Saluti

Care compagne e compagni amiche e amici

Vi voglio ringraziare per il supporto che mi avete dato in questi anni di presidenza dell’ANPI Provinciale Catania.

La mia scelta di lasciare la presidenza è dovuta ad una riflessione presa da circa un anno, ho resistito fin al Refendum perché avevo a cuore la vittoria del No. La mia scelta è dovuta sia perché non sarò a Catania per lunghissimi periodi ma soprattutto perché credo che ad una certa età si ha il dovere di lasciare che altri più giovani e più in gamba si assumano il dovere di prendersi le loro responsabilità di cittadini e di militanti.

Mi auguro che le critiche siano sempre costruttive e che nessuno possa pensare di usare l’associazione dei partigiani per motivi personalistici.

Desidero ringraziare il nostro presidente nazionale Carlo Smuraglia, la segreteria nazionale e coloro che mi sono stati di grande aiuto, desidero dimenticare per sempre i nomi di chi ha  cercato con motivi sterili di colpirmi  in modo sleale ma hanno sbagliato bersaglio .

Affettuosi saluti

Santina Sconza

Etna, affari e potere Nicolosi: la battaglia della funivia di Fernando Massimo Adonia catanialivesicilia.it

 

I candidati sindaco di Nicolosi si sfidano sul più grande affare: gestire il vulcano attivo più alto d’Europa.

CATANIA – La città di Nicolosi si confronta da sempre con una questione spinosa: la gestione monopolitistica del vulcano più grande d’Europa. Una questione che accende gli schieramenti in vista delle elezioni e che era stata sollevata già nel febbraio dello scorso anno dall’Agcm. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva evidenziato “distorsioni della concorrenza e del corretto funzionamento del mercato” in merito alla gestione delle vie di accesso alle zone sommitali dell’Etna.

I vari servizi esistenti sui due versanti del Vulcano (funivia, impianti di risalita, trasporto su gomma), sono gestiti da due società riconducibili a un unico soggetto privato. Ovvero a Francesco Russo Morosoli, amministratore unico di Funivia dell’Etna Spa che si è difeso sottolineando il suo impegno per far funzionare ogni cosa (LEGGI).

La geografia della questione è lo stesso garante a definirla. “Risulta – si legge nella relazione dell’Antitrust – che la società Star Srl gestisce le vie di accesso alle zone sommitali dell’Etna del versante Nord (Provenzana), ricadenti nei Comuni di Castiglione di Sicilia e Linguaglossa. La società Funivia dell’Etna Spa – prosegue l’Agcm – che indirettamente e interamente controlla Star, gestisce le vie di accesso del versante Sud (Rifugio Sapienza), ricadenti nel Comune di Nicolosi e, in particolare, alcuni impianti di proprietà comunale e altri di proprietà della società stessa, nonché, fra l’altro, sulla base di una concessione prorogata dal 2006 al 2022, servizi pubblici di trasporto di persone, sia nella stagione sciistica invernale sia nella stagione escursionistica estiva, comprendenti anche l’accompagnamento dei turisti con 20 mezzi fuoristrada, sempre di proprietà della società. In particolare, essa gestisce gli impianti comunali di accesso alle zone sommitali dell’Etna in virtù di una concessione rilasciata dal Comune di Nicolosi nel 1991 alla società Sitas Spa, successivamente incorporata dalla società Etna Tur Spa, che ha contestualmente assunto l’attuale denominazione di Funivia”.

Insomma, una questione che tocca direttamente la politica etnea. Il consiglio comunale di Nicolosi ha già approvato una delibera affinché la questione della concorrenzialità del settore segua i principi di libertà. Non un’entrata a gamba tesa, ma un richiamo a quello che dovrà essere uno degli obblighi del civico consesso nicolosita nei prossimi anni. Nel 2022 scadrà infatti la concessione comunale di gestione dell’impianto funiviario; un’operazione che verrà portata a compimento del sindaco e dal consiglio che usciranno dalle prossime consultazioni di Primavera. E se da un lato il primo cittadino in scadenza, il crocettiano Nino Borzì, vuole concludere il mandato inaugurando un percorso di sostanziale liberalizzazione del mercato; tutta l’attenzione è sulle spalle dei candidati sindaco già in campo.

Tant’è che la battaglia per Nicolosi si è trasformata, anche in maniera involontaria, in una caccia alle streghe. L’accusa da schivare è quella di essere nelle attenzioni di Francesco Russo Morosoli. Non lo è Marisa Mazzaglia, donna di cultura politica progressista e attualmente a capo dell’ente Parco dell’Etna, che a Paesi Etnei Oggi ha sottolineato la necessità riformulare l’organizzazione degli impianti sciistici: “Potrebbero essere gestiti potenziando l’offerta in maniera sostenibile con meno impatto ambientale e più prestazioni”. Non lo è Antonio Rizzo, già vice presidente del consiglio Provinciale per il Pd, ed erede diretto dell’esperienza Borzì: “Dobbiamo tener conto di quanto già stabilito dal Consiglio comunale e dal garante della concorrenza” – ha detto a Live Sicilia.

Rizzo tuttavia ritiene che la questione Etna non debba essere intesa contro qualcuno, ma entro una visione economica di sviluppo territoriale: “Bisogna armonizzare la presenza turistica tra Nicolosi Paese e Nicolosi Nord. E pensare al turismo come sistema Etna, potenziando l’offerta invernale, migliorando quindi tutta l’offerta turistica e i servizi resi. Insomma, va ripensato tutto il sistema, sia turistico che commerciale, ma non in funzione di uno solo operatore, bensì a supporto di tutti coloro che operano sul Vulcano”. Un’impostazione che nel concreto così si realizza: “Lamia idea è di acquisire i terreni su cui insiste la seggiovia e trasformare tutto il servizio in una funivia low cost. Così si creano i tasselli della concorrenza”.

Non ci sta a essere annoverato tra i prediletti di Russo neanche il chirurgo vascolare in forza all’ospedale Garibaldi Centro di Catania, Angelo Pulvirenti, la cui proposta civica piace al centrodestra ma anche alla segretaria del circolo Pd di Nicolosi, Maria Grazia Torre. “Bisogna chiedere a Russo se gli sono gradito: non sta a me saperlo. Anzi – dichiara al nostro giornale – Sarebbe opportuno che lui prendesse posizione ufficialmente, che si facesse vivo. Di mio posso dire che non sono sicuramente un portatore d’interessi, non ho terreni sull’Etna, o implicazioni di qualsiasi tipo sul Prg. Sono fuori da questo dibattito ”. Sul contratto di gestione della funivia, il programma di Pulvirenti è in linea con gli altri candidati in campo: “Non farei altro che seguire le indicazioni dell’Agcm. E metterei in opera – conclude – tutti quegli strumenti che possono favorire la libera concorrenza del settore”.

Leggi anche l’operazione “verità” di Francesco Russo Morosoli

Grosseto, riesumati i resti del radarista di Ustica di LAURA MONTANARI da: repubblica.it

La moglie e i figli non hanno mai creduto al suicidio. Mario Alberto Dettori era di servizio nella base di Poggio Ballone, la notte della strage dell’aereo, disse: “Siamo stati a un passo dalla guerra”

Era uno dei radaristi dell’aeronautica militare in servizio nella base di Poggio Ballone, in Maremma, quando avvenne la strage di Ustica, il 27 giugno 1980. Quella notte tornando a casa a Grosseto confidò alla moglie: “Siamo stati a un passo dalla guerra”. Venne trovato impiccato sulla strada per Istia d’Ombrone, in Toscana sei anni dopo, nel 1987. Non venne fatta nemmeno l’autopsia e il fascicolo giudiziario fu frettolosamente chiuso come un caso di suicidio. Ma la famiglia di Mario Alberto Dettori non ha mai creduto al suicidio e adesso la figlia Barbara, appoggiandosi all’associazione antimafia Rita Atria ha presentato in procura a Grosseto nuove carte per riaprire il caso. I resti del maresciallo dell’aeronautica sono stati riesumati su disposizione della procura: “E’ avvenuto lo scorso 16 febbraio” conferma la figlia del radarista grossetano, Barbara Dettori che all’epoca della scomparsa del padre aveva 16 anni. “Non abbiamo mai creduto al suicidio, mio padre non lo avrebbe mai fatto, non era proprio il tipo e aveva tre figli piccoli. Noi siamo convinti che in quel posto non fosse solo – riprende la figlia – Vogliamo la verità”. Mario Alberto Dettori era uno dei testimoni chiave dell’inchiesta sul DC9 dell’Itavia che si inabissò con le 81 persone che erano a bordo. Adesso la procura ha disposto accertamenti sui resti che erano sepolti nel piccolo cimitero di Serpeto e le analisi verranno eseguite presso l’istituto di medicina legale di Siena. La notizia è stata diffusa ieri da alcuni giornali di Siena e dal Tirreno di Grosseto.

“Mio padre aveva paura, venne mandato per tre mesi in una base radar in Francia e tornò molto spaventato” riferisce

la figlia. Dettori dopo la notte di Ustica si era confidato anche con l’ex capitano dell’aeronautica Mario Ciancarella che fu radiato dalle forze armate con un decreto firmato dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, ma la firma di quel provvedimento, a distanza di decenni è stata dichiarata falsa soltanto pochi mesi fa dal tribunale di Firenze. A Ciancarella confidò: “Capitano…siamo stati noi”.

Natalia Aspesi all’Huffpost: “Se vince M5S, mi sparo”. Ma non dà speranze a Renzi: “Se pensa di vincere, non conosce gli italiani” L’Huffington Post  |  Di Nicola Mirenzi

Prima immagina quello che considera lo scenario peggiore: “Se vincono i 5 stelle, mi sparo”. Poi, consapevole che aizzerà gli insulti, alza lo scudo dell’ignoranza: “Per fortuna non so navigare sui social network, perciò non li leggerò”. L’ironia è una delle lingue con cui Natalia Aspesi – giornalista e scrittrice – sa raccontare meglio quel misterioso territorio che è il costume italiano, con i suoi piccoli cambiamenti di gusto e le fascinazioni improvvise, le bizzarrie e l’eleganza, lo stile e le sue cadute, con lo sguardo sempre posato su ciò che si vede a occhio nudo, poiché – come diceva Hegel – “non c’è nulla di più profondo di ciò che appare in superficie” e, a lei, più di tutto, “è sempre interessato raccontare la vita, soprattutto quella degli altri”.

“La carriera politica di Matteo Renzi – dice – è stata così violentata che ormai non lo voterà più nessuno. Forse fra dieci anni, sempre che l’Italia non sia ancora diventata una dittatura fascista come tutta l’Europa, potrà tornare. Ma se lui oggi pensa di poter vincere, significa che non conosce come sono diventati gli italiani: più poveri e più incazzati”.

Anche lei è stata povera.
Mio padre è morto quando avevo quattro anni, mia madre era una maestra di scuola elementare. Al pomeriggio andava a dare lezioni private. Per non lasciare me e mia sorella sole a casa, ci accompagnava al cinema Magenta a Milano, dove continuavamo a vedere vecchi film dell’epoca fascista finché non passava a riprenderci. Così mi sono appassionata al cinema.

E il giornalismo?
Ho fatto il liceo artistico perché a diciassette anni mi avrebbe consentito di lavorare. Facevo l’impiegata in un ufficio che vendeva macchine per fare i formaggi quando un amico che lavorava alla “Notte” mi disse: ‘Scrivevi delle lettere così belle, perché non provi a scrivere anche tu?’. Mi presentai al giornale e mi inviarono a scrivere un reportage sui cani di Bellagio. Mentre prendevo appunti capii che raccontare le cose che avevo di fronte mi avrebbe dato felicità. Non ci avevo mai pensato prima, ma da allora non ho più smesso.

Le venne tutto semplice?
Dopo un anno che collaboravo al giornale, mi chiamò l’amministratore delegato: ‘Non credere che ti assumeremo – mi disse –, non prendiamo donne’. Per fortuna, subito dopo Adele Cambria se ne andò dal “Giorno” e mi chiamarono per sostituirla. I primi sette mesi mi assunsero come impiegata, poi mi fecero subito inviato: non perché mi reputassero brava, ma perché non volevano donne tra i piedi.

Le piacque?
Più di tutto ho amato la cronaca nera e gli anni del terrorismo. So che è terribile usare la parola ‘piacere’ per dire ciò che provavo di fronte a scene come quella della strage di Brescia, con i cadaveri stesi a terra e l’orrore negli occhi di chi era sopravvissuto, ma per me era talmente importante riuscire a raccontare fedelmente ciò di cui ero testimone che provavo un senso di esaltazione, pur sapendo di essere in uno dei momenti più drammatici della storia italiana.

È stata anche in Vietnam.
Ma lì era diverso, mi sentivo buffa. Arrivai all’ultimo mese di guerra. C’erano inviati bravissimi: alcuni rischiavano la vita, altri morivano. Ma la verità è che la maggior parte di noi rimaneva tutto il giorno in piscina. Non faceva per me. Dopotutto, non si può passare dal Cantagiro alla guerra come se niente fosse.

Si trovava più a suo agio a Sanremo?
Andai all’Ariston quando il Festival era ancora un evento primitivo. C’erano Nilla Pizzi, Mina, Nada, Claudio Villa. Era l’epoca in cui i cantanti non avevano ancora agenti, uffici stampa, consiglieri d’immagine, truccatori, costumisti, stilisti. Ed era molto più bello.

Eppure, lei è stata tra le prime a scrivere di moda.
Dovetti molto insistere: per i giornali, era una cosa nuova. Ma c’era un gran fermento: era pieno di personaggi curiosi, gente di talento, piena di idee, che finì per imporre la moda italiana nel mondo. Continuai a scriverne fino a metà degli anni ottanta. Poi arrivò la Milano da bere e tutto diventò pubblicità.

Una volta disse che le sarebbe piaciuto essere un “puttanone”.
Sono cresciuta con l’idea che la cosa più preziosa che avessi fosse la verginità, in un’epoca in cui il sesso fuori dal matrimonio era impensabile. Mi sono adeguata, soffrendo molto. E, invecchiando, mi sono detta che se avessi passato meno tempo a difendermi dalle insidie degli uomini sarei stata più contenta.

Si considera una donna romantica?
Ho vissuto trentotto anni con un uomo, morto quattro anni fa, che ho amato moltissimo, pienamente ricambiata. Ogni volta che vedevo il suo amore per me, mi stupivo: lo consideravo un miracolo. Però sono una donna molto pratica. E non ho rinunciato a nulla della mia vita e del mio lavoro.

Per questo non ha avuto figli?
I figli non sono venuti, e io non ne ho mai fatto un problema. Non sono una di quelle donne che fanno di tutto per avere un figlio e se non ci riescono si incattiviscono.

È un’ossessione?
Sopratutto in questo periodo, le donne desiderano diventare madri. Spesso, è perché sono deluse dagli uomini. Ma sbagliano: si aspettano di trovare nei loro compagni cose che gli uomini non hanno mai avuto e non potranno mai avere, e così compensano con i figli.

Che pensa di Virginia Raggi?
Mi stupisce che una donna come lei – bella, intelligente, che ha la sua vita, un figlio – si sia assunta un compito impossibile da assolvere. Sono stata a Roma un paio di mesi fa e sono fuggita. È una città irriformabile: prima per colpa dei romani, poi della politica.

E Renzi?
La storia criminale del padre, così come la raccontano i giornali, è inconsistente. Renzi è stato più bravo di chi lo ha preceduto, ha governato in un momento difficilissimo per l’Europa. Eppure, non è bastato: gli italiani sono troppo incazzati.

Per questo sperano in Grillo?
Ho sempre detestato chi non vota, ma per la prima volta nella mia vita potrei non farlo. Gli elettori del centrosinistra sono risentitissimi con il Pd e le sue divisioni. E se mi guardo intorno vedo solo un’alternativa: un Movimento guidato da un comico che decide unilateralmente cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Vinceranno?
È evidente che i 5 stelle non sarebbero capaci di governare. Ma è probabile che vincano. Per fortuna, sono molto vecchia: nell’eventualità mi chiuderò in casa, smetterò di leggere i giornali e mi dedicherò alle fiction, sperando che il Creatore mi richiami a sé il prima possibile.

Autore: redazione Migranti, presidio indetto da “Romaccoglie” il 14 marzo in piazza Montecitorio contro il decreto Orlando-Minniti da: controlacrisi.org

La rete “Romaccoglie” lancia un presidio in piazza del Montecitorio per il 14 marzo 2017 alle ore 17.00 per respingere il decreto Orlando-Minniti del 17 febbraio 2017, n. 13 “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonche’ per il contrasto dell’immigrazione illegale e per chiedere al Parlamento di non convertirlo in legge.

Secondo “Romaccoglie, il decreto ”reca un’impronta repressiva e securitaria”; perché tende ad accelerare le espulsioni, nonché l’incremento dei rimpatri forzati, tramite nuovi accordi bilaterali con i paesi di provenienza, anche a costo di violare i diritti fondamentali.
Inoltre, l’apertura dei Centri Permanenti per il Rimpatrio ( nuovo nome per i vecchi “Centri di Identificazione ed Espulsione”) “è inaccettabile sia in quanto rivelatasi fallimentare per le gravi violazioni dei diritti umani che per le condizioni di degrado in cui vi si è detenuti e per gli alti costi.

Senza contare che l’abolizione del secondo grado di giudizio per il riconoscimento del diritto di asilo, è “un intervento che provocherà un incremento del lavoro per la Cassazione, è in netto contrasto con i pronunciamenti della Corte Europea dei diritti dell’uomo”. e sancisce di fatto un “diritto speciale” per i richiedenti asilo.

Anche la videoregistrazione e la trascrizione automatica dei colloqui dei richiedenti asilo con le Commissioni chiamate a esaminare la domanda di asilo, in assenza della presenza del difensore, “rappresenta l’ennesima violazione dei diritti della difesa”,
E il lavoro Volontario gratuito, “non rispetta l’art 36 della nostra Costituzione, dove la retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro garantisce una esistenza libera e dignitosa”.

Secondo Romaccoglie, la gestione del fenomeno migratorio “non significa limitarsi ad un’azione di identificazione e rimpatrio di massa, occorrono norme che favoriscano i flussi d’ingresso, la permanenza regolare dei cittadini migranti, il contrasto al lavoro nero e allo sfruttamento”.

Fonte: The post internazionale (Tpi)Autore: redazione Turchia, le Nazioni Unite denunciato la morte di duemila persone e la violazione dei diritti umani nella zona sudorientale

Le Nazioni Unite hanno denunciato in un rapporto la morte di circa duemila persone nella regione sudorientale della Turchia da luglio 2015 a dicembre 2016 e gravi violazioni di diritti umani nel corso delle operazioni governative di sicurezza nella zona.
Nei documenti si fa riferimento anche a 500mila sfollati soprattutto di etnia curda. Dalle immagini satellitari diffuse si può poi avere un’idea del grado di distruzione della regione. Gli ispettori dell’Onu hanno documentato uccisioni, torture e sparizioni, soprattutto durante il coprifuoco.

Il governo turco non ha consentito agli investigatori di avere accesso nel paese e ha rigettato le accuse. “Le autorità turche hanno contestato la veridicità dei rilievi fatti nel rapporto”, ha dichiarato l’alto commissario delle Nazioni Unite Zeid Ra’ad al Hussein.
Secondo l’organizzazione, ancora più grave è l’assenza di un’indagine interna avviata dalla Turchia per fare chiarezza su migliaia di morti sospette. L’Onu riporta che 800 delle vittime appartenevano alle forze di sicurezza e altri 1.200 avevano compiuto azioni violente contro lo stato.
Nel rapporto, tra i tanti episodi, si fa riferimento alla detenzione di 189 persone nella città di Cizre nel 2016 senza viveri e ai resti carbonizzati di una donna consegnati alla sua famiglia dopo la morte.

Autore: Non Una Di Meno “L’arma impropria dello sciopero femminista”. Intervento di Non Una Di Meno da: controlacrisi.org

Le immagini delle piazze italiane e di tutto il mondo non dovrebbero lasciare dubbi sul successo dello sciopero globale delle donne. Ma le enormi manifestazioni di piazza non bastano a rappresentarlo: i dati, ancora parzialissimi (non sappiamo infatti a quali dati faccia riferimento di vico sul corriere), parlano di un’adesione delle lavoratrici Inps del 24%, ad esempio, questo mentre contemporaneamente la Cgil indiceva assemblee sui luoghi di lavoro, in aperto antagonismo con lo sciopero. A ciò andrebbe aggiunto il dato, non rilevato né rilevabile, dell’adesione nel mondo del lavoro autonomo, precario, gratuito e nero. Uno strumento di lotta svuotato di senso e efficacia dal venire meno di un diritto per una fascia sempre più estesa di lavoratrici e lavoratori è stato, infatti, risignificato e riconsegnato alla sua originaria forza. Lo sciopero generale, negato dai sindacati confederali, è stato praticato in ogni angolo del paese per mettere al centro temi tanto politici quanto concreti, nient’affatto simbolici, se per simbolico si intende testimoniale e astratto. La lotta alla violenza di genere è lotta per l’autonomia, per il salario minimo e per il reddito di autodeterminazione, per la parità salariale. Scioperando vogliamo porre il problema del lavoro di cura (gratuito o sottopagato) che ricade sulle donne; della necessità di un nuovo welfare includente, aperto e garantito. Della libertà di scegliere delle nostre vite senza incontrare ostacoli ideologici o materiali. Scioperando parliamo di un sapere che non è un oggetto neutro ma finora è stato contro le donne; di stereotipi e ruoli prestabiliti; di narrazioni e rimozioni pericolose.La battaglia per riprenderci lo sciopero si è combattuta su ogni posto di lavoro, in ogni scuola, dentro ogni azienda. Centinaia le email giunte a NON UNA DI MENO per sapere come scioperare testimoniano la volontà e insieme la difficoltà di esercitare un diritto costituzionale da troppo tempo appannaggio delle segreterie sindacali più che delle lavoratrici e dei lavoratori. Malgrado ciò, l’occasione di incrociare le braccia tutte insieme in tutto il mondo, di esercitare quindi una forma radicale e concreta di lotta, è stata pienamente raccolta.

Crediamo dunque che l’errore sia stato di quei sindacati, come la Cgil e la Fiom, che non hanno colto questa occasione, anzi l’hanno liquidata, se non combattuta, come possibilità; non hanno voluto cogliere la spinta ideale e politica, constatare il riconoscimento delle donne in una battaglia comune e materialissima.

È significativo che al silenzio registrato il 27 novembre, all’indomani della enorme manifestazione nazionale contro la violenza maschile sulle donne, oggi si sostituisca un coro di disapprovazione. Da autorevoli editorialisti fino alla ministra Fedeli, l’”arma impropria” dello sciopero femminista ha fatto molto male, evidentemente. Dovremmo dedicarci al rammendo, secondo il Corriere della sera. Farci dunque, da brave Penelopi, “custodi dell’Occidente” minacciato da nuovi Proci. Peccato che sia proprio l’“Occidente” delle Grosse Koalitionen, del neoliberismo che si fa governo patriarcale e razzista, dei neo-nazismi, quello che produce la nostra subalternità, la nostra esclusione, le condizioni di una violenza, di uno sfruttamento, di una povertà sempre più duri.
L’appello a cui abbiamo risposto l’8 marzo in più di cinquanta paesi del mondo è a riconoscersi in altro, in qualcosa che va aldilà dei confini, dei generi, delle razze. Le donne si sono fatte le interpreti principali di un grido di riscatto: le nostre vite valgono e non le mettiamo al vostro servizio.
Scioperare non è stato dunque, un errore. Ora torniamo più forti di prima a lavorare al Piano femminista contro la violenza sulle donne. L’appuntamento è per l’assemblea nazionale dei tavoli di lavoro in programma per il 22-23 aprile a Roma. Abbiamo sbagliato a chiedere il pane, oltre le rose? Siamo certe di no. E continueremo a farlo.

Porto: c’è l’esercitazione della Nato, vietati gli scatti Fotografo: «Cancellate immagini e chiesti documenti» da: meridionews.it di Luisa Santangelo

CRONACA – Il professionista Salvo Puccio è stato fermato dai poliziotti mentre, dal molo di Levante, realizzava foto delle dieci imbarcazioni militari ormeggiate nel capoluogo. Le navi dell’Alleanza atlantica ripartiranno lunedì per quella che la Marina definisce «la principale esercitazione nel Mediterraneo». Guarda le foto

«Sono navi militari, non solo italiane ma anche di altre nazioni. Visto il momento storico che stiamo attraversando, è vietato fotografarle per motivi di sicurezza». È l’unica spiegazione che arriva dalla Capitaneria di porto di Catania a proposito del divieto imposto al fotografo catanese Salvo Puccio di immortalare nei suoi scatti lo scenario che in questi giorni si può osservare al porto etneo. Dove, per tutto il fine settimana, rimarranno ormeggiate le imbarcazioni dell’operazione Dynamic manta 2017, un’esercitazione della Nato che si svolgerà – dal 13 al 24 marzo – al largo del mar Mediterraneo. «Erano circa le 11.30 e mi trovavo sul molo di Levante – racconta Puccio – Stavo facendo foto a navi e montagna quando arriva una pattuglia di polizia, un uomo e una donna, e mi dicono che non potevo farlo».

In realtà questa mattina erano tanti i cittadini che si trovavano sulla nota passeggiata. Eppure l’unico a subire il controllo delle forze dell’ordine sarebbe stato proprio il fotografo catanese. «Mi dicono che devo cancellare i file, mi chiedono i documenti e mi controllano per dieci minuti», continua. Gli agenti poi gli spiegano che per fare quel genere di immagini è necessaria un’autorizzazione della Capitaneria «o chi per loro» e che nel frattempo è necessario rimuovere il materiale già scattato. Vale a dire una ventina di immagini.

Salvo Puccio e i poliziotti le cancellano insieme, salvando soltanto quelle che immortalano l’Etna o le cupole di Catania, senza che le imbarcazioni da guerra si intravedano. «È la procedura corretta – conferma il contrammiraglio Nunzio Martello, comandante della Guardia costiera etnea – Il porto è sempre una zona sensibile, in questo momento ancora di più. È chiaro che non si possa impedire una fotografia con un’imbarcazione da diporto, ma immagini che abbiano per soggetto le navi impegnate nell’operazione della Nato devono essere autorizzate, non possono essere realizzate da chiunque».

In totale, le banchine dell’infrastruttura portuale etnea ospitano dieci tra navi e sommergibili dell’Alleanza atlantica. Si tratta di imbarcazioni militari di Francia, Grecia, Inghilterra, Italia, Spagna, Turchia e Stati Uniti, che rimarranno ferme fino a lunedì mattina, quando riprenderanno il mare per dirigersi intanto verso la zona di Augusta. E da lì dare il via a quella che la Marina militare italiana definisce «la principale esercitazione della Nato nel Mediterraneo, dedicata all’addestramento anti sommergibile», si legge in una nota della Marina militare italiana. Una serie di simulazioni che avranno l’obiettivo di «incrementare la capacità di combattimento in contesti operativi multinazionali». E in questo senso, nei prossimi giorni, sarà attivata anche la base aerea di Sigonella.

Salvini a Napoli, de Magistris: “Gli scontri, colpa di chi non mi ha ascoltato” da: repubblica.it

Luigi de Magistris 

“Violenti hanno sporcato una manifestazione dal forte contenuto politico”

Intorno alla vicenda Salvini alla fine a Napoli è stata guerriglia urbana. “Vorrei riproporre – dice a Enzo Quaratinno dell’ Ansa il sindaco Luigi de Magistris – le immagini del corteo: un fiume di diecimila persone che partecipavano ad una manifestazione pacifica, dove prevalevano unicamente l’orgoglio dei napoletani, l’ironia e il forte contenuto politico dell’iniziativa. Le immagini finali feriscono la potenza politica di quella manifestazione, dagli alti contenuti democratici. Prendo le distanze dai violenti che non incarnano lo spirito autentico, pacifico, della città che io rappresento”.

Di chi le responsabilità?
“Di chi ostinatamente non ha voluto ascoltare il messaggio di buon senso del sindaco e dell’amministrazione. Noi non abbiamo mai detto ‘no Salvini a Napoli’. Il sindaco ha semplicemente espresso la contrarietà ad un’iniziativa assolutamente inopportuna: la presenza alla Mostra d’Oltremare, in un luogo dell’amministrazione o comunque riconducibile all’amministrazione, di un esponente politico, Salvini appunto, che si è distinto per apologia del fascismo, atteggiamenti xenofobi e razzisti. E che, all’insegna dello slogan ‘Napoli colera’, ha fatto della sua vita politica un atto di fede contro Napoli e il sud. Ma qualcuno non ha voluto sentire ed ha alzato a dismisura il livello dello scontro. Salvini avrebbe potuto benissimo essere a Napoli e fare la sua propaganda politica xenofoba e razzista in un altro luogo privato, non riconducibile all’amministrazione. Non ci sarebbe stata l’imposizione nei miei confronti, che ho solo difeso la città”.

E’ scontro ora tra Lei e lo Stato?
“A Napoli io sono il sindaco, dunque sono lo Stato. Approvo le scelte opportune, critico quelle sbagliate, come quella del ministro Minniti, che ha voluto imporre Salvini alla Mostra d’Oltremare. Per me parlano i miei trascorsi di non violento, di magistrato, di napoletano orgoglioso di esserlo e al servizio della gente. Proprio per questo anche oggi, come sempre, prendo le distanze da ogni forma di violenza. Napoli ha mille problemi e non aveva proprio bisogno di queste tensioni”.

Perché non ha partecipato al corteo?
“Non era il corteo del sindaco. Era stato indetto da pezzi della città vera, ed è stato un corteo molto bello. Fino a quando episodi violenti hanno sporcato la forza politica di quell’iniziativa. E’ assolutamente necessario distinguere tra i veri napoletani e i violenti che nulla a che fare con Napoli e la sua storia”.

Sindaco, si sente un pò

responsabile?
“Assolutamente no. Io fin dal primo momento ho avuto parole chiare e nette, e la mia storia non può essere messa in discussione. La responsabilità per quello che è accaduto va cercata in chi, forse non senza motivo, ha voluto alzare il livello dello scontro”.

Ha sentito il ministro Minniti?
“Oggi no”.

Ieri?
“Mi fermo qui…”.

Il bandito della Guerra fredda da woodpress.com Un libro di Pietro Orsatti per Imprimatur editore

Sovranità limitata. Il diario del generale Castellano

Con questo post inizia il rilascio di documenti e testimonianze alla base della ricerca del libro “Il bandito della Guerra fredda” di Pietro Orsatti per Imprimatur editore.

Il documento, il diario del generale Giuseppe Castellano dal 25 luglio al 29 agosto 1943, testimonia come si giunse alla firma dell’armistizio fra gli Alleati e l’Italia avvenuto a Cassibile il 3 settembre 1943. Conservato negli archivi nazionali statunitensi (NARA) nel Casellario dell’Oss (Office of Strategic Services, i servizi segreti americani dell’epoca che in seguito si trasformeranno nella Cia) e desecretato fra il 2003 e il 2004 (RG 226 , numero 33854, serie 92, busta 621, fascicolo 5).

Si tratta del racconto in prima persona delle trame (come racconta lo stesso Castellano del colpo di stato) che portò alla caduta di Mussolini, dell’atteggiamento assolutamente folle i irrealistico dei Savoia e del loro entourage e dei primi incontri che lui stesso ebbe a Madrid e Lisbona che portarono all’armistizio. Che fu una resa senza condizioni.

Il punto di partenza.

In seguito Castellano in Sicilia si macchiò della strage del pane a Palermo del 19 ottobre 1944 e degli incontri con i principali capi mafia (primo fra tutti Calogero Vizzini) per “Formation of Group favoring  Autonomy under direction of Maffia (sic)”.

Scrive Castellano:

La mattina del 19 agosto, Campbell mi invita a casa sua per le ore 22.30. Qui incontro George Kennan (l’incaricato d’affari americano), il generale Smith (capo di gabinetto del generale Eisenhower) e il brigadiere Strong, dell’esercito britannico. Sono arrivati da Algeri poche ore prima apposta per potermi incontrare. L’ambasciatore mi presenta. I presenti mi salutano con un cenno del capo. Nessuno mi stringe la mano. Ci sediamo. Il generale Smith inizia a leggere un foglio con i termini dell’armistizio. Io lo ascolto con attenzione e mi accorgo di essere dinanzi ad una nuova situazione, diversa da quella affrontata con Hoare. Chiarisco agli astanti di non aver mai parlato di armistizio, di essere lì per studiare la situazione e per offrire la collaborazione delle truppe italiane. Il generale Smith mi informa che il documento è stato preparato dal generale Eisenhower all’indomani della caduta di Mussolini, prima ancora che io iniziassi a muovermi. Negli ultimi giorni è stata aggiunta al documento solo una pagina supplementare contenente le decisioni prese da Roosevelt e da Churchill. Sono stati avvertiti delle mie richieste da Hoare. Viene poi letto un secondo documento. Io replico che i punti della discussione sono altri. Il generale Smith mi risponde seccamente: ha ordini di trasmettermi i due documenti e mi chiede di accettarli integralmente e senza condizioni.

SCARICA IL DOCUMENTO INTEGRALE 

Nella foto, da sinistra a destra: Brigadier Kenneth W. D. Strong, Generale di Brigata Giuseppe Castellano, Generale Smith e Franco Montanari del ministero degli esteri italiano, 3 settembre 1943