“Più forti della repressione”. A Torino sfilano diecimila No Tav. I sindaci dal palco: “Costi esorbitanti e oscuri” Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Nonostante la pioggia e i ripetuti tentativi di bloccaggio da parte delle forze dell’ordine alle stazioni di treni e metropolitane, la manifestazione No Tav a Torino ha visto una vera e propria partecipazione di massa. Tanto che anche alcuni esponenti M5S alla fine dicono che è stata una giornata in cui hanno dimostrato di essere “più forti della repressione”. In piazza Castello, dove alla fine il corteo ha trovato il suo capolinea, i sindaci della Valsusa hanno letto una delibera approvata in una trentina di Comuni in cui si punta il dito contro i costi dell’opera. Ieri il Cipe ha approvato il progetto definitivo dei 17 chilometri della tratta nazionale della Sezione Trasnsfrontaliera, pari ad una spesa, a carico dell’Italia, di 1,6 miliardi (quota che può scendere a 960 milioni se la Ue concederà il 40% del contributo). All’inizio della prossima settimana a Parigi verrà costituito il soggetto promotore che avrà l’incarico di realizzare e gestire la Torino-Lione, martedì si terrà il summit tra i governi di Italia e Francia che chiuderanno il dossier per la richiesta del cofinanziamento comunitario.

La protesta e’ stata indetta per ribadire il No alla Torino-Lione e le numerose irregolarità delle procedure dell’opera che, sembrano essere state del tutto “ignorate” dal Cipe, naturalmente.
In piazza hanno sventolato le tradizionali bandiere con il treno crociato, bandiere di Rifondazione comunista (con Paolo Ferrero che è stato presente al corteo), Cub, Fiom, Legambiente e altri. “Magistrati e giornalisti, siete voi i terroristi” gridano alcuni riferendosi alle accuse di terrorismo contestate ad alcuni attivisti. In piazza anche un trenino con le sagome dei pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, che si occupano delle inchieste legate al Tav, e il cartello “No Tav pericolosi terroristi? Ma non fateci ridere”. In coda alla manifestazioine è stato sistemato lo spezzone composto dal mondo antagonista. Il gruppo di un centinaio di antagonisti arrivato a Torino, con un treno da Milano bloccato dalle forze dell’ordine a Novara, quando la manifestazione No
Tav era ormai conclusa, ha dato comunque vita a un corteo improvvisato.

“Mi sembra una manifestazione ben partecipata – dice Sandro Plano, sindaco di Susa – che ci dice che questo tema resta vivo nella coscienza della Valle. Chiediamo – spiega – che i soldi per la Tav siano dirottati su scuola, assetto idrogeologico, treni per i pendolari, sanità, universita’ e ricerca”. “Siamo qui per le ultime decisioni della giustizia nei confronti degli attvisiti, ma anche per ribadire la nostra contrarieta’ a un’opera inutile”, ha aggiunto Perino.
La manifestazione si e’ svolta poi senza tensioni lungo tutto il percorso. Qualche uovo e’ stato lanciato contro la Caserma dei Carabinieri in via Cernaia. “Oggi in piazza a Torino – si legge in una nota firmata da M5S – abbiamo ribadito un concetto che dovrebbe essere condiviso da ogni buon amministratore del nostro Paese. Il Tav non serve, se non alle solite lobbies politico-economiche. E dietro questi interessi si celano gli appetiti delle mafie, come dimostrato dalle recenti inchieste della magistratura”. “La lotta alla grande opera inutile – conclude il M5S – non si ferma certo qua. Continueremo ad opporci a questo scempio nelle istituzioni cos come in prima linea sul territorio”.

A Borgaro (Torino), sindaco e assessore (Pd-Sel) vogliono i bus differenziati per i Rom. Prc: “Stupidità” Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

A Borgaro, un paese in provincia di Torino di poco più di 13mila abitanti, il sindaco, Claudio Gambino, ha proposto di far effettuare corse separate ai bus, per i Rom e per gli altri cittadini. Lo ha annunciato lui stesso in una intervista a La Stampa riferendosi al campo nomadi di strada dell’Aeroporto, il più grande del capoluogo piemontese. “Non è razzismo, è soltanto un modo per risolvere un problema che va avanti da troppo tempo”, ha sostenuto il primo cittadino, annunciando l’intenzione di parlare con il questore di Torino della proposta. La giunta di Borgaro è di centrosinistra, sostenuta da Pd e Sel. Di segno contrario la reazione di Nicola Fratoianni, deputato di Sel.Dura la reazione di Ezio Locatelli, segretario del Prc di Torino. “La proposta “avvallata dall’assessore comunale di Sel”, è “di una stupidità assoluta”. “Non siamo in Sudafrica ai tempi dell’apartheid- continua Locatelli – siamo in un Paese dove la Costituzione fa giustamente divieto di qualsiasi discriminazione. I temi della sicurezza e della convivenza, nella misura in cui esistono, si affrontano in altro modo, nel rispetto della dignità di tutte le persone senza discriminazione e distinzione alcuna ‘di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali’”. “Quella del sindaco e dell’assessore di Borgaro è l’espressione del degrado in cui è caduta tanta parte della politica istituzionale – conclude Locatelli – . C’è da vergognarsi. Un degrado al quale bisogna reagire con forza”.

Migliaia a Torino contro il Jobs act sotto le bandiere della Fiom, che protesta contro l’intervento della polizia Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Migliaia di lavoratori hanno partecipato alla manifestazione regionale organizzata dalla Fiom a Torino contro la riforma del lavoro. Il corteo, al quale ha preso parte il segretario generale Maurizio Landini, è partito dalla stazione di Porta Susa e raggiungere piazza Castello. Circa 20 pullman sono arrivati da tutto il Piemonte. Ad aprire il corteo i lavoratori della De Tomaso e, subito dopo, quelli della Fiat. Presenti al corteo, che ha raggiunto piazza Castello, la Cgil di Torino e del Piemonte e molte categorie, dalla scuola alla funzione pubblica e ai pensionati. Molte bandiere di Rifondazione Comunista. Sul palco è stato messo uno striscione “Mai la nostra firma per i licenziamenti”. Una delegazione della Fiom ha incontrato il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino e il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che è a Torino per partecipare al vertice europeo sul lavoro. Contro il vertice c’è stata una grande iniziativa in piazza del mondo dell’antagonismo e degli studenti. Non è andata giù alla polizia che, a poca distanza dal comizio della Fiom, li ha caricati un paio di volte.

“Questa piazza di Torino e’ una prima risposta. Il premier diceva che la Cgil e la Fiom non rappresentano piu’ nessuno, a lui potremmo dire ‘venga qui a contarci'”, ha detto Landini che ha tenuto il comizio finale. Landini si e’ rivolto anche agli studenti sottolineando l’importanza della scadenza “perche’ noi a differenza del governo vogliamo unire il Paese e non dividerlo e lo diciamo anche a quanti, in fondo alla piazza, in modo sciocco, continuano ad andare contro le forze dell’ordine”.
La Fiom, poi, per pbocca del segretario generale di Torino ha protestato per il comportamento della polizia. “Abbiamo avuto una netta percezione che ci sia stato un eccesso di reazione da parte delle forze dell’ordine, in particolare quando sono stati lanciati lacrimogeni in direzione del palco. Ho chiesto al questore un incontro, gi… oggi, per farglielo presente”, ha detto Federico Bellono. “Il numero delle persone coinvolte nei disordini – ha aggiunto Bellono – era irrisorio: 50 o 100 al massimo, di fronte a migliaia di lavoratori. Siamo in una fase in cui ci saranno molte iniziative sindacali, è necessario che si gestiscano nel modo migliore possibile”.

Sull’intervento della polizia c’è il giudizio negativo del segretario del Prc di Torino, Ezio Locatelli. “Vogliono soffocare sul nascere il movimento di opposizione che sta insorgendo contro le politiche antisociali e di smantellamento dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori portate avanti dal governo Renzi”, si legge in una nota. Secondo Locatelli, la polizia, dopo aver inizialmente risposto con un fitto lancio di lacrimogeni ad un innocuo lancio di uova in direzione di un corteo degli studenti, “non ha trovato di meglio che accrescere il clima di tensione sparando lacrimogeni anche in direzione della manifestazione dei metalmeccanici in corso in piazza Castello”. “Noi eravamo presenti e abbiamo potuto vedere. Il lancio indiscriminato e arbitrario di lacrimogeni – ha aggiunto Locatelli – ha disperso gran parte dei manifestanti convenuti alla manifestazione della Fiom. Era questo l’obbiettivo delle forze di polizia?” Le mobilitazioni proseguiranno, assicura Locatelli, con il pieno sostegno di Rifondazione Comunista.
Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc, giudica “vergognoso” l’intervento della polizia e che “il governo impedisca con i lacrimogeni lo svolgimento della manifestazione dei metalmeccanici della Fiom di Torino”. “Renzi non riuscirà a nascondere il disagio sociale – conclude Ferrero – sotto i cumuli di menzogne che racconta ogni giorno, non riuscirà ad impedire che il popolo scenda in piazza e si faccia sentire direttamente. Senza selfie e senza twitter”.

Licenziamenti illegittimi, condannato dirigente del Pd | Fonte: Il Manifesto | Autore: Mauro Ravarino

Licen­ziati ille­git­ti­ma­mente e sot­to­pa­gati. La Corte d’Appello di Torino, sezione lavoro, con­danna la coo­pe­ra­tiva mul­ti­ser­vizi Rear, pre­sie­duta da Mauro Laus, impren­di­tore e nome di spicco del Pd tori­nese, attuale pre­si­dente del Con­si­glio regio­nale del Pie­monte, al risar­ci­mento di due lavo­ra­tori ingiu­sta­mente estro­messi dalla società. Entrambi per insu­bor­di­na­zione.
La Rear è un gigante sotto la Mole, ha appalti in musei e par­te­ci­pate e si occupa pre­fe­ri­bil­mente di vigi­lanza e acco­glienza. La vicenda sul pre­sunto sfrut­ta­mento dei suoi lavo­ra­tori esplose a fine 2012, quando il regi­sta Ken Loach rifiutò di rice­vere il Gran Pre­mio Torino pro­mosso dal Torino film festi­val. Motivo: al Museo nazio­nale del cinema, a cui fa capo il Tff, alcuni ser­vizi sono ester­na­liz­zati e le per­sone sot­to­pa­gate. Cin­que euro lordi all’ora con l’applicazione dello svan­tag­gioso con­tratto Unci (Unione nazio­nale coo­pe­ra­tive ita­liane). E come se non bastasse, un clima pesante fatto di pres­sioni e, appunto, licen­zia­menti.
Tutto ini­ziò nell’estate del 2011 dopo le pro­te­ste interne per il taglio del 10% di sti­pen­dio. Una delle lavo­ra­trici, suc­ces­si­va­mente licen­ziate, si oppose alla ridu­zione del 10% della retri­bu­zione men­sile lorda. Nel ricorso, dopo l’estromissione, la donna, in ser­vi­zio al Museo del cinema, aveva, infatti, evi­den­ziato il diritto costi­tu­zio­nale a una retri­bu­zione equa e suf­fi­ciente. Non con­sen­tito, invece, dal con­tratto Unci. La sen­tenza d’appello, così, si esprime: «Pare dun­que cor­retta la deci­sione del primo giu­dice che, acco­gliendo la pro­spet­ta­zione della ricor­rente, ha rico­no­sciuto il diritto della stessa ad avere appli­cato il trat­ta­mento eco­no­mico pre­vi­sto dal con­tratto nazio­nale delle Confcooperative/Cgil-Cisl-Uil, essendo il con­tratto sti­pu­lato dalle orga­niz­za­zioni dato­riali e sin­da­cali com­pa­ra­ti­va­mente più rap­pre­sen­ta­tive a livello nazio­nale nella cate­go­ria».
I giu­dici hanno con­si­de­rato ille­git­timo il licen­zia­mento per giu­sta causa inti­mato alla lavo­ra­trice, per l’evidente spro­por­zione della san­zione adot­tata. La Corte d’Appello ha ride­ter­mi­nato in 8 men­si­lità della retri­bu­zione glo­bale il risar­ci­mento dovuto all’ex dipen­dente della coo­pe­ra­tiva.
Un altro caso di licen­zia­mento ille­git­timo, estro­messo per «insu­bor­di­na­zione», ha riguar­dato un lavo­ra­tore della Rear in ser­vi­zio alla Pina­co­teca Alber­tina. Anche in que­sto caso prima della cac­ciata, ci fu un cam­bio di man­sione. La pre­sunta aggres­sione a un supe­riore è, invece in sede legale, stata ridi­men­sio­nata «a una discus­sione ani­mata». Il licen­zia­mento ha vio­lato il prin­ci­pio di pro­por­zio­na­lità tra il fatto con­te­stato e la san­zione. Ecco, per­ché è ille­git­timo.
Allo stesso tempo, la Corte ha con­si­de­rato legit­tima la richie­sta del lavo­ra­tore di avere il rico­no­sci­mento eco­no­mico pre­vi­sto dal con­tratto con­fe­de­rale, con cui doveva essere inqua­drato, come anche accla­rato da una cir­co­lare dif­fusa nel 2012 dal mini­stero del Lavoro. La Corte di Torino, respin­gendo il ricorso prin­ci­pale di Rear, ha ride­ter­mi­nato in 10 men­si­lità il risar­ci­mento dovuto al lavo­ra­tore e 101 mila euro l’ammontare delle dif­fe­renze retri­bu­tive a lui spet­tanti.
Sala­rio non legit­timo, quindi. Aveva ragione Ken Loach quando disse: «Accet­tare il pre­mio e limi­tarmi a qual­che com­mento cri­tico sarebbe un com­por­ta­mento debole e ipo­crita. Non pos­siamo dire una cosa sullo schermo e poi tra­dirla con le nostre azioni. Per que­sto motivo, sep­pure con grande tri­stezza, mi trovo costretto a rifiu­tare il pre­mio». La vicenda è diven­tata lo scorso anno un film docu­men­ta­rio «Dear Mr. Ken Loach», con pro­ta­go­ni­sta, tra gli altri, Fede­rico Altieri, il lavo­ra­tore che si era più espo­sto, con l’aiuto dell’Usb, con­tro lo sfrut­ta­mento. Anche il suo licen­zia­mento era stato con­si­de­rato illegittimo.

Disoccupazione, per Renzi la questione del secolo può attendere | Fonte: Il Manifesto | Autore: Marco Bascetta

11 luglio. Il vertice europeo a Torino è stato annullato. Come spiegare che di una questione tanto “cruciale” e “urgente” se ne potrà parlare, con tutta calma, “forse” alla fine della celebrata presidenza italiana o addirittura oltre?

Evi­den­te­mente non è pro­prio con­si­de­rata una noti­zia. Dif­fi­cile tro­varne qual­che trac­cia fuori dalle pagine di que­sto gior­nale. Eppure la can­cel­la­zione del ver­tice dell’Unione euro­pea sulla disoc­cu­pa­zione gio­va­nile pre­vi­sto per il pros­simo 11 di luglio a Torino e il suo “pro­ba­bile” rin­vio a fine anno nella sede di Bru­xel­les, annun­ciato da Renzi al mar­gine dell’incontro con Van Rom­puy, non è pro­prio un’inezia.

A moti­vare il rin­vio e lo spo­sta­mento del sum­mit per conto del governo ita­liano ci ha pen­sato il mini­stro del lavoro Giu­liano Poletti, evo­cando gravi rischi per l’ordine pub­blico con­nessi con le mobi­li­ta­zioni inter­na­zio­nali con­vo­cate a Torino per con­te­stare il vertice.

Se que­sta fosse dav­vero la ragione del rin­vio i con­te­sta­tori potreb­bero dirsi più che sod­di­sfatti. La sem­plice con­vo­ca­zione di una pro­te­sta con pos­si­bili risvolti di scon­tro sarebbe stata suf­fi­ciente a inci­dere sull’agenda dei governi euro­pei e a sug­ge­rire di con­fi­nare le sedi di una discus­sione che si annun­cia assai poco pre­sen­ta­bile ben lon­tane dalle piazze e dall’ostilità dei cittadini.

Ma nes­sun governo ammet­te­rebbe, con la gros­so­lana inge­nuità esi­bita da Poletti, una ragione così arren­de­vole. Per di più un governo che eser­cita la pre­si­denza di turno dell’Unione e sban­diera di volerne trarre gran pre­sti­gio e grandi risul­tati. Eppure la reto­rica sulla disoc­cu­pa­zione gio­va­nile di massa infe­sta quo­ti­dia­na­mente i media e le ester­na­zioni della poli­tica gover­na­tiva e non.

Sarebbe la solu­zione di que­sto pro­blema, ci giu­rano, la prio­rità delle prio­rità, lo spar­tiac­que tra declino e rina­scita. Come spie­gare allora che di una que­stione tanto “cru­ciale” e “urgente” se ne potrà par­lare, con tutta calma, “forse” sei mesi dopo il pre­vi­sto, alla fine della cele­brata pre­si­denza ita­liana o addi­rit­tura oltre? E infatti non lo si spiega, men­tre sull’intera fac­cenda cala il silenzio.

Del resto non è la prima volta che i gover­nanti ita­liani con­vo­cano e poi disdi­cono un ver­tice sul “dramma della disoc­cu­pa­zione gio­va­nile”. Ma Poletti, che fa appunto il mini­stro del lavoro, le vere ragioni dovrebbe cono­scerle bene. La prima è che la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile non è affatto una prio­rità nelle poli­ti­che eco­no­mi­che euro­pee, che si occu­pano piut­to­sto di masche­rarla attra­verso forme fero­ce­mente sfrut­tate di sot­toc­cu­pa­zione e di ricatto.

La seconda è che i governi dell’Unione su que­sto argo­mento non hanno nulla da dire, quan­to­meno nulla di cre­di­bile o dige­ri­bile per le rispet­tive cit­ta­di­nanze. Il ver­tice di Torino avrebbe allora messo a con­fronto una stuc­che­vole incon­clu­denza con una dif­fusa e deter­mi­nata osti­lità sociale. Un’ombra, insomma, sull’alba dorata e gio­va­ni­li­sta del governo Renzi. E una solida con­ferma delle ragioni dei movi­menti, cui a que­sto punto potrebbe spet­tare il com­pito di con­vo­care un pro­prio incon­tro sulla vera natura della “que­stione del secolo”.

No Tav, dopo De Luca un altro intellettuale alla sbarra. Oggi udienza preliminare per Vattimo | Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

E dopo l’incriminazione di Erri De Luca, un altro intellettuale alla sbarra a causa delle proteste No Tav. Si apre oggi a Torino l’udienza preliminare del procedimento che vede indagato Gianni Vattimo, filosofo ed ex europarlamentare, per il reato di falso ideologico. E’ accusato dai pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo di avere condotto i due leader No Tav Luca Abba’ e Nicoletta Dosio all’interno del carcere di Torino, il 15 agosto dell’anno scorso, durante la visita a un detenuto arrestato per episodi di violenza al cantiere della Torino-Lione. Entrambi erano stati indicati come suoi consulenti nel modulo di ammissione nel penitenziario e, per questo, indagati per il concorso nello stesso reato. Vattimo, Abba’ e Dosio erano stati poi convocati in procura come persone informate sui fatti e avevano confermato l’accaduto, sostenendo che tra loro esistesse realmente un rapporto di consulenza relativamente all’alta velocita’ ferroviaria. I magistrati, tuttavia, non avevano creduto a questa versione iscrivendoli nel registro degli indagati. Vattimo, dopo avere ricevuto l’avviso di garanzia, aveva parlato di “una scandalosa persecuzione giudiziaria verso il movimento No Tav”.
Intanto, proprio sulla criminalizzazione del movimento di protesta, personalita’ del mondo della cultura e della scienza, dal premio Nobel Dario Fo all’ispiratore del movimento della decrescita Serge Latouche, dall’attivista del movimento dei beni comuni, David Bollier, al regista cinematografico Ken Loach, hanno firmato l’esposto che il Controsservatorio Valsusa ha presentato al tribunale Permanente dei Popoli.
Il centro di documentazione chiede di verificare se nelle questioni relative alla linea Tav Torino-Lione “siano stati rispettati i diritti fondamentali degli abitanti della valle e della comunita’ locale ovvero se vi siano stati gravi e sistematiche violazioni di tali diritti”.
Il tema dell’esposto “travalica – sostiene il Controsservatorio Valsusa – il caso concreto e pone questioni di evidente rilevanza generale: dalle crescenti devastazioni ambientali lesive dei diritti fondamentali dei cittadini attuali e delle generazioni future fino alla drastica estromissione dalle relative scelte delle popolazioni piu’ direttamente interessate”.
“Vicinanza totale” a Erri De Luca e’ stata espressa oggi dal sindaco di Napoli Luigi de Magistris che ha commentato il rinvio a giudizio dello scrittore sottolineando che “spiace vedere un grande scrittore sedere sul banco degli imputati per una libera manifestazione del pensiero”.
Ieri al processo No Tav c’è stata la testimonianza di un altro intellettuale, Marco Revelli, che sui fatti del 3 luglio 2011, ha parlato di “un fittissimo lancio di lacrimogeni, anche ad alzo zero”. Secondo lo storico, “la composizione dei manifestanti era molto articolata, con nonni, padri, madri, figlie. In corrispondenza dello sbarramento era maggiore la concentrazione di ragazzi.
Qualcuno di loro tirava la fune posta ad ancoraggio dello sbarramento, ma nulla di piu’. Essendo sproporzionato il rapporto di forze e fitto il lancio di lacrimogeni, mi e’ parsa molto improbabile un’invasione del cantiere da parte dei No Tav”.
Revelli ha sostenuto che “i lacrimogeni raggiunsero tutte le persone che erano nell’area. Ho visto parecchia gente che stava male, con vomito e difficolta’ respiratorie. Io stesso non stavo di certo bene. Ne’ noi ne’ altri hanno lanciato pietre, anche perche’ le truppe di contrasto non sarebbero state raggiungibili”.

Cgil, al congresso di Torino passa a stragrande maggioranza emendamento No Tav | Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Un ordine del giorno critico nei confronti della Tav ha ottenuto, al congresso della Cgil di Torino, 169 voti a favore, piu’ del doppio di quelli contrari (82). Lo rende noto la Fiom. “E’ un risultato straordinario, segno di un nuovo orientamento rispetto al passato di cui tutti dovranno tenere conto, anche in vista delle prossime elezioni regionali”, commenta il segretario generale della Fiom torinese, Federico Bellono. Va ricordato che Susanna Camusso nel 2012 si era espressa a favore dell’opera. Intanto, a Torino è ripreso il maxi-processo contro 53 militanti No Tav arrestati nei mesi scorssi. Secondo quanto è emerso dalla testimonianza di Guido Fossore, consigliere comunale di Villar Finocchiaro, fu un “anonimo” da ambienti delle “forze dell’ordine” ad avvertire i No Tav che il 27 giugno 2011 ci sarebbe stato lo sgombero del grande presidio della Maddalena di Chiomonte con “massiccio impiego di lacrimogeni”. Il numero dei presidianti, la notte precedente all’attacco, venne aumentato con una manifestazione e un corteo

La Svizzera: Torino-Lione inutile, non ci sono più merci | Fonte: libreidee.org

L’ultima barzelletta sulla Torino-Lione la raccontano gli svizzeri, solitamente noti per la loro austera serietà. E infatti non si scherza neanche stavolta: perché all’appello non mancano i binari, ma le merci. In valle di Susa, si apprende, transita appena un decimo del carico che già ora potrebbe essere tranquillamente trasportato. Attenzione: a essere semi-deserta è la linea ferroviaria attuale, la Torino-Modane, appena riammodernata. Inappellabile la sentenza dei numeri: il traffico alpino Italia-Francia è letteralmente crollato. Anziché nuove linee, servirebbero treni da far circolare sulla ferrovia che già esiste. E invece – questa è la “barzelletta” – il governo italiano pensa sempre di costruire ex novo il più costoso e inutile dei doppioni, la famigerata linea Tav a cui la valle di Susa si oppone da vent’anni con incrollabile determinazione, confortata dai più autorevoli esperti dell’università italiana. Tutti concordi: la super-linea Torino-Lione (il doppione) sarebbe devastante per l’ambiente, pericolosa per la salute e letale per il debito pubblico, dato che costerebbe almeno 26 miliardi di euro. Ma soprattutto: la grande opera più contestata d’Italia sarebbe completamente inutile.L’ennesima conferma ufficiale viene dall’ultimo rapporto dell’Uft, l’ufficio federale dei trasporti elvetico. Si tratta della raccolta totale dei dati delle merci – su strada e su ferrovia – che attraversano annualmente tutti i valichi alpini, da Ventimiglia fino a Wechsel, a sud di Vienna. Da giugno 2002, questo studio è seguito anche dall’Osservatorio del traffico merci nella Regione Alpina dell’Unione Europea. Su tutti i valichi italo-francesi (Ventimiglia, Monginevro, Moncenisio, Fréjus e Monte Bianco) sono passati complessivamente 22,4 milioni di tonnellate di merci, sia su strada che su ferrovia, rispetto al totale di 190 milioni dell’intero arco alpino. Quanto alla valle di Susa, lo stesso osservatorio tecnico istituito dal governo italiano ha stabilito in 32,1 milioni di tonnellate annue la capacità della attuale ferrovia a doppio binario, la linea “storica” che già collega Torino a Lione attraverso Modane. La valutazione risale al 2007, ma ora la linea è stata ulteriormente ammodernata: nel traforo del Fréjus possono transitare treni con a bordo Tir e grandi container. Il “problema”? Presto detto: nell’ultimo anno, in valle di Susa sono transitate appena14 milioni di tonnellate di merci. E di queste, solo 3,4 su ferrovia.

«I numeri parlano chiaro», commenta Luca Giunti, attivista No-Tav e referente tecnico per la Comunità Montana valsusina: «Il traffico globale tra Italia e Francia avrebbe potuto tranquillamente essere ospitato soltanto sull’attuale ferrovia, e senza neppure riuscire a saturarla completamente. Invece, sulla direttrice della val Susa è transitato appena un decimo delle merci trasportabili». E il confronto con i rapporti degli anni precedenti, tutti disponibili sul sito svizzero, conferma un trend in continua diminuzione sul versante occidentale delle Alpi, iniziato ben prima della crisi del 2008, mentre a crescere è il trasporto transalpino verso Svizzera e Austria. Motivo: «Italia e Francia hanno economie mature, interessate soltanto da scambi commerciali di sostituzione, mentre il percorso nord-sud collega il centro e l’est Europa con i mercati orientali in espansione». Per contro, la frontiera di Ventimiglia ha accolto, da sola e quasi interamente su strada, 17,4 milioni di tonnellate, 3 in più di quelle piemontesi. «Laggiù la ferrovia ha stretti vincoli e andrebbe ammodernata, con spese e disagi tutto sommato contenuti perché si lavorerebbe a livello del mare e senza dover traforare le montagne. Inspiegabilmente, invece, quel passaggio è trascurato da ogni politica».

Anziché potenziare il valico di Ventimiglia, il governo italiano insiste – contro ogni ragionevolezza – nel voler realizzare ad ogni costo il “doppione” valsusino: cioè il progetto «più difficile, più costoso e lapalissianamente più inutile». Decine di miliardi di euro, con benefici attesi soltanto per il lontanissimo 2070, «ma solo se le mostruose previsioni di incremento dei traffici saranno rispettate: ed evidentemente non lo sono!». Ne tiene conto sicuramente la Francia, che ha già escluso la Torino-Lione della sua agenda lavori: l’opera verrà ripresa in considerazione, eventualmente, solo dopo il 2030. In Italia è aperto solo il mini-cantiere di Chiomonte: da quella galleria però non transiterà mai nessun treno, perché quello in via di realizzazione è solo un piccolo tunnel geognostico. Terminato il quale, il buon senso consiglierebbe di fermarsi, tanto più che – a valle di Susa – la stessa progettazione operativa della futura linea, verso Torino, è praticamente ancora inesistente. «Quando si prenderà finalmente atto che il progetto della Torino-Lione è vecchio, inutile ed esoso?», conclude Giunti. «Quando, semplicemente, si rispetteranno i documenti ufficiali e gli atti governativi?». Parlano chiaro persino quelli italiani: le iniziali previsioni di incremento si sono rivelate pura fantascienza, messe a confronto con la realtà. Già oggi, conferma la Svizzera, in valle di Susa il traffico potrebbe crescere del 900%. E senza bisogno di nuove ferrovie.

Marco Revelli: “L’invisibile popolo dei nuovi poveri” (da Il manifesto)

 

 

Marco Revelli: “L’invisibile popolo dei nuovi poveri” (da Il manifesto)

 

 

Torino è stata l’epicentro della cosid­detta “rivolta dei for­coni”, almeno fino o ieri. Torino è anche la mia città. Così sono uscito di casa e sono andato a cer­carla, la rivolta, per­ché come diceva il pro­ta­go­ni­sta di un vec­chio film, degli anni ’70, ambien­tato al tempo della rivo­lu­zione fran­cese, «se ‘un si va, ‘un si vede…». Bene, devo dirlo sin­ce­ra­mente: quello che ho visto, al primo colpo d’occhio, non mi è sem­brata una massa di fasci­sti. E nem­meno di tep­pi­sti di qual­che clan spor­tivo. E nem­meno di mafiosi o camor­ri­sti, o di eva­sori impu­niti.
La prima impres­sione, super­fi­ciale, epi­der­mica, fisio­gno­mica – il colore e la fog­gia dei vestiti, l’espressione dei visi, il modo di muo­versi -, è stata quella di una massa di poveri. Forse meglio: di “impo­ve­riti”. Le tante facce della povertà, oggi. Soprat­tutto di quella nuova. Potremmo dire del ceto medio impo­ve­rito: gli inde­bi­tati, gli eso­dati, i fal­liti o sull’orlo del fal­li­mento, pic­coli com­mer­cianti stran­go­lati dalle ingiun­zioni a rien­trare dallo sco­perto, o già costretti alla chiu­sura, arti­giani con le car­telle di equi­ta­lia e il fido tagliato, auto­tra­spor­ta­tori, “padron­cini”, con l’assicurazione in sca­denza e senza i soldi per pagarla, disoc­cu­pati di lungo o di breve corso, ex mura­tori, ex mano­vali, ex impie­gati, ex magaz­zi­nieri, ex tito­lari di par­tite iva dive­nute inso­ste­ni­bili, pre­cari non rin­no­vati per la riforma For­nero, lavo­ra­tori a ter­mine senza più ter­mini, espulsi dai can­tieri edili fermi, o dalle boîte chiuse.
Le fasce mar­gi­nali di ogni cate­go­ria pro­dut­tiva, quelle “al limite” o già cadute fuori, fino a un paio di anni fa ancora sot­tili, oggi in rapida, forse ver­ti­gi­nosa espan­sione… Intorno, la piazza a cer­chio, con tutti i negozi chiusi, le ser­rande abbas­sate a fare un muro gri­gio come quella folla. E la “gente”, chiusa nelle auto bloc­cate da un fil­tro non asfis­siante ma suf­fi­ciente a gene­rare disa­gio, anch’essa presa dai pro­pri pro­blemi, a guar­darli – almeno in quella prima fase – con un certo rispetto, mi è parso. Come quando ci si ferma per un fune­rale. E si pensa «potrebbe toc­care a me…». Loro alza­vano il pol­lice – non l’indice, il pol­lice – come a dire «ci siamo ancora», dalle mac­chine qual­cuno rispon­deva con lo stesso gesto, e un sor­riso mesto come a chie­dere «fino a quando?».

 

Altra comu­ni­ca­zione non c’era: la “piat­ta­forma”, potremmo dire, il comun deno­mi­na­tore che li univa era esi­lis­simo, ridotto all’osso. L’unico volan­tino che mostra­vano diceva «Siamo ITALIANI», a carat­teri cubi­tali, «Fer­miamo l’ITALIA». E l’unica frase che ripe­te­vano era: «Non ce la fac­ciamo più». Ecco, se un dato socio­lo­gico comu­ni­ca­vano era que­sto: erano quelli che non ce la fanno più. Ete­ro­ge­nei in tutto, folla soli­ta­ria per costi­tu­zione mate­riale, ma acco­mu­nati da quell’unico, ter­mi­nale stato di emer­genza. E da una visce­rale, pro­fonda, costi­tu­tiva, antro­po­lo­gica estraneità/ostilità alla poli­tica.
Non erano una scheg­gia di mondo poli­tico viru­len­tiz­zata. Erano un pezzo di società disgre­gata. E sarebbe un errore imper­do­na­bile liqui­dare tutto que­sto come pro­dotto di una destra gol­pi­sta o di un popu­li­smo radi­cale. C’erano, tra loro quelli di Forza nuova, certo che c’erano. Come c’erano gli ultras di entrambe le squa­dre. E i cul­tori della vio­lenza per voca­zione, o per fru­stra­zione per­so­nale o sociale. C’era di tutto, per­ché quando un con­te­ni­tore sociale si rompe e lascia fuo­riu­scire il pro­prio liquido infiam­ma­bile, gli incen­diari vanno a nozze. Ma non è quella la cifra che spiega il feno­meno. Non s’innesca così una mobi­li­ta­zione tanto ampia, diver­si­fi­cata, mul­ti­forme come quella che si è vista Torino. La domanda vera è chie­dersi per­ché pro­prio qui si è mate­ria­liz­zato que­sto “popolo” fino a ieri invi­si­bile. E una pro­te­sta altrove pun­ti­forme e selet­tiva ha assunto carat­tere di massa…

 

Per­ché Torino è stata la “capi­tale dei for­coni”? Intanto per­ché qui già esi­steva un nucleo coeso – gli ambu­lanti di Parta Palazzo, i cosid­detti “mer­ca­tali”, in agi­ta­zione da tempo – che ha fun­zio­nato come prin­ci­pio orga­niz­za­tivo e deto­na­tore della pro­te­sta, in grado di rami­fi­carla e pro­muo­verla capil­lar­mente. Ma soprat­tutto per­ché Torino è la città più impo­ve­rita del Nord. Quella in cui la discon­ti­nuità pro­dotta dalla crisi è stata più vio­lenta. Par­lano le cifre.

 

Con i suoi quasi 4000 prov­ve­di­menti ese­cu­tivi nel 2012 (circa il 30% in più rispetto all’anno pre­ce­dente, uno ogni 360 abi­tanti come cer­ti­fica il Mini­stero), Torino è stata defi­nita la “capi­tale degli sfratti”. Per la mag­gior parte dovuti a “moro­sità incol­pe­vole”, il caso cioè che si veri­fica «quando, in seguito alla per­dita del lavoro o alla chiu­sura di un’attività, l’inquilino non può più per­met­tersi di pagare l’affitto». E altri 1000 si pre­an­nun­ciano, come ha denun­ciato il vescovo Nosi­glia, per gli inqui­lini delle case popo­lari che hanno rice­vuto l’intimazione a pagare almeno i 40 euro men­sili impo­sti da una recente legge regio­nale anche a chi è clas­si­fi­cato “incol­pe­vole” e che non se lo pos­sono per­met­tere.
“Maglia nera” anche per le atti­vità com­mer­ciali: nei primi due mesi dell’anno hanno chiuso 306 negozi (il 2% degli esi­stenti, 15 al giorno) in città, e 626 in pro­vin­cia (di cui 344 tra bar e risto­ranti). E’ l’ultima sta­ti­stica dispo­ni­bile, ma si può pre­sup­porre che nei mesi suc­ces­sivi il ritmo non sia ral­len­tato. Altri quasi 1500 erano “morti” l’anno prima. Men­tre per le pic­cole imprese (la cui morìa ha mar­ciato nel 2012 al ritmo di 1000 chiu­sure al giorno in Ita­lia) Torino si con­tende con il Nord-est (altra area calda della rivolta dei “for­coni”) la testa della clas­si­fica, con le sue 16.000 imprese scom­parse nell’anno, cre­sciute ancora nel primo bime­stre del 2013 del 6% rispetto al periodo equi­va­lente dell’anno prima e del 38% rispetto al 2011 quando furono por­tate al pre­fetto di Torino, come dono di natale, le 5.251 chiavi delle imprese arti­giane chiuse nella provincia.

 

E’, letta attra­verso la mappa dei grandi cicli socio-produttivi suc­ce­du­tisi nella tran­si­zione all’oltre-novecento, tutta intera la com­po­si­zione sociale che la vec­chia metro­poli di pro­du­zione for­di­sta aveva gene­rato nel suo pas­sag­gio al post-fordismo, con l’estroflessione della grande fab­brica cen­tra­liz­zata e mec­ca­niz­zata nel ter­ri­to­rio, la dis­se­mi­na­zione nelle filiere corte della sub­for­ni­tura mono­cul­tu­rale, la mol­ti­pli­ca­zione delle ditte indi­vi­duali messe al lavoro in ciò che restava del grande ciclo pro­dut­tivo auto­mo­bi­li­stico, le con­su­lenze ester­na­liz­zate, il pic­colo com­mer­cio come sur­ro­gato del wel­fare, insieme ai pre­pen­sio­na­menti, ai co​.co​.pro, ai lavori a som­mi­ni­stra­zione e inte­ri­nali di fascia bassa (non i “cogni­tari” della crea­tive class, ma mano­va­lanza a basso costo… Com­po­si­zione fra­gile, che era soprav­vis­suta in sospen­sione den­tro la “bolla” del cre­dito facile, delle carte revol­ving, del fido ban­ca­rio tol­le­rante, del con­sumo coatto. E andata giù nel momento in cui la stretta finan­zia­ria ha allun­gato le mani sul collo dei mar­gi­nali, e poi sem­pre più forte, e sem­pre più in alto.
Non è bella a vedere, que­sta seconda società riaf­fio­rata alla super­fi­cie all’insegna di un sim­bolo tre­men­da­mente obso­leto, pre-moderno, da feu­da­lità rurale e da jacque­rie come il “for­cone”, e insieme por­ta­trice di una iper­mo­der­nità implosa. Di un ten­ta­tivo di una tran­si­zione fal­lita. Ma è vera. Più vera dei riti vacui ripro­po­sti in alto, nei gazebo delle pri­ma­rie (che pure dice­vano, in altro modo, con bon ton, anch’essi che “non se ne può più”) o nei talk show tele­vi­sivi. E’ sporca, brutta e cat­tiva. Anzi, incat­ti­vita. Piena di ran­core, di rab­bia e per­sino di odio. E d’altra parte la povertà non è mai serena.

 

Niente a che vedere con la “bella società” (e la “bella sog­get­ti­vità”) del ciclo indu­striale, con il lin­guag­gio del con­flitto rude ma pulito. Qui la poli­tica è ban­dita dall’ordine del discorso. Troppo pro­fondo è stato l’abisso sca­vato in que­sti anni tra rap­pre­sen­tanti e rap­pre­sen­tati. Tra lin­guag­gio che si parla in alto e il ver­na­colo con cui si comu­nica in basso. Troppo vol­gare è stato l’esodo della sini­stra, di tutte le sini­stre, dai luo­ghi della vita. E forse, come nella Ger­ma­nia dei primi anni Trenta, saranno solo i lin­guaggi gut­tu­rali di nuovi bar­bari a incon­trare l’ascolto di que­sta nuova plebe. Ma sarebbe una scia­gura – peg­gio, un delitto – rega­lare ai cen­tu­rioni delle destre sociali il mono­po­lio della comu­ni­ca­zione con que­sto mondo e la pos­si­bi­lità di quo­tarne i (cat­tivi) sen­ti­menti alla pro­pria borsa. Un enne­simo errore. Forse l’ultimo.

Cgil Cisl e Uil corrono oggi a Torino per fronteggiare i forconi. Appello alla città per corteo Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

 

Cgil, Cisl e Uil di Torino manifesteranno sabato 14 dicembre nel capoluogo piemontese a difesa del lavoro e dei provvedimenti a sostegno del reddito per le categorie di lavoratori più in difficoltà e rivolgono un appello ai torinesi affinche’ aderiscano alla mobilitazione. Risponde così il sindacato confederale alle mobilitazioni popolari di questi giorni, che hanno visto a Torino una forte caratterizzazione di massa. Un tentativo, e niente di più, da parte di Camusso, Angeletti e Bonanni, di convogliare la giusta rabbia contro la crisi e l’inettitudine del governo nazionale. Rabbia che in qualche caso si è espressa anche contro le stesse organizzazioni sindacali.
“I fatti incresciosi e inquietanti di questi giorni non possono cancellare come la crisi abbia colpito pesantemente Torino peggiorando le condizioni materiali di tanti lavoratori, pensionati, e cittadini – hanno scritto le tre organizzazioni sindacali – non si puo’ dimenticare che rabbia, malcontento, disagio sociale, sono causate dalla mancanza di lavoro, dalla poverta’ e dall’aumento delle diseguaglianze”.”Per placarle servono risposte concrete e non promesse e per questo sabato 14 saremo in piazza con rivendicazioni chiare” hanno sottolineato Cgil, Cisl e Uil, prendendo le distanze dalla protesta dei Forconi. “Non ci appartengono e condanniamo violenze, minacce, intimidazioni, incitamenti ai disordini”.
“Per questi motivi lanciamo un appello alla città, affinchè chi condivide l’urgenza di avere risposte al bisogno di lavoro e di redditi adeguati e pensa che il diritto di manifestare si difenda applicando le regole democratiche, scenda in piazza con noi”, hanno detto le tre sigle sindacali torinesi.
Per il leader della Fiom Maurizio Landini il punto è la chiarezza delle rivendicazioni del movimento di questi giorni. “Io sono abituato che quando vado in piazza ho una piattaforma, delle richieste, delle proposte e le dico con chiarezza. Io li’ non ho capito bene – aggiunge – perche’ se lo slogan e’ ‘meno tasse, via tutti’, vorrei capire meglio. In piu’, se in alcuni casi la controparte diventano le sedi delle Camere del Lavoro, trovo anche questa una cosa un po’ inquietante. Non vorrei che con un disagio vero, che tra le persone c’e’, ci fosse anche qualcuno che per ragioni diverse cerca di strumentalizzarlo”. “Io sono per difendere il diritto di tutti a manifestare, che e’ un diritto democratico, e penso che se il governo vuole davvero la fiducia del Paese, non del Parlamento, deve rispondere alle domande dicambiamento della politica e delle scelte economiche”, concludeLandini.
“La situazione oggi e’ difficile e le condizioni per la protesta, per la ribellione, e ce ne sono molte, sono giuste. Capisco oggi chi rischia la disperazione”, dichiara Rosy Bindi presidente della commissione parlamentare Antimafia. “Si parte da ragioni giuste per ribellarsi – aggiunge Bindi – ma chi si ribella, chi domanda, chi e’ scoraggiato, chi non ce la fa piu’ non riesce a trovare un’interlocuzione istituzionale, sociale che si faccia carico di questi problemi. La crisi c’e’, oggi – ha proseguito – e dobbiamo esserne assolutamente consapevoli. Tutto questo espone il nostro Paese a molti altri rischi, come l’usura”.