“ITALIA SONO ANCH’IO”

L’ARCI, la CGIL il centro Astalli invitano a incontrasi

il 4 Ottobre alle ore 18,30 presso la cgil per la costituzione del comitato catanese.

Messaggio Comitato Nazionale ANPI alla manifestazione per la libertà di informazione


 
Di seguito, il testo del messaggio inviato dal Comitato Nazionale ANPI alla manifestazione di oggi a Roma, in Piazza del Pantheon, a difesa della libertà di informazione, promossa da CGIL, Articolo 21 e Libertà e Giustizia.  
L’ANPI e’ con questa piazza, oggi, per ribadire con forza che la liberta’ di informazione e’ un diritto inalienabile, sancito dalla nostra Carta Costituzionale. Gli antifascisti, i democratici, i partigiani, sono mobilitati per dare forza e continuita’ ai fondamenti della nostra convivenza civile, alle radici del Paese: antifascismo, Resistenza e Costituzione. Dal 25 aprile, dalla democrazia non si torna indietro“. 
Il Comitato Nazionale ANPI

APPUNTAMENTI ANPI


 

Prima Festa Provinciale dell’ANPI di Cuneo a Mondovì dal 30 settembre al 2 ottobre. Concluderà il Presidente Nazionale dell’ANPI 

Il 2 ottobre a Marzabotto commemorazione dell’eccidio nazifascista. Previste delegazioni ANPI da tutta Italia

Il 4 ottobre a Milano convegno pubblico, per i 150 anni dell’Unità d’Italia, sulle donne nel Risorgimento e nella Resistenza. Interverrà, tra gli altri, il Presidente Nazionale dell’ANPI

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

Il quadro della situazione politica del nostro Paese è sempre più sconcertante. Che cosa possiamo fare, noi in questo frangente?  Siamo un’Associazione che ha una storia  importante  e  una  autorevolezza  che  nasce dalla  tradizione;  soprattutto siamo un’Associazione che si richiama ai valori fondamentali della Costituzione, nata dalla Resistenza. Questo è, dunque, il nostro terreno; richiamare, più che mai, quei valori, suscitare attenzione e riflessione sulla situazione, mostrare con chiarezza il contrasto tra ciò che sta avvenendo  nel  nostro  Paese e  quello  che  invece  sarebbe necessario, facendo  capire a tutti quanto la situazione attuale contrasti con i princìpi fondamentali della Costituzione e col sistema democratico in essa delineato.

 

Vogliono sostituire il 25 Aprile

Da un’ANSA di oggi: “Il governo ha accolto “come raccomandazione” l’ordine del giorno presentato dal parlamentare bolognese del Pdl, Fabio Garagnani, contenente la proposta di sostituire il 25 aprile con il 18 aprile 1948, giorno delle elezioni politiche vinte dall’allora democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi”.
Secca la replica di Carlo Smuraglia, Presidente Nazionale dell’ANPI su www.repubblica.it: “Una provocazione dell’on. Garagnani e una follia del governo che l’accoglie come raccomandazione. Penso che non se ne farà nulla. Ma se ci provassero troverebbero la ferma opposizione di tanti italiani che li farebbero rapidamente desistere“.


http://www.repubblica.it/politica/2011/09/28/news/25_aprile-22366363/?ref=HRER2-1

 

CATANIA : convegno SICILIA : INFRASTRUTTURE E PONTE SULLO STRETTO


 

 

29 SETTEMBRE 2011 – ORE 18.00

SALONE “BASTIANO RUSSO” CGIL- VIA CROCIFERI 40 , CATANIA

Ne discutiamo con

IVAN CICCONI – esperto Grandi Infrastrutture, Direttore Ass. ITACA

DANIELE DAVID – Segretario Provinciale Fillea-CGIL i Messina

GIACOMO ROTA – Segretario Confederale CGIL Catania

LUIGI STURNIOLO – Rete NO PONTE Messina

Il Ponte sullo stretto è stato un fallimento: centinaia di milioni di euro sperperati in progetti impossibili, consulenze e studi “sull’impatto emotivo” di reggini e messinesi. Ai Signori del Ponte (Eurolink e Impregilo) però non sono bastati i 400 mln sottratti in questi anni alla collettività: vogliono prendersi anche quanto resta nelle casse di ANAS, circa 800 mln di euro. Ma il tempo stringe, il regime berlusconiano si accartoccia su se stesso, stritolato dalla crisi, dalla corruzione, dalla rapacità del suoi ministri.  Questo Governo è alla fine ma i pontisti vogliono raccattare tutto quello che resta:     indifferenti al processo di dismissione ferroviaria in atto, alle bocciature Ue del famoso corridoio “Berlino/Palermo”, all’assenza, tra i 120 chili di carte prodotte, di uno straccio di progetto esecutivo, alle oltre 100 criticità emerse nelle valutazioni di fattibilità.   In questo nulla cosmico fatto solo di carte e di sprechi, Eurolink avvia “il procedimento espropriativo”: altre migliaia di pagine con sopra elencati i terreni, i fabbricati e le costruzioni da espropriare nei comuni di Messina, Torregrotta, Venetico e Valdina.    Un’area enorme, molto più estesa di quelle interessate dai diversi progetti definitivi, a cui dovrebbero corrispondere indennizzi altrettanto imponenti.

PERUGIA-ASSISI, LA MOZIONE FINALE DELLA 50MA MARCIA PER LA PACE 25/9/11

Al termine della Perugia-Assisi, un nuovo appello per la pace e la fratellanza dei popoli

Domenica 11 Settembre 2011

A conclusione della Perugia-Assisi, che abbiamo convocato a cinquant’anni dalla prima Marcia organizzata il 24 settembre 1961 da Aldo Capitini, vogliamo lanciare un nuovo appello per la pace e la fratellanza dei popoli.

Lo facciamo richiamando il primo articolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che proclama: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

La fratellanza dei popoli si basa sulla dignità, sugli eguali diritti fondamentali e sulla cittadinanza universale delle persone che compongono i popoli. I diritti umani sono il nome dei bisogni vitali di cui è portatrice ogni persona. Essi interpellano l’agenda della politica la quale deve farsi carico di azioni concrete per assicurare “tutti i diritti umani per tutti” a livello nazionale e internazionale. La sfida è tradurre in pratica il principio dell’interdipendenza e indivisibilità dei diritti umani – civili, politici, economici, sociali e culturali – e ridefinire la cittadinanza nel segno dell’inclusione. L’agenda politica dei diritti umani comporta che nei programmi dei partiti e dei governi ciascun diritto umano deve costituire il capoverso di un capitolo articolato concretamente in politiche pubbliche e misure positive.

Il nostro appello per la pace e la fratellanza dei popoli contiene alcuni principi, proposte e impegni:

Principi
Primo. Il mondo sta diventando sempre più insicuro. Se continuiamo a spendere 1.6 trilioni di dollari all’anno per fare la guerra non riusciremo a risolvere nessuno dei grandi problemi del nostro tempo: la miseria e la morte per fame, il cambio climatico, la disoccupazione, le mafie, la criminalità organizzata e la corruzione. Se vogliamo uscire dalla crisi dobbiamo smettere di fare la guerra e passare dalla sicurezza militare alla sicurezza umana, dalla sicurezza nazionale alla sicurezza comune.

Secondo. Se vogliamo la pace dobbiamo rovesciare le priorità della politica e dell’economia. Dobbiamo mettere al centro le persone e i popoli con la loro dignità, responsabilità e diritti.

Terzo. La nonviolenza è per l’Italia, per l’Europa e per tutti via di uscita dalla difesa di posizioni insufficienti, metodo e stile di vita, strumento di liberazione, strada maestra per contrastare ogni forma d’ingiustizia e costruire persone, società e realtà migliori.
Quarto. Se vogliamo la pace dobbiamo investire sulla solidarietà e sulla cooperazione a tutti i livelli, a livello personale, nelle nostre comunità come nelle relazioni tra i popoli e gli stati. La logica perversa dei cosiddetti “interessi nazionali”, del mercato, del profitto e della competizione globale sta impoverendo e distruggendo il mondo. La solidarietà tra le persone, i popoli e le generazioni, se prima era auspicabile, oggi è diventata indispensabile.

Quinto. Non c’è pace senza una politica di pace e di giustizia. L’Italia, l’Europa e il mondo hanno bisogno urgente di una politica nuova e di una nuova cultura politica nonviolenta fondata sui diritti umani. Quanto più si aggrava la crisi della politica, tanto più è necessario sviluppare la consapevolezza delle responsabilità condivise. Serve un nuovo coraggio civico e politico.
Sesto. Se davvero vogliamo la pace dobbiamo costruire e diffondere la cultura della pace positiva. Una cultura che rimetta al centro della nostra vita i valori della nostra Costituzione e che sappia generare comportamenti personali e politiche pubbliche coerenti. Per questo, prima di tutto, è necessario educare alla pace. Educare alla pace è responsabilità di tutti ma la scuola ha una responsabilità e un compito speciali.

Proposte e impegni

1. Garantire a tutti il diritto al cibo e all’acqua
E’ intollerabile che ancora oggi più di un miliardo di persone sia privato del cibo e dell’acqua necessaria per sopravvivere mentre abbiamo tutte le risorse per evitarlo. Ed è ancora più intollerabile che queste atroci sofferenze siano aumentate dalla speculazione finanziaria sul cibo, dall’accaparramento delle terre fertili, dalla devastazione dell’agricoltura e dalla privatizzazione dell’acqua.

2. Promuovere un lavoro dignitoso per tutti
Un miliardo e duecento milioni di persone lavorano in condizioni di sfruttamento. Altri 250 milioni non hanno un lavoro. 200 milioni devono emigrare per cercarne uno. Oltre 12 milioni sono vittime della criminalità e sono costrette a lavorare in condizioni disumane. 158 milioni di bambine e di bambini sono costretti a lavorare. Occorre ridare dignità al lavoro e ai lavoratori, giovani e anziani, di tutto il mondo.

3. Investire sui giovani, sull’educazione e la cultura
Un paese che non investe, non valorizza e non dà spazio ai giovani è un paese senza futuro. La lotta alla disoccupazione giovanile deve diventare una priorità nazionale. Investire sulla scuola, sull’università, sulla ricerca e sulla cultura vuol dire investire sulla crescita sociale, politica ed economica del proprio paese.

4. Disarmare la finanza e costruire un’economia di giustizia
La finanza, priva di ogni controllo internazionale, sta mettendo in crisi l’Europa politica e provoca un drammatico aumento della povertà. Bisogna togliere alla finanza il potere che ha acquisito e ripristinare il primato della politica sulla finanza. Occorre tassare le transazioni finanziarie, lottare contro la corruzione e l’evasione fiscale e ridistribuire la ricchezza per ridurre le disuguaglianze sociali.

5. Ripudiare la guerra, tagliare le spese militari
La guerra è sempre un’inutile strage e va messa al bando come abbiamo fatto con la schiavitù. Anche quando la chiamiamo con un altro nome è incapace di risolvere i problemi che dice di voler risolvere e finisce per moltiplicarli. Promuovere e difendere sistematicamente i diritti umani, investire sulla prevenzione dei conflitti e sulla loro soluzione nonviolenta, promuovere il disarmo, contrastare i traffici e il commercio delle armi, tagliare le spese militari e riconvertire l’industria bellica è il miglior modo per aumentare la nostra sicurezza.

6. Difendere i beni comuni e il pianeta.
Se non impariamo a difendere e gestire correttamente i beni comuni globali di cui disponiamo, beni come l’aria, l’acqua, l’energia e la terra, non ci sarà né pace né sicurezza per nessuno. Nessuno si deve più appropriare di questi beni che devono essere tutelati e condivisi con tutti. Urgono istituzioni, politiche nazionali e internazionali democratiche capaci di operare in tal senso. Occorre ridurre la dipendenza dai fossili, introdurre nuove tecnologie verdi e nuovi stili di vita non più basati sull’individualismo, la mercificazione e il consumismo.

7. Promuovere il diritto a un’informazione libera e pluralista
Un’informazione obiettiva, completa, imparziale, plurale che mette al centro la vita delle persone e dei popoli è condizione indispensabile per la libertà e la democrazia. Sollecita la partecipazione alla vita e alle scelte della collettività; favorisce la comprensione dei fenomeni più complessi che attraversano il nostro tempo, promuovere il dialogo e il confronto, costruisce ponti fra le civiltà, avvicina culture diverse, diffonde e consolida la cultura della pace e dei diritti umani.

8. Fare dell’Onu la casa comune dell’umanità.
Tutti nelle Nazioni Unite, le Nazioni Unite per tutti. Se vogliamo costruire un argine al disordine internazionale, i governi devono accettare di democratizzare e rafforzare le Nazioni Unite mettendo in comune le risorse e le conoscenze per fronteggiare le grandi emergenze sociali e ambientali mondiali.

9. Investire sulla società civile e sullo sviluppo della democrazia partecipativa
Senza una società civile attiva e responsabile e lo sviluppo della cooperazione tra la società civile e le istituzioni a tutti i livelli non sarà possibile risolvere nessuno dei grandi problemi del nostro tempo. Rafforzare la società civile responsabile e promuovere la democrazia partecipativa è uno dei modi più concreti per superare la crisi della politica, della democrazia e delle istituzioni.

10. Costruire società aperte e inclusive.
Il futuro non è nella chiusura in comunità sempre più piccole, isolate e intolleranti che perseguono ciecamente i propri interessi ma nell’apertura all’incontro con gli altri e nella costruzione di relazioni improntate ai principi dell’uguaglianza e alla promozione del bene comune. Praticare il rispetto e il dialogo tra le fedi e le culture arricchisce e accresce la coesione delle nostre comunità. I rifugiati e i migranti sono persone e come tali devono vedere riconosciuti e rispettati i diritti fondamentali.

Queste priorità devono essere portate avanti da ogni persona, a livello locale, nazionale e globale, in Europa come nel Mediterraneo.

Per realizzarle abbiamo innanzitutto bisogno di agire insieme con una strategia comune e la consapevolezza di avere un obiettivo comune.

Per realizzarle abbiamo bisogno di dare all’Italia un governo di pace e una nuova politica, coerente in ogni ambito, e di investire con grande determinazione sulla costruzione di un’Europa dei cittadini, federale e democratica, aperta, solidale e nonviolenta e di una Comunità del Mediterraneo che, raccogliendo la straordinaria domanda di libertà e di giustizia della primavera araba, trasformi finalmente quest’area di grandi crisi e tensioni in un mare di pace e benessere per tutti.

Selex Finmeccanica e i radar delle meraviglie di Antonio Mazzeo

La società è al centro di alcune delle vicende giudiziarie più complesse degli ultimi mesi: l’inchiesta sulle presunte tangenti e le sovrafatturazioni negli appalti ENAV per l’ammodernamento dei radar dell’aeroporto di Palermo Punta Raisi; quella sul sistema Sistri per il tracciamento del trasporto dei rifiuti; o quella ancora sulla malagestione di appalti e commesse nella Protezione civile. Non è certo uno dei momenti migliori per Selex Sistemi Integrati, azienda del gruppo Finmeccanica specializzata nella produzione d’impianti radar per la difesa aerea, navale e terrestre. Si respira inquietudine tra manager e dipendenti e preoccupata è pure l’amministratrice delegata Marina Grossi, nota tra i mercanti d’armi come Lady F, dove la F sta per Finmeccanica, holding presieduta dall’onnipotente consorte Pier Francesco Guarguaglini.
Gli affari però sono non si fermano certo a colpi di ordinanze e avvisi di garanzia. Così Selex Sistemi è pronta a festeggiare il completamento della rete più estesa di sorveglianza al mondo, un centinaio di radar per la copertura di 7.500 km di coste, come dire un impianto ogni 75 km, valore della commessa 400 milioni di euro. Si tratta del Vessel Traffic Management System (VTMS), sviluppato per conto del ministero dei Trasporti e della Guardia costiera italiana, una selva di antenne e centri di trasmissione a microonde che entro la fine del 2011 consentirà d’identificare l’esatta posizione di ogni imbarcazione che si avvicinerà alle coste italiane, tracciando e memorizzando le rotte di più di cinquemila unità al giorno.
Il piano, figlio della cronica sindrome da gigantismo di politici e forze armate nostrane, ha preso il via nel 1999 con l’assegnazione ad Alenia Marconi Systems (poi Selex) di un contratto di 90 milioni di euro per la progettazione e la costruzione dei primi radar del sistema. Dopo l’inserimento da parte dell’Unione Europea tra i progetti cofinanziati dai cosiddetti fondi PON Trasporti (il contributo Ue è stato di 71.469.000 euro), il VTMS è stato ufficialmente presentato nel 2004 dall’allora ministro dei Trasporti, Pietro Lunardi. “Si tratta di un sistema fondamentale per garantire la gestione e la sicurezza del normale trasporto marittimo e delle rotte navali, per contrastare l’immigrazione clandestina e supportare la lotta al terrorismo”, disse Lunardi. L’Italia era ancora sotto choc per gli attentati dell’11 settembre e i programmi di “auto-difesa” privilegiavano le missioni di guerra in Medio oriente, le crociate anti-migranti e la proliferazione di radar e impianti d’intercettazione tra i reparti di esercito, marina, aeronautica, forze di polizia, Guardia di finanza e Guardia costiera. Obiettivo della prima tranche del sistema VTMS, la copertura delle regioni meridionali, prima fra tutte la Puglia, dove sono stati installati tra il 2004 e il 2006, cinque radar per “identificare le piccole e veloci imbarcazioni che giungono dall’Albania per trasportare migranti illegali”, come dichiararono i manager di Selex. Peccato che il flusso dei gommoni da Valona e Durazzo era già crollato da tempo e che gli ingressi “illegali” da est si erano spostati ai confini di terra con la Slovenia.
La seconda tranche contrattuale, per un valore di 298 milioni di euro, fu sottoscritta nel 2006: Selex s’impegnò a realizzare ed installare altri novanta radar e a fornire tre sistemi mobili montati su velivoli leggeri multiruolo “Lince” per l’utilizzo in caso di “emergenze” o “eventi speciali” (sbarchi massicci di migranti, conferenze Nato e di capi di Stato, ecc.). Quando sarà completato, il VTMS italiano comprenderà un centro nazionale istallato presso la centrale del Comando generale delle Capitanerie di porto a Roma; quattordici centri d’area operativi nelle sedi delle direzioni marittime; ottantadue siti della Guardia costiera per la raccolta e l’elaborazione delle informazioni e cento siti sensori. I dati saranno integrati con quelli raccolti dall’Automatic Identification System (AIS), il sistema d’identificazione in dotazione alle unità navali. Sono in corso, inoltre, ricerche per integrare il VTMS con i centri militari che elaborano i dati provenienti dai velivoli senza pilota UAV in dotazione alle forze armate italiane e NATO, “particolarmente per la lotta alla pirateria”, come spiegano i manager dell’industria militare.
Il Vessel Traffic Management System impiega i radar della famiglia “Lyra”, da quelli più piccoli (modello “10”), per il monitoraggio a breve raggio e il trasporto mobile, a quelli più grandi (i “50” e “80”) per la sorveglianza marittima sino a 48 Km di profondità. I modelli “50” e “80”, in particolare, operano nella banda X con una frequenza che si colloca intorno ai 10 Ghz ed una potenza di emissione media pari a circa 5 W. Ciononostante non sono stati forniti studi sul rischio delle emissioni elettromagnetiche per la salute umana e la fauna, eppure buona parte delle installazioni si trova in luoghi densamente abitati.
I centri di sorveglianza marittima più importanti della rete VTMS sono ospitati nelle città portuali di Genova, Venezia, Trieste, Cagliari, Bari, Brindisi, Palermo, Reggio Calabria, Messina e Civitavecchia. Come spiega un comunicato del ministero dei Trasporti “la localizzazione del sistema è prevista però in tutte le regioni costiere italiane, ed in particolare in Campania, Basilicata, Sardegna, Sicilia, Calabria e Puglia”. La regione destinata a ricevere il maggior numero di radar (una decina) è la Sardegna: dopo quelli già installati a Guardia Vecchia (isola de La Maddalena) e Capo Sant’Elia (cagliari), dovrebbero sorgere le stazioni di Punta della Scomunica (nel parco nazionale dell’Asinara), Capo Testa (Santa Teresa di Gallura), isola di Bocca (Olbia), Capo San Marco (penisola di Sinis), Capo Sandalo (isola di San Pietro), Capo Spartivento (Teulada), Capo Ferrato (Muravera) e Capo Bellavista (Arbatax). I siti si trovano tutti all’interno di aree protette e riserve naturali, esattamente come per le postazioni volute dalla Guardia di finanza per installare i radar di produzione israeliana per la sorveglianza e l’intervento anti-migranti (Sant’Antioco, Fluminimaggiore, Tresnuraghes e Argentiera in Sardegna, Capo Murro di Porco, Siracusa in Sicilia, Gagliano del Capo in Puglia). Insostenibili servitù ad altissimo impatto elettromagnetico, fortemente osteggiate da comitati spontanei di cittadini e associazioni ambientaliste in tutto il sud Italia.
Il VTMS è una delle produzioni su cui Selex Sistemi Integrati punta maggiormente per affermarsi nei mercati esteri. Impianti e radar sono stati venduti alla Polonia, alla Russia, alla Cina. In Serbia è stato costituito un consorzio per la realizzazione di un sistema di monitoraggio del traffico navale nel Danubio del valore di 6,4 milioni di euro, mentre in Yemen si sta completando l’installazione di una rete VTMS per il controllo del Golfo di Aden. Si tratta di sei centri con stazioni radar nelle città di Mokha, Kokha, Miun, Khor, al Omirah, Al Shira, Shograh, acquistati in buona parte con fondi della cooperazione italiana. Nel biennio 2009-2010, la Farnesina ha destinato allo Yemen “aiuti” per un centinaio di milioni di euro, sessanta dei quali per “finanziare le prime due fasi del sistema VTMS e la formazione della Guardia costiera yemenita”, come riferisce l’ambasciata italiana nel paese arabo.
Nel marzo dello scorso anno, Selex Sistemi ha inoltre sottoscritto un contratto del valore di 25 milioni di euro per la fornitura di un VTMS al governo della Turchia. Il progetto prevede la creazione di un centro di controllo nazionale ad Ankara, tre centri regionali ad Izmit, Mersin e Izmir e ventiquattro siti sensori, ognuno equipaggiato con il “Lyra 50”. Molto più sostanzioso il contratto sottoscritto nell’ottobre 2009 con il governo libico del colonnello Gheddafi (300 milioni di euro) per un sofisticato sistema di controllo e vigilanza dei confini meridionali (quelli con Niger, Ciad e Sudan), contro gli ingressi “illegali” di migranti provenienti dall’Africa subsahariana. Dopo la sospensione forzata dei lavori per lo scoppio del conflitto in Libia, Selex e Finmeccanica si stanno adesso prodigando con i leader del “nuovo” corso di Tripoli perché siano confermate le commesse belliche già finanziate. Selex, spera di fornire ai libici pure i radar FADR (Fixed Air Defence Radar), modello RAT 31DL, per la difesa aerea e anti-missili, con una portata operativa di circa 500 Km, presentati al salone militare LABDEX 2008 di Tripoli, insieme al VTMS.
Non meno controverso il contratto firmato nell’agosto 2010 con il ministero di sicurezza pubblica di Panama, per la fornitura di un sistema di sorveglianza marittima con un centro di controllo, otto stazioni locali e diciotto radar “Lyra 50” da dislocare su altrettanti siti costieri. Il VTMS panamense rientra nel programma di “cooperazione nell’area della sicurezza legata alla lotta al crimine organizzato e al narcotraffico”, firmato nel giugno 2010 dal premier Silvio Berlusconi e dal presidente della Repubblica di Panama, Ricardo Martinelli. Consegne di sistemi d’arma, unità navali, elicotteri e radar di produzione Finmeccanica in cambio di 180 milioni di euro, intermediario dell’affaire Valter Lavicola, procacciatore presunto di escort e veline per i festini del cavaliere.

Obiettivo Somalia per gli aerei senza pilota USA di Antonio Mazzeo

 

 
Il nuovo direttore della CIA, Leon Panetta, ne è profondamente convinto. Dopo la controffensiva USA in Afghanistan e Pakistan e la morte di Osama bin Laden, il baricentro della crociata internazionale contro il “terrorismo” deve trasferirsi in Corno d’Africa. Target, le milizie somale degli Shabab, accusate dall’agenzia d’intelligence di essere parte della rete di al-Qaeda. “Abbiamo parecchi indizi che mostrano che gli Shabab stanno per colpire obiettivi anche fuori dalla Somalia”, ha dichiarato Panetta nel corso di una recente audizione al Senato. “Al-Qaeda sta trasferendo i suoi affiliati in Yemen, Somalia e nord Africa per fornire aiuti e addestramento al combattimento, ed è in queste regioni che potrebbe emergere il suo nuovo leader carismatico. La CIA sta lavorando con il Comando congiunto per le operazioni speciali USA per cercare di potenziare le forze antiterrorismo”.
Contro la “grande minaccia” rappresentata dalla penetrazione in Africa orientale delle milizie antigovernative sono stati mobilitati i reparti di USAFRICOM, il Comando interforze per le operazioni USA nel continente africano, a partire dagli oltre duemila marines di stanza nello scalo aeronavale di Gibuti. E per scovare e annientare gli Shabab, Washington è pronta ad intervenire con le tecnologie militari più moderne e sofisticate, come i velivoli senza pilota UAV del tipo Global Hawk, Predator e Reaper, ampiamente utilizzati per l’attacco alla Libia.
Secondo il Washington Post, in vista delle nuove operazioni “anti-terrorismo” in Somalia e Yemen, l’amministrazione Obama sta allestendo in Corno d’Africa e nella penisola arabica una serie di basi per i decolli e gli atterraggi dei droni. Una di esse sorgerà in Eti­o­pia, principale alleato USA nella lotta contro gli Shabab somali. Secondo il quotidiano statunitense, da almeno quattro anni Washington chiedeva ad Addis Abeba di autorizzare l’uso di una installazione militare per gli aerei senza pilota. “Il programma ha subito però forti ritardi perché gli etiopi non erano del tutto convinti”, ha spiegato un alto ufficiale USA al Washington Post. “Quando è stata compresa appieno la portata della minaccia degli Shabab, l’Etiopia ha accettato di essere un valido partner nella lotta al terrorismo. Oggi abbiamo una serie di accordi di cooperazione con gli etiopi, specie nel campo dell’intelligence e dello scambio di dati sulle postazioni dei militanti islamici. Noi forniamo agli alleati le informazioni raccolte dai nostri satelliti spia, mentre i militari etiopi ci aiutano a tradurre i messaggi, le telefonate e le e-mail dei membri dell’organizzazione degli Shabab, intercettati dalle agenzia USA”.
La CIA e le altre agenzie di spionaggio statunitensi utilizzano in territorio somalo informatori e agenti segreti di nazionalità etiope. Un’unità speciale delle forze armate USA, la Task Force 88, è operativa in Etiopia e in Kenya da alcuni anni per addestrare le truppe d’élite locali, come ad esempio gli Agazi Commandos, i gruppi di pronto intervento etiopi che hanno partecipato alla sanguinosa offensiva in Somalia di fine 2006.
Un’altra base per le operazioni dei droni contro le postazioni dei miliziani islamici è operativa dal settembre 2009 nell’arcipelago delle Seychelles (Oceano Indiano). “Dall’aeroporto internazionale di Mahé, ha ripreso le operazioni questo mese una piccola flotta di droni hunter-killer, dopo che una missione sperimentale ha dimostrato che i velivoli senza pilota possono pattugliare effettivamente la Somalia partendo dalle Seychelles”, scrive il Washington Post, citando il portavoce di USAFRICOM. I droni, quattro MQ-9 Reaper, sono ospitati in un hangar vicino al terminal passeggeri dello scalo aeroportuale.
Con una lunghezza di 20 metri , gli MQ-9 Reaper possono volare per 40 ore consecutive ad una velocità di oltre 440 chilometri all’ora e un raggio operativo di 4.800 chilometri . Dotati di sofisticate telecamere e sensori per captare qualsiasi oggetto si muova nell’oceano, i velivoli sono guidati da stazioni terrestri e satellitari sotto il controllo dei Comandi US Air Force di Creech (Nevada) e Holloman (New Mexico). I lanci e gli atterraggi dei velivoli sono seguiti a Mahé da un team di un centinaio tra militari e contractor statunitensi.
In principio le autorità politiche e militari di Stati Uniti e Seychelles avevano affermato che la missione primaria degli UAV era l’identificazione delle imbarcazioni dei “pirati” presenti nelle acque somale e nel Golfo di Aden (in codice Operation Ocean Look). “Le Seychelles sono diventate il centro hub per la lotta alla pirateria”, aveva annunciato il ministro dei trasporti delle isole-stato, Joel Morgan, in occasione del primo volo operativo dei Reaper. “Gli aerei senza pilota saranno utilizzati per condurre missioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento in un’area che si estende dalle coste somale sino all’Oceano Indiano occidentale”. In pochi tuttavia han creduto alle edulcorate versioni ufficiali, e dopo la pubblicazione sul periodico EastAfrican di un documento del Comando USAFRICOM di Stoccarda, fu chiaro che i Reaper erano destinati principalmente “a cacciare e attaccare i militanti islamici all’interno della Somalia”. Il Pentagono negò però che gli UAV avessero vocazioni offensive e utilizzassero armi a bordo. I cablogrammi dei diplomatici statunitensi, rivelati recentemente da WikiLeaks, mostrano tuttavia che il Pentagono aveva la ferma intenzione di armare i Reaper con missili “Hellfire” e bombe teleguidate da 500 libbre sin dall’inizio delle operazioni nelle Seychelles, esattamente come avviene in Afghanistan e Pakistan.
Gli USA utilizzerebbero droni armati in territorio somalo dallo scorso mese di giugno, quando fu sferrato un attacco missilistico contro due leader Shabab, “vicini al predicatore di origini statunitensi Anwar al-Aulaqi, scampato ad un bombardamento aereo in Yemen il mese precedente”, come ha ammesso il Dipartimento della difesa. Con questo attacco, la Somalia è divenuto il sesto paese colpito dai velivoli senza pilota, dopo Afghanistan, Pakistan, Libia, Iraq e Yemen.
Contro le milizie islamiche radicali, il Pentagono ha pure utilizzato UAV armati, decollati dalle basi di Gibuti. Per potenziare le future opzioni di strike in Corno d’Africa e Yemen, la CIA starebbe pure realizzando uno scalo per Predator e Reaper in un luogo top secret della penisola arabica. Secondo le agenzie di stampa russe, la nuova installazione dovrebbe trovarsi in Bahrein “dove già esiste una base statunitense della V Flotta”, in modo da “assicurare la rotta più sicura dei droni verso lo Yemen, attraverso l’Arabia Saudita, alleato chiave USA”.
Al quartier generale della CIA di Langley (Virginia), è stata attivata di recente un’unità speciale “antiterrorismo” destinata specificatamente a coordinare le operazioni UAV in Yemen e Corno d’Africa. La task force è andata ad affiancare il dipartimento pakistano-afgano della centrale d’intelligence (noto internamente come “PAD”) che persegue al-Qaeda con una flotta di una trentina di Predator e Reaper dislocati in alcune basi pakistane ed afgane. Alla nuova unità giungeranno pure le informazioni e le immagini captate in volo dai grandi aerei-spia Global Hawk che l’US Air Force ha installato lo scorso anno nella base siciliana di Sigonella.

Ecco il cielo sopra Riace, l’accoglienza è possibile

 
Silvio Messinetti – Riace (Reggio Calabria)

CALABRIA Il piccolo Ramadullah, la festa rom (da Il Manifesto 24/8)
Ecco il cielo sopra Riace, l’accoglienza è possibile

Era diventato il simbolo della nuova Riace, la new town che il coraggioso sindaco Mimmo Lucano ha costruito negli ultimi 5 anni. Non con cemento e calcestruzzo ma con un processo virtuoso di ripopolamento del borgo fondato sull’accoglienza a profughi, rifugiati e genti di ogni dove. La figura minuta di Ramadullah, chino a pregare, con le braccia conserte, al seggio elettorale nello spoglio delle ultime comunali, è l’istantanea che meglio ha raffigurato il laboratorio Riace.
Da oggi Ramadullah, il piccolo afgano scampato alla guerra, non vive più nella Locride. Si è ricongiunto
al padre che lo ha riconosciuto in Norvegia dalla visione de Il volo, il mediometraggio che Wim Wenders ha girato a Riace- ma anche a Badolato e Caulonia – e in cui il bambino è protagonista. Quella di Ramadullah non è la classica favola dal lieto fine. È piuttosto il frutto maturo di una buona politica che include e non esclude, che unisce e non discrimina. Insomma, Riace non è Parigi e Lucano non è Sarkozy. Non fosse altro perchè la crociata antirom del presidente francese a Riace non potrebbe albergare. Qui, infatti, ogni anno a fine settembre, nei pressi del santuario dei santi Cosma e Damiano, patroni del paese, si riuniscono i rom di Calabria e Sicilia. Una festa che da decenni lega i rom ai riacesi che in quei giorni aprono le loro case agli zingari. In nome di un comune destino di emigrazione ci si scambia i prodotti delle due diverse culture: i rom l’artigianato in ferro e in rame, la gente di Riace l’olio, i pomodori e le conserve. Il più grande raduno votivo dei rom e sinti d’Italia si conclude, poi, con un pellegrinaggio al santuario aperto da zigani al ritmo di balli e tarantelle romanì.
Otto giorni al buio dentro a un container con l’acqua razionata e una manciata di biscotti. Ramadullah scappa dall’Afghanistan con uno zio e i cugini nel 2008. Riesce miracolosamente a salvarsi da un attentato che ha distrutto la sua casa di Kabul. Non ha più notizie dei genitori, del padre Amir, ingegnere civile, e della madre Faranoze. Li crede morti, seppelliti in uno dei tanti cimiteri dei senza nome. Dopo aver attraversato Turchia e Grecia sbarca a Crotone insieme a decine di profughi. Viene condotto nel Cpt di Isola Capo Rizzuto e, dopo 4 mesi, si trasferisce a Riace. La famiglia di rifugiati afgani viene ospitata dall’Associazione Città Futura. Intanto a Riace iniziano a riaprire le vecchie botteghe, si sviluppa la microeconomia e il turismo solidale. E i migranti apprendono un mestiere nei laboratori di ceramica, vetro, rame,sartoria artigianale e lavorazione della ginestra. Si scongiura la soppressione della scuola con diciassette bambini immigrati e nove italiani. Ramadullah si fa ben volere dai riacesi. «Frequentava la scuola, aveva imparato in fretta l’italiano e qualche espressione del nostro dialetto – ci racconta Cosimo Curiale di Città Futura – allo zio l’associazione pagava il fitto di un negozietto che aveva aperto con i prodotti tipici arabi». Da qualche tempo lo zio di Ramadullah, però, è partito. Si è trasferito ad Ancona dove lavora ai cantieri navali.
Nel mentre nella Locride sbarca Wenders per girare un corto dal titolo Il volo. Una storia di finzione girata a Badolato,borgo arroccato sul cocuzzolo di una montagna a una dozzina di chilometri da Riace, che racconta le vicende di un bambino che, a causa dello spopolamento, non trova più compagni con cui giocare a pallone. Ma nel paese arriva un gruppo di africani che con i loro figli ripopolano la case, le scuole e anche i campetti di Badolato. Wenders prende consapevolezza che la sceneggiatura ometteva di narrare la storia presente di Riace. Così, con un escamotage narrativo, forza la sceneggiatura in corso d’opera per farvi entrare l’esperienza reale di Riace. Il film si trasforma così in un docufilm. E l’ultima scena ha proprio come sfondo la piazza centrale di Riace:le donne con i neonati attaccati al collo, i bambini, tra cui Ramadullah, Mohammed, Ann, Mustafà, Sabir, che corrono amalgamandosi in un mosaico di facce, di sorrisi e di colori. Un arcobaleno di nazioni in pochi metri quadri: ci sono etiopi, curdi, afgani, serbi, palestinesi, bosniaci, somali, eritrei.
«Sono molto contento per Ramadullah – dichiara al manifesto il sindaco Lucano – quando ci ha salutato era commosso. È stato con noi per due anni. Era speciale, molto maturo per la sua età. Da Crotone, quando ci annunciarono il suo arrivo, ci avevano parlato di un ‘piccolo grande uomo’. E cosi è stato. L’ho portato con me in un liceo di Catanzaro e ha descritto il sangue, le bombe, la guerra in tutta la sua ferocia». Lucano si definisce parte di una sinistra immaginaria che feconda dal basso e fuori dai partiti. Il suo chiodo fisso è l’antirazzismo perché «chi ha paura di un altro uomo per il colore o profumo della pelle non sarà mai un vero uomo. Lo stesso vale per chi respinge o per chi deporta con gli aerei come in Francia». E a proposito dei rom ribadisce: «Noi da decenni accogliamo i popoli nomadi in allegria e partecipazione. Gli stessi santi Cosma e Damiano, nostri patroni e icone dei rom, erano medici arrivati via mare proprio come i curdi che arrivarono qui oltre 10 anni fa e che sin da allora, grazie anche a Dino Frisullo, iniziammo ad ospitare. Ma anche i bronzi sono giunti da noi via mare. Perchè il mare è vita e chi chiede aiuto dal mare va accolto e non respinto a cannonate».

testo dell’interrogazione a risposta scritta 4/13077 , in merito ai criminali nazisti condannati in via definitiva per le stragi nazifasciste perpetrate in Italia

ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/13077

Dati di presentazione dell’atto

Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 513 del 06/09/2011

Firmatari

Primo firmatario: GARAVINI LAURA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 05/09/2011

Elenco dei co-firmatari dell’atto

Nominativo co-firmatario

Gruppo

Data firma

BENAMATI GIANLUCA PARTITO DEMOCRATICO 05/09/2011
FARINA GIANNI PARTITO DEMOCRATICO 05/09/2011
FEDI MARCO PARTITO DEMOCRATICO 05/09/2011
FIANO EMANUELE PARTITO DEMOCRATICO 05/09/2011
MARIANI RAFFAELLA PARTITO DEMOCRATICO 05/09/2011
PORTA FABIO PARTITO DEMOCRATICO 05/09/2011
TOUADI JEAN LEONARD PARTITO DEMOCRATICO 05/09/2011

Destinatari

Ministero destinatario:

  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
  • MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 05/09/2011

Stato iter:

IN CORSO

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-13077

presentata da

LAURA GARAVINI
martedì 6 settembre 2011, seduta n.513
GARAVINI, BENAMATI, GIANNI FARINA, FEDI, FIANO, MARIANI, PORTA e TOUADI. –

Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri.

– Per sapere – premesso che:

a partire dalla metà degli anni novanta, dopo la scoperta del cosiddetto «armadio della vergogna», dove furono occultati 695 fascicoli d’indagine, la procura militare di La Spezia, e successivamente le procure militari di Roma e di Verona, attivarono una serie di procedimenti contro i responsabili di alcuni dei peggiori eccidi compiuti nel corso della seconda guerra mondiale;

una squadra di polizia giudiziaria di madre lingua tedesca venne costituita al fine di risalire, con un lunghissimo lavoro di ricerca negli archivi tedeschi, agli imputati; la proficua collaborazione con le autorità tedesche, ha consentito in quindici anni di sviluppare indagini per centinaia di procedimenti;

sono una trentina le inchieste sugli eccidi compiuti nel nostro territorio dai militari tedeschi ancora aperte e attualmente all’esame delle procure militari di Roma e di Verona:

ad oggi sono otto i criminali tedeschi condannati in via definitiva all’ergastolo per la strage di Sant’Anna di Stazzema (560 vittime) che sono ancora in vita e non scontano la pena; tre quelli per Marzabotto (770 vittime ); uno per gli eccidi di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio (244 vittime); uno per Branzolino e San Tomè (10 vittime), uno per la Certosa di Farneta (oltre 60 vittime) e uno per Falzano di Cortona (16 vittime);

per i condannati definitivi la magistratura militare ha emesso i relativi mandati d’arresto europeo, che la Germania ha tuttavia respinto in ragione di alcune disposizioni d’ordinamento interno che negano l’estradizione dei cittadini tedeschi condannati, a meno che gli stessi diano il loro espresso consenso;

di fronte ai rifiuti da parte dei tribunali tedeschi di consegnare i condannati, i nostri uffici giudiziari hanno inoltrato al Ministero della giustizia la richiesta di esecuzione della pena in Germania; ad oggi non hanno ricevuto alcuna risposta, lasciando adito al dubbio se siano le autorità tedesche a doversi ancora pronunciare, o se sia il Governo italiano a non avere mai inoltrato le istanze in Germania;

la reclusione in Germania del condannato per la strage di Falzano di Cortona, Josef Scheungraber, è il risultato di un secondo procedimento attivato successivamente dal tribunale di Monaco e conclusosi con una condanna definitiva tedesca;

la procura di Stoccarda, diversamente da quanto accaduto alla procura di Monaco, ha fermamente rifiutato l’avvio di un procedimento contro alcuni tra i responsabili della strage di Sant’Anna di Stazzema;

dopo che con una sentenza del 2008 la Corte di cassazione ha condannato la Germania a risarcire i parenti delle vittime della strage di Civitella, Cornia e San Pancrazio, un portavoce del Ministero degli esteri tedesco ha dichiarato che «non è possibile» un risarcimento a «singole persone», come espresso nella decisione della Cassazione, in quanto nella circostanza in questione vige «il principio internazionale dell’immunità degli Stati»; la Germania ha successivamente aperto un contenzioso davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja;

durante il vertice bilaterale italo-tedesco che si è svolto a Trieste il 18 novembre 2008, la Germania ha riconosciuto pienamente «le sofferenze indicibili inflitte a uomini e donne italiane» durante la Seconda Guerra Mondiale, l’Italia, a sua volta, ha dichiarato di «rispettare la decisione della Germania di rivolgersi alla Corte internazionale di Giustizia per ottenere una decisione sul principio di immunità dello Stato»;

le autorità tedesche hanno costantemente dimostrato di considerare il tema della memoria come una priorità etica e civile della Repubblica federale tedesca -:

se il Ministro della giustizia abbia inoltrato alle autorità tedesche le richieste di esecuzione della pena in Germania per i condannati in via definitiva in Italia e, in caso contrario, per quale ragione non abbia ritenuto di procedere in tale senso;

quale azione diplomatica intenda esercitare il Ministro degli affari esteri nei confronti del Governo della Repubblica Federale di Germania affinché, nel quadro della tradizionale amicizia e intesa che caratterizza i rapporti italo-tedeschi, si giunga a una definitiva soluzione delle controversie, con il comune obiettivo di soddisfare l’esigenza di giustizia e di perpetuare la memoria degli eccidi di civili commessi in Italia;

quali ulteriori azioni intenda compiere il Governo per mantenere e sviluppare la memoria delle efferate stragi perpetrate in Italia e per soddisfare le legittime esigenze di giustizia dei familiari delle vittime. (4-13077)