è una riduzione delle libertà e della democrazia, pensavamo che con la caduta del governo di centro destra presieduto da Berlusconi ci fosse “un governo amico” che fermasse questa deriva, in realtà ci siamo sbagliati, siamo caduti dalla padella nella brace. Il mago Renzi ha fatto credere a tutti che la crisi economica fosse un male della Costituzione Italiana, delle sua forma di Stato e delle troppe libertà sindacali. Il disprezzo verso il sindacato, abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, la sordità verso le opposizioni ci preoccupa molto. La storia insegna! Ecco perché occorre una nuova RESISTENZA.”
Ha poi aggiunto: “L’ANPI chiede l’apertura di un corridoio umanitario per l’accoglienza dei migranti, la distruzione dei barconi evita la morte per annegamento ma non quella di fame e sete nel deserto libico. Ricordiamo che le guerre che dilagano dalle coste del Mediterraneo passando dal medio fino l’estremo oriente sono causate dalle folli iniziative militari dell’ultimo ventennio in cui l’Italia è stata partecipe.” Infine ha salutato la vittoria contro il MUOS : “Ringraziamo tutti ma un grazie particolare alle mamme NO MUOS, una resistenza che può essere paragonata alle donne del ’45.”
Alcuni partiti, i centri sociali e altre organizzazioni con in testa Rifondazione Comunista, hanno deciso di non confluire in piazza Dante con l’Anpi ma di staccarsi per non condividere la giornata di lotta con le istituzioni ed il PD rompendo l’unità antifascista che in quella giornata era necessaria e scegliendo di non contestare l’amministrazione locale.
La nostra aspirazione di marxisti-leninisti è che sia il proletariato a mettersi alla testa della lotta antifascista contro i governo Renzi, in quanto unica classe a cui il potere politico spetti di diritto.
Siamo pienamente d’accordo con le valutazioni scritte a “Il Bolscevico” da un compagno simpatizzante secondo cui “l’interesse dimostrato da parte dei manifestanti verso il PMLI dimostra che parte di quegli ostacoli posti artificiosamente dalla borghesia per non farci incontrare con le masse cominciano a crollare, le sue critiche a Lenin, Stalin e Mao e l’equiparazione tra comunismo e nazismo cominciano a perdere il loro effetto. Le masse lavoratrici cominciano ad aver fiducia nei maxisti-leninisti, che aprono i loro occhi dicendo la verità”

 

29 aprile 2015

Disegno di legge su “La Buona Scuola”: la Giannini convoca i sindacati di Pantaleo da: Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.

Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.

20/05/2015

Il disegno di legge approvato oggi dal Parlamento disegna una scuola brutta e autoritaria che nega i diritti e la libertà a chi vive nella scuola. Gli emendamenti approvati, frutto dello sciopero del 5 Maggio e delle mobilitazioni di questi giorni, non cambiano la sostanza di contenuti inaccettabili. Renzi e il suo Governo non hanno il consenso di docenti, personale ATA, studenti, famiglie e degli stessi dirigenti scolastici. E’ evidente larottura con il mondo della scuola e con il Paese, da non addebitare ad un difetto di comunicazione ma a dei contenuti di un provvedimento che non affronta i problemi reali della scuola pubblica.

Anche oggi in tantissime piazze del Paese si è contestato il disegno di legge della brutta scuola ma il Governo e la maggioranza sono allergici alle contestazioni e ritengono di essere gli unici detentori della verità.

Hanno imposto la sola logica dei numeri per trasformare le scuole in luoghi simili alle aziendecalpestando la Costituzione. La scuola non è dei sindacati ma nemmeno proprietà del Governo e della maggioranza che lo sostiene.

Nel passaggio al senato chiediamo radicali modifiche che partano da un piano pluriennale di stabilizzazione per tutti i precari, alla eliminazione del vincolo futuro dei 36 mesi per le supplenze, alla cancellazione e riscrittura  del capitolo sui poteri e le funzioni dei dirigenti scolastici, alla ulteriore riduzione delle deleghe in bianco, al prevedere la priorità dei finanziamenti alle scuole statali a fronte dell’evidente difficoltà a garantire il loro normale funzionamento, al cancellare tutte le incursioni legislative sulla contrattazione e al definire tempi certi per il rinnovo del contratto nazionale.

La Ministra Giannini nell’incontro di lunedì dovrà chiarire quali sono le reali volontà del Governo su questi punti. La mobilitazione non si fermerà fino a quando non ci saranno cambiamenti radicali e concret

Jobs act, parte dall’Emilia Romagna l’offensiva della Fiom Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

 

Dopo l’assemblea nazionale di Cervia, parte dall’Emilia-Romagna la mobilitazione lanciata dalla Fiom-Cgil per “contrastare il Jobs act e con esso- sintetizza il segretario regionale Bruno Papignani, in conferenza stampa- tutte le politiche del Governo su fisco, pensioni e legalita’, che di fatto hanno sposato le posizioni di Confindustria”.

L’Emilia-Romagna è la prima grande regione in cui la Fiom ha riunito l’attivo di tutti i direttivi territoriali: l’appuntamento, che si sarebbe dovuto svolgere un mese fa ma fu rinviato causa neve, e’ per venerdi’ a Modena. E’ prevista la partecipazione di 800 delegati con gli interventi, oltre a quello di Papignani, del segretario nazionale Maurizio Landini e del segretario regionale della Cgil, Vincenzo Colla. “Spingeremo perche’ si vada verso la decisione di effettuare un referendum per l’abolizione del Jobs act”, spiega Papignani: non basta una semplice “riduzione del danno” di fronte ad una “legge cosi’della usta, che mette in grande difficolta’ i lavoratori”. Il percorso verso il referendum, cosi’, “deve  diventare terreno di battaglia politica e di mobilitazione”, aggiunge il leader delle tute blu.

Alla Cgil la Fiom chiedera’ di condividere il pacchetto di quattro ore di sciopero, da qui a fine marzo, deciso a Cervia (le tute blu cominceranno ad incrociare le braccia in questi giorni, usando le ore anche per fare le assemblee nelle fabbriche). Fin qui l’azione politica. La  Fiom, pero’, conferma di voler mettere i bastoni tra le ruote alla riforma del lavoro targata Renzi anche sul piano prettamente sindacale. “Cercheremo di rendere inagibile e  applicabile il Jobs act” in tutte le occasioni di contrattazione che si apriranno, spiega Papignani annunciando il ‘sabotaggio’ dellalegge: dalla gestione degli esuberi ai cambi di appalto.

E lo stesso concetto vale anche per i casi, positivi, di stabilizzazione: la Fiom, infatti, davanti a prospettive di questo genere agira’ per evitare che le assunzioni avvengano sulla base del nuovo contratto a tutele crescenti, agendo ad esempio sui regolamenti aziendali. Altro tema su cui i metalmeccanici terranno gli occhi aperti sono gli scorpori di ramo d’azienda, spesso “usati per riassumere gli stessi lavoratori” gia’ impiegati da un’azienda, afferma il segretario della Fiom di Bologna, Alberto Monti: il sindacato, in queste circostanze, pretendera’ che i lavoratori mantengano “gli stessi diritti, lo stesso inquadramento, lo stesso salario e l’articolo 18 com’era prima”.

Contestualmente, nelle situazioni di crisi la Fiom spingera’ per l’uso dei contratti di solidarieta’ e “per il ripristino della cassa integrazione per cessata attivita’- spiega Papignani- almeno nei casi di procedure concorsuali”. Sullo sfondo, infine, c’e’ ovviamente la manifestazione annunciata da Landini per il 28 marzo a Roma, come lancio della “coalizione sociale” da opporre al Governo. Anche sui singoli territori, afferma Monti, la Fiom lavorera’ per “coinvolgere tutte le associazioni che ci vorranno stare, con le proprie specificita’, magari creando un gruppo di lavoro che diventi una sorta di associazione delle associazioni”.

MENO GIORNALI = MENO DEMOCRAZIA. NON SPEGNETE LA LIBERTA’ da: ndnoidonne

NO ALLA CHIUSURA DELL’ESPERIENZA COOPERATIVA E NON PROFIT. Il Governo è sordo di fronte al dramma dell’editoria cooperativa e no profit

inserito da Redazione

NOIDONNE è un giornale dell’editoria cooperativa e si unisce alla denuncia di MEDIACOOP di indifferenza del Governo, contenuta nel comunicato che segue.

Il Governo e il Parlamento tutto tengano presente che l’editoria cooperativa e del non profit è un valore grande della comunità nazionale. Per molte ragioni.
Perché è composta di tante realtà imprenditoriali e culturali che alimentano giorno per giorno il flusso delle notizie, che costruiscono cittadinanza consapevole, che combattono pregiudizi e ignoranza. L’editoria cooperativa e del non profit è lavoro che ha un suo indotto economico. Ma è molto altro: persone, famiglie, competenze, professionalità, modello partecipativo, volontariato. È soprattutto il flusso connettivo che alimenta territori fisici e ambiti tematici, che genera comunità vitali, che lavora sulla sostanza e non sul sensazionalismo. Consentire a tutto questo di vivere significa far vivere la democrazia. Perché non esiste democrazia senza pluralità di informazione.
Negli ultimi tempi oltre 40 giornali hanno chiuso e molti a breve dovranno fare altrettanto.
NOIDONNE resiste, ma nessuna azienda può vivere senza pur minime prospettive e in condizioni di mercato che schiacciano realtà piccole ma che non sono di nicchia.
NOIDONNE resiste perché ha superato il traguardo dei 70 anni (1944/2014) e ha superato tante difficoltà. Ma questa potrebbe essere la madre di tutte le battaglie perché il nemico, stavolta, è l’indifferenza di una classe politica e dispiace davvero che sia una classe politica giovane e attenta alle donne e che fa della lotta alle caste e alle rendite di posizione la sua cifra quotidiana. Ebbene, sia chiaro che sopprimere la libertà di informazione significa alimentare le caste. Tutte. A partire da quelle di riferimento dei grandi media.
Senza una voce libera come quella di NOIDONNE quale spazio troverebbero notizie e idee che sono espressioni della ricchezza che le donne rappresentano nel nostro Paese?

“La direzione nazionale di MEDIACOOP, esaminate le condizioni di operatività 2015 delle cooperative associate, ha denunciato la sordità e l’indifferenza del Governo di fronte al dramma che sta vivendo il settore dell’editoria cooperativa e no profit.
La direzione di Mediacoop ha raccolto e fatta propria la forte preoccupazione del settore determinata dalla progressiva chiusura delle testate cooperative e no profit, da ultimo, da quella de “Il Salvagente”, un settimanale che per tanti anni ha fornito una corretta e coraggiosa informazione ai consumatori italiani.
La riunione ha sottolineato che la chiusura di 40 associate ed il rischio che molte altre possano seguire la stessa sorte è stata causata dalla mancata riforma del settore editoriale e dell’emittenza, promessa da anni, ma mai realizzata, nonché della costante e drastica riduzione del sostegno pubblico.
La Direzione ha ribadito l’esigenza di un intervento immediato per consentire l’operatività delle aziende.
E’ appena il caso di ricordare, infatti, che, di fronte alla totale incertezza sull’esistenza del sostegno pubblico le testate interessate non sono in grado di chiudere i Bilanci 2013 e di programmare l’attività per il 2015.
Al termine della Direzione, alla quale hanno partecipato anche rappresentanti della Fnsi, di Articolo 21 e della
File, è stato dato mandato alla Presidenza di Mediacoop di richiedere, unitamente alle altre Associazioni del settore, un incontro urgente al Dipartimento Editoria della Presidenza del Consiglio.
Potrà essere quella l’occasione per definire tempi e risorse relative al 2014 e per sollecitare l’avvio di una rapida consultazione con i soggetti interessati allo scopo di prospettare il testo di una possibile riforma del sistema italiano dell’informazione”.

FLC CGIL: Senza risorse “La buona scuola” è solo uno spot pubblicitario da: controlacrisi.org

Le bugie del Governo hanno le gambe corte. Renzi aveva promesso di mettere l’istruzione, la formazione e la ricerca al centro dell’attenzione del Governo. Il piano “La buona scuola” doveva essere l’inizio di una inversione di tendenza rispetto alle scelte devastanti dei governi precedenti fatte di tagli epocali di risorse e di personale.In realtà non vi è alcun segnale di cambiamento. Nella Legge di stabilità si bloccano ulteriormente i contratti nei settori pubblici, si tagliano le risorse al diritto allo studio e a tutti i comparti della conoscenza. Gli scatti di anzianità nella scuola saranno cancellati con conseguenze catastrofiche per i salari di docenti e personale ATA. Il paradosso è che da un lato si intende stabilizzare una parte dei precari e dall’altro si licenziano altri precari a partire dal personale tecnico-amministrativo.

Il 26 novembre ci sarà il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea e un eventuale esito positivo imporrà al Governo italiano di dare stabilità e un futuro a tutti coloro che hanno svolto oltre 36 mesi di servizio. Il piano “La buona scuola” senza risorse è un semplice spot pubblicitario e appare chiaro l’intento di ridurre i salari e i diritti piegando la scuola pubblica alle logiche del mercato. Università e ricerca non possono sopportare altri tagli. Invece la Ministra Giannini e il Governo Renzi agiscono unicamente tenendo presente le richieste della Confindustria, sia per la cancellazione dell’articolo 18, che per quanto riguarda i comparti della conoscenza.

Dopo le manifestazioni del 25 ottobre e dell’8 novembre ritengo non più rinviabile lo sciopero di scuola, università,ricerca e AFAM. Il 25 ottobre partecipiamo tutti alla grande manifestazione della Cgil perchè lavoro, dignità e uguaglianza hanno bisogno di più istruzione, di più formazione e di più ricerca. La FLC sarà insieme ai precari e agli studenti per unire generazioni e condizioni di lavoro come abbiamo sempre fatto in questi anni con le nostre politiche e le mobilitazioni.