Processo trattativa Stato-Mafia da: antimafia duemila

Trattativa, Cappello: ”Madonia mi disse che Berlusconi si sarebbe interessato al 41bis”

berlusconi sbarre 41 bis Torna sotto i riflettori il movimento politico voluto da Bagarella “Sicilia Libera”
di Lorenzo Baldo
“Piddu Madonia mi disse di votare per Berlusconi che stava cercando di fare qualcosa per far chiudere Pianosa e l’Asinara e far alleggerire il 41bis. Era il periodo delle votazioni, io dissi ad amici e parenti di votare Forza Italia. Madonia mi diceva che la sofferenza non sarebbe durata tanto e che se avesse vinto Forza Italia avrebbero fatto chiudere Pianosa e l’Asinara, avrebbero alleggerito il 41bis e sarebbero intervenuti sulla legge sui collaboratori”. E’ l’ex stiddaro del ragusano, Angelo Cappello, a parlare in videoconferenza al processo sulla Trattativa. Per alcuni mesi del ’94 era stato detenuto nel carcere di Siracusa nella stessa cella assieme al rappresentante provinciale di Cosa Nostra per Caltanissetta, nonchè componente della “commissione regionale” (condannato tra l’altro all’ergastolo per la strage di Capaci) Giuseppe “Piddu” Madonia. Che gli avrebbe rivolto queste confidenze su Berlusconi e Forza Italia. Il pentito Cappello racconta che ad ottobre ’92, dopo il suo arresto, per un primo periodo era stato detenuto a Ragusa e dopo alcuni spostamenti in altre carceri era stato trasferito al supercarcere di Pianosa in pieno 41bis. “A Pianosa la detenzione era molto dura – racconta il pentito –. Eravamo messi tutti assieme, mi vedevo con palermitani, napoletani, calabresi”. Tra i sodali palermitani con i quali aveva avuto rapporti c’erano i boss: Antonino Troia, Gioacchino La Barbera, Salvatore Montalto, Antonio Troia, Giuseppe Maria Di Giacomo e il nipote di Totò Riina, Francesco Grizzaffi. Quest’ultimo, a detta di Cappello, durante l’estate del ’93 aveva raccolto le sue lamentele per essere stato schiaffeggiato da una guardia carceraria. “Grizzaffi mi disse di non preoccuparmi che Pianosa e l’Asinara sarebbero state chiuse e che il 41bis sarebbe stato alleggerito. Tutto questo sarebbe avvenuto grazie a un personaggio, a un ‘dottore’… il nome non me lo fece e io non glielo chiesi”. In aula la difesa di Dell’Utri lamenta che il nome “Berlusconi” sarebbe uscito solamente in questo contesto e non prima. Di fatto nei verbali riassuntivi il riferimento esplicito è quello di sostenere Forza Italia per ottenere quei benefici tanto agognati per i detenuti. Al di là del riscontro da espletare sui verbali integrali restano le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che non fanno altro che avallare le precedenti affermazioni di chi ha affrontato questi temi prima di lui.

L’epopea di “Sicilia Libera”
Con l’audizione del funzionario della Dia, Giuseppe Fonti, si è tornati a parlare del movimento politico “Sicilia Libera”, espressamente voluto dal boss di Cosa Nostra Leoluca Bagarella. Di fatto nell’autunno del ’93 l’ex imprenditore di Brancaccio legato a Cosa Nostra, Tullio Cannella,  su indicazioni di Bagarella, aveva contribuito alla nascita di questo movimento autonomista durato pochissimi mesi e poi scioltosi in coincidenza con la nascita di Forza Italia. “Sicilia Libera”, però, non può essere etichettata unicamente come il risultato della decisione solitaria di un boss di Cosa Nostra. Così come ha ricordato l’ex pm Antonio Ingroia in una recente intervista in quel periodo storico “si costituivano delle leghe meridionali che avevano come punti di riferimento Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie, cioè la P2 e la destra eversiva a loro volta collegati a pezzi della criminalità organizzata italiana”.  Nell’indagine denominata “Sistemi Criminali” (condotta dai pm Scarpinato, Gozzo, Lo Forte e lo stesso Ingroia) si ipotizzò che con quelle leghe si sarebbe potuto arrivare ad “un vero proprio progetto di golpe”. Che non si è mai realizzato, ma che probabilmente è “confluito” in quella trattativa “politica” tra Stato e mafia sulla quale oggi si tenta di fare luce.
Prossima udienza giovedì 1° ottobre.

“Ed ora, dopo la straordinaria manifestazione ‘No Triv’ di Lanciano una vertenza nazionale contro lo Sblocca Italia” Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Amanda Demenna, rappresentante del Comitato “No Ombrina”. C’è stata molta sorpresa nelle valutazioni sulla partecipazione alla manifestazione “No Ombrina” di sabato a Lanciano. Avete fatto un buon lavoro oppure il tema è straordinariamente sentito dalla gente…
Abbiamo lavorato bene in questi mesi ma non si può non riconoscere che ormai sulle trivellazioni c’è in Abruzzo un movimento popolare. Non c’è solo “Ombrina” ma anche il Centro Oli. La manifestazione fatta a Pescara nel 2013 aveva già visto una grande partecipazione popolare. In questa fase, nel momento in cui tutto è ripartito con lo Sblocca Italia allora i comitati sono scesi nuovamente in campo. E dalla prima assemblea organizzativa ci siamo resi conto, essendo in cinquecento, che la guardia non era stata abbassata. L’altro giorno l’abbiamo ribadidto con forza, andando un po’ oltre le previsioni.Il settore energetico sta scatenando tanti appetiti, anche trasversali…
Alcune trivellazioni in Adriatico già c’erano. Con la Prestigiacomo si era riusciti a porre alcuni limiti. Con Passera, e quindi con il Governo Monti, è stato tolto il vincolo delle dodici miglia. Il progetto “Ombrina” è particolarmente impattante perché non si parla solo di piattaforme petrolifere ma anche di una nave che fa da raffineria a dieci chilometri dalla costa. C’è un evidente salto rispetto a prima che non dà nessuna garanzia dal punto di vista della tutela dell’ambiente. Con lo Sblocca Italia l’Abruzzo diventa un distretto minerario esattamente come la Basilicata.

Al corteo di sono state folte delegazioni degli altri territori in lotta contro le trivellazioni.
Non solo dalle coste ma anche dal Piemonte e dall’Emilia Romagna. Il problema delle trivellazioni interessa tutto il Bel Paese. E si parla anche di gasdotti e metanodotti con grande preoccupazione da parte delle popolazioni. Con l’assemblea di domenica abbiamo voluto dire che questa lotta deve diventare generale, contro tutti i progetti dello Sblocca Italia.

Pur di petrolizzare l’Italia hanno inventato procedure speciali.
E’ l’altra caratteristica di questa lotta. Questa è una battaglia per la democrazia. Gli enti locali non hanno più poteri decisionali su nulla, né di conoscenza né sull’eventuale blocco. Insomma, stiamo parlando non solo della possibilità di decidere localmente l’idea di sviluppo in relazione al territorio ma anche la possibilità di prendere decisioni in proposito. Il Governo ha avocato le competenze per poter controllare e dirigere meglio.

Il Pd a livello nazionale è compatto mentre a livello locale ci sono qua e là voci di dissenso. Il sindaco di Lanciano dal palco ha addirittura evocato la lotta partigiana contro il nazifascismo.
Gli amministratori locali devono dimostrare coraggio e mettersi contro i propri parlamentari e contro il Governo. E’ chiaro che c’è un blocco politico che spinge per uno sviluppo del settore energetico, e che sta depredando i territori. L’importanza della manifestaizone di sabato è stata proprio questa, la pressione sui rappresentanti politici nazionali. I parlamentari del Pd e di Forza Italia hanno votato a favore dello Sblocca Italia. Il Pd ha subito una trasformazione tale che la vedo dificile tornare indietro. Ora però la partita sta in mano ai parlamentari. La gente questo lo ha capito.

Dicevamo della possibilità di costruire un fronte nazionale di lotta…
Il passaggio in più che abbiamo fatto rispetto alla manifestazione di Pescara di due anni fa è stata proprio la partecipazione dei comitati, mettendo insieme i filoni “No Tav” e “No Triv”. Ora il salto che bisogna fare è far diventare tutto questo una vertenza nazionale. Ricorsi giudiziari e referendum ma anche azioni dimostrative che buchino il sistema mediatico.

Un sistema mediatico omertoso, soprattutto sui numeri della petrolizzazione…
Non ho ancora sentito qualcuno favorevole a Ombrina dimostrare che dal punto di vista economico e occupazionale il progetto sia valido. Di fronte a turismo ed agricoltura non hanno dimostrato l’aternatività di “Ombrina”. Spacciare gli operai che stanno sulla piattaforma e sulla nave, qualche decina di posti in tutto, come occupazione aggiuntiva è davvero una falsità.

Audito Pino Maniaci dalla Commissione regionale Antimafia da: telejato

Audito Pino Maniaci dalla Commissione regionale Antimafia
dicembre 17
La Commissione regionale antimafia presieduta da Nello Musumeci, già candidato alla presidenza della regione dal centrodestra, già presidente della provincia di Catania, già deputato di Forza Italia, area filofascista, ma che gode di una meritata stima di persona corretta, ha deciso di “audire” Pino Maniaci sulla questione dei beni confiscati alla mafia.

Il direttore di Telejato ha fatto una lunga disamina sulle inchieste sinora portate avanti, soprattutto per quel che riguarda l’operato dell’ufficio delle misure di prevenzione del tribunale di Palermo, la nomina degli amministratori giudiziari, ristretta a pochi nomi che con questo ufficio sembrano avere un rapporto privilegiato, l’incapacità di sapere amministrare dai nominati del tribunale, al punto che la quasi totalità delle imprese loro affidate è andata in fallimento, ma soprattutto le comunicazioni giudiziarie, gli avvisi di garanzia ricevuti da molti di questi amministratori che, per contro, continuano ad essere nominati e a portare avanti il loro nefasto lavoro. E’ venuta fuori una categoria che si nutre passivamente dei beni loro affidati, dai quali riesce a succhiare stipendi e compensi per operazioni che non è in grado di portare avanti. E’ stata anche evidenziata l’estensione nel tempo, spesso in decenni di queste nomine, la cui durata non dovrebbe superare i sei mesi, ma soprattutto la divaricazione tra quanto deciso e portato avanti dall’ufficio misure di prevenzione e quanto invece deliberato in sede giudiziaria: capita spesso, che persone titolari di aziende sequestrate siano assolte e che il tribunale disponga la restituzione dei beni, ma che, per contro, l’Ufficio misure di prevenzione confermi il sequestro, specie quando è evidente la possibilità che la restituzione del bene significhi restituzione del nulla, poiché i beni in precedenza affidati sono stati dilapidati da cattiva o fraudolenta gestione e quindi non resta più nulla da restituire. La Commissione ha ascoltato con interesse quanto denunciato da Maniaci e si è ripromessa di approfondire l’argomento e affidare la valutazione di una serie di incongruenze amministrative e giudiziarie alla Corte dei Conti.

Roma, destra e leghisti ancora insieme nella protesta razzista all’Infernetto Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Il caso del centro di accoglienza immigrati assaltato a Tor Sapienza si sposta all’Infernetto, estremo sud della città prima del mare, e oggi in piazza sono scese alcune decine di abitanti e alcuni manipoli di ultradestra. Un sit in razzista in cui erano più consiglieri comunali e rappresentanti politici, e relativi codazzi, che cittadini. L’unica cosa che si è capita è il “No” al trasferimento di una parte dei migranti nel quartiere. Un sit-in di Forza Nuova si era svolto davanti a X Municipio di Roma, alla stazione Vecchia di Ostia, con la parola d’ordine ‘Prima gli italiani’. In via Salorno all’Infernetto, invece, davanti alla struttura dove si trovano i minori trasferiti da Tor Sapienza, ha manifestato CasaPound con l’europarlamentare leghista Mario Borghezio, appoggiato dal movimento alle ultime elezioni. “Qui c’è gente pronta ad intervenire – ha detto l’esponente della Lega Mario Borghezio -, ci sono braccia, cuori, bandiere e aste più pesanti di queste pronte a difendere il territorio”.

Ieri Borghezio – che alle ultime Europee ha fatto campagna nelle periferie romane – era stato contestato al corteo dell’Eur contro la prostituzione e pregato di mettersi in coda. Tra i manifestanti anche esponenti del centrodestra, come il deputato di Fratelli d’Italia Fabio Rampelli, l’ex vicesindaco del Pdl Sveva Belviso – ora leader di Altra Destra – e Luciano Ciocchetti di Forza Italia. Un avvicinamento tra il centrodestra e il Carroccio dimostrato pure dall’attivismo di Marco Pomarici, ex presidente Pdl dell’Assemblea capitolina e ora consigliere comunale a Roma della ‘Lega dei Popoli con Salvini’. Ha annunciato la costituzione del gruppo anche ad Anzio e Albano, in provincia di Roma.
“Qui oggi in piazza ci sono gli italiani stanchi che non si arrendono – sottolinea Simone Di Stefano, già candidato alle scorse
regionali con Casapound -. Non accettiamo di essere continuamente additati come razzisti, siamo solo incazzati”. “Alcuni italiani non si arrendono”, si legge sul grosso striscione tricolore, mentre i manifestanti hanno urlato slogan come “Difendiamo la nazione, non vogliamo immigrazione” e “Il centro accoglienza non lo vogliamo”.

Forza Nuova ieri ha fatto parlare di sé per il manichino impiccato trovato sul cavalcavia adiacente la stazione di Lido Nord, a Ostia. “Il blitz di Forza Nuova a Ostia è un gesto ignobile che va condannato con fermezza da tutti. Si tratta di pura istigazione all’odio e al razzismo, che non affronta in alcun modo i temi dell’immigrazione e dell’integrazione. Sono certo che nessun cittadino dell’Infernetto si senta rappresentato da chi strumentalizza situazioni di disagio per veicolare contenuti razzisti inaccettabili.”, ha dichiarato il vicesindaco di Roma Capitale Luigi Nieri.

I labili confini tra partiti di Governo: D’Alì (Ncd) torna a Forza Italia, Renzi risorsa per il centrodestra.| Autore: marco piccinelli da: controlacrisi.org

La manovra sale a 30 miliardi e «18 non è l’articolo dello Statuto dei lavoratori ma i miliardi che serviranno per ridurre le tasse».
Questa la strategia renziana riassumibile, anche, con altre parole del Presidente del Consiglio dei Ministri/Segretario Pd: «Una manovra di ampio respiro se l’avesse fatta qualcun altro la Cgil avrebbe applaudito».
Sono lontani, dunque, i tempi del governo Letta in cui si affermava tranquillamente che “non ci devono essere altre manovre finanziarie”. Saccomanni, primo fautore del ‘non più manovre’ diventava l’attore di numerosi talk show di prima serata in cui la tematica ricorrente era ‘certo, ma è sicuro che non si possa o non si debba fare una manovra?’, come se fosse la panacea di tutti i mali dell’economia e del Governo italiano.
Così come sono lontani i tempi in cui il quadro politico della maggioranza e del Governo erano definibili. Non tanto chiari ma almeno ‘autoconfinanti’ tra formazioni politiche tra loro avverse: la strategia renziana della ‘maggioranza sulle cose-da-fare’ si palesa ogni giorno di più, tolta da ogni colore politico. ‘Chi c’è, c’è’. Il confine è ormai superato da tempo e Ferrara, dalle colonne del ‘Foglio’ di oggi si augura che la ‘riforma’ completa del Pd vada in porto: «la riforma del partito, in attesa della realizzazione piena di tutte le altre, e virtualmente già cosa fatta: c’è da sperare che sia formalizzata presto e bene».
Così come lo stesso Direttore scrive che: «quando le correnti lo insignirono (Veltroni) primo segretario del Partito Democratico, per trovare uno sbocco alla crisi del governo Prodi, 2008, a noi berlusconiani interessati a una sinistra riformista e al superamento del prodismo ulivista, sembrò una bella cosa».
Per mesi, poi, si è discusso dello strappo tra il Nuovo Centrodestra alfaniano e la rediviva Forza Italia che già – però – deve essere totalmente ripensata, a detta di Berlusconi; per mesi, dunque, l’opposizione è stata posta sotto l’egida forzista, oltre che sotto quella Movmento 5 Stelle e di Sinistra ecologia libertà, prima della scissione di Migliore e Fava ‘a basso consumo energetico’ (LeD – Libertà e diritti – Socialisti Europei).
L’opposizione dunque “non può essere fatta da due centrodestra, di centrodestra ce n’è uno solo”, si affermava dalle fila di Forza Italia mentre dal canto alfaniano si rispondeva a tono dicendo che una forza politica deve poter essere responsabile. Requisito sempre più abusato fin da Scilipoti quando fondò il Movimento di Responsabilità Nazionale, tempi che ormai sembrano lontani anni luce. A lungo, dunque, s’è discusso tra due posizioni che si volevano far apparire opposte pur avendo, nei fatti, un’unica matrice.
E’ in questo clima, dunque, che il senatore Antonio D’Alì approda nuovamente al porto di Forza Italia.
La dichiarazione di D’Alì fa il giro del web e in una manciata di ore si susseguono reazioni e commenti: nella giornata di ieri, su ‘L’Occidentale’ quotidiano on line del partito di Angelino Alfano, il coordinatore del Ncd Quagliariello affermava: «non giudico la decisione di Antonio D’Alì perché le scelte altrui si rispettano, soprattutto quando si tratta di un amico. Sul piano politico, tuttavia, non posso non notare che la sua analisi lascia sconcertati».
Sul piano politico quel che dava pensiero al senatore D’Alì erano le tanto declamate riforme Costituzionali, o almeno questo è quanto è stato dichiarato. Ma se sull’organo di partito alfaniano la giornata di ieri ospitava il commento del coordinatore, nella home page di oggi campeggia un post di poche righe ma significativo: «Pur avendo abbracciato il laicismo più sfrenato in tema di famiglia e unioni gay, Forza Italia evidentemente ha a cuore il precetto evangelico del perdono: a giudicare dai commenti sulle agenzie di stampa, il vitello ucciso per il ‘traditor prodigo’ è ancor più grasso di quello servito a cena per il ritorno di Noemi Letizia. Sono soddisfazioni!» con tanto di hashtag #sonosoddisfazioni.
Si temono, però, altre dipartite in casa dell’Ncd che, forse, torneranno anch’esse alla magione forzista così come D’Alì.
Nel mentre, il segreto patto del Nazzareno scricchiola un poco e Berlusconi pensa a riordinare Forza Italia, dopo essersi lasciato alle spalle le macerie del Popolo della libertà, in Forza Silvio.
L’idea, del ‘Forza Sivlio’, persegue l’ex Cavaliere del lavoro da molto tempo e i Clubs, forse, sono solo un palliativo, ma forse il momento è maturo.
@parlodasolo

Il potere della ‘Ndrangheta da: antimafia duemila

lombardo-giuseppe-c-giorgio-barbagalloContinua la caccia del pm Lombardo ai colletti bianchi della mafia calabrese

di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari – 11 ottobre 2014
Latitanza Matacena: tra gli indagati l’ambasciatore italiano negli Emirati Arabi
Mentre a Palermo i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia vengono insultati e abbandonati dalle istituzioni a Reggio Calabria ci sono pm che imperterriti, stanno svolgendo importantissime inchieste non solo sui mafiosi ndranghetisti ma anche su quei colletti bianchi perfettamente inseriti nel contesto del sistema criminale.
Sembra essere ad una svolta l’indagine coordinata dal procuratore Federico Cafiero de Raho e condotta dai pubblici ministeri Giuseppe Lombardo (in foto) e Francesco Curcio, sulla latitanza dell’armatore Amedeo Matacena, ex parlamentare di Forza Italia, condannato in via definitiva dalla Cassazione (deve scontare tre anni di carcere, ndr) per i suoi rapporti con la cosca Rosmini.
 Con l’accusa di favoreggiamento personale aggravato dall’articolo sette (aggravante mafiosa, ndr) è finito al registro degli indagati l’ambasciatore italiano negli Emirati Arabi Uniti, Giorgio Starace.

Gli investigatori sarebbero arrivati a lui seguendo un’ informativa trasmessa alla Dda dal colonnello della guardia di finanza Paolo Costantini, fino al marzo scorso in servizio presso i servizi segreti per conto dei quali ha diretto proprio il centro operativo di Dubai.
Interrogato dai pm il 6 giugno scorso il colonnello Costantini ha accusato Starace di aver fatto pressioni nei confronti delle autorità di Abu Dhabi e, nello stesso tempo, aver aiutato Matacena non comunicando a Roma alcune informazioni utili all’autorità giudiziaria italiana.
L’8 marzo scorso furono arrestati l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, le segretarie degli stessi Matacena e Scajola, i collaboratori dell’imprenditore reggino i quali si sarebbero adoperati nell’organizzare il trasferimento del latitante in un paese più sicuro, il Libano (lo stesso Paese in cui avrebbe voluto trascorrere la propria latitanza l’ex parlamentare di Forza Italia condannato per mafia, Marcello Dell’Utri, ndr).
Il fatto è che l’ambasciata italiana avrebbe omesso di informare i pm calabresi, al momento della trasmissione della rogatoria per ottenere l’estradizione di Matacena, che negli Emirati non sarebbe stata autorizzata l’estradizione per il reato di concorso o di associazione mafiosa ma che invece doveva essere richiesta per l’ipotesi di concorso nel riciclaggio internazionale (era ricercato anche per questo reato, ndr). Una mancata segnalazione che comportò un negativo esame della richiesta di estradizione, con il risultato che Matacena resta libero.
Secondo l’accusa “L’ambasciatore Starace ha esercitato pressioni insistenti per i modi e per i tempi, che servivano a garantire a Matacena le migliori condizioni possibili di permanenza nel Paese”.
Il nome dell’ambasciatore compariva anche in altre inchieste in Liguria sui rapporti della ’Ndrangheta con il sistema bancario ligure. In quelle indagini venivano segnalati i rapporti tra lo stesso Starace ed il faccendiere Andrea Nucera coinvolto nelle inchieste genovesi. Un ristorante che sarebbe base dello stesso Amedeo Matacena.
Proprio sulle difficoltà che hanno impedito l’estradizione di Matacena è stato audito recentemente il sostituto procuratore Lombardo alla commissione parlamentare Antimafia. Quest’ultimo, oltre a riferire a grandi linee l’indagine avrebbe registrato la “sensazione” dell’ufficio di Procura che a complicare i vari passaggi vi siano stati i problemi tra il ministero degli Affari esteri e l’ambasciata a Dubai.
Osservando le inchieste condotte a Reggio Calabria emerge più che mai l’importanza del contrasto che si sta conducendo. Da una parte quello nei confronti della ‘Ndrangheta, la criminalità in questo momento più forte al mondo sul piano economico, totalmente padrona del traffico internazionale di stupefacenti (in grado di foraggiare l’economia mafiosa per oltre cento miliardi di euro all’anno in nero su un totale di duecento miliardi provenienti anche dalle estorsioni e dagli appalti, ndr), e presente in ogni lato del Globo (dall’Italia all’Australia, passando per il Canada, il Sud America, la Russia e più Stati dell’Europa, ndr). Dall’altra le inchieste sui colletti bianchi, come quella sulle coperture per la latitanza di Matacena, che dimostra come questi, da semplici uomini corrotti, si elevino fino a diventare parte di un Sistema Criminale.

Foto © Giorgio Barbagallo

Riina, una escort dello Stato-Mafia per tutte le stagioni da: antimafia duemila

riina-lodato-okdi Saverio Lodato – 1° settembre 2014
A noi questo Totò Riina che torna a parlare per gli eterni aggiornamenti delle vicende di Cosa Nostra e dintorni, raccontando che a suo tempo Berlusconi, ogni sei mesi, gli faceva avere duecentocinquanta milioni delle vecchie lire perché negozi Standa e tralicci televisivi potessero vivere serenamente in Sicilia, ricorda tanto da vicino quelle escort che, armate di rossetto, cipria e vistose scollature, sfilavano a frotte negli studi televisivi alla page,  per raccontare le bravate notturne di Silvio, o di “papi”, se si preferisce, alla corte di Palazzo Grazioli. Quella era una fase in cui fra tanti, a sinistra, si era diffusa la folgorante convinzione che ogni puttana in più che finiva in prima serata rappresentava una picconata al robusto e ritorto albero del potere berlusconiano che, dai oggi e dai domani, sarebbe venuto giù per sempre. Sappiamo come andò a finire. L’albero è lì, con qualche ramo ormai seccato, tante foglie ingiallite, ma le radici non sono state particolarmente scalfite. In tanti si esercitano nello sport di chiedersi cosa farebbe o direbbe Giovanni Falcone, se oggi fosse ancora vivo, ogni qual volta la cronaca giudiziaria presenta casi spinosi e tempestosi. E noi, sommessamente, ce lo siamo chiesti a proposito del processo di Milano scaturito dall’ “affaire Ruby-Mubarak”, senza nulla voler togliere al puntiglio del pubblico ministero Boccassini… Ognuno si dia la risposta che vuole.

Ma poiché la “via del buoncostume al socialismo” non l’ha ancora inventata nessuno, l’effetto boomerang è stato che oggi Berlusconi, grazie all’ editto renziano, vidimato dal capo dello Stato, è stato cooptato fra i padri della patria, gli viene riconosciuto un ruolo  di “inter pares”, e, se proprio vogliamo dirla tutta, si è definitivamente consacrato il principio che, ammesso che scopasse, scopava a sua insaputa. Ora il paragone potrà sembrare ardito, ma, a ben vedere, non lo é. Partiamo da lontano.
Da Giulio Andreotti, per esempio. Oggi Riina fa sapere che per incontrarlo in Sicilia lo incontrò, ma “bacio” niente, solo languidi sospiri…  E’ toccato all’attuale procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, tenere il punto in un’intervista al “Corriere della Sera” in cui, chi intervistava, insisteva petulantemente che Andreotti fu “assolto” dalla Cassazione per quelle viscide frequentazioni che riguardavano un sette volte presidente del consiglio. Andreotti infatti, con buona pace di Bruno Vespa e della stragrande maggioranza dei media italiani, fu “prescritto” dalla Cassazione per quegli incontri, ci si perdoni la rozzezza stilistica, e persino “condannato” a pagare le spese processuali. Il grande Ciccio Ingrassia, intervistato nei tempi che furono dal TG1, alla domanda,  che allora teneva banco perché si trattava di buttare in caciara il processo di Palermo, “ma secondo lei, è possibile che Riina e Andreotti si siano baciati?”, diede una risposta di rara finezza: “non lo so se si sono incontrati. Ma stia tranquillo che se si sono incontrati si sono baciati …”. In Italia spesso sono solo i comici e i vignettisti ad avere il dono innato di essere lapalissiani, ma così cogliendo il vero; tutti gli altri attaccano il carro dove vuole il padrone. I politici italiani, con stomaco più capiente dello struzzo, hanno tranquillamente sorvolato su quei decenni di “andreottismo” perché hanno imparato l’arte di edificare “politicamente” sulle macerie evitando l’incombenza di rimuoverle.
Ora occupiamoci di Berlusconi e dei 250 milioni che “u zu Totò” riceveva semestralmente, a suo dire, in quanto rappresentante della ditta Cosa Nostra, da quello che sarebbe diventato il leader di Forza Italia. Per avere una verifica della “notizia” basterebbe bussare a una cella di Rebibbia, chiedere a Marcello Dell’Utri, cofondatore di Forza Italia, vita parallela la sua a quella di Silvio e che avrebbe fatto sbizzarrire la penna di un Vasari. Dell’Utri, purtroppo, come uno stoico, si ispira al motto “acqua in bocca”, ma se decidesse di raccontare perché un assassino patentato come Vittorio Mangano finì alla corte di Arcore, perché ci finì, e qual era il suo effettivo mandato, che tutto era tranne che un “mandato equino”, ne sentiremmo delle belle. Ma è così l’Italia. Ci sono in circolazione, spesso con tutti i timbri della carta bollata, “mezze verità” che devono accontentare tutti. Una verità “sola”, “solare”, “unica”, su nessuna delle miriadi di storie nere, criminali, economiche e politiche, che hanno insanguinato la Repubblica, è lusso che non ci possiamo permettere. Torniamo a Riina.
Giova ricordare che gli “aggiornamenti”, di cui parlavamo all’inizio, risalgono sempre a quel colloquio “live”, grazie alle registrazioni carcerarie, avvenuto nel carcere di Opera a Milano, fra Riina e un ceffo della Sacra Corona Unita che qualcuno pensò bene di affiancargli durante l’ora d’aria. Il “fatto” risale all’agosto dello scorso anno. Ma viene fuori a ondate successive. E questo non è bello. Non è rispettoso nei confronti dell’opinione pubblica. Anche il “format” della telenovela più seguita deve avere una sua fine. Insomma, questa storia del colloquio di Opera, sa di giochino che, tirato troppo alla lunga, rischia di diventare sporco. Cerchiamo di metterci d’accordo. Qual è la posizione di Riina? Fino a prova contraria è un pluriergastolano per delitti e stragi. Non è mai stato, non ha mai voluto esserlo, un “collaboratore di Giustizia”. Allora cos’ è? E’ la gran “voce” che parla dal di dentro dei poteri criminali? Può farlo in assenza di contraddittorio? Senza filtri? Può abbattersi come un meteorite sulla testa di milioni di italiani a reti unificate? Pare proprio di sì.
A questo proposito è davvero curioso che almeno una volta al mese, in Italia, scoppia la polemica perché qualcuno ha parlato da qualche parte, spesso capita nelle facoltà universitarie, senza avere gli adeguati requisiti morali. Oddio ci fosse qualcuno che si levasse indignato al cospetto degli sproloqui del Riina! Tutti in adulazione. In venerazione. Proni alla gran “voce” che parla dal di dentro. Non lo straccio di un editoriale di Eugenio Scalfari o di Giuliano Ferrara. Non il balbettio dell’opinionista, Emanuele Macaluso. Non un monito del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Certo. Riina sta al gabbio. Per fortuna di tutti noi. E non ha grandi possibilità di spostamenti.
Ma se per assurdo qualche conduttore di talk show riuscisse ad accaparrarselo in prima serata, sai che share, sai che ascolti, sai che poltrone girevoli e che fondali, e che luci… Ammetterete che neanche questo è bello. Insomma, è come se qualcuno stesse utilizzando una vecchia escort del calibro di Totò Riina, che indubbiamente di segreti, e non segreti di camera da letto, ne conosce tanti, per un eterno aggiustamento di quelle “mezze” verità, di cui parlavamo prima, che si danno in pasto agli italiani. Perché Riina si presta, modestamente crediamo di averlo capito. Riina ormai lo fa, l’abbiamo scritto cento volte, perché conosce benissimo l’esistenza dello Stato-Mafia e della Mafia-Stato, e sa che la contrapposizione fra Stato e mafia è stata una bella favoletta che per decenni ha tenuto banco. Al punto in cui è, con famiglia ed eredi a cui pensare, e soldi a palate, che forse nessuno gli cerca più, che gli costa fare qualche “favorino” a quello Stato-Mafia con il quale in fondo è sempre andato d’accordo, lui e tutta Cosa Nostra, nei secoli e nei secoli? A tal proposito sarebbe interessante che il sito “Dagospia”, diretto dal collega Roberto D’Agostino, che per definizione si occupa, fra l’altro, di “retroscena”, adoperasse l’arma dell’inchiesta per scoprire come è possibile che a un anno esatto dal colloquio di Opera si continui ancora – giornalisticamente, s’intende – a mungere latte fresco. Ci sovvengono – infatti – le parole tratte da “La Baronessa di Carini” dal compianto Vincenzo Consolo: “O gran manu di Dio, ca tantu pisi, cala, manu di Dio, fatti palisi”.

“O grande mano di Dio, che tanto pesi, cala, mano di Dio, fatti palese”.

Ma Riina non è Dio. E’, scusate la volgarità, un semplice pezzo di m…

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Art. 18, grazie all’assist di Alfano e Sacconi Renzi va a punto: “Cambiare lo Statuto dei lavoratori”Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

L’articolo 18 e’ un “totem ideologico”, un “simbolo”, di cui e’ “inutile discutere adesso”. Molto meglio “riscrivere lo Statuto dei lavoratori”. Ha tutta l’aria di essere un gioco di squadra quello tra il premier Renzi da una parte e Alfano e Sacconi dall’altra. Qualche giorno di polemiche, e via: la “deregulation” dei diritti va avanti. E ora sul Jobs act, e su Sblocca Italia. si gioca tutta la partita. La tensione estiva nell’esecutivo riavvicina Forza Italia, almeno su questo tema, ai vecchi compagni di viaggio: per Renato Brunetta il terreno dell’art.18 e’ un modo per tentare l’asse con Ncd; la proposta di Sacconi piace (“noi ci stiamo”) e sui “contenuti siamo d’accordo con Alfano”, mettendo in campo anche la sua idea di una “moratoria di tre anni”. La palla, poi Brunetta, la passa al Pd. Da un lato la titolare della Pa, Marianna Madia, dice di smetterla con la “retorica” e chiede di non sganciare il concetto dalla “sviluppo”, dall’altro il responsabile economia del Pd, Filippo Taddei, fa presente che l’abolizione dell’art.18 “non e’ in cantiere” ma che semmai “si parla di tutele crescenti”, che è un altro modo di dire la stessa cosa seguendo lo schema del professor Ichino. I sindacati sembrano aver sentito il campanello e scendono in campo con la leader della Cgil Susanna Camusso, che conia l’hashtag ‘#Si’art18’ (“bisogna creare lavoro non discriminazione”), e di nuovo con Maurizio Landini, segretario della Fiom, il quale spera che Renzi non ascolti Alfano. Infine i dati della Cgia mostrano che le aziende interessate dall’art.18 sono soltanto il 2,4% del totale, e riguarda il 57,6% dei lavoratori dipendenti nel settore privato dell’industria e dei servizi.

Ruby, cambiare la legge con il Pd e farsi assolvere. Il delitto perfetto di Berlusconi da: blog il fattoquotidiano

L’avevano votata per questo e alla fine per questo è servita. Silvio Berlusconi strappa un’assoluzione in secondo grado per il caso Ruby grazie alla legge Severino: il sedicente articolato anti-corruzione approvato nel 2012 da Pd e Pdl che, dopo aver permesso alle Coop di uscire prescrizione dall’inchiesta sulla sulla Tangentopoli di Sesto San Giovanni e a Filippo Penati di veder eliminate parte delle sue accuse, svolge ora egregiamente la sua funzione anche nei confronti dell’ex Cavaliere e neo Padre della Patria.

Spacchettare, mentre il processo Ruby era già in corso, il reato di concussione in due, stabilendo pene e fattispecie diverse per la concussione per costrizione e quella per induzione, ha significato spalancare la strada che ha portato il leader di Forza Italia al verdetto di secondo grado.

Niente di sorprendente, a dire il vero. Nel 2012, durante la discussione della legge, votata in nome delle larghe intese, più osservatori, compreso chi scrive, avevano fatto notare gli effetti deleteri delle nuove norme. E l’anno successivo, dopo aver visto finire nel caos decine di processi, anche l’ex procuratore antimafia e attuale presidente del Senato, Piero Grasso, aveva lanciato l’allarme. La nuova legge, secondo lui, andava subito modificata.

Stavano saltando dibattimenti su dibattimenti e, per Grasso, anche il processo Ruby sarebbe finito in niente. “Mi pare”, aveva detto Grasso, “ che con questo nuovo reato non sia più punibile l’induzione in errore o per frode (la telefonata in questura in cui Berlusconi sosteneva che Ruby fosse la nipote di Mubarak ndr). Il comportamento prevaricatore potrebbe essere punito come truffa, ma nel caso di Berlusconi non c’è nessun aspetto patrimoniale”.

Traduzione: con la vecchia norma l’ex Cavaliere sarebbe stato condannato di sicuro. Con la nuova no. Anche perché, come non ha mancato di far notare l’abile difensore di Berlusconi, l’avvocato Franco Coppi, le sezioni unite della Cassazione hanno alla fine stabilito che la nuova concussione per costrizione scatta quando non si può resistere in alcun modo alle pressioni. E che quella per induzione può invece essere punita solo quando chi riceve “pressioni non irresistibili” (in questo caso il funzionario della questura, Pietro Ostuni) gode anche di “un indebito vantaggio”.

Tutto insomma si tiene. Bisogna prendere atto che secondo la corte di appello non è possibile dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che Berlusconi conoscesse la minore età di Ruby (andare a prostitute maggiorenni non è reato). E che secondo la nuova legge fare pressioni in questura senza far balenare nulla in cambio lo è ancor meno.

Il sistema regge, si evolve e vince. Di nuovo Berlusconi la fa franca perché le regole del gioco sono mutate durante partita. Era accaduto nel 2001 quando grazie l’abolizione, di fatto, del falso in bilancio era finito in niente il processo All Iberian sui fondi neri della Fininvest. Era successo di nuovo con il caso della corruzione dell’avvocato David Mills, quando tutto si era prescritto a causa dell’approvazione della legge ex Cirielli che aveva dimezzato i termini oltre i quali i reati vengono eliminati dal colpo di spugna del tempo.

E avviene adesso, grazie a una norma su misura che, a differenza del passato più recente, è stata approvata pure con i voti del centro-sinistra. Segno che l’interesse non era ad personam, ma un po’ più generale. Quasi ad Castam così come era accaduto nel 1997 quando la riforma dell’abuso di ufficio, votata dal Polo e dall’Ulivo, aveva provocato assoluzioni a raffica tra politici di tutti gli schieramenti.

Così in questo clima che sa di antico si aspetta solo la chiusura stagione delle controriforme istituzionali: più firme per i referendum, più firme per le leggi di iniziativa popolare, parlamentari sempre nominati e consiglieri regionali e sindaci coperti da immunità solo perché scelti per sedere al Senato. Poi il presidente di turno, questo o il prossimo, concederà al leader di Forza Italia la grazia. Come negare un atto di clemenza a un Padre della Patria? In quel momento, e solo in quel momento, il delitto sarà davvero perfetto.

Lettera aperta: la solidarietà “all’amico degli amici” da: antimafia duemila

dellutri-pag-pub-corrieredi Giorgio Bongiovanni – 26 giugno 2014

Oggi sulle colonne del Corriere della Sera è stata pubblicata un’intera pagina dedicata all’ex senatore Marcello Dell’Utri (costata oltre 50mila euro) voluta dalla moglie Miranda Ratti nel quale amici, colleghi, politici e familiari esprimono la propria solidarietà. Tra i firmatari chi con il fondatore di Forza Italia ha lavorato a Publitalia (Niccolò Querci, consigliere Mediaset e vicepresidente di Publitalia ‘80) alla Fondazione biblioteca o al settimanale Il Domenicale (l’ex direttore Angelo Crespi), il cugino Massimo Dell’Utri, attuale professore dell’Università di Sassari, il deputato Massimo Palmizio, l’intellettuale Camillo Langone, Candia Camaggi (ex responsabile Fininvest Lugano), Alessandro Salem, dg dei contenuti Mediaset, la squadra dilettantistica Bacigalupo di Palermo (fondata nel 1957). A coloro che hanno preso parte all’iniziativa, e alle loro famiglie, vorrei ricordare che lo scorso maggio la Cassazione ha confermato definitivamente la condanna a sette anni di reclusione per Marcello Dell’Utri, ex braccio destro di Silvio Berlusconi, per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto per decenni si configurò come quel sicuro anello di congiunzione che garantiva proficui contatti tra Cosa nostra e ambienti politici. L’amico a cui date solidarietà ha infatti favorito soggetti criminali, assassini, narcotrafficanti, torturatori, infanticidi, stragisti, terroristi.

Con la vostra solidarietà non avete commesso un reato punibile dalla giustizia umana, ma uno che va molto al di là di questo. Della qualità delle amicizie di Marcello Dell’Utri, le cui azioni possono essere considerate quantomeno antietiche e certamente criminali, cosa pensano i firmatari che oggi lo sostengono? E soprattutto, cosa può pensare l’opinione pubblica e i cittadini tutti che leggono decine e decine di nomi attorno alla scritta “Al tuo fianco, Marcello” dedicata a un detenuto che per anni ha frequentato i boss di Cosa nostra?