La lunga erosione della democrazia Fonte: il manifesto | Autore: Luciana Castellina

25 aprile. L’attacco contro la Costituzione si scatena perché la nostra società è passiva, privata di soggettività, estranea alla politica di cui non si sente, e non è, più protagonista

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La cele­bra­zione delle date impor­tanti non è sem­pre uguale. Per­ché la memo­ria stessa è sog­getta alla sto­ria, e le cose si ricor­dano in modo diverso a seconda dei tempi. Tal­volta si è invece ripe­ti­tivi: è quando non ci sono par­ti­co­lari e nuove ragioni che spin­gono a ripen­sare l’evento com­me­mo­rato. E per­ciò resta un rituale. Quante volte nei tanti 8 marzo della mia vita mi è acca­duto di sbuf­fare per il fasti­dio della ripe­ti­ti­vità. Poi scop­piò il nuovo fem­mi­ni­smo e quella gior­nata si arric­chì di una carica inno­va­tiva che ci fece tor­nare con gioia a distri­buire mimose.

Per il 25 aprile non ho sbuf­fato mai, ma è vero che, pas­sato il peg­gio della guerra fredda — quando i governi dc arre­sta­vano i par­ti­giani, o quando arrivò Tam­broni — anche la Resi­stenza rimase spesso immo­bile. Oggi, 2015, è evi­dente a tutti che la data è cal­dis­sima, un’urgenza attuale nella nostra agenda. Per via di un suo spe­ci­fico aspetto: non tanto per­ché chi ne fu com­bat­tente riu­scì a cac­ciare i tede­schi , che pure non è poco. Piut­to­sto per­ché è in que­gli anni ’43–45 che ven­nero poste le fon­da­menta — per la prima volta — di uno stato demo­cra­tico in Ita­lia. Che oggi mi pare in peri­colo, non per­ché assa­lito dai fasci­sti, ma per­ché eroso dal di dentro.

Noi uno stato popo­lare, legit­ti­mato a livello di massa, non l’avevamo avuto mai : il Risor­gi­mento, come sap­piamo, fu assai eli­ta­rio e pro­dusse una par­te­ci­pa­zione assai ristretta, estra­nee le classi subal­terne; i governi della nuova Ita­lia nata nel 1860 restano nella memo­ria dei più per la disin­vol­tura con cui gene­rali e pre­fetti spa­ra­vano su ope­rai e con­ta­dini. Poi venne addi­rit­tura il fascismo.

A dif­fe­renza del maquis fran­cese o della resi­stenza danese o nor­ve­gese, la nostra non aveva pro­prio nulla da recu­pe­rare, niente e nes­suno da rimet­tere sul trono. Si trat­tava di inven­tarsi per intero uno stato ita­liano decente, e dun­que demo­cra­tico. (Come in Gre­cia, del resto, dove però una pur straor­di­na­ria Resi­stenza non ce l’ha fatta).

Non è una dif­fe­renza di poco. E se la Resi­stenza ita­liana ci ha per­messo di riu­scirci, è anche per­ché è stata la prima volta in cui in Ita­lia le masse popo­lari hanno par­te­ci­pato mas­sic­cia­mente e senza essere inqua­drate dai bor­ghesi alla deter­mi­na­zione della sto­ria nazionale.

E anche per un’altra ragione: per­ché il dato mili­tare, e quello stret­ta­mente poli­tico — l’accordo fra i par­titi anti­fa­sci­sti — pur impor­tanti, non esau­ri­scono la vicenda resi­sten­ziale. Un ruolo deci­sivo nel carat­te­riz­zarla l’ha avuto quello che un grande sto­rico, coman­dante della bri­gata Gari­baldi in Luni­giana, Roberto Bat­ta­glia, chiamò “società par­ti­giana”. E cioè qual­cosa di molto di più del tratto un po’ gia­co­bino, o meglio gari­bal­dino, dell’organizzazione mili­tare più i civili che ne aiu­ta­rono eroi­ca­mente la sus­si­stenza; e cioè l’autorganizzazione nel ter­ri­to­rio, l’assunzione, gra­zie a uno scatto di sog­get­ti­vità popo­lare di massa, di una respon­sa­bi­lità col­let­tiva, per rispon­dere alle esi­genze della comu­nità, il “noi” che pre­valse senza riserve sull’ “io”.

L’antifascismo come senso comune, più che nella tra­di­zione pre­bel­lica, ha ori­gine in Ita­lia da que­sto vis­suto, nell’ espe­rienza auto­noma e diretta di sen­tirsi — «attra­verso scelte che nascono dalle pic­cole cose quo­ti­diane», come ebbe a scri­vere Cala­man­drei — pro­ta­go­ni­sti di un nuovo stato, non quello dei monu­menti dedi­cati ai mar­tiri, ma quello su cui hai diritto di deci­dere, di una patria che non chiede sacri­fici ma ti garan­ti­sce pro­te­zione, legit­tima i tuoi biso­gni, ti dà voce. E’ la comu­nità, insomma, che si fa Stato, a par­tire dal senso di appartenenza.

La Costi­tu­zione par­to­rita dalla Resi­stenza riflette pro­prio que­sta presa di coscienza, e infatti defi­ni­sce la cit­ta­di­nanza come piena appar­te­nenza alla comu­nità. Non avrebbe potuto essere così se, ben più che da una media­zione di ver­tice fra i par­titi, non fosse nata pro­prio da quella espe­rienza diretta che fu la “società par­ti­giana.” E dalle sue aspi­ra­zioni. Per que­sto ha una ispi­ra­zione così ugua­li­ta­ria e for­mu­la­zioni in cui è palese lo sforzo di evi­tare for­mule astratte. E’ di lì che viene fuori quello straor­di­na­rio arti­colo ‚per esem­pio, che dice come, per ren­dere effet­tive libertà e ugua­glianza”, sia neces­sa­rio “rimuo­vere gli osta­coli che le limi­tano di fatto”.

Pro­prio riflet­tendo su quanto da più di un decen­nio sta acca­dendo, a me sem­bra che la crisi visi­bile della demo­cra­zia che stiamo vivendo non sia solo la con­se­guenza del venir meno di quel patto di ver­tice, e dei par­titi che l’avevano sot­to­scritto, ma più in gene­rale dell’impoverirsi del tes­suto politico-sociale che ne aveva costi­tuito il con­te­sto. E se è pos­si­bile l’attacco che oggi si sca­tena con­tro la Costi­tu­zione è pro­prio per­ché la nostra società non è più “par­ti­giana”, ma pas­siva, pri­vata di sog­get­ti­vità, estra­nea alla poli­tica di cui non si sente più, e infatti non è più, pro­ta­go­ni­sta, chiusa nelle angu­stie dell’”io”, sem­pre meno par­te­cipe del destino dell’altro, lon­tana dal decli­nare il “noi”.

Non ci sarà esito posi­tivo agli sforzi che in molti, e da punti di par­tenza anche dif­fe­ren­ziati, vanno facendo per uscire dalla crisi della sini­stra se non riu­sci­remo a risu­sci­tare prima sog­get­ti­vità e senso di respon­sa­bi­lità col­let­tiva . Non riu­sci­remo nem­meno a sal­vare la Costi­tu­zione, e fini­remo anche per can­cel­lare la spe­ci­fi­cità della Resi­stenza ita­liana. Quell’attacco mira pro­prio ad impo­ve­rire l’idea stessa della demo­cra­zia che essa ci ha rega­lato, ridu­cen­dola a un insieme di regole e garan­zie for­mali e indi­vi­duali, non più ter­reno su cui sia pos­si­bile eser­ci­tare potere.

Stiamo attenti a come cele­briamo il 25 Aprile. Ber­lu­sconi, quando per una volta si degnò di par­te­ci­pare a una ini­zia­tiva per il 25 aprile — fu ad Onna, subito dopo il ter­re­moto d’Abruzzo — ebbe a dire che sarebbe stato meglio cam­biare il nome della festa: non più “della Libe­ra­zione”, ma “della Libertà”. Pro­po­sta fur­bis­sima: la sua dizione richiama infatti un valore astratto calato dal cielo, la nostra dà conto della sto­ria e rac­conta chi la libertà ce l’aveva tolta e cosa abbiamo dovuto fare per ricon­qui­starla. Se smar­riamo la sto­ria can­cel­liamo il ricordo delle squa­dracce fasci­ste al soldo degli agrari e dei padroni che bru­cia­rono le Camere del lavoro, la vio­lenza con­tro le orga­niz­za­zioni popo­lari; depen­niamo la Resi­stenza stessa e sopra­tutto il ruolo che ha avuto nel costruire un nuovo stato ita­liano democratico.

Rischiamo di dimen­ti­care che per man­te­nere la libertà c’è biso­gno di sal­va­guar­dare la Costi­tu­zione e per farlo di rico­struire una “società par­ti­giana” per l’oggi: uno scatto di sog­get­ti­vità, di assun­zione di respon­sa­bi­lità, un impe­gno poli­tico col­let­tivo, rimet­tere il “noi” prima dell’”io”.
Sapendo che oggi il “noi” si è estre­ma­mente dila­tato. Non è più quello di chi vive attorno al cam­pa­nile, e nem­meno den­tro i con­fini nazio­nali. Il mondo è entrato ormai nel nostro quo­ti­diano, lo stra­niero — e con lui la poli­tica estera — lo incon­triamo al super­mar­ket, all’angolo della strada, nella scuola dei nostri figli. La sua libertà vale la nostra, la nostra senza la sua non ha più senso. Per que­sto non è pen­sa­bile festeg­giare il 25 Aprile senza pale­sti­nesi e immi­grati, così come senza gli ebrei che da qual­che parte pati­scono tutt’ora l’antisemitismo. Non è debor­dare dal tema “Libe­ra­zione” sen­tirsi parte, vit­time e però anche respon­sa­bili, di tutti i disa­stri che afflig­gono oggi il mondo.

ANPInews n. 160

 

Su questo numero di ANPInews (in allegato):

 

 

APPUNTAMENTI

 

 

25 APRILE: le iniziative dell’ANPI in tutta Italia e all’estero. Le manifestazioni nazionali e istituzionali  

 

 

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

 

 Lettera aperta del Presidente nazionale ANPI (per il 25 aprile a Roma)

Al Sindaco di Roma, all’Assessore alla memoria del Comune di Roma, al Presidente della Comunità ebraica di Roma, alla Presidenza dell’ANED, alla Presidenza provinciale dell’ANPI di Roma, ad ogni altra Associazione democratica(…)

25 aprile – Festa nazionale

Il 70° della Liberazione in Parlamento

Ancora il caso Mori

Il caso del poliziotto della DiazAnpinews n.160

La perversione del senso del 25 aprile | Fonte: il manifesto | Autore: Moni Ovadia

Festa della Liberazione - Corteo ANPI

Nel corso della mia vita e da che ho l’età della ragione, ho cer­cato di par­te­ci­pare, anno dopo anno a ogni mani­fe­sta­zione del 25 aprile. Un paio di anni fa, per­cor­rendo il cor­teo alla ricerca della mia col­lo­ca­zione sotto le ban­diere dell’Anpi, mi imbat­tei nel gruppo che rap­pre­sen­tava i com­bat­tenti della “bri­gata ebraica”, aggre­gata nel corso della seconda guerra mon­diale alle truppe alleate del gene­rale Ale­xan­der e impe­gnata nel con­flitto con­tro le forze nazi­fa­sci­ste. Qual­cuno dei com­po­nenti di quel drap­pello mi rico­nobbe e mi salutò cor­dial­mente, ma uno di loro mi rivolse un invito sgra­de­vole, mi disse: «Vieni qui con la tua gente». Io con un gesto gli feci capire che andavo più avanti a cer­care le ban­diere dell’Anpi che il 25 aprile è «la mia gente» per­ché io sono iscritto all’Anpi con il titolo di anti­fa­sci­sta. Lui per tutta rispo­sta mi apo­strofò con que­ste parole: «Sì, sì, vai con i tuoi amici palestinesi».

Il tono sprez­zante con cui pro­nun­ciò la parola pale­sti­nesi sot­tin­ten­deva chia­ra­mente «con i nemici del tuo popolo». Io gli risposi dan­do­gli istin­ti­va­mente del coglione e affret­tai il passo lasciando che la sua rispo­sta, sicu­ra­mente becera si disper­desse nell’allegro vociare dei manifestanti.

Que­sto epi­so­dio, appa­ren­te­mente inno­cuo, mi fece scon­trare con una realtà assai tri­ste che si è inse­diata nelle comu­nità ebrai­che. I grandi valori uni­ver­sali dell’ebraismo sono stati pro­gres­si­va­mente accan­to­nati a favore di un nazio­na­li­smo israe­liano acri­tico ed estremo. Un nazio­na­li­smo che iden­ti­fica stato con governo.

Natu­ral­mente non tutti gli ebrei delle comu­nità hanno imboc­cato que­sta deriva scio­vi­ni­sta, ma la parte mag­gio­ri­ta­ria, quella che alle ele­zioni con­qui­sta sem­pre il “governo” comu­ni­ta­rio, fa dell’identificazione di ebrei e Israele il punto più qua­li­fi­cante del pro­prio pro­gramma al quale dedica la pre­va­lenza delle sue energie.

Io ritengo inac­cet­ta­bile que­sta ideo­lo­gia nazio­na­li­sta, in pri­mis come essere umano per­ché il nazio­na­li­smo deva­sta il valore inte­gro e uni­ver­sale della per­sona, poi come ebreo, per­ché nes­sun altro fla­gello ha pro­vo­cato tanti lutti agli ebrei e alle mino­ranze in gene­rale e da ultimo per­ché, come inse­gna il lascito morale di Vit­to­rio Arri­goni, io non rico­no­sco altra patria che non sia quella dei dise­re­dati e dei giu­sti di tutta la terra.

L’ideologia nazio­na­li­sta israe­liana negli ultimi giorni ha fatto matu­rare uno dei suoi frutti tos­sici: la deci­sione presa dalla comu­nità ebraica di Roma, per il tra­mite del suo pre­si­dente Ric­cardo Paci­fici, di non par­te­ci­pare al cor­teo e alla mani­fe­sta­zione del pros­simo 25 aprile. La ragione uffi­ciale è che nel cor­teo sfi­le­ranno ban­diere pale­sti­nesi, vul­nus inac­cet­ta­bile per il pre­si­dente Paci­fici, in quanto nel tempo della seconda guerra mon­diale, il gran muftì di Geru­sa­lemme Amin al Hus­seini, mas­sima auto­rità reli­giosa sun­nita in terra di Pale­stina fu alleato di Hitler, favorì la for­ma­zione di corpi para­mi­li­tari musul­mani a fianco della Ger­ma­nia nazi­sta e fu fiero oppo­si­tore dell’instaurazione di uno stato Ebraico nel ter­ri­to­rio del man­dato bri­tan­nico. Men­tre la bri­gata ebraica com­bat­teva con gli alleati con­tro i nazi­fa­sci­sti. Tutto vero, ma il muftì nel 1948 venne desti­tuito e arre­stato: oggi vedendo una ban­diera pale­sti­nese a chi viene in mente il gran muftì di allora? Pra­ti­ca­mente a nes­suno, se si eccet­tua qual­che ultrà del sio­ni­smo più iste­rico o a qual­che fana­tico modello Isis.

Oggi la ban­diera pale­sti­nese parla a tutti i demo­cra­tici di un popolo colo­niz­zato, occu­pato, che subi­sce con­ti­nue e inces­santi ves­sa­zioni, che chiede di essere rico­no­sciuto nella sua iden­tità nazio­nale, che si batte per esi­stere con­tro la poli­tica repres­siva del governo di uno stato armato fino ai denti che lo opprime e gli nega i diritti più ele­men­tari ed essen­ziali. Un governo che lo umi­lia esco­gi­tando uno stil­li­ci­dio di vio­lenze psi­co­lo­gi­che e fisi­che e pseudo legali per ren­dere esau­sta e irri­le­vante la sua stessa esi­stenza. Quella ban­diera ha pieno diritto di sfi­lare il 25 aprile — com’è acca­duto per decenni e senza pole­mica alcuna — e glielo garan­ti­sce il fatto di essere la ban­diera di un popolo che chiede di essere rico­no­sciuto, un popolo che lotta con­tro l’apartheid, con­tro l’oppressione, per libe­rarsi da un occu­pante, da una colo­niz­za­zione delle pro­prie legit­time terre, legit­time secondo la lega­lità inter­na­zio­nale, un popolo che vuole uscire di pri­gione o da una gab­bia per garan­tire futuro ai pro­pri figli e dignità alle pro­prie donne e ai pro­pri vec­chi, un popolo la cui gente muore com­bat­tendo armi alla mano con­tro i fana­tici del sedi­cente Calif­fato isla­mico nel campo pro­fu­ghi di Yar­mouk, nella mar­to­riata Dama­sco. E degli ebrei che si vogliono rap­pre­sen­tanti di quella bri­gata ebraica che com­batté con­tro la bar­ba­rie nazi­fa­sci­sta hanno pro­blemi ad essere un cor­teo con quella ban­diera? Allora siamo alla per­ver­sione del senso ultimo della Resistenza.

La verità è che quella del gran muftì di allora è solo un pre­te­sto cap­zioso e stru­men­tale. Il vero scopo del pre­si­dente Paci­fici e di coloro che lo seguono — e addo­lora sapere che l’Aned con­di­vide que­sta scelta -, è quello di ser­vire pedis­se­qua­mente la poli­tica di Neta­nyahu, che con­si­ste nello scre­di­tare chiun­que sostenga le sacro­sante riven­di­ca­zioni del popolo pale­sti­nese. Per dare forza a que­sta pro­pa­ganda è dun­que neces­sa­rio stac­care la memo­ria della per­se­cu­zione anti­se­mita dalle altre per­se­cu­zioni del nazi­fa­sci­smo e soprat­tutto dalla Resi­stenza espressa dalle forze della sini­stra. È neces­sa­rio discri­mi­nare fra vit­tima e vit­tima israe­lia­niz­zando la Shoah e cor­to­cir­cui­tando la dif­fe­renza fra ebreo d’Israele ed ebreo della Dia­spora per pro­porre l’idea di un solo popolo non più tale per il suo legame libero e dia­let­tico con la Torah, il Tal­mud e il pen­siero ebraico, bensì un popolo tri­bal­mente legato da una terra, da un governo e dalla forza militare.

Se come temo, que­sto è lo scopo ultimo dell’abbandono del fronte anti­fa­sci­sta con il pre­te­sto che acco­glie la ban­diera pale­sti­nese, la scelta non potrà che por­tare lace­ra­zioni e scia­gure, come è voca­zione di ogni nazio­na­li­smo che non rico­no­sce più il valore dell’altro, del tu, dello stra­niero come figura costi­tu­tiva dell’etica mono­tei­sta ma vede solo nemici da sot­to­met­tere con la forza.

CATANIA: 25 Aprile 1945 – 25 Aprile 2015 La cittadinanza è invitata a partecipare al grande corteo popolare che si svolgerà il 25 Aprile 2015 con partenza alle ore 9.30 in Piazza Stesicoro.

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25 Aprile 1945 – 25 Aprile 2015

Per una nuova Resistenza

Per difendere ed applicare la Costituzione

Per l’occupazione ed il lavoro

Per ripudiare la guerra

Nel 2015 ricorrono il 70° anniversario della Liberazione dal nazifascismo ed il 100° anniversario dell’”inutile massacro” (come è stato definito da Benedetto XV°) della I° guerra mondiale, che è stata dichiarata contro la volontà popolare, dei socialisti, di larga parte del mondo cattolico, degli operai e dei contadini. Si è trattato di un colpo di Stato favorito dalla monarchia, che ha precipitato l’Italia nell’orrore della guerra: Si aprirono così le porte all’avvento del fascismo, strumento del grande capitale e dei ceti medi in crisi.

Con la violenza delle squadre fasciste e dello Stato furono cancellate le organizzazioni operaie e le libertà di tutti, con la lotta partigiana è stato possibile costruire, attraverso la Costituzione repubblicana, un possibile riscatto degli strati popolari e la possibilità di una democrazia avanzata e partecipata.

Solo così abbiamo potuto battere l’obiettivo delle classi dominanti di cancellare le conquiste dei lavoratori ed il valore dell’antifascismo. Abbiamo eccidi, da Portella della Ginestra ai morti di Reggio Emilia, di Catania e Palermo, complotti e repressioni selvagge.

Tutto questo sembra ora ad un punto di svolta. Per legge ordinaria è stato violato l’articolo 1 della Costituzione con la cancellazione dello statuto dei lavoratori, l’articolo 33 che vieta il finanziamento pubblico delle scuole private e sbeffeggiato l’articolo 11 con gli interventi militari in Serbia, Iraq, Afghanistan ed in Libia.

Un governo, eletto da un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, opera per una profonda demolizione del dettato costituzionale, nella direzione di un’inaudita concentrazione dei poteri in ristrette oligarchie.

Occorre, nella ignavia di un Parlamento che accetta la sua eutanasia, organizzare una grande risposta popolare anche attraverso l’uso dello strumento referendario.

LA COSTITUZIONE NON SI TOCCA!

La demolizione delle strutture repubblicane, i progetti sulla forma dello Stato e del governo che sono in discussione rispondono al bisogno della finanza internazionale di spezzare il residuo potere delle coalizioni popolari e sindacali, dei lavoratori dipendenti ed autonomi, dei precari e dei senza lavoro.

Occorre difendere il salario, il controllo dei tempi di produzione e la pensione, tutto quello che è stato costruito con le lotte (dalla sanità alla scuola).

A questo il 25 aprile chiama e con questo chiama la memoria degli uomini e delle donne che per la Liberazione sono morti, quelli massacrati nelle due guerre mondiali, non solo quelli che giacciono nei cimiteri militari ma anche e soprattutto quelli che alla guerra cercarono di opporsi o di sfuggirne, i disertori, quelli fucilati nelle trincee dai regi carabinieri guidati da generali macellai.

La cittadinanza è invitata a partecipare al grande corteo popolare che si svolgerà il 25 Aprile 2015 con partenza alle ore 9.30 in Piazza Stesicoro.

ANPI COMITATO PROVINCIALE DI CATANIA

Riunione per organizzare il 25 Aprile

Il 18 marzo alle ore 18 presso salone CGIL via Crociferi n.40
 Riunione con tutte le associazioni, movimenti, partiti e sindacati per organizzare manifestazioni per il 25 Aprile e nuove iniziative perla difesa della Costituzione e della Democrazia.
Cordiali saluti
santina sconza

25 aprile. lotta antifascista e lotta antimafia Da Repubblica un interessante intervento di Umberto Santino

 

Da qualche anno, per iniziativa dell’ANPI, il 25 aprile è l’occasione per raccordare due lotte: quella contro il fascismo e quella contro la mafia. Si ricordano i nomi dei caduti sui due fronti, affratellati da un impegno comune: la lotta per la democrazia, contro una dittatura politica e contro un dominio criminale. I titoli di due quaderni pubblicati recentemente rappresentano il senso di questo percorso: il primo è Memorie di Cefalonia, il diario di u n sopravvissuto, Giuseppe Benincasa; l’altro è: Dai Fasci siciliani alla Resistenza, con la prefazione di Giuseppe Carlo Marino, scritti di Angelo Ficarra, Umberto Santino, Rino Messina, Gonzalo Alvarez García e un’appendice che riporta alcune pagine del libro sui Fasci di Adolfo Rossi e un testo teatrale di Carmelo Botta e Francesca Lo Nigro. In copertina un disegno degli alunni dell’Istituto comprensivo “Antonio Ugo”, frutto del lavoro svolto dal Centro Impastato con docenti e studenti. Il quaderno è stato pubblicato nel 70° anniversario della Resistenza e nel 120° anniversario dei Fasci siciliani, a cui è stata dedicata una targa che ricorda il processo ai dirigenti di quel movimento svoltosi nell’aprile del 1894, mentre un’altra targa dovrebbe essere posta in via Alloro 97, sulla facciata di palazzo Cefalà, sede del Fascio palermitano e del congresso regionale dei Fasci del 22 maggio 1893.

Questo censimento della memoria era già cominciato con la pubblicazione di un volumetto, I Siciliani nella Resistenza, pubblicato il 25 aprile 1988, a cura delle associazioni partigiane ANPI, FIAP, FVL, è continuato negli anni successivi e sono emersi nomi e storie dimenticati. C’è stata una partecipazione siciliana alla Resistenza. I partigiani siciliani sarebbero 4.600, 605 i caduti, circa 500 i morti nei campi di concentramento tedeschi. Ma c’è stata una Resistenza antifascista in Sicilia, di cui si sa ancora ben poco. Il 7 febbraio 1943 ci fu uno sciopero ai Cantieri navali di Palermo, prima delle agitazioni di Torino; l’8 marzo ci fu una manifestazione delle donne in via Alloro, il 10 giugno c’ è stata un’azione di sabotaggio all’aeroporto Gerbini a Catania, il 3 agosto l’insurrezione contro i tedeschi a Mascalucia e a Pedara, il 12 agosto l’eccidio di Castiglione di Sicilia con sedici morti. E tra i partigiani siciliani caduti solo recentemente si è s coperta  la storia del madonita Giovanni Ortoleva (queste informazioni sono nel saggio di Angelo Ficarra pubblicato nel quaderno sopra ricordato). Più nota la vicenda di Placido Rizzotto, prima partigiano in Carnia e poi dirigente del movimento contadino a Corleone, ucciso dalla mafia nel 1948. Tra i nomi dimenticati c’è quello del palermitano Mario De Manuele, capitano fucilato dai tedeschi nella strage di Nola dell’11 settembre 1943. Una strage che non figura nei libri di storia più noti. Ne hanno parlato solo storici locali. Tre giorni dopo la dichiarazione dell’armistizio dell’8 settembre, i tedeschi della Divisione “Hermann Göring”, sotto il comando di Kesselring, decisero di uccidere dieci ufficiali dell’esercito italiano come rappresaglia per la morte di un soldato e di un ufficiale tedeschi nel corso di scontri suscitati dall’arroganza dei nazisti che chiedevano ai militari italiani la consegna delle armi. Gli italiani sono disorientati. Non sanno ancora se i tedeschi sono alleati o nemici, consentono loro l’ingresso in caserma, gli ufficiali del comando credono di stare parlamentando con i loro colleghi germanici, invece sono messi al muro assieme ad altri ufficiali selezionati con una decimazione e fucilati. È la prima strage nazista dopo la firma dell’armistizio e gli scontri di Nola, a cui partecipano anche civili, sono i primi atti di un conflitto che ben presto si estenderà al resto dell’Italia occupata dai tedeschi. Eppure di tutto questo sono rimaste debolissime tracce. Ben venga perciò questo scavo nella memoria alla ricerca di nomi e volti dimenticati, per una storia ancora in buona parte da scrivere.

Umberto Santino

25 Aprile a Palazzo degli Elefanti da:blog sicilia

25 Aprile a Palazzo degli Elefanti
con tre protagonisti della Liberazione

resistenza

Come da tradizione anche quest’anno, in occasione della ricorrenza del 25 aprile, è stata deposta dall’Anpi una corona d’alloro  all’interno della corte di Palazzo degli Elefanti sotto la lapide che ricorda il sacrificio dei catanesi rimasti uccisi durante la guerra partigiana.

Alcuni dei protagonisti di quegli anni difficili, ma fondamentali per la liberazione del Paese dal nazifascismo, hanno partecipato personalmente alla cerimonia del Municipio. Si tratta dei partigiani Nicola Di Salvo, Salvatore Militti e Antonino Mangano che hanno ricevuto dall’Amministrazione l’elefantino simbolo della città di Catania.  Le celebrazioni per il 69esimo anniversario della Liberazione sono iniziate proprio ieri con una giornata molto speciale in cui i giovani catanesi hanno ascoltato i racconti e le testimonianze di Di Salvo, conosciuto con il nome di battaglia ‘Corsaro’, Mangano (Mitraglia) e Militti (Smit).

Parlando a nome dell’intera Giunta comunale, rappresentata anche da Saro D’Agata, l’assessore alla Cultura, Orazio Licandro ha sottolineato come “la città di Catania consolida i suoi valori di democrazia e di libertà nel segno del ricordo e della gratitudine verso chi ha sacrificato la propria vita per far nascere una Repubblica democratica e antifascista”.

Licandro, nel suo intervento, ha ricordato come “la lezione dei partigiani, i cui valori sono scritti nella Costituzione italiana, è attuale oggi più di ieri. Nei principi fondamentali sono due i cardini attorno ai quali ruota la nostra democrazia: il lavoro e l’istruzione, la cultura”.

Alla cerimonia hanno partecipato anche i deputati Luisa Albanella, Giovanni Burtone e Giuseppe Berretta, la parlamentare regionale Concetta Raia, il sindaco di Misterbianco Nino Di Guardo, i sindacalisti della Cgil Giacomo Rota, Angelo Villari, Pina Palella, e naturalmente la presidente dell’Anpi di Catania Santina Sconza con Claudio Longhitano, Giacomo Palazzolo ed   Emanuel Sammartino.

resistenza

Come da tradizione anche quest’anno, in occasione della ricorrenza del 25 aprile, è stata deposta dall’Anpi una corona d’alloro  all’interno della corte di Palazzo degli Elefanti sotto la lapide che ricorda il sacrificio dei catanesi rimasti uccisi durante la guerra partigiana.

Alcuni dei protagonisti di quegli anni difficili, ma fondamentali per la liberazione del Paese dal nazifascismo, hanno partecipato personalmente alla cerimonia del Municipio. Si tratta dei partigiani Nicola Di Salvo, Salvatore Militti e Antonino Mangano che hanno ricevuto dall’Amministrazione l’elefantino simbolo della città di Catania.  Le celebrazioni per il 69esimo anniversario della Liberazione sono iniziate proprio ieri con una giornata molto speciale in cui i giovani catanesi hanno ascoltato i racconti e le testimonianze di Di Salvo, conosciuto con il nome di battaglia ‘Corsaro’, Mangano (Mitraglia) e Militti (Smit).

Parlando a nome dell’intera Giunta comunale, rappresentata anche da Saro D’Agata, l’assessore alla Cultura, Orazio Licandro ha sottolineato come “la città di Catania consolida i suoi valori di democrazia e di libertà nel segno del ricordo e della gratitudine verso chi ha sacrificato la propria vita per far nascere una Repubblica democratica e antifascista”.

Licandro, nel suo intervento, ha ricordato come “la lezione dei partigiani, i cui valori sono scritti nella Costituzione italiana, è attuale oggi più di ieri. Nei principi fondamentali sono due i cardini attorno ai quali ruota la nostra democrazia: il lavoro e l’istruzione, la cultura”.

Alla cerimonia hanno partecipato anche i deputati Luisa Albanella, Giovanni Burtone e Giuseppe Berretta, la parlamentare regionale Concetta Raia, il sindaco di Misterbianco Nino Di Guardo, i sindacalisti della Cgil Giacomo Rota, Angelo Villari, Pina Palella, e naturalmente la presidente dell’Anpi di Catania Santina Sconza con Claudio Longhitano, Giacomo Palazzolo ed   Emanuel Sammartino.

Quel 25 aprile, 20 anni fa…| Fonte: il manifesto | Autore: Enzo Collotti

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Par­lare oggi del 25 aprile sem­bra deci­sa­mente con­tro­cor­rente, se si pre­scinde dalle cele­bra­zioni rituali e buro­cra­ti­che, e non solo per­ché per ragioni fisio­lo­gi­che la gene­ra­zione della Resi­stenza anno dopo anno si va assot­ti­gliando, ma soprat­tutto per­ché il con­te­sto che ci cir­conda risulta sem­pre più indif­fe­rente ed estra­neo allo spi­rito che con­sentì la pas­sione e l’esperienza della Resi­stenza prima e suc­ces­si­va­mente la rico­stru­zione delle com­po­nenti mate­riali del paese distrutto e della vita demo­cra­tica.
Fa una certa impres­sione con­sta­tare con quanta disin­vol­tura gli alfieri delle ultime sta­gioni poli­ti­che e di quella pre­sente hanno attra­ver­sato e stanno attra­ver­sando pas­saggi essen­ziali della nostra vita poli­tica sulla base di un rozzo empi­ri­smo o del tutto estra­neo ad ogni sol­le­ci­ta­zione ideale ed a ogni rifles­sione sull’origine e sulla matrice della nostra iden­tità democratica.

Ma non mera­vi­glia nep­pure l’indifferenza se non l’idiosincrasia con le quali anche in ambiti cul­tu­rali il rac­conto della Resi­stenza viene stem­pe­rato in un sem­pre più pro­nun­ciato qua­lun­qui­smo delle parole che denun­cia in realtà la lon­ta­nanza dall’oggetto del rac­conto. Ne deriva una sorta di cari­ca­tura della Resi­stenza che non ha nulla a che fare con un natu­rale e neces­sa­rio pro­cesso di sto­ri­ciz­za­zione a oltre settant’anni da que­gli eventi, ma che riflette piut­to­sto uno spi­rito di par con­di­cio pro­fon­da­mente intro­iet­tato nell’opinione comune, quasi a non volere fare torto a nes­suno con il risul­tato di col­lo­care tutte le parti in lotta sullo stesso piano. La pre­sunta equi­di­stanza che tra­duce gli eventi ter­ri­bili del 1943–45 nel ripar­tire il ter­rore da una parte e dall’altra è la nega­zione di quella dispa­rità di valori che fu nella copn­vin­zione di coloro che sali­rono in mon­ta­gna o affron­ta­rono la guer­ri­glia in ambito urbano. Vice­versa, fare la sto­ria a tutto campo facen­dosi carico anche delle ragioni dell’altra parte non vuole dire appiat­tire i ruoli e met­tere tutti allo stesso livello, misco­no­scendo ancora una volta la dif­fe­renza tra chi ha com­bat­tuto per la libertà e chi ha soste­nuto sino alla fine la bru­ta­lità della dit­ta­tura e dell’oppressione. L’anestesia del lin­guag­gio non è che l’espressione in super­fi­cie dell’anestesia della memoria.

Il pro­blema non è solo ita­liano, anche in larga parte d’Europa — è bene ricor­darlo alla vigi­lia di un’importante con­giun­tura elet­to­rale — l’incombenza e l’imponenza della crisi ha fago­ci­tato la memo­ria. Ma il pro­blema rimane par­ti­co­lar­mente acuto per un paese come l’Italia uscito dall’esperienza del fasci­smo le cui tracce riaf­fio­rano ancora e non solo nel costume. Tra­smet­tere alle gene­ra­zioni più gio­vani la memo­ria della Resi­stenza non è più e non sol­tanto un pro­blema di carat­tere sto­rico, di tra­smis­sione della cono­scenza di un momento spar­tiac­que nello svi­luppo di que­sto paese, ma un pro­blema di peda­go­gia civile, di edu­ca­zione civica nel senso più alto e meno dot­tri­na­rio pos­si­bile. Mi piace ricor­dare in que­sto senso il mani­fe­sto che, con Luigi Pin­tor in prima fila, pro­mosse la grande mani­fe­sta­zione della «Libe­ra­zione», il 25 aprile del 1994, venti anni fa a Milano, men­tre l’Italia entrava nel buio tun­nel berlusconiano.

Que­sto vor­rebbe dire riac­qui­sire alla cul­tura poli­tica delle nuove gene­ra­zioni un insieme di valori che la fram­men­ta­zione della poli­tica e la scom­parsa di una cul­tura impe­gnata rischiano di ren­dere obso­leti. Un’opera nella quale sarebbe dif­fi­cile sot­to­va­lu­tare il ruolo della scuola e dei mezzi di comu­ni­ca­zione, non come sem­plice sup­plenza di sog­getti di edu­ca­zione poli­tica come i par­titi che non esi­stono più, ma come pro­mo­tori di pri­mis­simo piano della for­ma­zione di una coscienza civile e cri­tica di cit­ta­dini con­sa­pe­voli dei loro diritti e della fonte di legit­ti­ma­zione della Carta costi­tu­zio­nale che la garantisce.

Il 25 aprile e la fretta di Renzi La presa di posizione dell’Anpi nei confronti della riforma del senato non ha nulla a che fare con la Festa della Liberazione da: europa

Il 25 aprile e la fretta di Renzi

La presa di posizione dell’Anpi nei confronti della riforma del senato non ha nulla a che fare con la Festa della Liberazione

Il 25 aprile e la fretta di Renzi

Egregio direttore, in relazione all’articolo di Mario Lavia (8 aprile 2014, titolo “Davvero un 25 aprile contro Renzi?”), devo rilevare – a prescindere dagli sprezzanti giudizi dell’articolo nei confronti dell’Anpi e dell’evidente insofferenza nei confronti di qualsiasi manifestazione di dissenso e di critica – che l’autore non ha colto nel segno. La presa di posizione dell’Anpi nei confronti della “abolizione” del senato e la promozione di una manifestazione per illustrare ai cittadini i rilievi e le proposte dell’Anpi, non hanno assolutamente nulla a che fare col 25 aprile, che è, e deve restare, festa nazionale della Liberazione.

La vicinanza temporale col 25 aprile della manifestazione che promuoviamo sulle riforme costituzionali è imposta – semplicemente – dalla fretta con cui intende muoversi il presidente del consiglio.

Il ddl costituzionale è già in senato e Renzi lo vuole varare in prima lettura prima del 25 maggio (perché?); dunque, se si vuole fare una manifestazione (e spero che ce ne sia riconosciuto il diritto) non la si può fare quando l’iter del disegno di legge è non solo avviato, ma a buon punto. Se non ci fosse stato l’impegno della nostra organizzazione per un bel 25 aprile, l’avremmo fatta subito. Per correre al passo di Renzi, dobbiamo farla subito dopo, comunque al più presto (ma dopo c’è il primo maggio).

Dunque, nessuna mescolanza e nessuna contraddizione: il 25 aprile sarà dedicato alla Liberazione, alla Resistenza e alla Costituzione che ne è nata. Nell’altra manifestazione si parlerà dei progetti di riforme costituzionali in corso. Tutto qui.

Quanto poi ad associarci a «gruppetti extraparlamentari», viene da sorridere; non siamo un «gruppetto», perché l’Anpi conta 130 mila iscritti; e se siamo «extraparlamentari» è perché non stiamo (giustamente) in parlamento, date le nostre caratteristiche di Associazione libera, indipendente ed apartitica.

Con i più cordiali saluti.

(L’autore della lettera è il presidente nazionale Anpi)

Davvero un 25 aprile contro Renzi? da europa

La riforma costituzionale del governo è foriero di «una grave riduzione della democrazia». Ma così l’Anpi sembra un gruppetto exraparlamentare

La gloriosa Associazione nazionale dei Partigiani interviene nel dibattito sulle proposta di riforma costituzionale del governo, premessa – si legge in una nota – di «una grave riduzione dei margini di democrazia» nel nostro Paese. Al punto che l’Associazione organizzerà una manifestazione «a ridosso del 25 aprile», la ricorrenza della Liberazione dal fascismo.

Come di ricorderà, il 25 aprile del 1994 l’Anpi diede vita ad una grande manifestazione a Milano, peraltro sotto il diluvio, in segno di protesta contro il neonato governo Berlusconi. Quelle immagini, poi riprodotte in Aprile di Nanni Moretti, resteranno nella memoria del paese come uno dei momenti più difficili della sinistra italiana; e simboleggeranno anche la sua vocazione minoritaria.

Adesso – lo scriviamo veramente senza volontà polemica, seppure con massicce dosi di costernazione –  ci domandiamo se sia giusto che la preziosa eredità che i Partigiani consegnano all’Italia di oggi debba mescolarsi con giudizi politici così drastici e unilaterali sull’azione del governo Renzi. Sui quali, beninteso, ogni critica è del tutto legittima e plausibile.

Ma sostenere, da parte di donne e uomini che hanno rischiato la vita per la libertà, che la proposta di superamento del senato, e l’Italicum, costituiscano un attacco ala democrazia italiana  da cui difendersi con la lotta di massa, alla stregua del piano Solo o della P2 o delle Br, beh, questa è grossa davvero.

Per questo, l’appello dell’Anpi meraviglia. E amareggia pensare che un’Associazione così valorosa si comporti come un gruppetto extraparlamentare.