Il partigiano Mitraglia

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Antonino Mangano, nome di battaglia “Mitraglia”, nasce a Fiumefreddo il 18 aprile del 1921 da famiglia contadina, è il primo di cinque figli; quattro maschi e una femmina, all’età di dieci anni inizia il duro lavoro nei campi come bracciante.

L’ho incontrato per una breve intervista, novantadue anni, con il suo portamento e la sua vivida memoria dimostra di essere figlio del suo tempo, forgiato dal lavoro dei campi e dalla vita partigiana sulle montagne, sembra una quercia degli Appennini con le radici affondate nella sua esperienza, di chi ha maturato una filosofia e spera di trasmetterla ai nipoti quali future generazioni.

Mi sono sentita piccola di fronte a un uomo dalla grande esperienza e dai grandi ideali, il suo racconto mescola storie di vita contadina e familiare con “episodi epici” che hanno fatto la storia dell’Italia. Come tutti i partigiani che hanno combattuto è molto schivo e poco propenso a raccontare le atrocità della guerra e della morte. Invogliato dalla mia curiosità, si libera e tornato ragazzo, con i suoi occhi chiari diventati di un blu intenso, ripercorre il filo dei ricordi.

Raccontami la tua storia da militare?

A venti anni, nel 1940, sono chiamato alle armi e inviato a Torino alla scuola di Guerra di Cavalleria 2° squadrone Palafrenieri, dove mi occupo dei cavalli. Nel 1942 mentre sono momentaneamente trasferito alla Reggia di Venaria per occuparmi di alcuni cavalli malati, la sede della scuola di Guerra è bombardata durante un attacco aereo.

Dopo il bombardamento, sono richiamato immediatamente a Torino e trasferito a Salsomaggiore, dove m’inviano a fare la guardia a due alberghi il Porro e il Valentini qui alloggiano i militari che frequentano la scuola ufficiali, oltre a noi vi era anche una guardia di civile.

Tutto procede senza problemi fino all’8 settembre 1943, il giorno dopo una moto tedesca con due militari, gira tra le case di Salsomaggiore, allarmati io e altri quattro militari ci rifugiamo a casa di Dante Battistini una delle guardie civili. Il 10 settembre arrivano diversi camion di tedeschi per un rastrellamento. Sono momenti drammatici non sappiamo cosa fare, le donne di casa Battistini ci convincono a strappare i documenti militari e passare per civili, così per copertura andiamo a lavorare in una fornace, per la cottura dei mattoni, diretta da Maugeri Sebastiano. Nella fornace lavora anche un vecchio operaio antifascista Runzoni, che di nascosto organizza i partigiani, tramite il suo aiuto siamo arruolati e armati e abbiamo le indicazioni per raggiungere le brigate partigiane in montagna. Ci incamminiamo per raggiungere i valichi controllati dai partigiani, ma attraversando un campo di mais, ci viene incontro una donna che grida: “ Scappate, tornate indietro, dove andate?  Più avanti è pieno di tedeschi, c’è un rastrellamento!”. Impauriti, torniamo di corsa alla fornace, dove Runzoni ci nasconde, per alcuni giorni, tra i mattoni che erano stati sistemati in modo da fornire degli anfratti dove riparasi e nascondersi.

 

Qual  erano le brigate partigiane che operavano nella zona cui hai aderito?

Attestati sui monti di Salsomaggiore, attorno ai valichi di S. Antonio e Pietra Nera, c’erano i partigiani della 31° Garibaldi divisi in due gruppi distaccamento Bottoni e Vignali, da queste basi partivano le incursioni contro i trasporti tedeschi.

I due distaccamenti prendono il nome da due caduti della battaglia di Luneto. La battaglia di Luneto avvenne il 14 luglio del 1944: le truppe partigiane avevano occupato tutta la zona delle montagne della provincia di Parma, e da qui compivano continui attacchi in pianura e ai reparti che transitavano sulla via Emilia. Il comando tedesco per fermare la continua emorragia di mezzi e uomini decise un rastrellamento, con l’impiego di ventimila uomini oltre a numerosi mezzi blindati e aerei da ricognizione.  Quel giorno un minuscolo gruppo di partigiani si oppose ai tedeschi per ritardare l’avanzata del nemico e facilitare la ritirata dei reparti partigiani, cinque partigiani trovano la morte tra cui i fratelli Rolando ed Emilio Vignali, Carlo Bottoni, Vittorio Sorrenti e Armando Leone.

Qual era la vostra missione?

Il nostro compito era di rendere insicura la via Emilia al passaggio dei tedeschi e di tenere sotto pressione il presidio di brigate nere di Salsomaggiore. Le incursione contro i camion nazisti avvenivano preferibilmente di notte ed essendo in pochi attaccavamo gruppi non troppo numerosi, cercavamo di fermarli con vari trucchi.

I Partigiani di Fidenza usavano la tattica di piazzarsi in mezzo alla strada in modo da far rallentare i camion che transitavano, ma i tedeschi si erano fatti molto sospettosi, e quando vedevano qualsiasi movimento lungo la strada aprivano immediatamente il fuoco. La nostra tattica era di far nascondere sul ciglio della strada un nostro compagno mentre noi ci appostavamo a 200 metri dopo, in modo che lui avesse tutto il tempo per identificare il tipo di trasporto che transitava e darci il segnale per l’attacco.

A volte i tedeschi furbescamente avevano con loro una donna che gridava: “Siamo civili” nella speranza che cadessimo nell’inganno.

Una delle principali azioni cui ho partecipato, è stata l’attacco al villino Catena di Salsomaggiore una caserma fortino della brigata nera, nella notte tra 1 e il 2 novembre del 1944, l’azione nacque dalla necessità di liberare un nostro compagno caduto prigioniero, Eugenio Canali nome di battaglia “Geni”.

All’attacco partecipò tutto il battaglione, il villino era una specie di fortezza difficile da espugnare e ben difeso, la nostra arma principale era una grossa mitragliatrice Breda 37, prima dell’attacco tagliammo i fili telefonici per impedire richieste d’aiuto. Piazzammo delle bombe per aprire dei varchi, questo incarico fu dato a “ Ricciolino” un ragazzo fiorentino che si ferì, perché una bomba scoppiò all’improvviso. Lo scontro si protrasse fino alle 10 del mattino con la liberazione di Geni, che era stato torturato ed era irriconoscibile e di altri cinque ragazzi non partigiani prigionieri dei fascisti.

Cinque fascisti riuscirono a fuggire attraverso un tunnel, molti furono catturati e il fortino smantellato in modo da non poter essere più utilizzato. Diversi fascisti furono feriti durante l’attacco, il comandante della caserma morì alcuni giorni dopo a Parma per le ferite riportate.

In questa occasione ho conosciuto un compagno di Giarre, Sicurella, col nome di battaglia “Riccardo” che ricopriva i gradi di comandante.

Altre azioni da noi compiute sono state due incursioni notturne alla polveriera di Noceto, dove ci siamo impossessati di notevoli quantità di munizioni.

Alla stazione di Faenza, i nostri gruppi si sono impossessati di cinque cannoncini da 47/32 razziandoli da un treno tedesco mitragliato da aerei degli alleati.

Ho partecipato a numerose azioni, ero sempre in prima linea, una volta siamo andati alla caserma dei tedeschi di Salsomaggiore per impadronirci di alcuni mezzi di trasporto, in quel garage erano di guardia due russi che d’accordo con i partigiani, ci permisero di prendere due camion una macchina e una moto, loro con la scusa di essere nostri prigionieri si trasferirono in montagna a combattere al nostro fianco.

Quando la guerra volgeva al termine e il destino dei nazistifascisti era ormai segnato, a Salsomaggiore tra i partigiani e le brigate nere si pervenne a una sorta di tregua, mi ricordo, una volta con tre compagni eravamo scesi fino al paese per un controllo, incontrammo un camion pieno di camice nere, che pur vedendoci e riconoscendoci, ha accelerato e sono spariti.

Ho un ricordo particolare della staffetta partigiana “Vittoria”, lei portava non solo le notizie dal paese ma soprattutto ci procurava da mangiare che otteneva con le tessere annonarie.

Che cosa avvenne dopo la Liberazione?

Il 25 aprile, il nostro distaccamento è stato mandato a Milano per la sua liberazione, qui per noi la guerra è finita. Il nostro pensiero era il ritorno a casa, per aiutarci la fabbrica Legnano ci donò una bicicletta  ciascuno e 12.000 lire, in cinque pensammo di comprare un’auto per il viaggio, tre siciliani, un calabrese e un tarantino, la Lancia sfortunatamente a Modena si ruppe.

Non avendo altre risorse vendemmo le biciclette, questa vendita insospettì gli uomini delle SAP, Squadre di Azione Patriottica, che avevano il compito di ostacolare il mercato nero. Avendo appreso del nostro contributo alla resistenza e dei nostri anni trascorsi in montagna, ci aiutarono. Con passaggi a bordo di camioncini e dei più disparati mezzi di trasporto siamo arrivati fino a Roma e da qui a casa.

La felicità del ritorno fu oscurata dalla notizia della morte di mio padre. Ho ripreso il vecchio lavoro di bracciante e di camionista, e per lunghi anni ho fatto molti viaggi al nord per trasportare prodotti agricoli.

Cosa ti spinse ad aderire alla lotta partigiana?

La mia famiglia è stata sempre di sinistra, mia madre quando passavano le tradotte inveiva contro il duce e il re che mandavano in guerra a morire i figli della povera gente. Siamo cresciuti con gli ideali di sinistra, di pace e uguaglianza.  Ideali che abbiamo e cerchiamo di trasmettere anche ai ragazzi della nostra famiglia.  Mio fratello Giovanni Mangano, segretario della Camera di Lavoro di Fiumefreddo, una volta è stato arrestato per aver organizzato una manifestazione. Pertanto per me la scelta della montagna è stata naturale.

Spesse volte mi sono recato a Salsomaggiore Terme con mia moglie, invitato dalla  locale sezione ANPI, ogni anno il 14 luglio ricordano i caduti di Luneto, sono stati incontri di grande commozione, di ricordi, con i compagni con cui ho passato molti anni di pericoli, paure e anche di grande passione, di entusiasmo ed esaltazione.

di Santina Sconza

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L’ANPI di Catania partecipa alla manifestazione a Niscemi del 30 marzo ” NO MOUS”

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Auguri di buona Pasqua dall’ANPI di Catania

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Teatro Coppola Mercoledì 3 Aprile ore 21: Lu Saturu nono criri a lu dijunu

 

LU SATURU NON CRIRI A LU DIJUNU
                                 con
           MATILDE POLITI
Teatro Coppola, via Vecchio Bastione 9, Catania
                 Mercoledì 3 aprile ore 21

ingresso libero (libera offerta)

Ferrara, poliziotti del Coisp contro la mamma di Federico Aldrovandi. Il sindaco: “Una strumentalizzazione”| Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Plateale e odiosa provocazione di un sindacatino di polizia, il Coisp, che questa mattina ha inscenato un sit-in a Ferrara sotto l’ufficio della mamma di Federico Aldrovandi, il ragazzo ucciso da quattro poliziotti nel 2005.Nemmeno tanto velate le intenzioni degli agenti che sotto le finestre dell’ufficio di Patrizia Moretti hanno espressamente solidarizzato con “Luca, Paolo, Monica, ed Enzo”, i quattro agenti condannati definitivamente per l’omicidio del diciottenne e per i quali “non riesce il tribunale a individuare qualsivoglia elemento di meritevolezza atto a sostenere la concessione e poi la corretta fruizione, ai fini rieducativi, dei benefici penitenziari”. I quattro sono stati condannati, nel paese in cui si scontano dieci anni per una vetrina rotta, a scontare un residuo di pena in carcere. Una di loro è già ai domiciliari. Dura e coraggiosa la reazione di Patrizia, che è scesa in lacrime con la foto di Federico morto per mostrarla allo sparuto gruppo di manifestanti del Coisp venuti a Ferrara per il congresso regionale della sigla. “Questa gente – prosegue la madre di Federico – non puo’ continuare a dire sciocchezze che sono state smentite da decine di sentenze, a volte penso che siano solo dei poveretti in cerca di visibilita’ e comunque di certo non andro’ al loro congresso al quale sono stata indirettamente invitata”.
Tiziano Tagliani, sindaco estense, anche lui è sceso in piazza Savonarola per incontrare i manifestanti e chiedere di spostare il camper ma il segretario generale Franco Maccari gli ha fatto capire che se ne doveva andare. Sono volate parole grosse e qualche spintone. “Una strumentalizzazione – ha detto il sindaco -. Mi mandano via nella mia città, quando ho solo chiesto di spostarsi di qualche metro. Sono anni che cerco di riappacificare il clima tra le gente e le forse dell’ordine. Dirò al prefetto e al questore di quanto successo. Per quanto mi riguarda manifestazione di questo genere in piazza Municipale e in piazza Savonarola non si faranno più. Era mio dovere intervenire per evitare che la situazione degenerasse, visto che Patrizia Moretti stava per scendere in strada”.

Maccari non è nuovo a queste sceneggiate. Ogni 20 luglio chiede di manifestare in piazza Alimonda in solidarietà con gli autori di quella che Amnesty ha definito la più grave sospensione dei diritti umani in Occidente dalla fine della seconda guerra mondiale. Il caso Aldrovandi, visto con gli occhi del Coisp, sarebbe “assurto a simbolo della disparità di trattamento riservata agli appartenenti alle Forze dell’Ordine”.

“Speravo di non dover mai – commenta Patrizia Moretti sul sito estense.com – essere costretta a mostrare ancora in pubblico quella foto». Davanti a quella foto i componenti della delegazione Coisp hanno voltato le spalle”. Quella foto, simbolo della determinazione della famiglia Aldrovandi a reclamare giustizia e verità, irrita parecchio Maccari e i suoi che hanno chiesto all’ordine dei giornalisti di proibirne la pubblicazione.

Lavoro, dal 2008 in aumento i disoccupati stranieri. +318.000 unità | Autore: i.borghese da: controlacrisi.org

L’occupazione straniera negli ultimi quattro anni è aumentata, ma nell’ultimo anno, va sepcificato, la crescita si è ridotta in modo notevole. Il fatto è dovuto anche al calo di quella italiana.
Negli anni della crisi economica, quelli che vanno dal terzo trimestre del 2008 al terzo del 2012, nel nostro paese gli occupati stranieri, sono aumentati di ben 480mila unità, quelli italiani invece sono scesi di 1,04 milioni.

Nell’ultimo anno, ad ogni modo, è salito in modo vertiginoso il numero di stranieri che cercano lavoro. Questo è quanto emerge dunque dal rapporto realizzato sull’andamento semestrale del mercato del lavoro in Italia degli immigrati presentato dal ministero del lavoro.

L’incremento dell’impiego straniero, nel quadriennio, è stato significativo sia per la componente Ue, val a dire +222mila occupati con una crescita paria al 39,7%, sia per quella extracomunitaria, che invece è pari al +259mila occupati e un aumento del 19,7%.

La crisi ha segnato con forza i lavoratori stranieri. A dimostrarlo è il fatto che il numero di stranieri in cerca di lavoro aumenta. Infatti i disoccupati stranieri da 264mila nel terzo trimestre del 2011 sono saliti a quota 318mila nel terzo trimestre del 2012. Si tratta di una crescita della componente Ue pari a +5mila lavoratori, ma in modo particolare di quella extra Ue, con un aumento di circa 48mila disoccupati.
Negli ultimi quattro anni è salito anche il numero degli stranieri inattivi, da 765mila del terzo trimestre del 2008 a 1,25 milioni nel terzo trimestre del 2012. Una crescita concentrata, in modo prevalente, tra gli stranieri extra Ue (+370mila lavoratori).

“Le politiche del lavoro di breve-medio periodo – ha osservato il ministero del Lavoro – dovranno, quindi, essere orientate prioritariamente a riassorbire lo stock di disoccupazione straniera che si è accumulato in questi anni”.

Nel terzo trimestre del 2012 i lavoratori stranieri con occupazione in Italia erano 2,357 milioni. Tra questi 783mila sono di nazionalità Ue e 1,574 invece di origine extracomunitaria, il 10,2% degli occupati.
Rispetto al terzo trimestre del 2011, l’occupazione straniera è salitadi 81mila unità (+3,5%), una crescita di 37mila lavoratori di provenienza Ue (+4,9%) e 44mila extra Ue (+2,8%).
Sempre nel terzo trimestre 2012, la distribuzione per settore vede una significativa presenza degli occupati stranieri sul totale, nelle costruzioni (18%), in agricoltura (13%), nei servizi (10,4%), nell’industria in senso stretto (9,2%) e nel commercio (6,2%). Ma è nei servizi sociali e alle persone che si concentra il 28% di tutti gli occupati stranieri Ue ed extra Ue, in larga maggioranza donne.

La distribuzione territoriale registra una presenza dominante nel Nord Italia dove si concentra il 59,8% degli occupati stranieri,
seguito dal Centro con il 26,6%, mentre nel Sud e nelle Isole si concentra poco più del 13% degli occupati stranieri. La
distribuzione tra maschi (46%) e femmine (54%), si è nel tempo riequilibrata, per effetto del traino della domanda di lavoro nel
settore domestico.

Dall’analisi delle comunicazioni obbligatorie si assiste ad una stabilizzazione della domanda di lavoratori stranieri. Nel terzo trimestre del 2012 gli avviamenti sono stati il 20,6% del totale, in linea con i valori rilevati nello stesso trimestre dell’anno precedente e maggiori di un punto percentuale rispetto a quelli registrati nello stesso trimestre del 2010.

In agricoltura, i rapporti di lavoro riservati ai lavoratori stranieri sono stati il 14% del totale, contro il 9% dell’industria e il 7,3% nei servizi.

Se poi ci soffermiamo sulle tipologie dei rapporti di lavoro, sono in aumento i contratti a tempo determinato per i lavoratori stranieri. Per i lavoratori Ue, la percentuale di attivazioni con contratto a tempo determinato va dunque dal 74% del terzo trimestre 2011 al 76,7% del terzo trimestre 2012, invece per i lavoratori extra Ue la percentuale sale dal 55,4% al 58%.

Le imprese privilegiano posizioni temporanee a discapito delle permanenti. Nel settore delle industrie e delle costruzioni, la contrazione della domanda di lavoro riservata agli stranieri risulta piuttosto rilevante.
In controtendenza il comparto dei servizi alla persona che manifesta una domanda in crescita in modo netto. Sempre nel confronto tra il terzo trimestre 2012 e lo stesso periodo dell’anno precedente,gli occupati nei servizi domestici ed alle famiglie aumentano di 75mila unità considerando i lavoratori stranieri sono in calo invece di 12mila unità considerando gli occupati di nazionalità italiana.

Telecom, accordo su gestione esuberi LAVORO – ITALIA

E’ stato chiuso questa mattina l’accordo tra Telecom e sindacati per gestire gli esuberi, senza ricorrere ai licenziamenti e alla mobilita’.

Dei 3.000 esuberi circa che sono stati individuati, 2.500 verranno gestiti attraverso i contratti di solidarieta’. 500 lavoratori invece potranno andare in pensione, perché hanno maturato i requisiti necessari.

Altri 350 lavoratori di Telecom Information Technology saranno gestiti con analoghi ammortizzatori sociali. L’azienda e le organizzazioni sindacali prevedono per i prossimi anni un processo di profonda “internalizzazione” del lavoro per tutelare i livelli di
occupazione.

L’accordo inoltre prevede una serie di azioni per aumentare la produzione all’interno dei customer di Telecom Italia, con la costituzione di Commissioni tra Azienda e Sindacato per monitorare l’andamento di quanto stabilito nell’accordo.

Liberazione di Verbania ad opera dei partigiani della Flaim

Osservatorio dei diritti di catania 30 marzo 2013 a niscemi alla manifestazione : no Mous

L’Osservatorio dei diritti di Catania, parteciperà come osservatore , inviando i propri avvocati, alla manifestazione NO MUOS a Niscemi, il 30 marzo prossimo.
Questi saranno facilemente riconoscibili dalle pettorine verdi che già in passato hanno accompagnato gli osservatori.
Tutti gli avvocati siciliani che volessero aderire a questa iniziativa possono mandare una mail al profilo facebook AVVOCATI LIBERI, per tutte le delucidazioni
L’OSSERVATORIO DEI DIRITTI CATANESE ha sede a Catania ed è composto da avvocati che operano nel campo dei diritti umani . Si propone la tutela dei diritti dell’individuo ma anche la conoscenza e la divulgazione degli stessi, fornisce assistenza legale alle vittime di violazioni dei diritti umani dinanzi all’ autorità giudiziaria. Opera anche nell’ambito della raccolta di informazioni e di reporting su problematiche specifiche attinenti alla tutela dei diritti umani.
Il gruppo ha inviato proprie delegazioni alle procedure di monitoraggio sul rispetto degli obblighi in materia di diritti umani e ha già partecipato a manifestazioni politiche e ad altri fenomeni sociali relativi ai diritti dell’individuo.
Goffredo D’Antona portavoce osservatorio dei diritti Catania.

Altro mare, stessa morte. La tragica vicenda dei Rohingya da: MigarantiTorino.it

Scritto da Redazione il 25 March 2013

di Mirtha Sozzi
L’alto Commissariato per i rifugiati ha lanciato un appello per denunciare l’aumento delle morti di persone – in fuga dal proprio paese – nell’Oceano Indiano. Nel 2012 vi sarebbero morte almeno 500 persone; cifre che rendeno un altro mare, lontano ma speculare al nostro Mediterraneo, tomba silenziosa di chi fugge per salvarsi la vita.
Per coloro che fuggono dalle guerre e dalla miseria, l’Oceano Indiano e’ diventato uno dei tratti di mare piu’ letali al mondo. Insieme al Mediterraneo e alla frontiera statunitense-messicana. Lo scorso febbraio Guterres, portavoce dell’UNHCR, ha dichiarato: “This is an alarmingly high number of lives lost, and begs a far more concerted effort by countries of the region both with regard to addressing the causes and to preventing lives being lost. Push-backs, denial of disembarkation, and boats adrift for weeks will not solve a regional problem that clearly needs better, more joined-up, and more compassionate approaches by everyone”. Il punto cruciale è quindi quello della sensibilizzazione al problema, sia per i governi dei paesi di partenza sia per quelli di destinazione, che spesso si rifiutano di favorire gli sbarchi e di recuperare le barche in avaria. Problemi che riguardano un’intera regione, quella del golfo del Bengala che abbraccia India, Sri Lanka, Balngladesh, Myanmar e Thailandia.

La maggiorparte delle persone, vittime del mare, tenta la fuga dal Myanmar e, secondo quanto riferisce il sito dell’Agenzia ONU per i rifugiati, sarebbero già diverse migliaia le persone che nel 2013 si sono imbarcate affidandosi ai trafficanti nel Golfo del Bengala. Si tratta per lo più di persone di etnia Rohingya, provenienti dallo stato birmano di Rakhine o dai campi per rifugiati o dagli accampamenti del Bangladesh. I musulmani Rohingya sono visti dal governo birmano come emigranti illegali dal Bangladesh e non sono stati riconosciuti ufficialmente come una delle minoranze etniche della regione. La posizione del governo ha reso i Rohingya degli apolidi e dal giugno 2012 la situazione è esplosa tanto che si parla di genocidio muto.

80.000 sfollati, 5.000 abitazioni rase al suolo, 650 morti, 1.200 feriti: sono i numeri ufficiali, aggiornati a dicembre 2012, delle ondate di violenza che hanno colpito l’etnia dei Rohingya. Spinti alla fuga, ciò che si trovano di fronte è la via dell’oceano, dei trafficanti, delle carrette del mare alla deriva, delle marine militari che le respingono o che rifiutano di concedere gli sbarchi. L’ultima vicenda in ordine cronologico è del 15 marzo corrente mese, in cui il governo thailandese avrebbe trainato un’imbarcazione, con a bordo persone di etnia Rohingya, fuori dalle acque di conpetenza del Paese e durante le operazioni di intercettazione sarebbero stati esplosi anche colpi di arma da fuoco. Storie che si ripetono tristemente dal Mediterraneo fino all’oceano Indiano senza alcuna variazione. Qui un lembo di mare, là la grande distesa di un oceano per una medesima sorte: l’indifferenza umana, la non osservanza delle leggi internazionali, il fuggire da una morte per incontrarne un’altra.

foto Un gruppo di rifugiati Rohingya