A voi il reprobo: Carlo Smuraglia, il giurista partigiano

Ma che ha fatto di così screanzato o illiberale Carlo Smuraglia? E’ il presidente dell’Anpi, è stato partigiano da ragazzo, è oggi di fatto il rappresentante più autorevole della storia della Resistenza italiana. E ha il dovere di rappresentarla. Continuo. Sa che la nostra Costituzione è nata dalla Resistenza e che c’è un filo unico, di valori e di speranze, tra l’una e l’altra. Coglie lucidamente che si vuole sfigurare la Costituzione, e ancor più lo si farà se si considerano gli effetti della proposta di legge elettorale (il famoso Italicum, sembra un treno). Dunque la difende. E ha chiesto all’Anpi di difenderla come eredità morale della Resistenza. Ma voi pensate davvero che avrebbe assunto questa decisione se il problema fosse stato solo quello di abolire il Senato? No di certo, perché non sta lì lo scandalo (semmai scandalizza che si dica di averlo abolito mentre non è vero, mentre se ne tiene in piedi una versione tra il pittoresco e il mostruoso).
Smuraglia lo conosco da molto tempo. Come giurista, docente a Scienze Politiche quando ero giovanissimo addetto alle esercitazioni. Come presidente del consiglio regionale lombardo. E poi come avvocato che si offrì di difendermi gratis al maxiprocesso (andò poi al Csm, dove fu uno dei più lucidi difensori di Falcone), come punto di riferimento nella lotta al terrorismo e alla mafia (presiedette benissimo la prima commissione antimafia del Comune di Milano). E non si è mai risparmiato, a nessuna età, nell’andare in giro a far dibattiti, a nutrire la democrazia. Vedere dei valletti analfabeti che lo irridono come ignorante di diritto, fa riflettere sul nostro possibile futuro prossimo. In realtà il giurista partigiano ha capito (meglio di noi) quel che in molti abbiamo capito. Qui il problema non è cambiare la Costituzione, necessità di cui scrivo da vent’anni. Ma è se sfregiarne lo spirito o no. L’uomo, che ha esperienza e fiuto della storia, ha capito benissimo che dietro tutto tira una gran voglia di comando personale. Mentre la Costituzione, guarda un po’, aveva la fisima di proteggere la democrazia dai poteri senza limiti, anche se nati dal voto popolare. Per questo Carlo Smuraglia ha chiesto all’Anpi di non fare Ponzio Pilato. E ha fatto bene. Poi il dissenso nell’Anpi fa parte esattamente delle libertà che si vogliono difendere. Come dovrebbe essere dentro i partiti. O no?

Sara e le altre. Sono oltre 450 i femminicidi negli ultimi tre anni da: left.it

Per terra, tra i cespugli, un corpo senza vita,  lungo via della Magliana, oltre lo svincolo per il Grande raccordo anulare. È morta così, semicarbonizzata, per mano del suo ex fidanzato Vincenzo Paduano, guardia giurata di 27 anni, che ha confessato. A 200 metri l’auto ancora avvolta dalle fiamme. La mattina seguente alla notte tra il 29 e il 30 maggio, la Capitale si sveglia così, con l’ennesimo caso di cronaca che supera la peggiore delle fantasie. Sara Di Pietrantonio, 22 anni, studentessa universitaria, è la 17esima vittima di femminicidio dall’inizio dell’anno, stando ai dati costantemente osservati dalla Casa delle donne. I dati che troviamo non sono mai ufficiali, né definitivi, ma se anche fossero “solo” 17 i femminicidi da inizio 2016, vorrebbe quasi uno alla settimana. E nel 2015 se ne sono contate 128 di donne uccise prevalentemente dal marito o dal compagno.

Che questi omicidi si consumino in ambienti criminali  o tra le pareti domestiche, resta il fatto che il “fattore donna” è in crescita nel totale degli omicidi: ancora secondo Eures, il 31,9% nel 2014, un netto aumento rispetto a 25 anni fa quando i delitti di donne erano l’11,1% del totale. Dal 2013, inoltre, 11.423 donne sono state violentate, 21.272 picchiate e 78.106 vittime di lesioni.

Su questo scottante tema è intervenuto, lo scorso 18 maggio, il ministro Alfano: «Tra il 2013 e il 2016 in Italia le vittime di femminicidio sono state 452, l’8,5% in meno del triennio precedente», ha detto. Eppure le associazioni femminili si dicono preoccupate per i dati che ritengono «allarmanti e sottostimati». Secondo il rapporto Il costo di essere donna-indagine sul femminicidio in Italia, elaborato dalle volontarie della Casa delle donne a uccidere sono i mariti nel 22% dei casi, ex nel 23%, compagni o conviventi nel 9%, infine i figli nell’11% dei casi.

Ancora, secondo l’Osservatorio nazionale dello stalking (attivo dal 2007) un’alta percentuale di omicidi è preceduta da atti persecutori e molestie.

Alla Camera, depositata l’11 maggio, giace una proposta di legge su “Femminicidio e crimini domestici”, per tutelare gli orfani e i familiari della vittima. Perché, ad oggi, la legge italiana prevede che un uomo che ha ucciso la moglie, o viceversa, non viene automaticamente escluso dall’eredità della vittima. E per escludere il genitore omicida dalla successione, i figli sono costretti a intentare una costosa causa civile nei suoi confronti e vincerla.

Per molti mesi, inoltre, il Dipartimento Pari Opportunità è rimasto senza un responsabile – fatto di cui si sono lamentate spesso le associazioni e gli operatori dei centri antiviolenza -. Soltanto il 10 maggio scorso il presidente del Consiglio ha affidato a Maria Elena Boschi la guida del Dipartimento.

Luciano Lama partigiano e sindacalista 31 Maggio 1996 moriva. Noi ANPI Catania lo vogliamo ricordare con questo video

“Rimanere in Cgil per assistere alla nascita della Grande Cisl?”. Intervento di Armando Zenorini da. controlacrisi.org

 

Alla luce delle ultime azioni repressive e disciplinari di FIOM e CGIL Nazionali nei confronti dell’opposizione e del dissenso espresso dalla nostra Area Sindacale (vedi i casi delle RSA FIOM in FCA di Termoli e Melfi, e la revoca del distacco sindacale nazionale al nostro coordinatore nazionale, Sergio Bellavita) ed inoltre anche di fronte alla dichiarata volontà dell’attuale maggioranza Camusso-Landini di chiudere ogni spazio di dissenso modificando lo stesso Statuto Congressuale in vista del prossimo Congresso, vi invio queste mie prime riflessioni, invitandovi ad iniziare in merito un dibattito ed a esprimere delle scelte.Diciamo che dobbiamo partire dal nostro fallimento come azione sindacale in CGIL, senza “audafè” inutili, ma analizzando con sereno distacco un’esperienza che andava comunque tentata e praticata, anche solo per verificarne i limiti. Del resto, non vedo in chi ha fatto scelte diverse od “anticipate” rispetto a noi, tutta questa messe di successi o di accumulo di forze: anzi!
Credo che, bene o male che vada, non resta di provarci, fuori dalla CGIL, magari anche solo a futura memoria per chi verrà dopo. Partendo da un fondamentale no: quello all’accordo neo-corporativo del 10 Gennaio 2014. E dalla proposta di un rilancio dell’azione politico sindacale proletaria attraverso il rilancio della centralità dei Consigli dei lavoratori, che quando è stata brevemente praticata (1919-1921; 1968-1978) ha determinato gli unici momenti di crescita economica, politica e di avanzamento sociale delle classi subordinate in questo paese.Per il passo successivo ci vorrà la politica, una forza politica, che per me non può altro essere che un forte Partito Comunista tutto ancora oggi da costruire. Cosa, invero che mancò anche i quei due periodi (nei fatti e nella pratica ideologica, sia pure per motivi e storie diversi) sia nel “biennio rosso”, che negli anni ‘70.

Solo, a chi resta in CGIL, chiedo: a questo punto per cosa? Per assistere alla nascita della “Grande CISL” ? Per la speranza di un posto di lavoro in qualche servizio sindacale, tanto per avvicinare la pensione? Perché, a parte quelle rare volte che ti permettono di abbaiare alla luna, poco o nulla d’altro resta ancora da poter fare.

Di questo, oggi, credo sia necessario cominciare a discutere, per chi crede ad un sindacato conflittuale e difensore delle esigenze della classe sociale che dice di difendere.

*coordinatore provinciale di Verona de “Il sindacato è un’altra cosa – opposizione CGIL” e membro dimissionario del Direttivo Nazionale della Fillea-CGIL.

Chi ha la maggioranza controlla il parlamento Autore: Massimo Villone da: controlacrisi.org

Da Tokyo Renzi rassicura il popolo sovrano che la riforma costituzionale non rafforza il presidente del consiglio: lo scioglimento della camera rimane al Capo dello Stato, aumenta il potere dell’opposizione e dei cittadini. Il premier non potrà nemmeno nominare e revocare i ministri. Dunque, nessuno tema l’uomo solo al comando. È mera rappresentazione.
In Parlamento quando si arriva al dunque si vota e ci si conta. I più alla fine vincono. Le garanzie per le opposizioni possono essere di procedimento, non di risultato.
E possiamo stabilire un assioma: chi controlla la maggioranza controlla il Parlamento. Quindi la domanda vera è: le riforme messe in campo sono costruite in modo tale da consegnare a qualcuno il controllo della maggioranza?
La risposta è certamente sì, ma non si trova solo nella riforma costituzionale. Bisogna guardare anche ad altro. È a tutti chiaro che per l’Italicum un singolo partito vincente avrà 340 seggi nella Camera dei deputati, la sola camera politica. Ma chi saranno i prescelti? E sarà possibile al premier imbottire l’assemblea con i suoi fedelissimi? In specie se è anche segretario del partito?
La risposta è ancora sì. L’Italicum si articola in 100 collegi plurinominali, che cioè eleggono più di un candidato. In ciascun collegio i partiti presentano una lista di pochi nomi: collegi piccoli, liste corte, che, si dice, servono a far conoscere i candidati e a favorire la scelta da parte degli elettori. Ma sono anche utili a predeterminare gli esiti elettorali da parte di chi forma le liste: primo fra tutti, il premier-segretario.
Dai collegi dovranno uscire i 340 nomi garantiti dal premio di maggioranza al partito vincente. Ma intanto dobbiamo ricordare che i capilista sono votati insieme alla lista. Per semplicità potremo dire che sono i primi cento che il premier porta a casa, perché certamente nella posizione blindata di capolista a voto bloccato metterà una persona sua, che sarà eletta. Poi per il partito vincente risulterà eletto nel collegio un altro deputato, o più, in base alle preferenze. Essendo pochi i candidati, un’accorta formazione della lista consentirà al premier di mettere nel collegio un paio di candidati a lui vicini, forti e capaci di attrarre preferenze. Completando poi la lista con donatori di sangue che portano voti alla lista, ma non in misura tale da risultare vincenti nelle preferenze: lo studente universitario, la mamma di famiglia, magari persino l’operaio. È la tecnica ben nota di presentare con alcune candidature forti altre volutamente deboli, che non disturbino i candidati veri. Tecnica favorita dalla possibilità di candidare i capilista in più collegi, fino a un massimo di dieci.
La leadership del partito vincente potrà decidere nei collegi non solo il pacchetto dei capilista, ma anche un pacchetto di seconde e terze candidature ad alta probabilità di successo. In tal modo il premier segretario che ha l’ultima parola sulle liste potrà assicurarsi la fedeltà di larghissima parte della rappresentanza parlamentare. Qualcuno sfuggirà, ma senza impedire una solida maggioranza nel gruppo parlamentare. La disciplina di gruppo – unitamente a quella di partito – può mettere ai margini ogni forma di dissenso sopravvissuta alla pulizia etnica praticata con le liste.
In questo scenario, il premier segretario può determinare la scelta del presidente dell’Assemblea, quella del capogruppo e dei presidenti di commissione, e dirigere per interposta persona la conferenza dei capigruppo e l’ufficio di presidenza dell’Assemblea. Sono gli snodi cruciali della decisione parlamentare. Può altresì incidere sull’elezione degli organi di garanzia, a partire da quella del Capo dello Stato, dei giudici della Corte costituzionale, di componenti di autorità.
Inoltre, Renzi dice il vero quando ricorda che è il Capo dello Stato a nominare il primo ministro. Ma chi potrebbe mai nominare se non la persona sostenuta dai 340 blindati dal premio? Nessun altro otterrebbe la fiducia. Ancora, è ben vero che il premier non può direttamente revocare un ministro riottoso. Ma può far votare una sfiducia individuale (ex art. 115 reg. Cam), obbligandolo alle dimissioni. È ben vero che non può sciogliere anticipatamente la Camera. Ma può determinare una impossibilità di funzionamento che costringa il Capo dello Stato a sciogliere: ad esempio con dimissioni cui segua una crisi di governo irrisolvibile per mancanza di una maggioranza alternativa. In più, la riforma offre uno strumento di diretto controllo dell’agenda parlamentare con il voto a data certa su richiesta del governo. Decide l’Assemblea. Ma potrebbe mai decidere contro il volere dei 340?
Il potere personale del premier-segretario non si coglie guardando solo alla legge Renzi-Boschi. È nella sinergia tra norma costituzionale, regolamento parlamentare, legge elettorale, partito. La chiave di volta che traduce quel potere nell’istituzione è il controllo della maggioranza parlamentare costruita e blindata dal premio. La battaglia sul referendum costituzionale è pensata per colpire l’immaginario collettivo con slogan populistici di facile presa. Ma è piuttosto l’Italicum l’architrave del potere nel Renzi-pensiero. Che il premier possa addivenire a modifiche sostanziali è l’ultima illusione della minoranza Pd.

Bergamo, la risposta al “pestaggio cileno” contro gli antifascisti: martedì 31 maggio sotto le finestre della prefettura da: controlacrisi.org

Martedì 31 maggio, ore 18,30, davanti alla Prefettura di Bergamo. Sarà questa la risposta dopo le botte della polizia a Lovere, ieri, quando una manifestazione di antifascisti, tra cui il Prc, ha cercato di impedire un raduno di nazisti. La reazione delle forze dell’ordine è stata rabbiosa e gratuita (leggi qui). Le manganellate hanno spedito all’ospedale il segretario provinciale del Prc e altri due antifascisti, tra cui una persona anziana e un giovane iscritto a Rifondazione Comunista. In pratica, ai fascisti è stata data la possibilità di manifestare nel cimitero di Lovere dove c’è il sacrario dedicato ai partigiani – i “Tredici Martiri di Lovere” – massacrati dai fascisti mentre agli antifascisti è stato riservato un “trattamento particolare” da parte delle forze dell’ordine.
“La nostra condanna è nei confronti non solo di chi ha usato violenza e menato botte contro gli antifascisti, ma anche nei confronti di chi ha dato il permesso di svolgere un raduno fascista in un luogo dedicato ai tredici Martiri di Lovere. Si badi bene: permesso accordato contrariamente a quanto richiesto in sede di Prefettura dal Presidente del Comitato Provinciale Antifascista e dal Presidente provinciale dell’Anpi”, si legge in un comunicato firmato da Ezio Locatelli, segreteria nazionale Prc/Se e già deputato, Antonello Patta, segreteria regionale Prc/Se, Vittorio Armanni, segreteria provinciale Prc/Se di Bergamo.In queste ore molte sono le condanne al comportamento tenuto dalla Polizia di Stato, tra queste quelle dell’Anpi, Cgil, Arci oltre a tutta una serie di associazioni.

Alleghiamo ultimo numero di Notizie Resistenti ANPI Ravenna

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Pubblicazioni ANPI: ANPINews #203
 
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Quei marò dimenticati da: ilmanifesto.info

Marò. Gli eroi nazionali e le vittime nascoste e cancellate

Solo sei giorni fa la Corte d’appello di Roma – perché il governo italiano aveva sfacciatamente fatto ricorso alla sentenza di primo grado – ha condannato il ministero della difesa al risarcimento di un milione e mezzo di euro per condotta omissiva per non avere protetto adeguatamente il militare Salvatore Vacca, morto nel 1999 a 23 anni di leucemia contratta dopo l’esposizione a munizioni e materiali tossici durante la missione nei Balcani (in Bosnia). Una condotta omissiva che, per i giudici, «configura una violazione di natura colposa delle prescrizioni imposte non solo dalla legge, dai regolamenti di comune prudenza». L’omissione riguarda l’esposizione a scorie di uranio impoverito componente delle bombe impiegate nei primi bombardamenti aerei della Nato nei Balcani, dal 1994 al 1999.

La sentenza della Corte d’appello di Roma stabilisce un evidente nesso casuale tra la malattia e l’esposizione ad agenti tossici nel corso del servizio in Bosnia; sottolineato dal fatto che nel corpo del militare 22enne, morto di leucemia linfoblastica acuta, sono state rintracciate svariate particelle di metalli pesanti non presenti normalmente nell’uomo; e questo, hanno scritto i magistrati, è «la conferma definitiva del reale assorbimento nel sistema linfatico di metalli derivanti dall’inalazione o dall’ingestione da parte del militare nella zona operativa».

Un rischio «totalmente non valutato dal comando militare». Una sentenza unica nel suo genere, si parla infatti di omicidio colposo. Che in realtà è una strage. Perché i militari italiani – ma anche tanti civili bombardati – morti per uranio impoverito risultano ad oggi ben 333, e 3.600 quelli ammalati, tanti i soldati semplici, i graduati, appartenenti a tutti i corpi, dalla Brigata Sassari alla quale apparteneva Salvatore Vacca, ai fucilieri di Marina del Battaglione San Marco. Lo stesso dei due marò.

Siamo particolarmente sensibili all’argomento: il manifesto 15 anni fa, in piena solitudine, denunciò con una lunga campagna (ripresa perfino da Striscia la Notizia) l’uso dell’uranio impoverito nelle tante guerre all’Iraq, che avvelenarono e uccisero tanti soldati americani, ma soprattutto tanti civili iracheni bombardati dei quali nessuno ha mai parlato.

Ora il governo italiano annuncia il rilascio da parte di New Delhi di Salvatore Girone per tutta la durata del procedimento arbitrale. Manco a farlo apposta, in piena campagna elettoral-referendaria, il marò sarà ricevuto a Palazzo Chigi il 2 giugno, mentre la destra chiede addirittura che sfili nell’inutile parata ai Fori. Mentre si preferisce non parlare dei soldati e dei marò morti per uranio impoverito perché impegnati nella tante «guerre umanitarie» nostrane vecchie e nuove, nonostante l’articolo 11 della Costituzione. Invece diventano eroi i «due marò» che con la loro drammatica vicenda si sono trasformati in una specie di patrio lutto militar-collettivo. Il lutto naturalmente non si addice a Valentine Jalastine e Ajesh Pinku, i due pescatori indiani uccisi, perché si sa la vita di due pescatori, a qualsiasi latitudine appartengano, vale meno di zero. Perché, che i due lavoratori del mare indiani siano stati uccisi è incontrovertibile.

Come il fatto che, dalle prime testimonianze rilasciate alle autorità di polizia del Kerala dagli stessi marò poi trattenuti in India, la pattuglia armata fino ai denti di scorta al mercantile Enrica Lexie – secondo una legge voluta dall’intrepido Ignazio La Russa e votata bipartisan – fece fuoco per avere visto movimenti di armi sul naviglio di pescatori. O quelle morti vanno attribuite ad un delitto passionale?

Anche noi siamo sensibili e contrari alle detenzioni prolungate senza processo. Bene quindi che Massimiliano Latorre sia già in Italia con un permesso speciale per gravi motivi di salute fino al 30 settembre, e che rientri Girone, entrambi almeno sotto le condizioni della giustizia indiana. Perché rifiutiamo anche per i militari italiani quell’impunità che è stata invece garantita a militari Usa per tragedie come il Cermis e il caso Lozano per Giuliana Sgrena e Nicola Calipari. Ma per favore, se abbiamo tanto a cuore la sorte dei soldati italiani, invitiamo a Palazzo Chigi e facciamo «sfilare», se non altro nella nostra cattiva coscienza e memoria nazionale, le famiglie dei soldati e dei marò morti per uranio impoverito. E quelle, cancellate, delle vittime civili dei tanti nostri bombardamenti «umanitari».

Migranti, Unhcr: “Oltre 700 le vittime nei tre naufragi nel Mediterraneo”. Msf: “900 morti nell’ultima settimana” da: ilfattoquotidiano.it

 

Secondo l’Alto commissariato per i rifugiati, mancano all’appello un centinaio di persone dopo il naufragio di una prima barca, mercoledì. A questi si aggiungono circa 500 altri profughi dispersi dopo un secondo naufragio giovedì. Altri dispersi erano invece su un’altra imbarcazione. Intanto a Ventimiglia sgombero volontario della tendopoli
di F. Q. | 29 maggio 2016

Sono cifre ancora da confermare che, però, emergono dalle testimonianze dei sopravvissuti. Sarebbero oltre 700 le vittime dei tre naufragi nel Mediterraneo in questi ultimi giorni, dove barconi provenienti da Libia ed Egitto si sono inabissati. La stima arriva dall’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, mentre stando a un calcolo di Medici senza frontiere “circa 900 persone potrebbero essere morte nel Mediterraneo centrale solo nell’ultima settimana”. Secondo Unhcr, mancano all’appello un centinaio di persone dopo il naufragio di una prima barca, mercoledì. A questi si aggiungono circa 500 altri profughi dispersi dopo un secondo affondamento giovedì: sulla barca senza motore trainata da un altro barcone, c’erano circa 670 persone. Quando si è capovolta 25 sono riusciti a raggiungere l’imbarcazione che li trainava, 79 sono stati salvati dai soccorritori che hanno anche recuperato 15 cadaveri. Infine, 45 altri corpi sono stati ritrovati venerdì dopo un terzo naufragio e ci sono numerosi dispersi. Il presunto scafista che conduceva il barcone e trainava l’altro, è stato fermato a Pozzallo la sera del 28 maggio. Si chiama Adam Tarik, è sudanese e ha 28 anni. Ma la squadra mobile in mattinata ha arrestato tre suoi complici, uno dei quali è un minore. In manette sono finiti Tipton Abakar, ghanese di 20 anni; S.D.M., 16 anni, nato in Guinea; Kingsley Iguma, nigeriano di 28 anni. Molti dei profughi arrivati sulle coste italiane sono in “discrete” condizioni di salute, ma alcuni di loro presentano segni di tortura.
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I tre naufragi – Dal primo, avvenuto mercoledì, risultano dunque ancora dispersi circa 100 migranti. Il secondo, avvenuto giovedì mattina dopo che l’imbarcazione aveva lasciato il porto libico di Sabratha mercoledì, è quello del barcone affondato dopo che un sudanese ha tagliato la fune di traino che lo legava a un altro peschereccio: secondo i dati riportati dalla Bbc, in questo naufragio risultano dispersi circa 550 migranti, e secondo la polizia di Ragusa potrebbero esserci 400 vittime. Infine, per quanto riguarda il naufragio di venerdì, secondo i dati riportati dalla Bbc 135 persone sono state salvate, 45 corpi sono stati recuperati dall’acqua e c’è ancora un numero imprecisato di dispersi; le salme e i sopravvissuti di questo naufragio sono arrivati questa mattina nel porto di Reggio Calabria a bordo della nave Vega della Marina militare.

Sgombero a Ventimiglia – Mentre nel Canale di Sicilia continuano gli sbarchi e le operazioni di salvataggio della Marina militare, al confine tra Italia e Francia, a Ventimiglia è cominciato in modo volontario lo sgombero della tendopoli lungo il fiume Roja. Lì, da giorni, erano accampate un centinaio di persone. Alle 13 scadeva l’ordinanza con cui il sindaco Enrico Ioculano prevedeva lo sgombero. L’ordinanza, che aveva carattere di urgenza, era stata emessa la mattina di venerdì scorso per motivi di igiene, sanità, incolumità pubblica e sicurezza urbana. I migranti avevano 48 ore di tempo per rimuovere le tende e allontanarsi. Dopo aver tolto la tendopoli lungo il greto del fiume i migranti si sono spostatu nel vicino Comune di Monterosso. Le tende sono state riposizionate alla foce del fiume Nervia, a circa un chilometro di distanza.

I migranti sulla “Vega” – A bordo 629 migranti e 45 corpi recuperati in mare dopo l’ennesimo naufragio avvenuto al largo della Libia. I cadaveri raccolti in mare appartengono a 36 donne, sei uomini e tre minori con età che vanno da sei mesi a due anni. Tra i sopravvissuti ci sono 419 uomini, 138 donne e 72 minori di varia nazionalità (Pakistan, Libia, Senegal Eritrea, Nigeria, Siria, Marocco e Somalia). Dei migranti arrivati in Calabria, 155 provengono dal barcone che si è rovesciato al largo delle coste della Libia. Sono arrivati in condizioni di salute giudicate “discrete” dal personale medico, anche se ci sono casi di scabbia e alcuni sono feriti e in stato d’ansia. Ci sono anche donne incinta, e tre sono all’ottavo mese. I migranti saranno poi trasferiti secondo il piano di riparto predisposto dal Ministero dell’Interno che prevede l’invio di 20 di loro in Basilicata, 125 in Campania, 25 nella Provincia autonoma di Bolzano, 100 in Friuli Venezia Giulia, 300 Lombardia mentre 34 rimarranno in Calabria. Nella Provincia autonoma di Trento arriveranno 25 nuclei familiari.
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A Palermo è inoltre sbarcata la nave Bourbon Argos di Msf con 600 migranti. Tra i 500 uomini, le 73 le donne e 31 i minori a bordo (di cui 10 al di sotto dei 5 anni), c’è anche una minorenne stuprata e rimasta incinta, secondo quanto riferisce il medico che l’ha visitata. Quindici in tutto le donne incinte. Due di loro, hanno spiegato i medici, “hanno avuto minacce d’aborto”. “Non è la prima volta – dice Paola Mazzoni, medico di bordo della nave – che riusciamo a filtrare casi di minorenni incinte perché vittime di stupro. E’ difficile intercettare storie come questa perché si tratta di persone provate dal punto di vista psicologico. Le violenze sessuali non sono solo sulle donne, sono certa che anche ragazzi giovanissimi sono vittime di stupro“. “Ci sono stati casi di migranti arrivati in Libia per lavorare e non pochi vengono rinchiusi in prigioni, sfruttate per lavorare e al momento di riscuotere il salario subiscono violenze”. Alcune persone presentano anche segni di tortura “come deformazioni da fratture per percosse con spranghe di ferro”.

I superstiti – I volontari di Emergency Esausti dalla lunga traversata, ragazzi picchiati in Libia per mesi prima di partire, una bimba di cinque anni che nel Paese nordafricano ha perso la mamma: sono i superstiti ai quali hanno dato assistenza i volontari di Emergency che si trovano a Pozzallo, dove ieri sono sbarcate 699 persone tra le quale molte donne e tanti bambini. Migranti che arrivavano dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Somalia, dal Ghana, dalla Nigeria, dal Pakistan.
“Sono tutti esausti. Abbiamo incontrato H. in ipotensione: aveva avuto una crisi nervosa sulla nave. Quando si è ripreso è riuscito a dirmi solo il suo nome, che ha 16 anni e che ha visto morire un suo amico in mare. Poi ha pianto. Un pianto strozzato, quasi a non voler disturbare” racconta Giulia, mediatrice culturale di Emergency.
“Abbiamo incontrato ragazzi picchiati in Libia per mesi. E abbiamo incontrato R., 5 anni, che ha perso la mamma in Libia. Sta bene, non ha bisogno del medico, non ha bisogno di medicine. Avrebbe bisogno di scuse. Vorremmo chiedere scusa a lei, a H. e a tutti coloro che arrivano. Vi chiediamo scusa per questo continente sordo e cieco” conclude Giulia

Delrio: non saranno accettati comitati del No interni al Pd da: askanews.it

“Dissenso personale su referendum possibile, ma non organazziti

Delrio: non saranno accettati comitati del No interni al PdRoma, 27 mag. (askanews) – La linea del Pd sul referendum “è chiara”, esistono “decisioni prese”, ed “esiste una responsabilità verso il Paese ed esiste una linea di partito. Poi un dissenso personale può essere anche accettato, ma un dissenso organizzato no”. E’ l’avvertimento che il ministro delle Infrastruttire e dei Trasporti, Graziano Delrio, lancia alla minoranza Pd, in un’intervista ad “Avvenire”.

Alla domanda esplicita se chi nella minoranza dice no al referendum verrà espulso, Delrio risponde: “Anche se qualcuno non è convinto della bontà della riforma, siamo contro le espulsioni e per la libertà di coscienza. Ma non sono possibili due linee nel partito e non sarebbero accettati comitati per il no dentro il Pd, visto che in Parlamento si è espresso a favore della riforma”. Certo, “se la minoranza chiede discussione e chiarezza avrà discussione e chiarezza. Ma a Cuperlo, a Bersani, a Speranza dico l’unità sia vista come un valore. Il Pd può spingere l’Italia solo unito. Può avere forza propulsiva solo se capace di mettere da parte tattiche ed egoismi”.

Come ad esempio, per Delrio, legare il voto al referendum ad eventuali modifiche all’Italicum: “Discutere di legge elettorale è sempre possibile, ma farlo a ridosso del referendum non è giusto, non è coerente. Non servono ultimatum. Dire ‘si cambi l’Italicum o non votiamo il referendum’ è irresponsabile. È un colpo basso al Pd e al Paese”.