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Qui di seguito l’analisi del risultato elettorale per le votazioni europee da parte del presidente nazionale dell’Anpi, Carlo Smuraglia.
Su tutta la stampa imperversano i commenti ai risultati delle recenti votazioni. Non spetta a noi unirci al coro delle diagnosi, delle prognosi e delle valutazioni politiche. Noi possiamo fare soltanto alcune considerazioni, in modo rapido e consono alle nostre finalità riservandoci – semmai – di tornare sui vari aspetti in una sede più adatta.
Ecco, dunque, le nostre prime, essenziali notazioni:
a) Queste erano votazioni europee. Quindi, i risultati vanno applicati prima di tutto alla realtà europea e poi (ma solo virtualmente) a quella italiana, come indici di una tendenza, che non corrisponde tuttavia ai “numeri” esistenti tuttora in Parlamento;
b) Su un piano generale, non c’è dubbio che il Partito Democratico abbia riportato un grande successo, di cui è ben difficile trovare i (remoti) precedenti. Un successo in termini di voti, in modo addirittura imprevisto; e un successo – su un terreno più immediato – per la riconquista di due regioni importanti (Piemonte e Abruzzo) e di molti Comuni di rilievo, col consolidamento anche di posizioni acquisite da tempo.
c) Si registra, conseguentemente, un arretramento (tre milioni di voti in meno) del Movimento 5 stelle, con la dimostrazione palese che il grido e l’insulto, alla fine, non pagano, a fronte di un Paese che spera di avere risposte e soluzioni positive.
d) Ci sono partiti (minori) addirittura scomparsi ed altri – invece – che compaiono, raccogliendo una parte della “sinistra”, che trova una prima ricomposizione.
e) Tutto questo, a livello europeo, è importante perché assegna all’Italia un ruolo preminente, tanto più a fronte del disastro accaduto in Francia, per il partito socialista (letteralmente crollato) e per l’affermazione di Marine Le Pen (e non solo).
Resta sempre in testa il PPE, ancorché un po’ indebolito, e avanza il partito di Schultz. Non vincono, come si temeva, le forze antieuropeiste, anche se occorrerà costruire un fronte compatto per contrastarle e cambiare. Molti pensano ad un’intesa tra socialisti e popolari, speriamo per dar vita ad una politica nuova; le premesse ci sono e a questo fine anche l’Italia potrà esercitare un ruolo importante, contro il rigore e l’austerità a tutti i costi. Resta l’incognita della Presidenza della Commissione, che si giocherà tra Schultz e Junker; e ne vedremo i risultati nei prossimi giorni.
Si rafforza il ruolo della BCE, che nel prossimo periodo dovrà vincere alcune timidezze e adottare provvedimenti che agevolino il rilancio, lo sviluppo e la crescita.
f) In Europa, si confermano le tendenze favorevoli ad una destra nera, forse non nella misura da loro sperata, ma sempre in modo preoccupante (perfino l’ingresso di un nazista nel Parlamento europeo). Anche questo è un problema che le nuove istituzioni europee dovranno affrontare, assieme a quello dei crescenti populismi e autoritarismi ed alla complessa e delicata problematica relativa all’Ucraina.
Per quanto riguarda, più direttamente il nostro Paese, ho detto che non è il caso di entrare nell’analisi e nella prospettiva di nuovi (o vecchi) scenari.
E’ indubbio che l’affermazione del Partito democratico dà al partito stesso e al suo segretario, che è anche il Capo del Governo, responsabilità nuove e maggiori, che richiedono precise risposte se si vorrà, come è ovvio, consolidare il risultato e trasferirlo sul piano politico interno. Noi possiamo dire soltanto ciò che ci aspettiamo dal “nuovo corso” che sembra uscire da questa valutazione:
– Un cambiamento radicale della “politica”; quella che va mandata in soffitta è la vecchia politica, quella che allontana i cittadini, e si è fatta detestare per la mancanza di valori e per il perseguimento di finalità non sempre corrispondenti all’interesse della collettività; deve affermarsi, invece, un nuovo “costume” politico e un nuovo modo di essere dei partiti;
– Un programma concreto e preciso d’azione, concomitante con la svolta da imprimere all’Europa, che aiuti ad uscire dalla crisi e favorisca la creazione di nuove attività produttive, di nuovi posti di lavoro, di una nuova dignità delle persone, sia che lavorino, sia che abbiano cessato ogni attività lavorativa.
– L’assunzione di una linea (di principio e di azione) nettamente democratica e antifascista, che blocchi nostalgie, speranze di ritorno al passato, tendenze autoritarie e populistiche, venti di razzismo e discriminazione;
– L’avvio di una seria riforma dell’Amministrazione pubblica e della burocrazia, confrontata o concordata con le Organizzazioni sindacali;
– La modifica della legge elettorale (“Italicum”) per garantire più democrazia, più possibilità e libertà di scelta per i cittadini, maggiore espansione della rappresentanza;
– Una riforma costituzionale che – nel differenziare il lavoro delle due Camere – conservi, tuttavia, al Senato la funzione di garanzia e di equilibrio; un Senato elettivo e qualificabile davvero come “Camera Alta”, dotata di poteri reali e di competenze sostanziali, nel solco del complessivo disegno costituzionale;
– Una riforma del titolo V della Costituzione, correggendo i difetti della riforma del 2001 e ricostruendo un quadro di autonomie reali, nel contesto complessivo di una Repubblica veramente unita.
– Una riforma istituzionale e costituzionale che aumenti gli spazi di democrazia, attribuendo maggiori ed effettivi poteri alla volontà popolare, soprattutto per ciò che attiene alle varie forme di iniziativa popolare (e relative garanzie di effettiva presa in considerazione da parte del Parlamento).
– Un impegno reale per la diffusione della “cultura della cittadinanza”, attraverso strumenti di formazione e di apprendimento moderni, aggiornati e finalizzata soprattutto a creare cittadini partecipi, responsabili e solidali.
– Un impegno veramente forte e deciso contro la illegalità e contro la corruzione, nella consapevolezza che non basta la normativa penale (ancorché rinnovata, come si spera, ripristinando il reato di falso in bilancio e l’autoriciclaggio e riconducendo ai livelli “normali” la disciplina della prescrizione), ma occorre puntare sulla prevenzione, sui controlli (senza deroghe) e soprattutto su un clima di “tolleranza zero” rispetto a qualsiasi atto o comportamento in contrasto con l’etica pubblica e privata.
Sono soltanto, come ho detto, sommarie indicazioni – rigorosamente fondate sui princìpi e sui valori costituzionali – che ci permettiamo di sottoporre alla responsabilità ed all’attenzione di chi, “premiato” dal consenso di molti cittadini, ha la possibilità e il dovere di utilizzarlo – al Governo, nel Parlamento e nella vita politica – come una vera opportunità di cambiamento e rinnovamento del Paese.
Carlo Smuraglia
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Su questo numero di ANPInews (in allegato):
2 giugno: festa della Repubblica
PER UN’ITALIA LIBERA E ONESTA
Ripartiamo dalla Costituzione
Modena – piazza XX settembre – ore 14.00-17.30
con il Patrocinio del Comune di Modena
6 e 7 giugno a Roma celebrazione del 70° anniversario della Fondazione dell’ANPI
2 giugno: a Vimodrone (MI) consegna della Costituzione ai 18enni
Sarà presente il Presidente Nazionale dell’ANPI
ARGOMENTI
Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:
►Un altro gravissimo atto di netta marca razzista e antisemita: a Bruxelles sono state uccise quattro persone, in un luogo simbolo come il Museo ebraico. Se si pensa anche all’aggressione a due ebrei, davanti ad una sinagoga in Francia e all’aumento dei voti di Alba Dorata e del partito di Marine Le Pen, si ha un quadro davvero impressionante e preoccupante. I negazionisti, i revisionisti, i razzisti non demordono, non mostrando – oltre tutto – alcun rispetto per la vita umana(…)
► Due notizie che riguardano la famosa vicenda del “Sacrario” dedicato a Rodolfo Graziani. Il Tribunale di Roma ha assolto, con formula piena e con una motivazione estremamente significativa, i tre giovani che avevano “imbrattato” il cosiddetto Sacrario; e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli – a quanto si dice – si accingerebbe a chiedere di processare i responsabili di uno scempio che ha colpito la stampa e l’opinione pubblica di tutto il mondo(…)
►Tanto per restare vicini ai temi dei due punti precedenti, segnalo un’altra vicenda incredibile(…)
► Su tutta la stampa imperversano i commenti ai risultati delle recenti votazioni. Non spetta a noi unirci al coro delle diagnosi, delle prognosi e delle valutazioni politiche. Noi possiamo fare soltanto alcune considerazioni, in modo rapido e consono alle nostre finalità riservandoci – semmai – di tornare sui vari aspetti in una sede più adatta(…)
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“Attenzione è pronto un regalo scoppiettante per procuratore Scarpinato e dirigente carabinieri tribunale”
28 maggio 2014
Palermo. Una lettera di minacce al procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e al dirigente dei carabinieri del tribunale è stata recapitata questo pomeriggio alla redazione dell’ANSA di Palermo. “Attenzione è pronto un regalo scoppiettante per procuratore Scarpinato e dirigente carabinieri tribunale”, si legge nella missiva firmata P.R.A., sigla finora sconosciuta.
Aggiornamento
Nuovo allarme al palazzo di giustizia di Palermo: alcuni confidenti hanno riferito di un progetto di attentato al tribunale del capoluogo siciliano. La notizia è stata confermata in ambienti giudiziari. Il Comitato provinciale per l’ordine pubblico si è riunito oggi d’urgenza per discutere l’adozione di nuove misure di sicurezza.
ANSA
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Tra i teste di oggi anche Leonardo Messina e Angelo Fontana
di Aaron Pettinari – 28 maggio 2014
Terzo giorno di trasferta romana per il processo “Borsellino quater” che vede come imputati i boss Vittorio Tutino e Salvo Madonia e i falsi collaboratori di giustizia Calogero Pulci, Francesco Andriotta e Vincenzo Scarantino.
Oggi è stata la volta dell’audizione del collaboratore di giustizia Mario Santo Di Matteo, padre di Giuseppe, il bambino rapito da Cosa nostra e sciolto nell’acido dopo due anni prigionia.
Il pentito ha ribadito di aver preso parte alle fasi preparatorie dell’attentato contro il giudice Giovanni Falcone, e di aver fornito ai fratelli Graviano, i boss mafiosi del quartiere palermitano di Brancaccio, i telecomandi che poi sarebbero stati utilizzati per far saltare in aria l’autobomba che 57 giorni dopo uccise a Palermo il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. “Un paio di telecomandi li aveva comprati Brusca, erano di quelli che si usano per le macchinette – ha raccontato l’ex boss di Altofonte – Li prese in un negozio di giocattoli. Altri due invece li portò Rampulla. Facemmo più prove per l’attentato di Capaci. Questi telecomandi li avevo io in custodia e qualche tempo dopo venne Antonino Gioé a chiedermi questi telecomandi su ordine di Brusca. E li consegnammo ai Graviano. Siamo prima della strage di via d’Amelio ma io non sapevo che servivano per quello”. Ma non è solo su questo aspetto che i pm nisseni, Gozzo, Luciani e Paci hanno voluto sentire il pentito. Quella di Mario Santo Di Matteo non è sicuramente stata una collaborazione con la giustizia facile. Eppure che non abbia ancora rivelato tutto quello che sa in merito all’attentato al giudice Borsellino, in cui persero la vita anche gli uomini della scorta, è un dubbio più che legittimo in particolare se si prende in esame l’intercettazione del 14 dicembre del 1993 in cui questi si trova a colloqui con la moglieFrancesca Castellese, presso i locali della Dia, a poche settimane dalla scomparsa del figlio. Un dialogo drammatico in cui la madre appare disperata con il padre che è convinto che per suo figlio non c’è più nulla da fare. E’ a quel punto che la Castellese invita il marito a non parlare più:
CASTELLESE: tu a tò figliu accussì l’ha fari nesciri, si fa questo discorso
DI MATTEO: ma che discorso? Ma che fa
CASTELLESE: parlare della mafia
DI MATTEO: Ah, nun ha caputu un cazzu
CASTELLESE: come non ha caputu un cazzu?
Parlano sottovoce
CASTELLESE: Oh, senti a mia, qualcuno è infiltrato (?) per conto della mafia
DI MATTEO: (?)
CASTELLESE: Aspè, fammi parlare (incomprensibile) Tu questo stai facendo, pirchì tu ha pinsari alla strage di BORSELLINO, a BORSELLINO c’è stato qualcuno infiltrato che ha preso (?)
DI MATTEO: (?)
CASTELLESE: Io chistu ti dicu … forse non hai capito
DI MATTEO: tu fa finta, ora parramo cu’…
CASTELLESE: Io haia a fare finta, io quannu cu’ papà ci dissi ca dà vota vinni ni tì capito, parlare cu to figlio
Parlano sottovoce e velocemente: incomprensibile
DI MATTEO: No tu dici se u’ sannu, lu sta dicinnu tu
CASTELLESE: capire se c’è qualcuno della Polizia infiltrato pure nella mafia e ti …
DI MATTEO: Cu?
CASTELLESE: mi dievi aiutare da tutti I punti di vista, picchì iu mi scantu, mi scantu
DI MATTEO: intanto pensa a to (figliu)
(…..)
CASTELLESE: cioè io pensu au picciriddu, caputu? Tu m’ha capiri! Però, Sa, u discursu è chuistu, nuatri hamma a fari (?)
Incomprensibile, parlano a bassa voce
DI MATTEO: Iddu mi dissi, dice, tò muglieri (?) suo marito ava a ritrattari (Inc.) Iddu, BAGARELLA e Totò (?) sanno pure che c’hanno
E’ partendo da questa conversazione che il pm Nico Gozzo ha lanciato in aula un appello ulteriore al collaboratore di giustizia affinché dica davvero tutto quello che sa sulla strage di via d’Amelio. Del resto lo stesso pentito, intervistato dal Tg1 il 23 novembre 2008, aveva dichiarato che avrebbe presto fatto “i nomi dei Killer della strage di Via d’Amelio”. Eppure, ancora una volta, Mario Santo Di Matteo ha preferito trincerarsi dietro “l’errore”. “Non può essere così – ha detto – io ho sempre detto tutto. Io se sapevo altre cose su Borsellino le avrei dette. Caso mai su Capaci volevano che stavo zitto. Si parlava così di mio figlio. Mia moglie era preoccupata. Si parlava di poliziotti che potevano interessarsi per cercare mio figlio. Non c’è assolutamente altro”. Eppure è tutto scritto nero su bianco e sembra davvero esserci poco spazio per le interpretazioni. Non solo, in un verbale del 1997 parla anche dei coinvolgimenti di Giovanni Brusca, Pietro Aglieri e Carlo Greco nella strage di via d’Amelio e che Riina aveva incaricato i Graviano della strage, anche se oggi ha ridimensionato) “Di Brusca dico che era per forza informato come capomandamento”) dicendo che Aglieri e Greco erano presenti ad un incontro nel periodo precedente alla strage. Di Matteo ha anche escluso di aver ricevuto in questi anni nuove minacce da quando è stato ucciso il figlio.
L’ultimo colloquio con Gioè
Altro episodio misterioso che ha visto coinvolto Di Matteo prima che fosse pentito è quello dell’ultimo dialogo con Antonino Gioé, prima che questi morisse in circostanze che ancora oggi sono tutte da chiarire nella notte tra il 28 e il 29 luglio del 1993. “Mi trovavo presso il carcere di Rebibbia e passeggiavo all’esterno durante l’ora d’aria. Da una finestra si affaccia Gioé. Mi sembrava un barbone per come era messo in viso. Gli chiesi come stava se faceva colloqui con la famiglia. Mi disse che stava bene che mangiava pesce spada e che tutti i giorni vedeva il fratello. In quel momento capii che stava combinando qualcosa e pensai che stesse collaborando. E all’indomani mattina mi portano all’Asinara. Lì dopo qualche giorno che si diffuse la notizia della morte vennero ad interrogarmi e mi dissero che Gioé aveva parlato di me nella lettera. Io sono sempre convinto che si sia ucciso perché aveva saltato il fosso”.
Di Matteo ha anche confermato degli incontri tra Antonino Gioé e Paolo Bellini, uomo che “a dire di Gioé era appartenente dei servizi segreti. Ci serviva perché si doveva interessare del fatto del carcere duro. Lui ne aveva parlato con Brusca. In cambio avremmo dovuto recuperare un quadro ma poi questa cosa è finita”.
Leonardo Messina: “Feci a Borsellino i nomi di D’Antona e Contrada”
Il secondo collaboratore di giustizia sentito in aula è stato Leonardo Messina. Di fornte alla Corte d’assise di Caltanisetta, il collaboratore di giustizia ha parlato di una riunione che si è tenuta ad Enna in cui “si sviluppò una nuova strategia. In quel periodo c’erano contatti con altre forze politiche per nuovi contatti. Mi informarono anche che la Lega era nostra alleata che Bossi era un ‘un pupo’. Mi si spiegò che l’uomo forte della Lega era Miglio, che era in mano ad Andreotti”. Non solo.
Sollecitato dalle domande dei pm ha parlato anche della massoneria (“Era usuale che alcuni membri di Cosa nostra entrassero in contatto con certe entità. Io stesso entrai e informai Piddu Madonia”), e del rapporto che vi era tra le varie organizzazioni mafiose italiane: “Mi riferirono che c’era una commissione nazionale, una struttura che deliberava tutte le decisioni più importanti ed evitava la guerra continua tra le varie mafie. In commissione sedevano i rappresentanti delle organizzazioni criminali. C’era Cosa nostra, la ‘Ndrangheta e i napoletani”.
Nel corso della sua deposizione, il pentito di San Cataldo si è soffermato anche sulla riunione nella quale si decise di uccidere Giovanni Falcone e Gaspare Mutolo (anch’egli collaboratore di giustizia). Messina non partecipò a quell’incontro, ma venne a conoscenza dei temi trattatati tramite il suo referente mafioso (Borino Miccichè). “Nessuno si oppose – ha raccontato il pentito – si decide anche di usare la sigla terroristica Falange Armata. Era una nuova strategia politica della Commissione a cui nessuno apparentemente si oppose anche se in realtà c’erano due correnti a quel punto. Un’ala stragista e una più moderata. Queste cose le dissi a Borsellino quando iniziai a collaborare”. E in realtà al giudice ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992 aggiunse anche altro. “Noi avemmo un breve dialogo non verbalizzato pochi giorni prima dell’attentato. Io alle riunioni non sentii mai l’idea di un attentato a Borsellino e glielo dissi allo stesso giudice. Eppure lui aveva il volto tirato, temeva di morire di lì a poco. La sera prima di morire, mi disse che non ci saremmo più visti. Sapeva di dover morire. Io gli dissi che nella riunione (nella quale venne deciso di uccidere Falcone, ndr) non era stato fatto il suo nome. Forse sbagliai a rassicurarlo. Gli dissi anche che sapevo che Mutolo collaborava. Da chi lo appresi? Dagli ambienti della caserma in cui mi trovavo”.
A Borsellino parlò anche di contatti tra Cosa nostra ed esponenti dei Servizi segreti. “Noi sapevamo che Contrada era vicino. Ma lo era anche Ignazio D’Antona, dirigente della Squadra Mobile di Palermo. Questi nomi li ho fatti al dottor Borsellino nel nostro colloqui informale. Ma gli parlai anche di vigili urbani, pretori, avvocati, onorevoli. Tutti a braccetto con la mafia”.
Fontana, l’Addaura e il Castello Utveggio
Ultimo dei teste a sfilare quest’oggi innanzi alla Corte presieduta da Balsamo è stato il pentito Angelo Fontana. Questi ha iniziato la propria deposizione ripercorrendo le fasi della propria collaborazione entrando subito nel vivo del proprio “ripetuto cambio di versione” in merito al proprio coinvolgimento nei fatti. “Per essere considerato in un certo modo come collaboratore di giustizia dovevi aver compiuto qualcosa di un certo tipo ed io avevo bisogno di accreditarmi in qualche modo – ha detto rispondendo alle domande dei pm – Così mi inventai la partecipazione all’attentato fallito contro il giudice Falcone. Ma a parte questo ho detto quello che so e che mi è stato raccontato”. L’ex boss dell’Acquasanta, che aveva accusato il cugino Angelo Galatolo di aver partecipato al fallito attentato, non poteva essere infatti presente in quanto, a quel tempo, si trovava in America dove viveva con l’obbligo di firma a New York. A prescindere dalla propria presenza o meno non si può ignorare il riscontro della polizia scientifica che incastra proprio Angelo Galatolo, che era stato già condannato nel primo processo per la bomba piazzata da Cosa nostra davanti alla villa del giudice Giovanni Falcone, nel giugno 1989. Anche perché gli accertamenti hanno ribadito che è sua la macchia di sudore rinvenuta ventuno anni dopo su una maglietta che era stata abbandonata accanto alla borsa carica di esplosivo. “Galatolo aveva il telecomando in mano – ha raccontato il collaboratore – era dietro uno scoglio, a circa 50 metri, in un incavo tracciato dal mare. Poi, l’attentato non si fece perché Nino Madonia fece segnale a tutti di rientrare dopo aver notato la presenza della polizia sugli scogli. Galatolo, che aveva il telecomando, si gettò in acqua”.
Ma il pentito ha fornito un contributo, e per questo in particolare ha deposto quest’oggi, sul Castello Uveggio. L’ex boss dell’Acquasanta ha ribadito, seppur con meno certezza, che “ Vincenzo Galatolo mi disse che Gaetano Scotto andava a Monte Pellegrino per incontrare alcune persone dei Servizi. Anche se non ho mai approfondito. A me mi parlavano di amici, delle persone”. Scotto è uno degli scagionati della strage, anche se, così come scoperto da Gioacchino Genchi, telefonò per ben due volte al Cerisdi, che si trovava proprio all’Utveggio, il 6 febbraio ed il 2 marzo 1992. Un aspetto che resta tutto da chiarire.
Il processo è stato quindi rinviato a domani quando, sempre all’aula bunker di Rebibbia, saranno sentiti i collaboratori di giustizia Malvagna, Vara e Grazioso.
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La speranza e’ appesa a un filo. E la comunita’ internazionale ha un’ultima occasione per far scoppiare la pace, ora che il conflitto nell’est dell’Ucraina gira l’ultima curva prima del bivio che portera’ solo allo spargimento di altro sangue. La tensione e’ alle stelle: ne hanno fatto le spese i quattro osservatori Osce fermati l’altra sera, e ora nelle mani dei separatisti.
Preoccupata attesa anche a Sloviansk, roccaforte della rivolta, dove al tramonto si teme l’inizio di nuovi bombardamenti che ieri sono costati la vita a 4 civili. Le foto dei cadaveri, a terra in un bagno di sangue, hanno fatto il giro del mondo. La fragile tregua registrata nella giornata di ieri ha consentito il recupero delle salme di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov, uccisi sabato alle porte della citta’. Quella di Andrea dovrebbe essere arrivata a Kiev nella notte, via Kharkov.Ieri ci sono stati almeno 100 morti nella battaglia per l’aeroporto internazionale della citta’. E gli scontri hanno interessato anche i quartieri residenziali limitrofi. arrivando a lambire la stazione centrale, a due passi dalla zona degli alberghi affollati di giornalisti stranieri e civili in cerca di rifugio. Il presidente russo Vladimir Putin ha colto l’occasione di una telefonata con il premier Matteo Renzi per sottolineare la “necessita’ di porre fine immediatamente all’operazione militare “punitiva” nelle regioni sud-orientali e di stabilire il dialogo pacifico tra Kiev e i rappresentanti locali”. Un appello che in queste ore non sembra trovare interlocutori a Kiev, che ieri ha scatenato una escalation militare che l’est non aveva ancora mai visto, e decisa a proseguire l’azione “finche’ non ci saranno piu’ terroristi nel Paese”. “E’ questione di ore”, ha incalzato il neoeletto presidente, Petro Poroshenko. Ieri nei cieli di Donetsk sono sfrecciati elicotteri e caccia militari, che hanno bombardato senza sosta le postazioni nemiche, fino a costringere i ribelli a ritirarsi nelle zone limitrofe e a trincerarsi in postazioni difensive improvvisate.
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“Ed è per questo – continua la Cgil – che se le verità storiche sono accertate e riconosciute il nostro impegno, quello dell’intero movimento sindacale, non si fermerà senza la parola fine sul piano giudiziario, senza che siano accertati autori e complici di quell’atto atroce e sanguinoso. E’ un’esigenza dovuta anche al bisogno di costruire definitivamente una memoria condivisa, la sola via per rifondare quel clima di fiducia determinante per la qualità della democrazia e le istituzione del nostro paese”, conclude la nota
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Europee 2014. Il record elettorale del Pd non è una vittoria sul populismo, Renzi non è meno populista di Grillo. E i voti per Syriza sono una spinta per coltivare il nucleo nascente di un’alternativa
La riduzione della competizione per le elezioni europee a un match frontale tra due icone vuote di contenuti quanto piene di invadente presenzialismo ha premiato Renzi e punito Grillo. Ma a perdere sono stati gli italiani o, meglio, ha perso la democrazia. Perché la riforma elettorale, quella del Senato o l’abolizione delle Province volute da Renzi non fanno che ridurne progressivamente il campo di applicazione.
Ha perso il pluralismo: ora c’è un uomo solo al comando di un partito, del governo, arbitro, anche, dei destini dello Stato; e gli altri partiti, satelliti o comprimari, sono in via di sparizione, né hanno molte ragioni per continuare ad esistere. E ha perso, rendendo sempre meno sindacabili le scelte del “premier”, la prospettiva di un vero cambiamento: il quadro europeo in cui il Pd si inserisce e di cui sarà un garante non consente cambi di rotta. E con tutte queste cose hanno perso i lavoratori, i disoccupati, i giovani, i pensionati; anche, e forse soprattutto, quelli che lo hanno votato.
Ma non si tratta, come sostengono molti commentatori, di una vittoria sul populismo.
Renzi non è meno populista di Grillo se per populismo si intende un richiamo identitario (le “riforme”, presentate come intervento salvifico, senza specificarne il contenuto, e la “rottamazione” presentata come programma) che fa aggio sui contenuti specifici delle misure proposte. Il programma di Grillo, se si eccettua la sua ambivalenza di fondo sull’euro, che è ambivalenza sul ruolo che può e deve avere l’Europa nel determinare un cambio di rotta per tutti, era addirittura più concreto di quello con cui Renzi ha affrontato questa scadenza elettorale. Entrambi comunque avevano gli occhi puntati sugli equilibri interni al pollaio italiano; la resa dei conti con le politiche europee l’avevano rimandata a un indeterminato domani: eurobond o uscita dall’euro per uno; ridiscussione dei margini del deficit per l’altro; nessuno dei due sembra rendersi conto che la crisi europea impone una revisione radicale del quadro istituzionale e delle strategie politiche, prima ancora che economiche.
Non è stata nemmeno, quindi, una vittoria dell’europeismo contro l’antieuropeismo: se per Grillo il problema è inesistente — la sua “indipendenza” da tutto e da tutti gli impedisce di avere alleati e prospettive che vadano al di là delle Alpi e dei mari di casa, per Renzi è l’assoluta subalternità al patto tra Schulz e Merkel, ormai ratificato dall’esito elettorale anche in Europa, che gli impedisce di avere, se non a parole — ma di parole la sua politica non manca mai — una visione delle misure, delle strategie e delle conseguenze di una vera rimessa in discussione dell’austerità. Quell’austerità che l’Europa la sta disintegrando (e i primi a pagarne le conseguenze saremo noi).
Meno che mai quella di Renzi è stata una vittoria della speranza contro il rancore. Se nell’ultimo anno il Movimento 5S ha dato prova della sua sostanziale inconcludenza, dovuta al controllo ferreo che i suoi due leader pretendono di esercitare sui quadri e sui parlamentari, la motivazione di fondo del voto a Renzi è stata un clima da “ultima spiaggia”. Paradigma di questo atteggiamento sono gli editoriali su la Repubbli ca di Eugenio Scalfari , che non approva praticamente alcuna delle misure varate da Renzi e meno che mai i suoi progetti, ma che invita a votarlo lo stesso perché “non c’è alternativa”.
Così, se con queste elezioni la parabola del M5S ha imboccato irrevocabilmente una curva discendente, mentre Renzi sembra invece sulla cresta dell’onda — forse raggiunta troppo in fretta per poter consolidare una posizione del genere — è il vuoto di prospettive e la mancanza di una proposta di respiro strategico per riformare l’Europa a condannarlo a sgonfiarsi altrettanto rapidamente. Il che succederà inevitabilmente — pensate alla parabola di Monti! — non appena Renzi dovrà fare i conti con quella governance che forse immagina di riuscire a conquistare con la stessa facilità, superficialità e disinvoltura con cui si è impadronito, gli uni dopo le altre, di primarie, partito, governo ed elettorato. Ma là, invece, c’è la “scorza dura” dell’alta finanza che Renzi non si è mai nemmeno sognato di voler intaccare, ma che non è certo disposta a concedergli qualcosa che vada al di là di un sostegno formale e simbolico (un po’ di spread in meno, forse; e solo per un po’).
Ma come Grillo sta lasciando dietro di sé, in modo forse irreversibile, perché non facile da prosciugare, un mare di macerie (la politica trasformata in pernacchia, come Berlusconi l’aveva, prima di lui, e aprendogli la strada, trasformata in barzelletta e licenza), così anche Renzi lascerà dietro la sua prossima quanto inevitabile parabola, altri danni irreversibili. Danni alla democrazia e alla costituzione; al diritto del lavoro e alle condizioni dei lavoratori, precari e non (se ancora ce ne sono); alla scuola, alla sanità, al welfare, alle autonomie locali (che da sindaco non ha mai difeso dal patto di stabilità); a quel che resta della macchina dello Stato, smantellandone i capisaldi in nome del risparmio e dell’efficienza; al sistema delle imprese e dei servizi pubblici, messi in svendita per fare cassa; e, soprattutto, danni alla tenuta morale della cittadinanza, messa per la terza o la quarta volta alla prova di una politica fondata sulle apparenze.
“L’altra Europa con Tsipras” rappresenta un piccolo ma importante episodio di resistenza
Di fronte a questo panorama, di cui l’elettorato non potrà evitare di prendere atto in tempi stretti, i risultati della lista “L’altra Europa con Tsipras” rappresentano un piccolo ma importante episodio di resistenza; perché in quella lista, e in nessun’altra proposta di livello nazionale ed europeo, è contenuto il nucleo di un’alternativa possibile e praticabile alla perpetrazione di politiche destinate a portare allo sfascio l’intero continente, Germania compresa.
Certamente i nostri numeri non sono esaltanti, anche se lo sono quelli di alcuni dei nostri partner europei. Però sono il frutto di un lavoro di conquista, voto per voto, consenso per consenso, impegno per impegno, che ha coinvolto migliaia di compagni e di sostenitori delle più diverse provenienze, che non avevano certo come obiettivo finale o esclusivo il risultato elettorale. Ma che proprio sperimentando, almeno in parte, e non senza molte contraddizioni, forme nuove, o profondamente rinnovate, di condivisione e di coesione, fondate su nuove pratiche, sono ben determinati ad andare avanti lungo la strada appena intrapresa. E non ciascuno per conto suo, o facendo ricorso alle proprie appartenenze, ma tutti insieme, aprendosi a quel mondo di delusi, di arrabbiati, di abbandonati, di incerti che la crisi del M5S e il mutamento antropologico del Partito Democratico si stanno lasciando, e continueranno a lasciarsi, dietro le spalle.
In questa piccola affermazione i voti di preferenza raccolti da due capolista come Barbara Spinelli e Moni Ovadia, che hanno messo il loro nome, la loro faccia e un mare di fatica a disposizione del progetto per rappresentarne il carattere unitario, sono una importante dimostrazione di quella spinta a un radicale rinnovamento delle proprie identità che fin dall’inizio è stata la cifra della nostra intrapresa.
In pochi anni, sotto la guida di Alexis Tsipras, Syriza, da piccola aggregazione di identità differenti si è fatta partito di governo. Dunque, si può fare. Se abbiamo messo quel nome nel simbolo della nostra lista non è per caso.
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