Mentre Renzi straparla di Sud, il Sud scompare: ecco i dati drammatici sull’emigrazione da: controlacrisi.org

Mentre Renzi, Saviano, Emiliano e Vendola discettano di Mezzogiorno come se il “cancro” fosse stato scoperto ieri. E come se la politica di rapina, avvelenamento e sfruttamento selavaggio non fosse mai esistita, dal Sud arrivano dati drammatici per quanto riguarda la situazione economica. Ormai siamo alla desertificazione della forza lavoro. Secondo la Cgil, il governo Renzi non dimostra la volonta’ di affrontare i veri drammi del Paese, ma senza far ripartire il Sud non ci sara’ nessuna speranza per l’Italia.
Sussanna Camusso critica l’esecutivo che ha scelto di non avere un ministero della Coesione sociale provocando un “dirottamento” delle risorse al Nord. “Trovo sgradevole – ha sottolineato la leader della Cgil – che se qualcuno fa proposte diverse e porta nuovi argomenti puo’ essere uno che piange, un gufo, un nemico. Ma la logica dell’amico/nemico dimostra la non volonta’ di affrontare i veri drammi del Paese, che sono quelli dell’occupazione, del lavoro”.

Insomma, secondo i dati, i giovani del Mezzogiorno sono le prime vittime della crisi economica e occupazionale. E pur di trovare un impiego l’84,4% dei giovani meridionali si dichiara disposto a trasferirsi in qualsiasi regione italiana o addirittura all’estero (50%). Sono loro la nuova generazione di migranti. Questi sono i dati che emergono da un’indagine promossa ed elaborata a partire da un panel di 5.000 giovani tra i 19 e i 32 anni dall’Istituto Giuseppe Toniolo, in collaborazione con l’Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo.

Secondo l’indagine la disponibilità a spostarsi è più alta per chi ha titolo di studio maggiore; ciò significa che la mobilità tende a impoverire non solo quantitativamente ma anche qualitativamente la presenza dei giovani nel territorio di origine. In particolare, il 73% di chi ha solo la scuola dell’obbligo è disposto a trasferirsi stabilmente contro l’86% dei laureati. Inoltre, solo il 43% di chi ha titolo basso è pronto ad andare all’estero, contro il 52% dei laureati. La decisione di spostarsi dei giovani meridionali è legata non solo alle minori opportunità di trovare lavoro, ma anche alla più bassa qualità e soddisfazione per vari aspetti del lavoro svolto. Chi lavora al Sud, secondo l’indagine, si trova maggiormente a doversi adattare a svolgere una attività non pienamente in linea con le proprie aspettative. In generale, circa un giovane meridionale su tre non è soddisfatto del lavoro che svolge contro uno su quattro nel Nord. Un motivo per andarsene è anche la bassa fiducia nelle istituzioni e in particolare nella possibilità che la politica locale sia in grado di migliorare le condizioni di vita e lavoro dei cittadini. La fiducia nelle istituzioni locali è pari al 23% per i giovani italiani in generale, mentre scende al 17% per i giovani del Sud.

“Rispetto alla fiducia nelle proprie capacità e al considerarsi la principale ricchezza del proprio paese – spiega Alessandro Rosina, tra i curatori dell’indagine – non c’è molta differenza tra giovani meridionali e settentrionali. Oltre il 90% degli intervistati è infatti convinto, con omogeneità su tutta la penisola, di essere la risorsa più importante che l’Italia dovrebbe mettere in campo per tornare a crescere. Quello che fa la differenza tra Nord e Sud sono, da una lato, le opportunità di trovare lavoro e la qualità dell’occupazione. In particolare pesano l’instabilità e le basse remunerazioni, indicati come aspetti problematici da oltre la metà dei giovani occupati nel Sud. Inoltre maggiore nei ragazzi meridionali è la sfiducia nella classe dirigente locale e nelle prospettive future di miglioramento. La conseguenza è che per i giovani del Sud risulta molto più drastica la decisione tra rimanere ma dover rivedere al ribasso le proprie aspettative lavorative e i propri obiettivi di vita, o invece andarsene altrove. Solo il 16% è infatti indisponibile a trasferirsi. Se però in passato come destinazione prevaleva il Nord Italia, ora più della metà degli under 30 meridionali punta a un possibile volo direttamente all’estero”. “La sfida è quella di costruire condizioni per rimanere, oltre a quelle per riattrarre chi è andato a studiare o a fare esperienze di lavoro al Nord o oltre confine. Molti giovani emigrati sarebbero disposti a tornare anche con opportunità inferiori a quelle che trovano negli altri paesi sviluppati, purch‚ però in presenza di un processo solido e credibile di miglioramento a cui possano contribuire da protagonisti”.

Ncd, Pd e FI bocciano mozioni di sfiducia a Castiglione da: ilsetteemezzo

Giuseppe-Castiglione

Le ordinanze sul sistema Mafia Capitale e il sistema specifico creato ad arte dal factotum istituzionale Luca Odevaine che si avvantaggiava dell’emergenza immigrazione per facili guadagni hanno coinvolto già dalle sue prime battute nel dicembre dello scorso anno sino a riconfermarne l’implicazione, una cerchia di soggetti che negli anni dal 2011 ad oggi ha gestito e amministrato il Cara di Mineo, il centro richiedenti asilo più grande d’Europa. Tra questi il sottosegretario Giuseppe Castiglione nei confronti del quale dal versante parlamentare sono state prima esposte nella giornata di lunedì tre diverse mozioni in riferimento alla sua permanenza in carica nel Governo e poi esaminate oggi. E mentre dalle opposizioni critiche impietose, corredate da stralci che raccontano la vita del Cara di Mineo e del ruolo di Castiglione, si sono levate parole di accusa di responsabilità anche nei confronti del Ministro Alfano, il Partito democratico per salvare la tenuta del Governo si rimette nelle mani dei processi che saranno loro a stabilire la verità. E così il contenuto dell’intervento di ieri del deputato Pd Miccoli diventa l’alibi al voto contrario sulle mozioni, “il nostro compito sarà di correggere quelle storture che hanno permesso tutto questo. È un sistema inaugurato, lo voglio ancora una volta ribadire, nel 2011 – non c’era il Governo Renzi – e per questo noi non vogliamo anticipare, al momento, il giudizio della magistratura.” La politica può e dovrebbe dare risposte indipendentemente dalla magistratura per il ruolo che le compete è invece quello che viene ribadito dai banchi della Camera prima del voto, dai sostenitori delle mozioni e sulla necessità che questa si interroghi su fatti come quelli di mafia capitale in cui la politica emerge protagonista del sistema corruttivo del nostro Paese.

Una volta espresso il Governo il voto contrario, sono stati annunciati il voto favorevole del gruppo misto-Alternativa libera e della Lega Nord, Sel attraverso il deputato siciliano Erasmo Palazzotto ha spiegato l’ulteriore significato della propria mozione e della questione morale su cui andare ad accendere i riflettori chiedendo anche al ministro Alfano di assumersi la responsabilità su questa vicenda perché o ha fatto finta di non sapere o sapeva e non è voluto intervenire, considerando sia il titolare del Viminale ed il capo del partito i cui rappresentanti sono i principali esponenti di tutto il sistema Mineo. Si sono espressi in seguito contrari alle mozioni di ritiro delle deleghe a Giuseppe Castiglione Scelta Civica e  Paolo Tancredi per Ncd- Udc il quale ha parlato di intercettazioni blande, che non rilevano ruoli centrali del sottosegretario, eppure è chiaro i vari omissis nei documenti consultabili sono stati posti dalla magistratura per continuare a condurre le indagini con riserbo. Anche contrario il voto di Forza Italia che ha fatto leva, attraverso l’intervento di Rocco Palese sul proprio storico principio di garantismo pur chiedendo per i medesimi fatti lo scioglimento del Comune di Roma, un atteggiamento contraddittorio probabilmente legato alla conduzione politica del comune capitolino, accusando il Pd di non avere più titoli di moralità per esprimersi. Vega Colonnese per il M5S ribadendo l’attività di denuncia operata sul Cara di Mineo ha chiesto al Governo il ritiro delle deleghe a Giuseppe Castiglione colpevole come la sua parte politica, secondo il M5S, di quanto avvenuto e di quanto avviene in maniera opaca nel centro richiedenti asilo. Ad Andrea Romano è toccato per il Pd invece esprimere il voto contrario del gruppo perché non vi è intenzione, da parte dell’alleato di governo, di limitare l’efficacia dell’attività di Castiglione, nel suo ruolo sottosegretario all’agricoltura, che non possono essere influenzati e giudicati da ciò che sta avvenendo in sede giudiziaria. Le votazioni si sono concluse con una prevedibile bocciatura delle mozioni. Domani Giuseppe Castiglione sarà audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sui Cara e sui Cie la quale circa un mese fa in visita in missione in Sicilia aveva parlato della necessità di approfondite indagini, di storture e di un sospettoso “monopolio” nella attribuzione degli appalti.

Mozione Lorefice favorevoli 108 contrari 304

Mozione Scotto favorevoli  92  contrari 303

Mozione Attaguile favorevoli 86  contrari 306

PIANO NAZIONALE  CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE COMUNICATO CONGIUNTO da: udi

 

Il Governo Renzi perde oggi un’occasione storica di combattere con azioni specifiche, coordinate ed efficaci la violenza maschile contro le donne con un  Piano che affronti le esigenze tassative  poste dalla Convenzione di Istanbul per proteggere, prevenire e punire la violenza maschile.

Il ruolo dei centri antiviolenza risulta depotenziato in tutte le azioni del piano, essi vengono considerati alla stregua di qualsiasi altro soggetto del privato sociale senza alcun ruolo se non quello di meri esecutori di un servizio.

Il Piano non è stato  concertato con le Associazioni. DiRe, Ass. naz. Telefono Rosa Onlus, UDI, Fondazione Pangea, Maschile Plurale, CAM, che non hanno avuto parte alcuna nella elaborazione e nella stesura di questo documento, anzi è stato comunicato loro senza possibilità di cambiamento. Questo piano non è stato nemmeno sottoposto alla Task Force governativa in materia, il cui lavoro, a volte discutibile, in questi due anni, è stato in grande parte del tutto vanificato.

Il sistema di “governance” delineato nel Piano implica e non garantisce il buon funzionamento di tutto il sistema nazionale e pone inoltre problemi giuridici di coordinamento a livello locale, vanifica il funzionamento delle reti territoriali già esistenti indispensabili per una adeguata protezione e sostegno alle donne.  In particolare le grandi città, le province  e le città metropolitane rischiano che sullo stesso territorio si creino più reti con gli stessi soggetti istituzionali  che si sovrappongano tra loro (es. ASL, Procura, Prefettura).

La distribuzione delle risorse viene frammentata senza una regia organica e competente e che quindi non avrà una ricaduta sul reale sostegno dei percorsi di autonomia delle donne. L’allocazione delle risorse è inoltre assolutamente esigua per gli obiettivi del piano in ambito triennale, è troppo sbilanciata sui percorsi di inclusione, in particolare quelli di inserimento lavorativo, a scapito dell’ascolto, dell’accoglienza, dell’ospitalità, dei percorsi di empowerment.

Il linguaggio del Piano è discriminatorio rispetto al genere: non c’è la declinazione al femminile quando si parla di figure professionali femminili.

Infine, la funzione dell’ ISTAT, l’istituzione dello Stato che fino ad oggi ha raccolto, validato ed elaborato i dati sulla violenza di genere, è cancellata dal Piano. Viene istituita una “Banca Dati” che sarà appaltata a privati. Con questa decisione scompare il progetto di rendere stabile e obbligatoria una periodica ricerca sulla violenza di genere.

Senza queste ricerche periodiche non è pensabile – né verificabile – alcuna politica di prevenzione e di contrasto.

 

DiRe Donne in Rete contro la Violenza

Ass. Naz. Telefono Rosa Onlus

UDI – Unione Donne in Italia

Fondazione Pangea

Maschile Plurale

Renzi domani alla Granarolo:i lavoratori incrociano le braccia per protesta Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Oggi il primo ministro Matteo Renzi va ad inaugurare la nuova sede della Granarolo a Bologna. I dipendenti del colosso cooperativo hanno quindi deciso di incrociare le braccia per due ore, dalle 9 alle 11, dando vita ad un presidio davanti allo stabilimento. Si tratta, spiega una nota della Flai-Cgil, di un’iniziativa “contro le politiche messe in campo dal governo Renzi in materia di lavoro e a sostegno di un’alternativa a politiche di austerity in cui a pagare sono
sempre i piu’ deboli, nell’ambito delle iniziative di lotta proclamate dalla segreteria nazionale Cgil”. Precarieta’ “estesa all’infinito, demansionamento, controllo a distanza, voucher: con il Jobs act- continua la Flai-Cgil- il governo Renzi trasforma il rapporto di lavoro tra azienda e lavoratore nella medesima relazione che intercorre tra il caporale ed il bracciante”, ma “non e’ di questo che ha bisogno il Paese per uscire dalla drammatica situazione che ogni giorno e’ costretto a vivere”. Il sindacato punta il dito su mancanza di lavoro e di investimenti, evasione, corruzione, malavita organizzata, inefficienza della macchina burocratica, definendoli “i veri problemi del Paese che l’azione del Governo non affronta condannando il Paese ad una lunga agonia”.
L’appuntamento con Renzi, atteso assieme al ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, e’ in via Cadriano, nella storica sede di Granarolo alle 9.30. Dopo i saluti del sindaco Virginio Merola, del presidente della Regione Stefano Bonaccini e della presidente di Legacoop, Rita Ghedini, il numero uno di Granarolo, Gianpiero Calzolari, illustrera’ il piano di sviluppo del gruppo. A seguire gli interventi di Martina e Renzi.

Sciopero sociale, il 3 e 4 a Roma per l’assedio al Senato contro il Jobs act. Prc in piazza il 3 e il 12 Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Ieri a Napoli si è tenuta l’assemblea nazionale di bilancio sullo sciopero sociale del 14 novembre. Un affollato meeting all’ex Asilo Filangeri si è deciso, di fronte al Governo Renzi che ha anticipato i tempi di approvazione del Jobs Act al Senato, a dare vita a una iniziativa nazionale per il 3 dicembre a Roma. L’idea di assediare il Senato è stata abbastanza condivisa. Un po’ meno quella di scendere in piazza il 12 dicembre, nello stesso giorno dello sciopero generale indetto dalla Cgil. Ma questo non è passato assolutamente come un elemento di divisione. Le soggettività raccoltesi intorno allo strike meeting prima e allo sciopero sociale poi, si rivedranno a cavallo tra gennaio e febbraio per cercare di approfondire i punti risolti e non risolti emersi dai laboratori e dai tre incontri nazionali che hanno preceduto e seguito il 14 novembre. Uno tra tutti, come dare una maggiore concretezza al bisogno del grande mondo del precariato di articolare forme di lotta che incidano e diano risultati dal punto di vista delle vertenzialità.
Rifondazione aderisce e sostiene la mobilitazione indetta contro il Jobs Act da tutte le realtà dell’autorganizzazione sociale che hanno dato vita allo sciopero sociale del 14 novembre, per il 3 dicembre al Senato. “Il governo Renzi – si legge in una nota firmata dal segretario Paolo Ferrero e da Roberta Fantozzi, responsabile Lavoro e elfare – taglia il futuro dei giovani precarizzando sempre di più il lavoro e la vita, demolisce i residui diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, taglia e privatizza il welfare e i beni comuni”. Per il Prc, contro il governo serve la più ampia mobilitazione possibile. E quindi, “appuntamento a Roma il 3 e anche per il 12 dicembre per lo sciopero generale!”.

Stop#jobsact oggi in tanti e tante per circondare il Senato contro la follia di Renzi | Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Domani il “Jobs act” sarà in Senato per completare l’iter di approvazione. Domani, il Laboratorio nazionale per lo sciopero sociale ha dato appuntamento a tutti e a tutte per costruire una vera e propria “recinzione umana” attorno a palazzo Madama. Una forma di protesta già tentata, ma che questa volta sarà di dimensioni molto più considerevoli. “Il governo Renzi con un’ulteriore forzatura democratica e costituzionale – si legge nel documento uscito dall’assemblea di domenica scorsa a Napoli – accelera ancora il percorso di approvazione della legge delega e valuta l’ipotesi di blindarla col voto di fiducia. Segnali di un processo totalmente autoritario ed eterodiretto dalla BCE e dalla Troika”. Ma anche il tentativo “di depistare e disinnescare – continuano i militanti del Laboratorio per lo sciopero sociale – il protagonismo di centinaia di migliaia di precarie e di precari che hanno dimostrato la propria opposizione a questo progetto” nella giornata dello sciopero sociale del 14 novembre come nelle piazze e negli scioperi che stanno attraversando il paese. Chi vuole ipotecare la nostra vita e il nostro futuro non ci troverà in silenzio!
L’appuntamento è alle 10 alla fermata metro del Colosseo. La partenza del corteo a cui parteciperanno i sindacati di base alle 11.30 verso piazza Sant’Andrea della Valle. Ci saranno probabilmente anche iniziative dislocate in altre città. Alle decine di migliaia di persone che il 14 novembre hanno partecipato allo sciopero sociale è stato rivolto l’appello ad arrivare a Roma per realizzare una protesta il cui obiettivo è molto simile all’”Acampada” dell’M15. Praticamente parteciperanno quasi tutte le sigle del sindacalismo di base. L’USB ha indetto un presidio sotto  il Senato, in Piazza delle Cinque Lune, a partire dalle ore 11.00.  “Attraverso una delega al Governo, ampia e indeterminata anche sotto il profilo temporale – si legge in un comunicato – si intende cancellare diritti e tutele conquistati in anni di lotte: dal contratto a tutele crescenti, che nella sua declinazione servirà solo a garantire agli imprenditori mano d’opera ricattabile e precaria, al controllo a distanza dei dipendenti; dall’estrema libertà di deroghe al contratto nazionale, alla possibilità di demansionamento fino a due livelli inferiori, per finire con la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori”. L’USB, che anche contro il jobs act ha costruito lo sciopero generale del 24 ottobre e partecipato allo sciopero sociale del 14 novembre scorso, “continuerà coerentemente ad opporsi contro questo progetto di asservimento del mondo del lavoro”.In piazza ci sarà anche Rifondazione Comunista che lancia un ponte tra la mobilitazione di domani e quella dello sciopero generale del 12 dicembre: “Contro il governo serve la più ampia mobilitazione possibile”, dichiara il segretario Paolo Ferrero

“Licenziamo Renzi”. Il sindacalismo di base in piazza contro Austerity e Jobs act | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Presidi e cortei in tutte le regioni d’Italia con ben 27 appuntamenti, adesioni allo sciopero che nei trasporti ha registrato un valore medio del 60%, partecipazione di studenti, disoccupati e movimenti per il diritto all’abitare, delegazioni di lavoratori delle più importanti vertenze in atto in questo momento e una presenza attiva alle mobilitazioni che, a detta degli organizzatori, ha sfiorato le centomila presenze.

E’ questa la scheda del primo sciopero generale contro il Governo Renzi. Uno sciopero generale che porta la firma di Usb, Orsa, Cib-Unicobas, “Licenziamo il Governo per giusta causa”. “Abbiamo chiamato i lavoratori e loro hanno risposto – dichiara Pier Paolo Leonardi – c’è chi fa le passeggiate e chi fa le lotte. Si sta distruggendo il presente ed il futuro di questo Paese”, ha aggiunto.A causa dell’adesione allo sciopero nazionale, la compagnia aerea spagnola Vueling ha improvvisamente cancellato oggi 25 dei 38 voli in partenza e 24 di quelli in arrivo che assicura ogni giorno dall’aeroporto di Fiumicino. Inevitabili pesanti disagi per i passeggeri che, a quanto hanno riferito, non sono stati avvisati, come pure le altre strutture del Leonardo da Vinci. Disagi nei voli anche a Palermo.

“Forte la risposta nella prima fascia di sciopero nel settore dei Trasporti – si legge in un comunicato Usb – con una media nazionale del 60% di adesione. Il 100% ha scioperato a Napoli in tutte le società del tpl, con una media del 60% nelle aziende della regione Campania. A Trento sciopera il 90%. A Bologna e Forlì fermi il 70% dei bus; il 50% a Reggio Emilia;  a Rimini, Cesena e  Ferrara oltre il 40%. Soppresso il 90% dei treni regionali in Emilia Romagna. A Roma bloccati il 70% dei bus; metro A e B rallentate e  ferma la Roma-Giardinetti.  Adesione al 30% nel Cotral del Lazio. A Venezia fermo il 70% del trasporto urbano ed extraurbano; a Verona, Sala SCC, 50% degli operatori in sciopero, con ripercussioni in tutto il traffico ferroviario del Veneto. In Friuli, media del 40%. Fermo il tpl extraurbano in Sicilia. Si rammenta che la Torino e a Perugia lo sciopero è stato impedito dalla Commissione di Garanzia, con la motivazione del concomitante svolgimento del “Salone del Gusto” e di “Eurochocholate”.

A Roma, ad aprire il corteo sono stati i lavoratori Meridiana, applauditissimi, che stanno rischiando un taglio di 1.400 posti di lavoro. Molto folta la presenza dei vigili del fuoco e di alcune situazioni di lotta come gli addetti “Canados”. Un corteo “unitario”, dove non ci sono gli altri sindacati “ma ci sono lavoratori, precari, disoccupati, studenti e occupanti di case”. Al corteo nella capitale ha partecipato il segretario del Prc Paolo Ferrero.
A Bologna sul camioncino che apre il corteo compare un fantoccio con la faccia del premier Matteo Renzi e la scritta “scemo” incollata sul petto. Il fantoccio è stato lasciato poi nel cortile della sede di Unindustria. “Oggi si sciopera, non si fa finta e non si fa una passeggiata”. I manifestanti, circa 800, sono partiti da piazza XX Settembre con l’obiettivo dichiarato di attraversare il centro della citta’ ed andare a protestare davanti alla sede di Unindustria. “Abbiamo fatto un errore, abbiamo fatto scioperare troppi lavoratori del trasporto pubblico locale – dice lo speaker dal sound system, che parla di una partecipazione di non meno di duemila persone- e molti manifestanti non sono riusciti ad arrivare, altrimenti saremmo il doppio o il triplo”. Come annunciato nei giorni scorsi, partecipano alla manifestazione i consiglieri comunali Massimo Bugani e Marco Piazza del M5s. Un corteo “unitario”, dove non ci sono gli altri sindacati “ma ci sono lavoratori, precari, disoccupati, studenti e occupanti di case”. Arrivando in via Rizzoli da via Indipendenza, una delegazione si è staccata del corteo per deporre la corona di fiori sotto il sacrario dei caduti partigiani in piazza Nettuno, con scritto “Antifascisti sempre”.A Napoli Con in testa un lungo striscione di protesta contro l’abolizione dell’articolo 18, il lavoro precario e il governo Renzi, il corteoo è partito da piazza Mancini. L’iniziativa ha visto anche la partecipazione dei precari Bros, dei disoccupati organizzati di Giugliano e Casoria e di Rifondazione Comunista. Alcune migliaia di persone che hanno scandito slogan contro il governo, la precarieta’, il jobs act. Slogan di protesta anche all’indirizzo delle altre sigle sindacali, in particolare alla Cgil e al segretario Susanna Camusso.

A Genova il corteo aperto dallo striscione “LICENZIAMO RENZI” è stato di poco meno di un migliaio di persone. Il corteo è partito dal  centro per l’impiego per sottolineare la vergogna della riforma del lavoro di Renzi ed ha sostato poi sotto la sede dell’Inps “per ricordare la violenza e l’ingiustizia  della riforma delle pensioni e il tentativo di furto del TFR da parte di Renzi”.  Quindi all’Agenzia delle Entrate per sottolineare l’enormità dell’evasione fiscale mai combattuta se non a chiacchiere. Infine il corteo si è concluso sotto la sede di CONFINDUSTRIA “unica e vera beneficiaria delle riforme di Renzi”.
Da Imperia a La Spezia nel corteo erano presenti lavoratori di moltissime categorie del pubblico e del privato. Autisti e lavoratori dell’aeroporto,  infermieri, impiegati pubblici, lavoratori dell’igiene ambientale, vv.ff., guardie giurate, precari e dipendenti di cooperative tutti insieme “per dire basta alle politiche violentemente antipopolari del governo Renzi burattino bugiardo manovrato dalla UE”.

Jobsact, la sinistra Pd vota la 24° fiducia a Renzi. Prc: “Come ladri nella notte…”Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Con il voto di questa notte del Senato al Jobs act, il governo Renzi incassa la sua ventiquattresima fiducia. Dal giorno della sua nascita, tre al mese. Non c’è male per il “rottamatore” che vuole cambiare l’Italia no? Le prime due fiducie, quelle programmatiche, il Governo Renzi le aveva ottenute il 25 febbraio scorso. E via così, fidando su un partito che non si smentisce, sistematicamente mai! Deve essere per questa incallita abitudine che ieri, nonostante le minacce di sfaceli, alla fine anche Walter Tocci, oppositore del Jobsact, alla fine ha votato la fiducia e si è dimesso: l’unico. Un bilancio amaro, certamente per chi ha tentato da dentro il Pd di contrastare il cammino di Renzi.

Il dissenso ha preso forma, nel documento, presentato direttamente alla stampa a Palazzo Madama e preparato in maniera “estemporanea” che vanta 36 firme tra i democrat: 27 sono i senatori, tutti, pressoche’, firmatari degli emendamenti della minoranza Pd alla legge delega; 9 sono invece i deputati, tutti membri della Direzione. Tra questi ultimi spiccano due membri della segreteria Dem, Micaela Campana e Enzo Amendola, i bersaniani D’Attorre e Zoggia, l’ex segretario Epifani e uno dei Democrat piu’ oltranzisti nel dissenso anti-renziano come Stefano Fassina. Tutta gente che in molti casi, come Epifani, ha avuto un andamento ondivago e che ora tenta di ricrearsi una verginità. Non c’e’ solo Area Riformista nel gruppo; ma manca il nome di Pier Luigi Bersani e manca quel Pippo Civati che da tempo si pone all’estremo opposto del renzismo, tanto che ieri sera, sono stati almeno due i senatori civatiani – Casson e Ricchiuti – a uscire dall’Aula al momento del voto di fiducia. E sul punto il messaggio del documento e’ chiaro: “non e’ nella nostra natura non votare la fiducia a un Governo Pd ma ora il testimone passa alla Camera, dove ci batteremo con determinazione per passi avanti”. Passi avanti? Alla Camera il Governo dorme sonni tranquilli. E in quanto ai cosiddetti miglioramenti c’è da mettersi le mani nei capelli. Mancano, ad esempio adeguate garanzie “sull’invasivita’ dei controlli” (video) e manca, soprattutto, “la parte riguardante le tutele nei casi dei licenziamenti disciplinari”. Ma il documento del dissenso va oltre il merito del Jobs Act, con “un giudizio non positivo” su un ricorso alla fiducia che stoppa il dibattito, manifesta “le difficolta’ e le debolezze del Governo” e “non potra’ essere riproposto alla Camera”. Concetto letteralmente ribadito da un altro ‘big’ della sinistra Pd, Gianni Cuperlo. E invece è questo che accadrà.
La tensione, al Nazareno, resta insomma alta e rischia di invadere l’Aula di Montecitorio. Civati accusa il Pd di fare “la cosa piu’ di destra” della sua storia ed evoca dimissioni tra senatori.

“Non sono indifferente alla responsabilita’ di rispettare le decisioni prese dal mio partito- dice Walter Tocci- e neppure alla responsabilita’ del rapporto di fiducia tra la mia parte politica e il governo. Sono altresi’ consapevole che i margini di maggioranza al Senato sono piuttosto esigui e non ho alcuna intenzione di causare una crisi politica”. “Anche se ho sempre sostenuto- spiega- che l’alleanza tra partiti di destra e di sinistra dovesse essere a tempo e non per l’intera legislatura. Sarebbe meglio per tutti se la prossima primavera si tornasse a votare per formare un governo con un chiaro e determinato mandato elettorale. Ma, ripeto, questo non posso e non voglio deciderlo io. Saranno le massime autorita’ istituzionali a definire i tempi della legislatura”.

Sulla vicenda è intervenuto il segretario del Prc Paolo Ferrero: “Come ladri nella notte voteranno la fiducia su una delega che lascia mano libera al governo nella demolizione dei diritti dei lavoratori – scrive Ferrero in una nota – un atto che si pone contro la nostra Costituzione. Se il parlamento voterà la fiducia sul jobs act abdicherà la propria funzione e cederà tutti i poteri all’esecutivo, a questo governo che obbedisce alla Merkel”.

FGC: “Buona scuola”, governo Renzi infiocchetta l’ennesimo colpo alla scuola pubblica da: www.resistenze.org

Fronte della Gioventù Comunista | gioventucomunista.it

08/09/2014

Ancora una volta si confermano le nostre previsioni sull’indirizzo politico del Governo Renzi. Il documento “La buona scuola” pubblicato lo scorso 3 settembre incarna appieno l’essenza di questo Governo: mascherare con toni da televendita le politiche di totale subalternità ai progetti imposti dal sistema economico, proseguendo dritto sui binari dello smantellamento di tutti i diritti sociali. I proclami contenuti nelle 136 pagine di testo, che delineano le linee-guida della futura riforma della scuola, costruiscono un castello di carte che cade al primo soffio di vento.

Secondo Paolo Spena, Responsabile Scuola e Università del FGC: «il primo dato fondamentale non è ciò di cui si parla quanto invece ciò di cui non si parla. Caro libri in crescita, contributi scolastici ormai obbligatori per le famiglie e sempre più cari, aumento del costo dei trasporti e borse di studio erogate sempre più raramente non rientrano nell’agenda del Governo, che conferma il pieno disinteresse di questo sistema nel garantire a tutti il libero accesso all’istruzione. Gli interventi sull’edilizia scolastica sono una goccia nel mare, come ogni misura di questo tipo che si misuri in milioni e non in miliardi».

Per quanto riguarda le misure proposte, afferma Spena, non c’è da stare sereni: «Inaccettabile l’idea di autonomia scolastica delineata dal Governo. Si nega che valutare le scuole porti alla competizione fra gli istituti per accaparrarsi i finanziamenti, ma di fatto è così. Il Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) è gestito dall’INVALSI, che impone criteri di valutazione delle scuole del tutto antiscientifici e dannosi per la didattica. Mentre le scuole private continuano a ricevere soldi dal Governo, non si ha vergogna di affermare che i soldi pubblici non bastano e che la scuola pubblica ha “bisogno” di investimenti da parte di privati e imprese, che vengono abilmente mascherati chiamandoli “investimenti collettivi”. Tutti noi dovremmo chiederci: una scuola pubblica che dipende economicamente da un investitore privato cosa sarà disposta a fare pur di non perdere i suoi finanziamenti?»

«Particolare attenzione da parte nostra merita il piano sull’Alternanza Scuola-Lavoro (ASL) per i tecnici e professionali.» – continua il FGC – «La scuola viene ripensata come un’entità del tutto succube agli interessi delle aziende private, gli insegnamenti come un qualcosa da adattare continuamente alle richieste del mercato. Si va ben oltre lo sfruttamento selvaggio del lavoro in stage che abbiamo conosciuto in questi anni: il governo non ha pudore quando parla di “formazione congiunta” e afferma che le stesse aziende private dovrebbero “concorrere” con le scuole nella formazione dei giovani.»

Inconsistenti secondo il FGC le promesse di assunzione per i precari, e decisa contrarietà alla proposta di introdurre gli scatti in base al merito: «Gli insegnanti italiani ad ora sono fra i meno pagati d’Europa, e la soluzione che propone il Governo è quella di allestire una lotta fratricida fra gli insegnanti per accaparrarsi le poche briciole che vengono concesse. Aumentare gli stipendi in base al “merito” significa portare nella scuola un clima di competizione che dovrebbe invece esserle del tutto estraneo; il sistema dei crediti proposto come alternativa all’anzianità elimina qualsiasi cooperazione fra gli insegnanti, dei quali ormai si parla come se fossero liberi professionisti in concorrenza fra loro. Nella promessa di assumere 150.000 precari c’è molta propaganda e poca concretezza, e viene accennata l’intenzione di abbandonare a sé stessi tutti i precari che – certo non per loro colpa – hanno punteggi molto bassi.»

Giunge infine dal Fronte della Gioventù Comunista un appello rivolto a tutte le categorie del mondo della scuola, interessate dal progetto di riforma: «Il Governo assesta l’ultimo colpo alla scuola pubblica, per ricondurla interamente all’interno delle logiche del mercato e della competizione per il profitto imposte da questo sistema. Studenti e insegnanti sono entrambi colpiti da queste misure, che il Governo infiocchetta con belle parole per celarne la reale portata. Chi in questi giorni ha sostenuto che le proteste annunciate per l’autunno sono già fallite in partenza si accorgerà di aver preso una grossa cantonata. Mai come adesso è necessario costituire un fronte ampio di opposizione unendo le rivendicazioni di studenti, insegnanti di ruolo e precari, personale ATA. Ogni scuola sarà una barricata contro le politiche imposte da questo sistema e dall’Unione Europea.»

“Basta Renzi, le forze dell’ordine scioperano”Fonte: Il Manifesto | Autore: Antonio Sciotto

«Noi non siamo incaz­zati con il governo Renzi: siamo stra-incazzati». Se parli con i poli­ziotti rie­sci a capire come in poche ore, nel pome­rig­gio di ieri, sia mon­tata la rab­bia di tutto il com­parto forze dell’ordine, fino a minac­ciare – per la prima volta nella sto­ria ita­liana – uno «scio­pero gene­rale» di poli­zia, cara­bi­nieri, vigili del fuoco, eser­cito, marina, aero­nau­tica e guar­dia di finanza. Annun­ciato dai sin­da­cati e dal Cocer interforze.

In serata il pre­mier Renzi ha rispo­sto: «Rice­verò gli agenti di poli­zia, ma non accet­terò ricatti», ha detto. È ingiu­sto, ha aggiunto, scio­pe­rare per un aumento di sti­pen­dio quando ci sono milioni di disoccupati.

Nel mirino della pro­te­sta, il blocco dei con­tratti del pub­blico impiego annun­ciato dalla mini­stra Marianna Madia due giorni fa. In realtà, que­ste forze non hanno il diritto di scio­pe­rare, ma assi­cu­rano che tro­ve­ranno delle for­mule per arri­vare al mas­simo impatto pos­si­bile. Per­ché si parli di loro e delle loro con­di­zioni di lavoro, ormai al limite: la stessa parola «scio­pero gene­rale» è stata usata appo­sta, per­ché “bucasse” l’informazione.

La pro­te­sta ieri è mon­tata improv­vi­sa­mente, men­tre paral­le­la­mente si face­vano sen­tire anche gli altri set­tori del pub­blico impiego, che pure annun­ciano ini­zia­tive. Ma forse per­ché più “com­presse” in strette maglie di disci­plina, le forze dell’ordine sono esplose: prima hanno annun­ciato il blocco degli straor­di­nari i poli­ziotti di Bolo­gna, poi è arri­vata la nota nazio­nale, con l’annuncio di uno
«scio­pero gene­rale entro fine settembre».

Lo si farà pro­ba­bil­mente nella forma di una grande mani­fe­sta­zione nazio­nale, o con l’indizione con­tem­po­ra­nea e in tutte le città di assem­blee sin­da­cali (ma se la poli­zia ha diritto a farle, i cara­bi­nieri ad esem­pio non pos­sono usu­fruire di que­sta pos­si­bi­lità). «Siamo anche dispo­sti a man­dare avanti qual­cuno e a farci denun­ciare», dicono i poli­ziotti in piena arrabbiatura.

«Per la prima volta nella sto­ria della nostra Repub­blica – spie­gano nella nota sin­da­cati e Cocer – siamo costretti a dichia­rare lo scio­pero gene­rale» del com­parto sicu­rezza, difesa e soc­corso pub­blico, «veri­fi­cata la totale chiu­sura del governo ad ascol­tare le esi­genze delle donne e degli uomini in uniforme».

«Quando abbiamo scelto di ser­vire il Paese, per garan­tire Difesa, Sicu­rezza e Soc­corso pub­blico – pro­se­gue la nota – era­vamo con­sci di aver intra­preso una mis­sione votata alla totale dedi­zione alla Patria e ai suoi cit­ta­dini con con­di­zioni dif­fi­cili per man­canza di mezzi e di risorse. Quello che non cre­de­vamo è che chi è stato ono­rato dal popolo ita­liano a rap­pre­sen­tare le Isti­tu­zioni demo­cra­ti­che ai mas­simi livelli, non avesse nem­meno la rico­no­scenza per coloro che, per poco più di 1300 euro al mese, sono pronti a sacri­fi­care la pro­pria vita per il Paese».

Daniele Tis­sone, segre­ta­rio del Silp Cgil, spiega che la sop­por­ta­zione della cate­go­ria è arri­vata al limite, non solo per la man­canza di mezzi e per­so­nale, che rende sem­pre più arduo e rischioso il lavoro, ma per il fatto che gli sti­pendi sono bloc­cati da ben cin­que anni. E ora si pre­para addi­rit­tura il sesto.

«Nel 2009 abbiamo avuto l’ultimo aumento con­trat­tuale – afferma Tis­sone – pari a 130–140 euro lordi in tre anni. Ma a parte il con­tratto, ci sono stati bloc­cati, a par­tire dal 2011, anche gli scatti di anzia­nità, le pro­mo­zioni, gli asse­gni di fun­zione. In pra­tica, se sei pro­mosso, assumi ruoli e respon­sa­bi­lità del grado supe­riore, ma la paga resta ferma». Insomma, negli ultimi quat­tro anni, per que­sti ulte­riori bloc­chi, alcuni poli­ziotti sono arri­vati a per­dere anche 300 euro netti al mese. Mica bruscolini.

Dalle forze dell’ordine la pro­te­sta potrebbe allar­garsi all’intero pub­blico impiego: ieri la segre­ta­ria della Cgil Susanna Camusso ha par­lato di «blocco incom­pren­si­bile dei con­tratti», e Raf­faele Bonanni (Cisl) ha annun­ciato «mobi­li­ta­zioni». L’Usb attuerà invece «una guer­ri­glia, con azioni non convenzionali».