Dopo le manifestazioni e lo sciopero generale promossa dalla Cgil contro le politiche del Governo Renzi, il sindacato si trova nella necessità di definire le forme e le modalità per dare seguito e continuità alle scelte compiute.
So bene che esiste un’altra possibilità, quella di considerare quella fase una sorta di una tantum di cui gestire in qualche modo un atterraggio morbido che permetta di riprendere la normale routine quotidiana. Sarebbe in questo caso una scelta disastrosa dove la stessa burocrazia sindacale sarebbe inevitabilmente travolta come una appendice del ceto politico.
La partecipazione alle manifestazioni e agli scioperi della Fiom e della Cgil, sono andati oltre le stesse aspettative perchè hanno incrociato il “sentire” delle persone in carne ed ossa, il malessere sociale diffuso che anche in questo modo ha scommesso di nuovo sul sindacato. La contemporaneità con altre esperienze di movimento, come lo sciopero sociale, che hanno attraversato quelle giornate hanno altresì reso evidenti le potenzialità e la vastità dell’opposizione sociale.
Non mi faccio illusioni perchè tutto ciò è avvenuto a fronte dell’inimmaginabile, cioè di un Governo ed un Parlamento eletto con un sistema elettorale incostituzionale che ha cancellato tutele e diritti delle lavoratrici e dei lavoratori conquistati con decenni di lotta del Movimento Operaio. Non serve a nulla ragionare sulle responsabilità di questi decenni, sull’assenza di un reale contrasto sociale, ad esclusione della Fiom, perchè resta la cruda realtà con cui oggi siamo chiamati a fare i conti.
Questo è il passaggio ineludibile per la Cgil, per il futuro del sindacato perchè attuata la rottura politica con il PD, dobbiamo dare corso ad un profondo cambiamento di natura strategica, contrattuale ed organizzativa. Senza infingimenti abbiamo bisogno di definire una analisi precisa del contesto politico, istituzionale e sociale del Paese con lo stravolgimento di aspetti essenziali e decisivi della nostra Costituzione.
Mi riferisco all’equilibrio tra diritti politici, diritti civili e diritti sociali che costituivano l’architettura di una Costituzione programmatica che teneva in ambito democratico l’espressione del conflitto politico e sociale tra interessi e idee diverse, alternative, come linfa vitale per la democrazia. Non a caso, si diceva un tempo, “la Costituzione deve varcare i cancelli dei luoghi di lavoro”, che ha portato alla conquista dello Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, così come la conquista dello Stato Sociale ha rappresentato l’affermazione dei diritti sociali universali.
I tanti vituperati Partiti, cosi come le organizzazioni sindacali rappresentavano lo strumento di questi conflitti sociali e politici. Viceversa, viviamo oggi la parte finale di un processo di mutazione epocale dell’insieme del sistema costituzionale, dove la crisi, l’austerità sono utilizzate per disegnare un assetto complessivo del sistema che punta ad espellere il conflitto sociale e politico. Il precariato, la disoccupazione, la ricattabilità permanente come condizione di vita e di lavoro delle persone ne rappresentano la condizione materiale.
Dopo decenni di astruse discussioni sul come mutilare e piegare la democrazia al primato della governabilità, dal bipolarismo al bipartitismo, siamo giunti al capitolo finale, con un sistema politico fondato su due soggetti politici che non hanno alcun riferimento di natura sociale ma ambiscono a rappresentare la categoria del cittadino. Concettualmente vuole dire che pensano di essere non espressione di una parzialità, di idee
alternative ma incorporano in se il luogo della mediazione sociale. Lo stesso comportamento della minoranza del PD sulla vicenda Jobs Act lo testimonia, dove la negazione del ruolo del sindacato confederale non è stato l’oggetto di uno scontro dirimente sul ruolo del Partito e del Governo, ma hanno pensato agli emendamenti come se fossero loro i portatori delle istanze sindacali.
Un ruolo che nessuno gli ha assegnato, ma che rende l’idea della deriva del primato della politica.
Del resto il comportamento del Governo Renzi ha reso del tutto esplicito ciò che era già avvenuto con il Governo Monti: il sindacato confederale considerato alla stregua delle centinaia di associazioni esistenti nel paese. Nasce da qui la rottura rispetto al passato tra questo sistema politico e il sindacato confederale, ma più in generale con la rappresentanza sociale rappresentato anche simbolicamente dallo sciopero generale contro il Governo del PD.
Con grande ritardo la Cgil ha dovuto prendere atto che non esiste alcun Partito di riferimento o minoranza di Partito da sostenere, ma semplicemente un contesto politico nuovo. Ritengo la storia del rapporto Partito Sindacato, che nasce dalla II e III Internazionale conclusa, finita da tempo e, la sua coda di questi ultimi decenni, è stata infausta. Si tratta di un aspetto strutturale nel rapporto Partito Sindacato, che apre scenari nuovi per il futuro stesso del Sindacato, senza nostalgie o reticenze come quelle di pensare che in assenza di Renzi,
Presidente del Consiglio e Segretario del PD, tutto possa tornare come prima.
L’altro aspetto riguarda la questione sociale che ha preceduto e accompagnato questo processo fino ad arrivare alla congiunzione attuale tra l’approvazione del Jobs Act e lo stravolgimento del sistema politico e istituzionale.
Nel corso di questi anni tutti gli atti legislativi, dal welfare al lavoro, sono stati finalizzati ad una idea precisa della società e dell’Europa, quella del neo-liberismo.
“La società non esiste, esistono gli individui”, disse la Thacher agli inizi degli anni ’80, riassumendo il significato dell’offensiva del capitale finanziario ed industriale per ridisegnare un sistema dove i lavoratori dipendenti, i precari e i disoccupati – cioè gli individui – devono essere messi nella condizione di una concorrenza feroce tra di loro assolutamente pervasiva della condizione umana. E’ perfino beffardo rammentare la campagna culturale e mediatica sulla presunta libertà individuale, fondata sulla flessibilità e il merito che accompagnava il crescere nella società reale delle diseguaglianze sociali.
Tutto ciò che costituisce, nel lavoro subordinato, un vincolo sociale sia esso di solidarietà o dei diritti, rispetto a questo obiettivo deve essere superato, cancellato. Lo stesso utilizzo delle nuove tecnologie della comunicazione su base informatica sono state piegate a questa esigenza. La crescita a dismisura delle disuguaglianze sociali trova in questo passaggio lo snodo decisivo dell’attuale fase della storia del capitalismo finanziario ed industriale. Il sistema fiscale di carattere progressivo come architrave del sistema dei diritti sociali universali è
stato demolito, perchè la formazione della ricchezza con il ruolo assunto dai flussi finanziari, con la libera circolazione dei capitali e l’attuale organizzazione delle imprese evade “legalmente”. Penso alla Fiat o alle multinazionale del digitale che hanno spiegato a tutto il mondo che loro pagano “legalmente” lo 0,5% di tassazione.
Nello stesso tempo, con il meccanismo delle “esenzioni”, la fiscalità viene utilizzata per rendere subalterna la contrattazione aziendale e/o di categoria alle esigenze delle imprese, le quali di fatto diventano anche “titolari” per l’accesso di una parte sempre più consistente di diritti sociali.
Faccio alcuni esempi per capire meglio la situazione:
Viene concessa la detassazione degli aumenti retributivi a livello aziendale, solo se corrispondono a criteri definiti legislativamente di variabilità rispetto agli obiettivi di produttività, redditività e qualità. Oppure la legislazione fiscale di sostegno per le quote versate dai lavoratori e dalle imprese per la costituzione a livello aziendale e/o di categoria, di fondi sanitari che si aggiungono a quella della previdenza integrativa. Qualsiasi sindacalista sa, o dovrebbe sapere che la stessa compartecipazione della quota versata delle imprese, è una finzione perchè trattasi pur sempre del “costo del lavoro”, come tale calcolato dalle controparti nelle trattative.
Adesso con il meccanismo delle assunzioni a tutele crescenti siamo per i primi tre anni di lavoro, alla decontribuzione totale, con un risparmio per le imprese di circa il 30% del costo del lavoro. Leggere la busta paga di un lavoratore metalmeccanico è molto istruttivo per capire l’assetto sociale che si è costruito. Sul piano contrattuale, siamo alla distruzione evidente dei Contratti Nazionali perchè l’art. 8 ha tradotto in legge il sistema Fiat e cioè la possibilità di definire a livello aziendale tutti gli aspetti della prestazione lavorativa.
Una rivoltella alla tempia di qualsiasi trattativa nazionale, dove la controparte può dettare le condizioni per loro più convenienti. Si definisce in questo modo un quadro preciso di vincoli che configurano una gabbia di struttura contrattuale, dove non esiste più l’autonomia del sindacato. Questo è quello che è rimasto della concertazione.
Con l’abolizione dei diritti e delle tutele si completa l’operazione della dissociazione totale tra diritti e lavoro, la crisi viene utilizzata per affermare l’idea del “purchè sia un lavoro”. Non è difficile mettendo insieme i diversi pezzi capire che siamo di fronte ad un sistema complessivo che segna una rottura con la storia europea del dopo-guerra e guarda al sistema di regole sociali dei paesi anglosassoni, in particolare degli Stati Uniti. Per l’insieme di queste ragioni la Cgil è chiamata a misurarsi con uno scenario inedito, fondato sulla precarizzazione di massa e la disuguaglianza sociale.
Uno scenario che nega il ruolo della Confederalità come soggetto sociale di cambiamento della società, e riduce il sindacato a soggetto aziendale e corporativo con vincoli precisi, che ho prima richiamato, di totale subalternità agli interessi di ogni singola impresa. Il Contratto Nazionale come elemento di solidarietà e di miglioramento normativo e retributivo per l’insieme dei lavoratori, è stato di fatto già superato e, quello di cui si discute oggi, è altra cosa al di là di come lo si voglia chiamare. La Confederalità come espressione degli interessi del lavoro subordinato, dei disoccupati e dei pensionati, cosa vuole dire oggi? Quale è la ragione per cui il lavoratore metalmeccanico, il precario, il disoccupato, l’insegnante, l’informatico, devono sentirsi parte di una stessa Organizzazione?
E’ finito il tempo dove la Cgil era parte di uno schieramento politico locale e globale da cui mediava, seppure genericamente un orizzonte di cambiamento della società. Autonomia e indipendenza della Cgil oggi, vuole dire esprimere una nuova progettualità, un idea di cambiamento della società che dia un senso ed un significato ad una comune appartenenza. Questa fu l’intuizione di Bruno Trentin quando propose, non a caso all’indomani del superamento delle correnti di partito, la necessità di un programma fondamentale della Cgil, come carta di
identità della Organizzazione Confederale. Non se ne fece nulla.
Quella intuizione va ripresa in una situazione molto peggiorata perchè vi è il rischio concreto che della confederalità sopravviva soltanto una struttura gerarchica e piramidale, un guscio vuoto, un sistema di regole interne destinato a deflagrare perchè tenuto insieme dal nulla o meglio dall’autoconservazione. La stessa legittimazione del sindacato, chiama in causa inevitabilmente la rappresentanza sociale. Ho ben presente lo smarrimento che esiste nella organizzazione, negli apparati perchè è crollato tutto un mondo di rapporti formali ed informali, di riconoscimento istituzionale del proprio ruolo nelle diverse istanze della organizzazione a livello nazionale, regionale e territoriale.
Dare continuità alla scelta dello sciopero generale non riguarda soltanto le decisioni del Comitato Direttivo Nazionale, ma tutta l’Organizzazione deve cambiare profondamente. I territori, i luoghi di lavoro sono il terreno da cui ripartire anche con nuove forme di rappresentanza e di aggregazione di un lavoro frammentato e diviso.
Un percorso di costruzione e cambiamento degli attuali rapporti di forza, che sono possibili soltanto con l’estensione della rappresentanza sociale e pratiche rivendicative, che sappiano parlare e coinvolgere la nuova complessità del mondo del lavoro subordinato nei territori e a livello nazionale.
Questo per il Sindacato vuole dire, dal basso in alto. Mescolarsi ed essere parte del disagio sociale crescente, causato dalla costante riduzione dei servizi, la crescita delle aree di povertà, la devastazione sociale e ambientale. Non so se la Cgil è in grado di compiere un passaggio di questa natura e vedo per intero il rischio
che categorie e strutture confederali, cerchino illusoriamente rifugio, nella rincorsa sempre più affannosa di una legittimazione data dalle controparti con accordi indecenti e una contrattazione territoriale e/o sociale di pura applicazione dei tagli del Governo.
Sarebbe la traduzione del “purchè sia un lavoro” nel “purchè sia un accordo”. Tutto ciò richiede una volontà, una determinazione del gruppo dirigente della Cgil – Confederazione e Categorie – nel compiere scelte conseguenti a questi mesi di mobilitazione, sia nei contenuti della contrattazione delle categorie sia nell’operare delle Camere del Lavoro. Una nuova stagione rivendicativa sui temi sociali fondamentali che coinvolga l’insieme del sindacato, aprendosi al rapporto con altre istanze di movimento, con il discrimine della democrazia e il rifiuto della violenza.
Una apertura a tutto campo di questa natura, non è compatibile con l’attuale funzionamento della Cgil, delle sue regole interne, dell’esistenza di una molteplicità di categorie e di Contratti Nazionali, con la formazione dei gruppi dirigenti secondo la logica della cooptazione.
L’ultimo Congresso della Cgil era giunto al limite della rottura dell’Organizzazione, quando il Segretario Generale della Fiom, ha annunciato che se si procedeva alla elezione degli organismi di vigilanza interna, compreso la commissione Statuto, a colpi di maggioranza, si abbandonava il Congresso.
Quelle regole non sono più agibili e la democratizzazione della Cgil richiede un profondo cambiamento, fondato sulla partecipazione attiva degli iscritti e dei delegati, compresa l’elezione dei gruppi dirigenti e dei segretari generali. Anche da questo versante, l’unità della Cgil nel promuovere la mobilitazione di questi mesi è
auspicabile che abbia il significato di un nuovo inizio.
La struttura gerarchica, piramidale e burocratizzata non va da nessuna parte e il futuro del Sindacato non è scindibile dalla democrazia nella sua vita interna e nei rapporti con le persone che vogliamo rappresentare.
Un tasso di irregolarità superiore al 64%. Le aziende italiane “sono nere”. E guardando le ultime cifre uscite dal rapporto annuale dell’attività di vigilanza svolto da ministero del Lavoro, Inps e Inail c’è da rimanere con i capelli dritti. Risultato, quando Renzi ci propinerà numeri incredibili sulle “nuove assunzioni” sapremo da dove arriveranno. Non si tratterà di nuovi posti di lavoro ma di “riciclo” di lavoratori in nero.I dati del rapporto dicono che nel 2014 sono state ispezionate 221.476 aziende: di queste ne sono risultate irregolari 142.132, ossia il 64,1%, tasso in linea con l’anno precedente. I lavoratori totalmente in nero sono risultati 77.387, il 42,6% dei 181.629 irregolari. Mentre i contributi ed i premi evasi nel 2014, accertati e oggetto di recupero, ammontano a 1,508 miliardi di euro, in aumento del 6,1% rispetto al 2013 (1,421 miliardi di euro). Importo che però non sarà totalmente ‘introitato’: in media, Š stato spiegato, il 50% viene poi effettivamente incassato.Il numero delle imprese controllate lo scorso anno risulta in leggero decremento (-5,8%) rispetto al 2013 (235.122) e anche rispetto a quelle risultate irregolari (142.132 contro 152.314 nel 2013) si registra un calo, pari in questo caso al 6,68%.
Stessa tendenza per i lavoratori più o meno sommersi. Per effetto del minor numero di aziende ispezionate nel 2014 ma anche della contrazione dell’occupazione determinata dalla crisi, il numero dei lavoratori risultati irregolari durante i controlli dello scorso anno è diminuito (181.629, con un calo del 24% circa rispetto ai 239.020 del 2013) e con esso quello dei lavoratori totalmente in nero (77.387, in diminuzione del 10% circa rispetto agli 86.125 del 2013), ma nonostante questo il peso di quest’ultima ‘categoria’ non diminuisce. Anzi: nel 2014 i lavoratori totalmente in nero rappresentano infatti il 42,61% di quelli irregolari, una “percentuale significativa”, sottolinea lo stesso rapporto, se confrontata con quella rilevata nel 2013, pari al 36,03%, e che quindi registra un incremento annuo di quasi sette punti percentuali. Questo dato, viene evidenziato, se da un lato conferma “l’affinamento” della metodologia di programmazione e “la più decisa” concentrazione dell’azione ispettiva sul contrasto al lavoro sommerso, dall’altro è sintomatico della “completa assenza, in un’ampia percentuale di casi, della sia pur minima attenzione ai diritti e alle tutele fondamentali dei lavoratori, nonché‚ ai connessi profili della salute e della sicurezza”.
Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, parla di “percentuale altissima”. “È vero – prosegue Damiano – che il campione, come dice il ministro Poletti, tiene conto delle aziende che ‘sono nei guai’, e che quindi non stiamo parlando del 64% del totale delle imprese italiane (che sono 4 milioni e mezzo di unità produttive), ma si tratta pur sempre della dimostrazione che ci troviamo di fronte a un numero esagerato di casi di irregolarità”.
Er sabato de febbraio, de per se, è già abbastanza triste
er cielo è quasi sempre piombo e er freddo insiste,
e pare che anche li palazzi della Capitale
c’hanno quarcosa che assomiglia a n’ospedale.
Ma stamo a Roma e pur con un po’ de boria
se sentimo bene de vive nella storia,
dentro sta’ città ribelle e mai a sedere
al clero, alle guardie ed ar potere.
Mo’ però c’è un fattaccio grave
udite, udite gente che pensate,
vengono a Roma come li lanzichenecchi
quelli della Lega razzisti e becchi.
Dice che faranno la parata
co’ l’amica tartaruga camerata
e a piazza der Popolo se sentirà un fetore
co la puzza de Sarvini l’oratore.
Come sempre parlerà alla gente
facendoje crede de volè un novo Stato
dove l’italiano venghi prima
der diverso e der povero’immigrato.
Approfittando dell’ignoranza altrui
garantirà la fine dei tempi bui,
parlerà alla pancia della gente ottusa
promettendo d’affonnà le navi a Lampedusa.
Ma penso che abbia fatto i conti male
perché tutti i Pasquini non potranno sopportare
de vedè Roma invasa dar ciarpame
da li fascisti e da tutto quer letame.
Quindi fratelli saremo sempre noi
a combatte ste jene e st’avvortoi
portando avanti con gioia e con coerenza
li valori der popolo e della Resistenza .
“Noi ci mettiamo la faccia per difendere potere di acquisto e di contrattazione”. Questo lo slogan del Cobas nel Pubblico Impiego in occasione delle elezioni, che si terranno la prossima settimana, per le rappresentanze sindacali nel Pubblico impiego. La campagna Rsu è lo specchio di quanto accade nella Pubblica amministrazione, “basta vedere i gadget regalati da Cgil Cisl Uil, le iscrizioni in cambio di sconti per l’assicurazione, un sindacato fermo alla concertazione anche se il Governo Renzi ha deciso di archiviarla”, aggiungono i Cobas. Elezioni strane, lo sono. Si paarla poco di blocco della contrattazione che in sei anni ci ha fatto perdere 6500 euro, e non una parola sulle tabelle di equiparazione che Madia sta costruendo per la mobilità coatta del personale, e non solo per quanto riguarda le Province. Secondo i Cobas il rilancio della Pa dovrebbe partire da investimenti nei servizi pubblici, l’esatto contrario di quanto il Governo sta facendo, quindi. Semplificazione significa tagliare posti di lavoro o soldi alle Regioni e agli enti locali con ripercussioni negative sui servizi educativi e sanitari come dimostra la legge di stabilità approvata a fine anno. Cgil Cisl Uil? “Hanno tutto l’interesse – rispondono – a non affrontare i nodi salienti di quella ristrutturazione che il Governo Renzi portata avanti secondo i dettami della Bce”.
La proposta della Uil di collegare l’aumento contrattuale al Pil come la giudicate?
Il salario diventa una variabile dipendente dai profitti, la proposta è ridicola in tempi di crisi perché a forza di tagliare fondi e pagare il debito privato l’economia stagna e una proposta del genere aiuterebbe il Governo per due ragioni, la prima perché eviterebbe di affrontare il rinnovo dei contratti fermi da quasi sette anni, la seconda perché gli aumenti sarebbero irrisori e magari una parte variabile del salario legata a meccanismi che dividono i lavoratori destinando loro quote irrisorie. Per questo la parola d’ordine della difesa del potere di acquisto è fondamentale come quella del potere di contrattazione visto che le proposte della Uil e della Cisl (mai contrastate dalla Camusso) vanno contrastate con forza. Fate attenzione alle parole d’ordine del Governo: riorganizzazione, revisione e semplificazione dei processi sono slogans, nei fatti stanno distruggendo i servizi pubblici, guardate ai piccoli comuni oggetto di fusione ai quali avevano prospettato la sospensione dei tetti di spesa , salvo poi rimangiarsi la promessa. Nel frattempo con le fusioni si perdono servizi e posti di lavoro.Slides, twitter, potere mediatico sono la strategia imbonitrice del Governo…
I sindacati dovevano approfittare della campagna Rsu per denunciare l’abbandono dei servizi sanitari, lo smantellamento delle Province e delle camere di Commercio; hanno raccontato bugie sulle spese, le Province incidevano il 1,5% della spesa complessiva nella Pubblica amministrazione ma sono state dipinte come dispendiosi e inutili carrozzoni, ora in materia di manutenzione stradale, formazione e orientamento \politiche del lavoro, regna solo il caos e alle regioni sono demandati funzioni senza neppure passare risorse economiche, insomma tutto viene costruito ad arte per creare la paralisi del Pubblico e avviare nuove privatizzazioni. La scadenza del 31 Marzo doveva essere il punto di arrivo della mobilitazione in difesa dei servizi e del lavoro pubblico, invece Cgil Cisl Uil stanno solo vendendo fumo per arrivare a qualche accordicchio a perdere.
Gli 80 euro di Renzi sono stati una merce di scambio per la pace sociale?
Le tasse sulla casa sono aumentate del 7%, i salari sono falcidiati di tasse e ai padroni hanno regalato la libertà di licenziamento con il Jobs act, insomma il mandato della Bce al governo è stato rispettato alla lettera e a farne le spese sono i lavoratori e le fasce sociali piu’ deboli ma anche quella che definivamo piccola borghesia ha subito un impoverimento progressivo. Contratti fermi, miseria crescente e sfratti, un ‘economia stagnante, altro che ripresa.
Chiudiamo con i precari..
Dal 2017 niente piu’ precari nella PA, lo dice la Madia, la bufala che nel pubblico si entra solo con concorso è emblematica perchè gran parte dei precari sono entrati con prove selettive e poi nelle more della stabilizzazione era possibile avviare le procedure e prevedere contratti. Il Governo nella sanità, nell’università e negli enti locali i precari li sta cacciando via. Su oltre 1500 ricercatori in pensione ne hanno assunti meno di 200, questo è l’investimento sulla ricerca. Noi siamo contro la farsa dei contratti di collaborazione ma il Jobs act peggiora perfino la legge Biagi e se nel pubblico vogliono eliminare questi contratti non lo fanno certo per stabilizzare i precari, questa è la verità
Che fare allora?
In Italia si pensa di emulare Sypras senza fare neppure un quinto di quello che hanno fatto loro, se pensiamo che nei comitati c’è la Sel che fino a poche settimane fa stava con i socialisti europei, il partito della Bce, non c’è da stare allegri. Il trasformismo politico e la pochezza culturale sono mali endemici, l’asse costruito con la Cgil fa dimenticare che questa organizzazione ha gravissime responsabilità non avendo mobilitato i lavoratori contro l’innalzamento della età pensionabile o il blocco dei contratti. Per questo il sindacalismo di base rappresenta, pur con molti limiti, un baluardo e uno strumento di opposizione sociale e sindacale, magari non da solo ma resta per coerenza e iniziativa una delle parti piu’ avanzate del conflitto sociale. Un discorso andrebbe fatto sulla parcellizzazione del sindacato di base in mille rivoli e sigle, forse un cartello unico avrebbe rappresentato alle Rsu del pubblico impiego una alternativa credibile a Cgil Cisl UIl. Ma di questo quasi nessuno vuol parlare e anche il nostro punto di vista appare isolato.. Vale la pena di discuterne a elezioni terminate, questo è il nostro auspicio perchè senza percorsi e pratiche comuni non si costruirà quella opposizione sociale, politica e sindacale al Governo renzi di cui abbiamo bisogno per non finire come la Grecia.
INVITO ad Associazioni, Sindacati, Movimenti e Partiti
Ci troviamo, quasi senza rendercene conto, nella situazione più difficile e più pericolosa tra tutte quelle che si sono verificate dalla fine della guerra mondiale ad oggi. La rinascita del nazifascismo in tutta Europa, il mondo attraversato da violenze e da guerre. Non siamo mai stati così vicino alla guerra come ora, almeno da molti anni e per finire, ma non meno grave, l’attacco alla Costituzione un vero e proprio strappo al nostro sistema democratico e una legge elettorale che non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali.. Per tutti questi motivi, e per non dimenticare l’articolo 11della nostra Carta Costituzionale, affinché non sia stato vano il sangue versato dai cittadini e dai partigiani per la Libertà,
L’ANPI di Catania vi invita alla riunione che si terrà il 4 marzo alle ore 17,30 presso la sede dell’ARCI di Catania Piazza C. Alberto, 47 con il seguente ordine del giorno:
Difesa della Costituzione.
Preparazione del 25 aprile
Comitato Provinciale ANPI Catania
Catania 27/2/15
in allegato l’appello nazionale dell’ANPI
Appello ANPI su Senato e legge elettorale ai parlamentari, ai partiti, ai cittadini. Non riforma, ma strappo alla democrazia.
Questo appello in difesa della democrazia verrà inviato agli organi di stampa, a tutti i parlamentari e ad esponenti dei gruppi e dei partiti. Verrà inoltre diffuso, a cura delle organizzazioni periferiche dell’ANPI – e auspicabilmente di qualunque associazione vi abbia interesse – alla più larga sfera di cittadini, ai fini di una corretta, completa e necessaria informazione.
Il 29 aprile 2014 l’ANPI Nazionale promosse una manifestazione al teatro Eliseo di Roma col titolo “Una questione democratica”, riferendosi al progetto di riforma del Senato ed alla legge elettorale da poco approvata dalla Camera.
Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti; ma adesso che si vorrebbe arrivare ad un ipotetico “ultimo atto” (l’approvazione da parte del Senato della legge elettorale in una versione modificata rispetto al testo precedente, ma senza eliminare i difetti e le criticità; e l’approvazione, in seconda lettura, alla Camera della riforma del Senato approvata l’8 agosto scorso, senza avere eliminato i problemi di fondo) è necessario ribadire con forza che se passeranno i provvedimenti in questione (pur non in via definitiva) si realizzerà un vero e proprio strappo nel nostro sistema democratico. Non è più tempo di inascoltate argomentazioni e bisogna fermarsi all’essenziale, prima che sia troppo tardi.
Una legge elettorale che consente di formare una Camera (la più importante sul piano politico, nelle intenzioni dei sostenitori della riforma costituzionale) con quasi i due terzi di “nominati”, non restituisce la parola ai cittadini, né garantisce la rappresentanza piena cui hanno diritto per norme costituzionali. Una legge elettorale, oltretutto, che dovrebbe contenere un differimento dell’entrata in vigore a circa un anno, contrariamente a qualunque regola o principio (le leggi elettorali si fanno per l’eventualità che ci siano elezioni e non dovrebbero essere soggette ad accordi particolari, al di là di ogni interesse collettivo).
Quanto al Senato, l’esercizio della sovranità popolare presuppone una vera rappresentanza dei cittadini fondata su una vera elettività. Togliere, praticamente, di mezzo, una delle Camere elettive previste dalla Costituzione, significa incidere fortemente, sia sul sistema della rappresentanza, sia su quel contesto di poteri e contropoteri, che è necessario in ogni Paese civile e democratico e che da noi è espressamente previsto dalla Costituzione (in forme che certamente possono essere modificate, a condizione di lasciare intatte rappresentanza e democrazia e non sacrificandole al mito della governabilità).
Un sistema parlamentare non deve essere necessariamente bicamerale. Ma se si mantiene il bicameralismo, pur differenziando (come ormai è necessario) le funzioni, occorre che i due rami abbiano la stessa dignità, lo stesso prestigio, ed analoga elevatezza di compiti e che vengano create le condizioni perche l’eletto, anche al Senato, possa svolgere le sue funzioni “con disciplina e onore” come vuole l’articolo 54 della Costituzione. Siamo dunque di fronte ad un bivio importante, i cui nodi non possono essere affidati alla celerità ed a tempi contingentati.
In un momento di particolare importanza, come questo, ognuno deve assumersi le proprie responsabilità, affrontando i problemi nella loro reale consistenza e togliendo di mezzo, una volta per tutte, la questione del preteso risparmio con la riduzione del numero dei Senatori, perché uguale risultato potrebbe essere raggiunto riducendo il numero complessivo dei parlamentari.
Ai parlamentari, adesso, spetta il coraggio delle decisioni anche scomode; ed è superfluo ricordare che essi rappresentano la Nazione ed esercitano le loro funzione senza vincolo di mandato (art. 67 della Costituzione) e dunque in piena libertà di coscienza.
Ai partiti, se davvero vogliono riavvicinare i cittadini alle istituzioni ed alla politica, compete di adottare misure e proporre iniziative legislative di taglio riformatore idonee a rafforzare la democrazia, la rappresentanza e la partecipazione anziché ridurne gli spazi.
Ai cittadini ed alle cittadine compete di uscire dal rassegnato silenzio, dal conformismo, dalla indifferenza e far sentire la propria voce per sostenere e difendere i connotati essenziali della democrazia, a partire dalla partecipazione e per rendere il posto che loro spetta ai valori fondamentali, nati dall’esperienza resistenziale e recepiti dalla Costituzione.
L’Italia può farcela ad uscire dalla crisi economica, morale e politica, solo rimettendo in primo piano i valori costituzionali e le ragioni etiche e di buona politica che hanno rappresentato il sogno, le speranze e l’impegno della Resistenza.
Dipende da tutti noi.
L’ANPI resterà comunque in campo dando vita ad una grande mobilitazione per informare i cittadini e realizzare la più ampia partecipazione democratica ad un impegno che mira al bene ed al progresso del Paese.
La Misericordie Srl è l’impresa sociale che gestisce il Cara di Crotone. E possiede quote dell’areoporto Sant’Anna e della polisportiva di Isola Capo Rizzuto. Ora, grazie a un appalto, entrano anche nel centro di accoglienza di Lampedusa
Da Isola Capo Rizzuto, che a dispetto del nome si trova sulla terraferma in provincia di Crotone, a una vera, importante, isola: Lampedusa. E’ il grande balzo fatto dalle Misericordie, che hanno conquistato la gestione del centro di primo soccorso e accoglienza di Contrada Imbriacola. Se ne è parlato ieri sera nella trasmissione “Servizio Pubblico” condotta da Michele Santoro su La7, durante la puntata dedicata alla Libia e alla fuga dei profughi.
Succede a Isola Capo Rizzuto, dove c’è il centro d’accoglienza più grande d’Italia. Ora ha 1500 posti, con la ripresa estiva degli sbarchi diventeranno 2000. Aumentando il business che gira intorno ai migranti
Dal vecchio al nuovo ente gestore si passa con una gara a procedura negoziata, indetta dalla prefettura di Agrigento, dalla quale nonostante numerose telefonate non siamo riusciti ad avere informazioni, a parte quelle, scarne, pubblicate sul sito dell’organo di governo. Questo tipo di appalto non prevede un bando pubblico e quindi non se ne conosce il valore economico.
È la stazione appaltante che, in deroga alle norme sugli appalti, invita solo alcuni soggetti a partecipare alla gara. Aggiudicazione definitiva il 23 settembre e affidamento “in via d’urgenza” della gestione dal primo ottobre scorso. Il Cspa lampedusano è rimasto chiuso per molti mesi nel 2014 dopo lo scandalo del video choc trasmesso dal Tg2 sulle “docce antiscabbia” praticate dal vecchio ente gestore, il consorzio Sisifo aderente a Lega Coop.
“Le Misericordie tornano a Lampedusa, la porta d’Europa” annunciano sul loro sito, rivendicando la presenza in un luogo simbolo, dove, sottolineano, erano già state gestori dell’allora Cpt (Centro di permanenza temporanea) dal 2007 al 2009.
La gestione viene affidata alla Confederazione nazionale, “con il supporto delle Misericordie siciliane e con l’apporto dell’esperienza della Misericordia di Isola Capo Rizzuto”. A metà ottobre, la delegazione della Confederazione che è andata a Lampedusa per un sopralluogo organizzativo contava anche tutti i nomi di riferimento del centro di accoglienza calabrese. C’erano infatti il Vicepresidente nazionale delle Misericordie con delega all’immigrazione, Leonardo Sacco, governatore dell’organizzazione di Isola Capo Rizzuto, “da anni forte dell’esperienza maturata con la gestione del Cda-Cara S.Anna” – si legge in una nota – il corettore spirituale e il direttore del Centro d’accoglienza S.Anna, rispettivamente don Edoardo Scordio e Francesco Tipaldi.
La Misericordia crotonese è una srl con capitale sociale di 98mila euro e un volume d’affari di oltre un milione e ottocentomila euro (nel 2013), partecipata al 10% dalla parrocchia di Santa Maria Assunta (o ad Nives) di Isola Capo Rizzuto e al 90% dalla “Fraternità di Misericordia”.
La storia di Kabobo ha riacceso l’attenzione sulla disperazione di tanti stranieri che vivono ai margini. Richiedenti asilo che qui hanno trovato un sistema di accoglienza inefficiente. Che nega ogni forma di inserimento e di cure, talvolta anche psichiatriche. Mentre nel resto d’Europa in pochi mesi si decide chi ha diritto alla tutela e chi va espulso
Come emerge dal fascicolo storico della Camera di Commercio, la società ha allargato negli ultimi anni le sue attività e ampliato il numero di sedi. Attualmente ha una quota del 2,67% della Sant’Anna Spa, la società dell’aeroporto di Crotone, che sorge quasi davanti al centro di accoglienza. Si tratta di una Spa a capitale pubblico, partecipata dalla camera di commercio, la provincia e il comune di Crotone e la regione Calabria.
La Misericordia ha il 50% della polisportiva di Isola Capo Rizzuto. Possiede una struttura alberghiera collegata al santuario della Madonna Greca e un centro convegni. Dalle carte ufficiali risultano classificati come “bar, affittacamere, case per vacanze e bed and breakfast”. A questo si aggiungono imprese di pulizia e scuole parificate dall’asilo alle superiori, corsi di formazione e aggiornamento professionale non riconosciuti, la “nebulizzazione antincendio” nei porti, il noleggio di attrezzature e di biciclette, la pulizia di aree pubbliche e la rimozione di neve e ghiaccio.
Inizialmente l’attività principale era l’erogazione di prestazioni di assistenza sanitaria. Nell’oggetto sociale dell’srl oggi può rientrare tutto ciò che ruota attorno al centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto e molto altro. Si va dalla manutenzione edile alla gestione di beni confiscati alla criminalità organizzata, ai servizi per l’educazione, alla tutela dell’ambiente. Ci sono il turismo sociale, la gestione di centri di formazione, il trasporto e il soccorso sanitario, le strutture residenziali per persone con disabilità, le strutture sanitarie diagnostiche, la costituzione e la gestione di strutture per immigrati, la realizzazione e la gestione di centri e strutture per attività sportive, lo svolgimento di attività agricole e manutenzione del verde. La Misericordia, fondata dal parroco don Edoardo Scordio, gestisce il Cara calabrese, considerato “il più grande d’Europa” da almeno un decennio. L’ultimo appalto triennale fino al 2015 è di 28.021.050 euro iva esclusa per una capienza ufficiale di 729 posti. Ma i richiedenti asilo ospitati hanno spesso sfiorato le 2000 presenze.
Il documento viene fuori da una corrispondenza tra l’eurodeputata del Movimento 5 Stelle Laura Ferrara e il prefetto di Crotone. Ferrara aveva visitato il Cara di Sant’Anna lo scorso 26 ottobre, come membro della Commissione Libe (Libertà civili e affari interni) per verificare le condizioni di vita e la corretta gestione dei fondi.
Dopo la visita, l’eurodeputata aveva scritto al prefetto per chiedere chi fornisce e controlla i beni erogati dall’ente gestore come “pocket money”. Si tratta dei 2,50 euro al giorno che gli ospiti dovrebbero ricevere per le proprie necessità. La Misericordia ha spiegato all’eurodeputata che l’erogazione avviene con un credito virtuale di 5 euro ogni due giorni, spendibili solo nel centro per l’acquisto di beni forniti dallo stesso ente gestore (marche da bollo, sigarette, snack) che ne stabilisce anche i prezzi.
Questo sistema, è apparso alla Ferrara “ai confini della legalità” perché “il valore reale di questi cinque euro dipende, in ultima analisi dai prezzi effettivamente praticati nel Centro e sui quali si presume avvenga un controllo”. A controllare dovrebbe essere la prefettura, che ha risposto alla richiesta di accesso agli atti pochi giorni fa, dopo oltre tre mesi. “Gli accertamenti non hanno dato esito su alcun rincaro sui beni per i migranti” precisa la prefettura, che cita anche i rapporti di monitoraggio del progetto Praesidium , costituito dall’ Organizzazione internazionale per le migrazioni , l’ Unhcr (Alto commissariato Onu per i rifugiati), Save The Children e la Croce Rossa . Ma la missiva del prefetto non dice che uno di questi rapporti, risalente al 2013, ha rilevato che a Isola Capo Rizzuto “da settembre 2011 a maggio 2013, gli ospiti riferiscono che il buono economico non è stato erogato”. Secondo questo report, quando il pocket money è stato erogato, ai migranti sarebbero stati consegnati solo due pacchetti di sigarette da 10 a settimana come equivalente di tutto l’importo settimanale pari a 17 euro e cinquanta centesimi.
Ferrara chiede anche di conoscere come avviene la selezione dei fornitori del centro di accoglienza, i bilanci e i rendiconti consuntivi dell’ente gestore e le informazioni relative al vincitore della gara d’appalto per la costruzione dei nuovi alloggi sostitutivi dei container. “La documentazione non è in possesso della prefettura – è la risposta che arriva da Crotone – può essere fornita solo dall’ente gestore o dal Ministero”. Eppure nella Convenzione tra la Prefettura e la Confederazione nazionale delle Misericordie per la gestione del Cara di Crotone, sottoscritta da Leonardo Sacco, all’articolo 21 si prevede l’obbligo per l’ente gestore di inviare alla prefettura report bimestrali sui servizi effettivamente erogati, comprese l’analisi dei costi del personale utilizzato per tutti i servizi, e “la quantità dei beni acquistati ed oggetto di tutte le forniture previste in convenzione”.
“Via i vertici della Cgil”. Ieri si è svolta a Roma l’assemblea dei rappresentanti sindacali dell’area di minoranza in Cgil “Il sindacato è un’altra cosa”. L’area è guidata da Sergio Bellavita (intervista di LiberaTv), che ha tenuto la relazione di apertura, tutta incentrata su un attacco molto duro verso la segreteria, accusata di aver condotto il sindacato in una sorta di vicolo cieco. “Una situazione inedita e drammatica – viene definita nel documento finale -. Pensioni, libertà assoluta di licenziamento, riduzione ammortizzatori sociali, contrattazione di restituzione, generalizzazione della precarietà fanno dell’Italia un paese tra i più brutali d’Europa contro il lavoro”.
E anche se Susanna Camusso si agita tanto, con il referendum, “più sulla rappresentazione del conflitto che sul conflitto vero”, quindi, la realtà è che Jobs act e accordo del 10 gennaio, secondo i ribelli della Cgil, “stanno sulla stessa linea”. Insomma, anche se nessuno in Cgil sembra voler fare bilanci rispetto a un passaggio che senza dubbio può essere considerato epocale sul tema dei diritti dei lavoratori, sembra che il tempo di tirare delle righe sia arrivato davvero. “Il sindacato è un’altra cosa” tenta di farlo non scorgendo però in Landini, e nella Fiom, un possibile alleato in questa direzione. Il suo scontro con Camusso non sembra per il momento scaldare gli animi dei sindacalisti della minoranza della Cgil.
Detto questo, però, l’idea è di andare giù duri contro una maggioranza che di fatto sta facendo perdere di credibilità al sindacato, ormai visto come un corpaccione mollo solo in grado di fornire “servizi” e indire “proteste di testimonianza”, e quindi rendersi del tutto invisible ai bisogni reali di chi sta sul posto di lavoro. Anzi, la situazione è così drammatica che Bellavita fa una previsione molto chiara sul futuro materiale dell’organizzazione sindacale. “Presto – sentenzia – la Cgil comincerà a smaltire gli apparati perché è chiaro che l’organizzazione è sovradimensionata rispetto a quello che effettivamente dovrà svolgere”.
L’unica proposta che passa è quella del referendum. A patto, però, che sia “parte di una indispensabile mobilitazione generale, di una vertenzialità diffusa sugli stessi temi senza la quale nulla è tuttavia possibile, a partire dalla stessa campagna referendaria”.
Mentre si alternano gli interventi davanti a una platea di più di cento persone, qualcuno chiede addirittura di andare a spulciare i bilanci dei territori e chiedere conto di quello che si sta facendo nel concreto.
Dall’”altro mondo” della Grecia in collegamento Skype, porta la sua testimonianza Sotiris Martalis, del Comitato centrale di Syriza. Martalis parla di unan vittoria elettorale che arriva dopo ben 35 scioperi generale e di un sindacato che è quasi completamente in mano a Syriza. “C’è un governo di salvezza nazionale – puntualizza Martalis – e non un governo di sinistra”. E poi aggiunge: “Tsipras ha altri quattro mesi per convincere il popolo greco”. Nel documento finale sulla Grecia c’è un giudizio tutto sommato “attendista”. La partita è aperta. Da una parte si riconosce il tentativo di riscrivere il memorandum, dall’altra, però, si sottolinea che tale proposito “non ha purtroppo determinato quella rottura indispensabile per sostenere politiche economiche e sociali di segno opposto a quelle d’austerità”.
All’assemblea è intervenuto il professor Di Stasi, esperto di diritto del lavoro. Senza mezzi termini Di Stasi ha detto che dentro la proposta Cgil del nuovo statuto dei lavoratori si cela il pericolo di un allontanamento dalla Costituzione della Repubblica.
Il prossimo marzo l’area terrà un seminario del coordinamento nazionale. “Un seminario che si carica di un gravoso impegno: immaginare una strada per la ricostruzione del conflitto che si affranchi dalle pastoie di una burocrazia sindacale logora e complice”.
Da Catania a Trapani alta tensione e mal di pancia tra gli iscritti. Tessere riconsegnate, documenti contro i vertici regionali e nazionali
di ANTONIO FRASCHILLA
I DIRIGENTI del circolo di Misterbianco da ieri stanno consegnando le tessere alla segreteria provinciale. Sulla stessa lunghezza d’onda gli iscritti al circolo di Motta Sant’Anastasia. La direzione provinciale di Trapani approva un documento durissimo contro il partito regionale e nazionale, mentre continuano le adesioni all’appello “non più disponibili” lanciato dai civatiani ma che raccoglie anche ex cuperliani ed ex renziani che annunciano “l’uscita da un partito che non riconoscono più”. “Siamo arrivati quasi a mille adesioni”, dice la responsabile dell’area Civati, Valentina Spata. Nella base del Pd è rivolta contro l’apertura ai nuovi ingressi tra le file dei democratici di Articolo 4 di Luca Sammartino, Valeria Sudano, Paolo Ruggirello e Raffaele Nicotra, ma anche dell’ex Mpa ed Udc Nicola D’Agostino, dell’ex sindaco forzista di Ragusa Nello Dipasquale e dell’ex Ucd Marco Forzese: “Una invasione inaccettabile”, dice l’ex deputato Tonino Russo.
La rivolta parte soprattutto dal basso. Le province dove la tensione è più alta sono certamente quelle di Trapani e Catania. A Misterbianco i dirigenti hanno deciso di consegnare le tessere del partito: “Quello che sta accadendo è inaccettabile – dice il responsabile del circolo Natale Falà – da 25 anni sono iscritto prima ai Ds, poi all’Ulivo e adesso al Pd, e non posso accettare questa trasformazione: Sammartino e Sudano sono nomi che qui significano famiglia Proto, cioè i gestori della discarica, e Humanitas, la mega clinica privata”. Dello stesso avviso anche Massimo Lapiana: “A Misterbianco da anni ci battiamo dalla parte opposta “, dice. Acque agitate anche al circolo Pd di Motta Sant’Anastasia: “Consegniamo le tessere perché qui Articolo 4, e soprattutto il nome Sudano, ha rappresentato la discarica “, dice Danilo Festa.
A Catania nel circolo del centro storico si annunciano documenti di fuoco: “Ma come si fa ad accogliere tutti questi ex Mpa ed ex Udc?” si chiede la dirigente del circolo Adele Palazzo, mentre a Caltagirone il segretario del circolo Pd, Paolo Crispino, assicura “che non saranno fatte tessere ad assessori e consiglieri comunali di Articolo 4 mentre noi siamo all’opposizione “. “Mi chiedo poi cosa c’entri con il Pd il deputato Raffaele Nicotra, ex sindaco del Comune di Aci Catena sciolto per mafia”, dice Giacomo Pulvirenti, altro dirigente del Pd calatino.
Nervi tesi anche a Trapani. Qui a preoccupare è l’ingresso dell’area di Articolo 4 che fa riferimento a Paolo Ruggirello. La direzione provinciale ha approvato un documento molto duro: “Non accettiamo il metodo delle imposizioni dall’alto, siamo all’opposizione di Articolo 4 in diversi Comuni e in vista delle prossime amministrative stiamo sostenendo altri sindaci, come a Marsala”, dice il segretario Marco Campagna. Intanto nel Pd alcune uscite si sono registrate da tempo, come quella della candidata sindaco a Trapani Sabrina Rocca: “Me ne sono andata per il percorso di avvicinamento di ex Mpa al Pd”, dice.
Nel frattempo fioccano le adesioni all’appello dei civatiani che, al di là dei numeri, hanno raccolto diverse firme tra chi sta lasciando il Pd e chi vi rimane ma non condivide quanto sta accadendo. Tra i firmatari dirigenti e amministratori
locali come Sebastiano Ferlito, assessore a Noto, Angelo Indovina, consigliere comunale di Niscemi, Nicola Manoli, consigliere di Ragalbuto, Daniela Mazza del Pd di Sciacca, Gaetano Bisciglio dei democratici agrigentini. Alla finestra, pronta a sfruttare i malumori in casa Pd, c’è Sel: “La fuoriuscita di tanti iscritti da un partito che non riconoscono più è l’occasione per creare in Sicilia un movimento alternativo a Crocetta”, dice il deputato Erasmo Palazzotto.
L’allerta sale anche per un altro episodio, dei bambini dicono di aver visto uomini con un fucile nei pressi del circolo tennis “Tc2”. di Aaron Pettinari – 26 febbraio 2015
Non è solo l’ex boss dell’Acquasanta Vito Galatolo a parlare del piano di morte nei confronti del pm Nino DiMatteo. A darne notizia in un verbale è anche il collaboratore di giustizia CarmeloD’Amico, pentito di mafia di Barcellona Pozzo di Gotto ritenuto abbastanza attendibile per le sue dichiarazioni su mafia e massoneria nel messinese. Ai pm di Messina Vito DiGiorgio e Angelo Cavallo ha raccontato che nell’aprile dello scorso anno alcuni boss siciliani rinchiusi nel carcere milanese di Opera si aspettavano “da un momento all’altro” la notizia del nuovo attentato.
“Me lo disse il capomafia Nino Rotolo – ha detto ai pm – Era con lui che facevo socialità”. Non solo. D’Amico ha anche aggiunto un altro particolare: “Avevo sentito Rotolo che parlava di qualcosa di grave con Vincenzo Galatolo facevano riferimento a una persona che citavano con un nomignolo. Un giorno gli chiesi di saperne di più. E mi disse che Di Matteo doveva morire a tutti i costi”. Rotolo e Galatolo non sono certo gli ultimi arrivati all’interno dell’organizzazione criminale, ntrambi ai vertici dei mandamenti di Pagliarelli e Resuttana. Il verbale dell’ex boss messinese è stato immediatamente trasmesso alla Procura di Caltanissetta che da tempo indaga sul progetto di attentato. Anche se non è chiaro quando D’Amico abbia reso le dichiarazioni è ovvio che queste siano una conferma su quanto dichiarato da Vito Galatolo, il figlio di Vincenzo, lo scorso novembre. “Quando fui arrestato, nel giugno 2014 l’ordine arrivato due anni fa da Matteo Messina Denaro tramite Girolamo Biondino era del tutto operativo. Nella lettera Messina Denaro disse che bisognava fare un attentato al dottor Di Matteo perché, stava andando oltre e ciò non era possibile anche per rispetto ai vecchi capi che erano detenuti. L’esplosivo lo conservava Vincenzo Graziano”. Galatolo parlò di oltre centocinquanta chili di tritolo fatti arrivare dalla Calabria. Lo aveva persino visto, conservato “dentro un contenitore di metallo”. Tuttavia, nonostante le indicazioni sui possibili luoghi in cui poteva essere nascosto, ad oggi non è stato ancora trovato e le ricerche condotte dai finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria e dagli investigatori del centro operativo Dia di Palermo, proseguono senza sosta.
Ad aumentare il clima di tensione al palazzo di giustizia ci sono però anche altri episodi, a cominciare dall’anonimo arrivato nei giorni scorsi in cui si parla chiaramente di armi conservate nei pressi di alcuni luoghi frequentati dai magistrati. E se in questo caso non si fa menzione specifica al pm Di Matteo resta comunque l’allarme attorno al magistrato per un episodio che lo ha riguardato da vicino. Lo ha riportato oggi La Repubblica. Alcuni bambini che frequentano il “Tc2” hanno raccontato di aver visto due uomini con un fucile appostati di fronte all’ingresso secondario del circolo del tennis di via San Lorenzo. “Erano dentro una villetta in ristrutturazione”, hanno spiegato ai genitori. E’ così che è partito l’allarme anche perché, proprio in quel momento, al circolo c’era Nino Di Matteo. Sembra che qualcuno dei bambini abbia anche segnato il numero di targa di un’auto. Immediatamente sono intervenuti i carabinieri ed è stata aperta un’inchiesta, coordinata dal procuratore capo Francesco Lo Voi e dal sostituto Enrico Bologna, su cui vige il massimo silenzio. Anche di questo si è parlato al comitato provinciale per l’ordine a la sicurezza pubblica dei giorni scorsi e ieri si è tenuto un vertice fra i magistrati a cui ha partecipato anche Di Matteo. Una serie di fatti che spiega forse anche il motivo per cui il procuratore nazionale Franco Roberti ha inserito nella relazione della Dna un riferimento all’inchiesta sul cosiddetto “Protocollo fantasma”, “Esposto anonimo nel quale oltre a varie vicende, in gran parte di competenza della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, riguardanti processi anche risalenti nel tempo ed appartenenti alla storia del contrasto giudiziario a Cosa Nostra, emergono notizie di reato a carico di ignoti, asseritamente appartenenti alle forze dell’ordine, che avrebbero per conto di una non meglio specificata entità, spiato alcuni magistrati, impegnati in delicate attività di indagine”. Anche in quel caso al centro dell’anonimo c’erano Di Matteo ed i magistrati del pool trattativa.