Ddl Buona scuola, il 5 maggio prof e studenti insieme contro la riforma di Renzi. Lo scenario della protesta da: left

Ddl Buona scuola, il 5 maggio prof e studenti insieme contro la riforma di Renzi. Lo scenario della protesta

Nel silenzio generale, si avvicina a grandi passi il 5 maggio. Il giorno della mobilitazione contro il ddl della Buona scuola viene snobbato dalla “grande” stampa, eppure è tutto il sistema scolastico che è in fermento. Impossibile non avvertire il terremoto in atto. Un evento epocale che forse non si era verificato nemmeno negli anni dopo il fatidico 2008, l’inizio della mannaia Tremonti-Gelmini (8 miliardi di tagli all’istruzione).

20150503_Sciopero_Scuola_LocandinaLe fiamme covano sotto le ceneri che il ddl avrebbe sparso ridisegnando la scuola italiana. E tutto questo avviene tra flashmob, assemblee, incontri e mille iniziative in rete, mentre in commissione Cultura e Istruzione della Camera si sta procedendo a tappe forzate per approvare il ddl 2994 alias della Buona scuola. Giorni decisivi per la scuola del futuro. E se la partecipazione alla sciopero generale “L’unione fa la scuola”, questo lo slogan del 5 maggio, sarà massiccia e le scuole rimanessero chiuse, il governo e la maggioranza che faranno? Come non tenerne conto? Se così accadesse, se il governo dovesse andare avanti per la propria strada, incurante delle voci provenienti dalla società, allora avremo un’altra prova della deriva che sta prendendo questo Paese.

I protagonisti della protesta: 750mila docenti

  1. Per la prima volta dopo sette anni scenderanno in piazza tutte le sigle sindacali. E cioè: Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Snals Confsal e Gilda, oltre a Cobas e Unicobas,che pure aveva scioperato il 24 aprile. Sono state organizzate manifestazioni in alcune città dove confluiranno i manifestanti di altre regioni. Eccole: Aosta, Bari, Cagliari, Catania, Milano, Palermo, Roma. Le mappe e i percorsi delle singole manifestazioni. A Roma un corteo partirà da piazza della Repubblica alle ore 9.30 per arrivare a piazza del Popolo verso le 11.
  2. Sono coinvolti docenti precari ma anche quelli di ruolo che vedono peggiorare la loro situazione. Il ddl, ricordiamo, che doveva stabilizzare all’origine 151mila precari delle Gae, poi è riuscito nell’impresa di lasciarne a casa cinquantamila, oltre agli idonei e coloro con più di 36 mesi di insegnamento. E il famoso decreto legge riservato solo per loro, in modo da garantirne l’assunzione a settembre, non è mai arrivato. Anzi, il fatto che la questione “precari” sia rimasta all’interno del ddl è visto come una forzatura, una sorta di ricatto, per far approvare rapidamente il testo in toto, pena la non stabilizzazione tanto attesa. Tra l’altro, sono previste anche molte deleghe lasciate al governo  in materia di semplificazione che ridisegneranno il testo unico della scuola. E quindi tanto affanno sugli emendamenti ma poi alla fine deciderà il governo sui temi che contano, come segnala molto bene Roars.
  3. Partecipano allo sciopero anche i dirigenti scolastici. “Alla “Buona scuola” non serveil preside nominato dai politici e da loro revocabile. In ognuna delle 8.500 scuole della Repubblica deve esserci un dirigente scolastico selezionato secondo il merito e attraverso un pubblico concorso”, dicono i dirigenti dei sindacati che promuovono lo sciopero. Una presa di posizione contro l’articolo più contestato del ddl, che trasformerà la scuola italiana in un’azienda guidata da un manager con tutti i poteri, sia di scelta degli insegnanti, che della loro valutazione.
  4. Partecipano in massa anche gli studenti. Con un bell’appello i ragazzi dell’Udsinvitano a scendere in piazza insieme ai prof per difendere la democrazia. Mobilitati anche gli studenti universitari del coordinamento Link che per domani 4 maggio hanno convocato alla Camera una conferenza stampa sulle modalità dell’abilitazione e del reclutamento futuro. E’ la campagna #iovoglioinsegnare. Sì, perché molti giovani che frequentano l’università vorrebbero insegnare… Il 5 maggio ci sarà anche il coordinamento Link-Rete della conoscenza in piazza: Università e Scuola insieme.

Il ddl Buona scuola e le “truffe semantiche”

Mentre il mondo della scuola si prepara a scendere in piazza il ddl è oggetto di una vera e propria prova di forza della maggioranza. Lo dice senza mezzi termini la delegazione M5s che durante la conferenza stampa del 30 aprile alla Camera, ha comunicato la propria decisione di lasciare i lavori della commissione insieme a Sel e alle altre forze d’opposizione. Il deputato Gianluca Vacca parla di “truffe semantiche”: non è vero che gli emendamenti presentati dal Pd rendono più soft la figura del preside-sceriffo. Per esempio, sostiene Vacca, l’articolo 2, comma 8 e 9, nell’emendamento della relatrice Coscia sembra che “l’elaborazione del piano triennale passi dal dirigente scolastico al collegio dei docenti, ma solo in apparenza – continua l’esponente M5s – perché i criteri generali verranno definiti dal dirigente scolastico”. Per la chiamata diretta da parte del dirigente, inoltre, il Pd farà muro, sostiene Vacca. Inoltre a partire da domani entra in funzione la “ghigliottina” per cui si potranno presentare solo 2 emendamenti per articolo. I tempi sono contingentati per permettere la votazione finale in aula il 19 maggio. E allora i Cinque stelle hanno deciso di abbandonare la Commissione, definita una farsa.

Critiche al ddl, per come è stato scritto e per le irregolarità contenute che renderebbero il suo percorso a ostacoli giungono anche dal Comitato per la legislazione della Camera, come scrive il Fatto quotidiano.

In una tale situazione di confusione arriva la giornata del 5 maggio. Per la quale un gruppo di insegnanti ha pensato un ipotetico Consiglio di classe per un ipotetico alunno chiamato Matteo, come leggiamo nel bel post di Marina Boscaino, che è, ricordiamo, tra i promotori della Lip, la legge di iniziativa popolare (relatori M5s e Sel, tra gli altri) che scritta dopo anni di consultazione dal basso, è approdata in Commissione Istruzione, nel totale disinteresse dei deputati Pd e dei burocrati della Buona scuola. La Lip promuove una Buona scuola per la Repubblica e sarebbe stato interessante vedere come poteva integrare il ddl della Buona scuola.

Cosa scrivono i prof  sull’alunno Matteo:

“Giorno 5 maggio consiglio di classe straordinario: 750.000 docenti si riuniranno per discutere sul caso dell’alunno Matteo. L’alunno mostra poca partecipazione alle diverse attività, poco sensibile ai richiami, conosce le norme che regolano la vita della comunità, ma non sempre le rispetta.  Non ha ben sviluppato la capacità di ascolto: si distrae facilmente. Maggiori lacune si manifestano nello sviluppo delle competenze della lettura e comprensione di diversi testi scritti.  Gli insegnanti, al fine di potenziare e facilitare lo sviluppo delle capacità apprenditive, presentano un programma /percorso di recupero individualizzato volto a guidare l’alunno alla conquista di capacità logiche , scientifiche ed operative, ed alla progressiva maturazione della coscienza di sé e del proprio rapporto con il mondo esterno”.

Scuola, il governo boicotta lo sciopero generale del 5 maggio Fonte: Il ManifestoAutore: Roberto Ciccarelli

Rin­viati i quiz Invalsi pre­vi­sti nello stesso giorno dello sciopero generale contro la riforma Renzi sulla Scuola. Esplode la pro­te­sta di sin­da­cati e stu­denti: «Un attacco al diritto di scio­pero» e al «diritto al dissenso»Dopo l’accusa di «squa­dri­smo» rivolta ai docenti e agli stu­denti che hanno con­te­stato venerdì scorso la mini­stra dell’Istruzione Ste­fa­nia Gian­nini alla festa dell’Unità di Bolo­gna in nome del det­tato costi­tu­zio­nale e con­tro il Ddl «Buona Scuola», il governo con­ti­nua l’attacco al diritto al dis­senso rin­viando le prove Invalsi alle pri­ma­rie dal 5 mag­gio al 6 e 7 mag­gio. Restano con­fer­mate le altre date delle prove di mate­ma­tica, ita­liano e i quiz: il 12 mag­gio nelle classi «Ti» nelle secon­da­rie di secondo grado e il 19 giu­gno nell’esame di stato con­clu­sivo del primo ciclo di istru­zione. Per tutti i sin­da­cati e gli stu­denti è un attacco allo scio­pero gene­rale, e alle mani­fe­sta­zioni stu­den­te­sche, pre­vi­ste il 5 maggio.

Per l’Invalsi, un isti­tuto di ricerca dipen­dente dal mini­stero dell’Istruzione, su tratta di uno spo­sta­mento dovuto alla neces­sità di assi­cu­rare l’attendibilità «scien­ti­fica» dei dati. Il 5 mag­gio, infatti, le scuole saranno deserte, o chiuse, con­si­de­rata l’altissima ade­sione allo scio­pero con­tro il governo Renzi e il Ddl 2294 sulla scuola attual­mente in discus­sione in par­la­mento e da appro­vare «entro metà giu­gno». Una spie­ga­zione che non ha sod­di­sfatto per nulla gli oppo­si­tori del governo. Per i Cobas, che ave­vano ini­zial­mente con­vo­cato da soli il 5 mag­gio uno scio­pero gene­rale con­tro la «scuola dei quiz» Invalsi e la «Buona Scuola» è un «intol­le­ra­bile impo­si­zione, ille­git­tima e anti­sin­da­cale» del Miur.

«Pro­ce­de­remo subito per via legale — ha detto Piero Ber­noc­chi . deci­siva è la corale pro­te­sta dei lavo­ra­tori e dei sin­da­cati che co-promuovono lo scio­pero del 5». L’obiettivo è «bloc­care lo scia­gu­rato prov­ve­di­mento che apri­rebbe la strada all’annullamento per via ammi­ni­stra­tiva dello stesso diritto di scio­pero». «L’Invalsi — pro­se­gue Ber­noc­chi — ère­vede la pos­si­bi­lità di rin­vio solo in casi ecce­zio­nali». Ma que­sta richie­sta avrebbe dovuto essere avan­zata entro il 12 dicem­bre 2014, con pro­to­collo ante­ce­dente al 28 otto­bre dello stesso anno. I Cobas pro­se­gui­ranno la mobi­li­ta­zione con­tro i quiz anche il 6 e il 12 mag­gio. «L’aspetto più grave della vicenda è che il sistema Invalsi è al cen­tro dell’impianto del Ddl Renzi» sostiene Usb scuola che pro­cla­merà il blocco delle atti­vità fun­zio­nali all’insegnamento rela­tive alle prove Invalsi per la scuola pri­ma­ria il 6 e 7 mag­gio e per quella secon­da­ria il 12 mag­gio. Il rin­vio di 24 ore delle prove «dimo­stra la debo­lezza del Governo» a parere del segre­ta­rio gene­rale della Uil scuola, Mas­simo Di Menna.

La Gilda degli inse­gnanti parla di una «stra­te­gia per boi­cot­tare la grande pro­te­sta con­tro la rifor­mka del governo Renzi». «Ci chie­diamo chi abbia asse­gnato que­sto potere al pre­si­dente dell’Invalsi Anna Maria Ajello — domanda Rino Di Meglio (Gilda), il quale sol­leva il dub­bio che il rin­vio sia dovuto alle pres­sione di «qual­che diri­gente sco­la­stico». «In tal caso — sostiene — si trat­te­rebbe di una grave inge­renza».
Di «attacco al diritto al dis­senso» e di «annul­la­mento del diritto di scio­pero», parla anche Danilo Lam­pis (Unione degli Stu­denti): «È un atto gra­vis­simo e senza pre­ce­denti — sostiene — Il governo con­ti­nua a mil­lan­tare un pro­cesso demo­cra­tico ine­si­stente. Da mesi sono ina­scol­tate le pro­te­ste con­tro la “Buona Scuola”, la reto­rica di Renzi e Gian­nini sta diven­tando ridi­cola. Lo spo­sta­mento delle prove è la prova del loro atteg­gia­mento anti-democratico».

Quello dei quiz-Invalsi, e della valu­ta­zione di tipo quan­ti­ta­tivo e deter­mi­ni­stico, è l’ultimo fronte pole­mico aperto dal governo con­tro lo scio­pero del 5 mag­gio. A com­pli­care una situa­zione già tesa è l’accusa di «squa­dri­smo» rivolta dalla mini­stra Gian­nini a chi la con­te­sta. Nel Pd ha pro­vo­cato un’alzata di scudi da parte di Ste­fano Fas­sina e, ieri, del pre­si­dente Orfini e del vice-segretario Gue­rini: «è sba­gliato impe­dire di par­lare come bol­lare di squa­dri­smo chi dis­sente» hanno detto. «Espri­mere il dis­senso su un brutto Ddl non è lesa mae­stà — ha detto Dome­nico Pan­ta­leo (Flc-Cgil) La con­te­sta­zione subìta, anzi­ché indi­gnarla, dovrebbe indurre la mini­stra Gian­nini a riflet­tere. E con lei la sena­trice Puglisi e la diri­genza Pd».

La guerra della scuola agli omosessuali Tra boicottaggi, licenziamenti e “manuali” da: l’espresso

La guerra della scuola agli omosessuali
Tra boicottaggi, licenziamenti e “manuali”

Negli istituti italiani si fa sempre più feroce la battaglia di associazioni dei genitori e organizzazioni religiose per “bandire la teoria del genere” e “difendere la famiglia tradizionale”. Con il risultato che si moltiplicano gli episodi di omofobia e i dibattiti sulla sessualità vengono banditi

di Arianna Giunti

16 gennaio 2015

La guerra della scuola agli omosessuali 
Tra boicottaggi, licenziamenti e manuali

Avevano promesso la guerra al mondo “omosex” e a una non meglio precisata “teoria del genere”. Avevano annunciato che si sarebbero battuti affinché nelle aule scolastiche parole come “gay”, “lesbiche”, “transgender” ma anche “monofamiglie” e “unioni civili” non entrassero mai. E la promessa è stata mantenuta.

La chiamano “battaglia a difesa della famiglia tradizionale”, è promossa da associazioni e organizzazioni religiose, e in teoria dovrebbe semplicemente sponsorizzare l’importanza e la bellezza di un’unione composta da uomo e donna. In realtà, si tratterebbe di una campagna di boicottaggio verso qualsiasi tentativo di spiegare l’omosessualità in classe, che sta avendo come teatro alcuni istituti scolastici e che rischia di avere conseguenze deleterie. Poiché gli effetti – come dimostrano recenti fatti di cronaca – si sono già cominciati a far sentire.

Un insegnante omosessuale costretto a dimettersi e un alunno preso a calci in aula da un professore che gli avrebbe urlato “essere gay è una brutta malattia”, tanto per fare due esempi.

vedi anche:

Scuola media

“Io, insegnante gay, costretto a dimettermi”

La storia di Daniele Baldoni, docente di danza in una scuola privata, andato via dall’istituto dopo che alcuni genitori si erano lamentati per il suo “stile di vita non adatto”. Non gli andava a genio la sua omosessualità

Scenario di entrambi gli episodi, la cattolicissima Umbria. Da dove questa campagna è partita e si è poi estesa in quasi tutta Italia, come risulta a l’Espresso e come conferma l’associazione Arcigay, che oggi lancia l’allarme parlando di “clima di odio” e che continua a ricevere segnalazioni quasi quotidiane da parte di allievi, insegnanti e genitori laici, preoccupati da questa “deriva oscurantista”.

E’ iniziato tutto – appunto – nella provincia di Perugia, dove le famiglie di alcuni studenti si sono viste recapitare fuori dalle scuole un “manuale di autodifesa dalla teoria del gender”, redatto dal forum delle Associazioni familiari dell’Umbria e dall’organizzazione La Manif Pour Tous Italia, che riunisce varie confessioni religiose. Il vademecum in questione – senza troppi giri di parole – invita i genitori dei ragazzi a boicottare ogni tentativo di affrontare l’argomento omosessualità in classe e a rifiutare negli istituti scolastici gli incontri con rappresentanti di associazioni gay, esponenti della “cultura omosessuale” o “la diffusione di materiale didattico pericoloso”. Sul sito dell’organizzazione, inoltre, compare una lista di asili “gay friendly” dai quali stare alla larga. “Controllate costantemente che nella scuola di vostro figlio non si parli di omofobia. Sono parole chiave che nascondono l’indottrinamento della teoria del gender. Controllate ogni giorno i loro quaderni e diari. E date l’allarme!”, si legge nel decalogo distribuito alle famiglie.

Rapidamente, il manuale di autodifesa si è diffuso anche in altre regioni italiane. In Veneto, per esempio. A Venezia recentemente alcuni insegnanti di religione sono corsi ai ripari improvvisando lezioni nelle quali si mettono in guardia i ragazzi “dalle insidie dell’ideologia omosessuale” mentre a Verona il consiglio comunale ha approvato una mozione “per monitorare i progetti di educazione sessuale e affettiva nelle scuole cittadine” .
E così dall’autunno scorso le scuole veronesi sono tenute, in base alla mozione, ad avvertire preventivamente i genitori dei corsi e degli approfondimenti sulla sessualità, e allo stesso tempo il Comune è impegnato a raccogliere eventuali segnalazioni e proteste da parte delle famiglie preoccupate che nelle ore di educazioni civica si parli “di famiglie omosessuali, adozione e relazioni gay”.

vedi anche:

Flavio Tosi

Gay a scuola, ancora battaglia

Il Comune di Verona ha approvato un “Ordine del giorno” in cui si chiede al sindaco di istituire un osservatorio pro-famiglia tradizionale. Per bloccare gli insegnamenti che metterebbero a rischio “la morale” in classe. Proprio mentre Tosi diceva sì alle coppie di fatto. E l’attacco all’educazione laica arriva anche altrove

Neppure la Capitale è rimasta immune alla “crociata”. Nel celebre liceo romano Giulio Cesare è finito in rissa – e con un ricorso al Tribunale civile da parte dei genitori – il tentativo da parte di un docente di far leggere agli studenti alcuni passaggi di un romanzo di Melania Mazzucco, che descriveva scene di amore omosessuale.
In Piemonte la situazione non sembra essere migliore. Eppure nelle aule scolastiche, di educazione alla sessualità (di qualunque genere), ci sarebbe proprio bisogno. Soprattutto per permettere agli studenti di superare paure e pregiudizi. Visto che i casi di omofobia continuano a essere all’ordine del giorno.

All’istituto Pininfarina di Moncalieri, per esempio, è ancora in corso un’inchiesta interna sulla frase pronunciata lo scorso novembre da un’insegnante di religione: “Dall’omosessualità si può guarire con la psicanalisi, perché è un problema psicologico”, avrebbe detto la donna.

Racconta a l’Espresso Giorgio B., 16 anni, studente del Pininfarina e attivista di Arcigay Torino: “Per anni ho dovuto subire battute e minacce più o meno velate, per via della mia omosessualità. Poi ho deciso di fare coming out, con i miei compagni e con la mia famiglia, ed è stata una liberazione. Da allora ho cominciato a ricevere lettere, sfoghi, segnalazioni da parte di studenti di tutta Italia. E mi sono reso conto che la situazione è allarmante. L’omofobia non può più essere tollerata come semplice “libertà di opinione” ma trattata per quella che è: discriminazione”.

A riferire un panorama inquietante è anche una recente indagine effettuata Studenti.it, popolarissimo portale dedicato agli allievi delle scuole medie e superiori. Secondo loro, il 58 per cento degli studenti italiani ha subito o ha direttamente assistito in prima persona a episodi di omofobia. Nei dettagli, il 38 per cento riferisce di essere stato testimone di episodi di discriminazione e di omofobia da parte di studenti verso altri studenti, il 12 per cento dichiara di aver assistito a episodi di questo genere da parte di professori ai danni degli allievi e l’8 per cento rivela di esserne stato vittima in prima persona.

A spiegare bene la situazione è il circolo Arcigay Omphalos di Perugia, il primo a denunciare la diffusione degli “opuscoli di autodifesa dalla teoria del gender”. “Questo è il risultato delle campagne di odio che i movimenti oltranzisti cattolici e di estrema destra stanno portando avanti in tutto il Paese – spiega il presidente Patrizia Stefani – Le loro manifestazioni, apparentemente silenziose e rispettose, sono invece intrise di odio e discriminazione non solo verso le famiglie “arcobaleno”, ma anche verso chiunque non condivida con loro una visione di ‘famiglia tradizionale’”. “Con sospetto e diffidenza – aggiunge Stefani – vengono guardate anche le famiglie composte da un solo genitore o da coppie conviventi che hanno figli senza essere regolarmente sposate”.

Contattata da l’Espresso, l’associazione La Manif pour tous – co-autrice del vademecum “contro l’ideologia del genere” – respinge al mittente ogni accusa, parlando di semplice libertà di espressione: “Sono stati gli stessi genitori dei ragazzi a chiederci di redigere questa guida – spiega il presidente Filippo Savarese – tutto questo perché le famiglie sono intimorite dagli incontri che avvengono a scuola con le associazioni pro-gay e vogliono poter scegliere l’educazione da impartire ai propri figli”.

“Basti sapere – aggiunge Savarese – che la nostra raccolta firme online a difesa della famiglia tradizionale ha già raggiunto quasi 21mila adesioni”.

A chi li accusa di essere omofobi (l’associazione si scaglia apertamente contro l’entrata in vigore di una legge contro l’omofobia), rispondono: “Essere contro le unioni gay non significa essere omofobi”. Sul sito dell’associazione, però, alla voce “tredici motivi per dire ‘no’ alla legge sull’omofobia” compare un articolo firmato dall’avvocato Gianfranco Amato, presidente di Giuristi per la Vita, già autore di controverse dichiarazioni sul matrimonio omosessuale nelle quali paragonò il matrimonio fra due uomini  a quello fra “un uomo e un cane”. Stavolta l’avvocato – invocando la libertà di espressione – cita le Sacre Scritture: “l’omosessualità rappresenta una grave depravazione, Il catechismo definisce l’omosessualità come un insieme di atti intrinsecamente disordinati e contrari alla legge naturale. Se questa legge fosse approvata dirlo diventerebbe un reato”.

A spingere la discussione più in là, sottolineando una mancata presa di posizione del governo in materia di educazione “al diverso”, è invece l’associazione Equality Italia, che si occupa di diritti, e che ricordando il vuoto legislativo in materia di omofobia lancia un vero e proprio “j’accuse” al governo Renzi, colpevole di aver fatto troppo poco in questo campo: “Il ministro dell’Istruzione Giannini ci deve spiegare una volta per tutte se sta con la laicità della scuola o con le organizzazioni religiose, vista la mancanza di educazione alle differenze nelle aule scolastiche”, dichiara il presidente Aurelio Mancuso. “Ma la responsabilità di questo ‘Medioevo di ritorno’ non è solamente del ministero dell’Istruzione – aggiunge Mancuso – perché quando ci sono casi di omofobia, sia ai danni di studenti che di insegnanti, non possiamo far a meno che notare un assordante e gravissimo silenzio da parte dei sindacati della scuola. Una situazione che ci fa sentire tremendamente soli”.

FLC CGIL: Senza risorse “La buona scuola” è solo uno spot pubblicitario da: controlacrisi.org

Le bugie del Governo hanno le gambe corte. Renzi aveva promesso di mettere l’istruzione, la formazione e la ricerca al centro dell’attenzione del Governo. Il piano “La buona scuola” doveva essere l’inizio di una inversione di tendenza rispetto alle scelte devastanti dei governi precedenti fatte di tagli epocali di risorse e di personale.In realtà non vi è alcun segnale di cambiamento. Nella Legge di stabilità si bloccano ulteriormente i contratti nei settori pubblici, si tagliano le risorse al diritto allo studio e a tutti i comparti della conoscenza. Gli scatti di anzianità nella scuola saranno cancellati con conseguenze catastrofiche per i salari di docenti e personale ATA. Il paradosso è che da un lato si intende stabilizzare una parte dei precari e dall’altro si licenziano altri precari a partire dal personale tecnico-amministrativo.

Il 26 novembre ci sarà il pronunciamento della Corte di Giustizia Europea e un eventuale esito positivo imporrà al Governo italiano di dare stabilità e un futuro a tutti coloro che hanno svolto oltre 36 mesi di servizio. Il piano “La buona scuola” senza risorse è un semplice spot pubblicitario e appare chiaro l’intento di ridurre i salari e i diritti piegando la scuola pubblica alle logiche del mercato. Università e ricerca non possono sopportare altri tagli. Invece la Ministra Giannini e il Governo Renzi agiscono unicamente tenendo presente le richieste della Confindustria, sia per la cancellazione dell’articolo 18, che per quanto riguarda i comparti della conoscenza.

Dopo le manifestazioni del 25 ottobre e dell’8 novembre ritengo non più rinviabile lo sciopero di scuola, università,ricerca e AFAM. Il 25 ottobre partecipiamo tutti alla grande manifestazione della Cgil perchè lavoro, dignità e uguaglianza hanno bisogno di più istruzione, di più formazione e di più ricerca. La FLC sarà insieme ai precari e agli studenti per unire generazioni e condizioni di lavoro come abbiamo sempre fatto in questi anni con le nostre politiche e le mobilitazioni.

“Riforma della scuola? Basterebbe farla funzionare”. Lo sfogo di una professoressa di Palermo, dove l’altro giorno è andato Renzi Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Maria Gagliardito, insegnate, sindacalista della Flc-Cgil. L’altro giorno è venuto a Palermo il premier Renzi, per inaugurare l’anno scolastico, sciegliendo la scuola intitolata a Padre Pino Puglisi, martire della mafia.
La mia personale sensazione è che Renzi abbia “approfittato” della figura di don Pino Puglisi per andare a fare i suoi proclami a Brancaccio. Quel “io sono con voi” suona falso e vuoto. Con chi sta realmente Renzi visto che da una parte indebolisce le fondamenta della della scuola statale e dall’altra apre la scuola alla privatizzazione?

La scuola di oggi, specie la primaria e la secondaria di Primo Grado è spesso una scuola di trincea, in particolare in quei contesti degradati e poveri di risorse. Con il taglio dei finanziamenti e del personale, scolastico, le scuole devono fronteggiare situazioni di emergenza che vanno al di là dei normali compiti e delle risorse umane e professionali. Faccio un esempio: Il Fondo di istituto che serviva per molti progetti pomeridiani e poter tenere le scuole aperte agli studenti nelle ore pomeridiane è stato via via ridotto. Lo scorso anno, è stato dimezzato e quest’anno verrà ancora di più impoverito. Ci era stato detto che parte di queste risorse dovevano essere utilizzate per pagare gli scatti di anzianità, ora però la nuova riforma cancella di fatto gli scatti di anzianità, ma il fondo di Istituto è sempre più impoverito. E non si capisce quei fondi che fine faranno. Renzi è venuto a parlare di supporto alla scuola e ad oggi mancano molti gli insegnanti di sostegno, e gli organici in molte scuole non sono del tutto al completo, a fronte di una lunghissime graduatorie di precari storici disponibilità per molte classi di concorso.

I ragazzi con disabilità sono praticamente abbandonati a se stessi?
Le ore di sotegno agli alunni disabili è stato notevolmente ridotto. Prima della riforma Gelmini gli alunni con disabilità riconosciuta potevano contare sulla presenza dell’insegnante di sostegno per 18 ore settimanali almeno. Adesso il medesimo insegnante di sostegno viene affidato a più studenti magari inseriti in classi diverse, rendendo praticamente quasi vano il suo supporto didattico. Se poi la scuola si trova inserita in un contesto periferico, fuori da un’ottica di rete con le altre istituzioni, quali ad esempio i servizi sociali e i consultori, come accade spesso in alcuni quartieri “a rischio” della mia città, risulta difficilissimo recuperare le situazioni di disagio sociale e a di devianza. Non sono rari i caso in cui ci si trova ad intervenire per scongiurare comportamenti anche violenti, con rischi di incolumità fisica degli insegnanti e in primo luogo degli alunni . Tutto questo Renzi, che è voluto venire a Palermo, lo sa benissimo, ma è venuto a parlarci di altro.


E il fenomeno della dispersione scolastica?
I dati sulla dispersione scolastica includono i casi di bocciatura o di numero elevato delle assenze. La scuola rimane comunque l’unico punto di aggregazione nel territorio. I ragazzi superano il monte-ore delle assenze, è vero, ma di fronte a situazioni in cui hanno ricevuto anche sospensioni di quindici giorni per comportamenti gravi, ce li troviamo lo stesso a scuola. La scuola comunque è l’unico aggancio con la società. E’ un luogo che li incuriosisce e in cui possono manifestare la loro personalità anche con comportamenti scorretti.

Torniamo agli insegnanti, costretti a concorrere sulla produttività.
Non oso immaginare cosa possa comportare nella vita di una scuola, introdurre un sistema del genere. Non è ben chiaro chi valuterà chi e che cosa. Un nucleo di valutazione composto dal Dirigente Scolastico e da uno staff ovviamente vicino al dirigente scolastico e presumibilmente un membro esterno. Ciascun docente dovrebbe cercare di farsi “certificare” sul proprio “portfolio” quanti più “crediti” possibili con le più disparate esperienze formative e professionali. Un gruppo di docenti quindi dovranno decretare, a chi dei loro colleghi spetti un aumento di stipendio. Immaginiamo le conseguenze dal punto di vista delle relazioni umane per non parlare dell’effetto sulla credibilità e l’autorevolezza del docente nei confronti dei suoi studenti, quando sarà certificato che egli non figura tra i «bravi docenti» della scuola. Se a questo aggiungiamo la possibilità che la fondazione privata “X” andrà a finanziare la scuola, ovviamente aumenta il rischio della mancanza di oggettività dei criteri. Per non parlare della minaccia alla libertà e alla laicità dell’insegnamento oltre che alla parità delle opportunità di tutti gli studenti a prescindere dalle loro condizioni di partenza.

Gli insegnanti, intanto, sono al minimo della motivazione
Per quello che riguarda la mia esperienza, davanti all’emergenza si cerca di fare fronte compatto. L’unica arma che ci rimane di fronte al disagio è quella della solidarietà reciproca tra docenti. Però ci stanno togliendo la veramente la voglia di crederci.

Ci sentiamo continuamente beffati. Ritorniamo ad esempio agli alunni disabili. Mi riferisco sempre ai contesti di disagio sociale dove le sistuazioni di ritardo cognitivo e o disturbo del comportamento sono purtroppo più frequenti. A volte all’interno di una classe questi possono raggiungere il 40%. Cosa si sono inventati gli esperti del Ministero della Pubblica Istruzione? I cosiddetti BES Bisogni Educativi Specifici. E’ un modo per non riconoscere una disabilità tale da nominare un insegnante di sostegno per l’alunno, caricando ulteriormente gli insegnanti di responsabilità e di impegni per i quali non sono stati formati (es. alunni dislessici, disgrafici, con ritardi cognitivo). Il risultato è ovviamente, in molti casi, l’appiattimento verso il basso dei contenuti e dei risultati.

Spesso in questi contesti gli insegnanti che hanno precedentemente avuto esperienze professionali diverse, sono costretti a reinventarsi il proprio ruolo.Per un’insegnante di lingua straniera, come me ad esempio che insegno Francese, quando mi trovo davanti una classe di alunni la cui lingua veicolare è il dialetto palermitano, devo davvero mettere in moto innumerevoli risorse personali per creare un minimo di motivazione negli alunni.

Vogliamo parlare dei nostri stipendi? Ci sentiamo offesi nella nostra dignità professionale. Ti faccio il mio esempio, percepivo 1.320 euro che con i famosi 80 euro di Renzi sono diventati 1400. E’ chiaro che non è dignitoso. Con il blocco dei contratti non c’è alcuna possibilità di migliorare la propria condizione economica.

Ti sei fatta una idea di questa cosiddetta riforma?
Non accetto nulla di questa riforma perché tradisce visione della Scuola Statale come è sancita dalla Costituzione. Non è più al scuola della pari opportunità e della libertà di insegnamento. Rischiamo “imbavagliare” i saperi

L’assunzione dei precari è tutta da vedere. Ammesso che si realizzi, questo non deve essere l’elemento per trovare l’accordo su tutto il resto e avallare i trabocchetti di questa riforma. Il timore è che tutto questo si realizzi.

Comunicato stampa cobas palermo: Sabato 6 il nostro Esecutivo Nazionale deciderà le forme di lotta in difesa della scuola pubblica e dei suoi lavoratori/trici

Comunicato-stampa

Il furbone Renzi promette assunzioni di massa on-line ma non in Consiglio di Ministri. Altro che consultazione democratica! Non sa dove trovare i soldi e non osava dirlo a Padoan
E intanto rilancia la scuola dei presidi-padroni, liberi di assumere e di licenziare, e la concorrenza tra docenti ed Ata per qualche spicciolo, con i contratti bloccati per l’eternità
Sabato 6 il nostro Esecutivo Nazionale deciderà le forme di lotta in difesa della scuola pubblica e dei suoi lavoratori/trici
Ma che gran furbone il Renzi, che colossale venditore di fumo, altro che il Berlusca! Cancella il CdM strombazzato da settimane che doveva decidere provvedimenti “epocali” per la scuola e mischia, on-line tanto non costa niente, promesse mirabolanti a ignobili proposte per scuole dominate da presidi-padroni liberi di assumere e licenziare e per scatenare lotte concorrenziali tra docenti ed Ata per qualche spicciolo in più, mentre i contratti restano bloccati a vita. Il furbone pensa che, grazie alla promessa di assunzioni di massa di precari, tutto il resto passerà in cavalleria. Le assunzioni di tutti i precari (che non sono i 150 mila delle GAE, ma molti di più) sarebbero la compensazione doverosa per tanti anni di discriminazioni e aleatorietà di vita, tanto più che nel prossimo triennio circa centomila docenti ed Ata andranno in pensione. Perché, invece di nascondersi dietro una fantomatica  discussione per due mesi, Renzi non è andato in CdM, rendendo realtà la promessa e richiedendo i circa 4 miliardi annui necessari per attuarla (un precario costa in media un 30% in meno di uno “stabile”) nella Finanziaria di novembre? Perché avrebbe dovuto avere il via libera di Padoan e di Draghi, nonché subire l’assalto degli altri ministri che avrebbero richiesto somme analoghe. Così, invece, potrà a gennaio fare marcia indietro, dando la colpa alle ristrettezze finanziarie. Ma, coperte da questo fumo, le 130 pagine nascondono le seguenti “chicche”, citando solo quelle che risaltano di più ad una prima rapida lettura:
1) In futuro le assunzioni avverranno solo per concorso, quel meccanismo corrompente che nessuna garanzia dà veramente sulle competenze; e solo per gli abilitati mediante una sorta di laurea abilitante che andrebbe anche bene (almeno sulla carta) se non fosse a numero chiuso e se non servisse anche ad accorpare enormemente cattedre e competenze, mischiando materie “affini”.
2) Finalmente i presidi otterrebbero il potere assoluto mediante l’assunzione diretta (e conseguenti licenziamenti) di docenti ed Ata). E’ scritto che, per realizzare, la “piena autonomia” scolastica, serve “schierare la squadra con cui giocare la partita dell’istruzione”, cioè chiamare a scuola i docenti e gli Ata che il preside-padrone, dopo “consultazione collegiale”, riterrà più adatti.
3) Riparte la geremiade sul presunto “merito”, quel quid che nessun ministro o governo è mai riuscito a spiegare cosa sia esattamente per i docenti e gli Ata. Avvio dal prossimo anno del Sistema di valutazione nazionale, con la sedicente autovalutazione delle scuole che in realtà significherà l’imposizione dei criteri degli Invalsiani, quelli della scuola-quiz, nonché l’intervento assillante degli ispettori ministeriali. E in aggiunta, verrà imposto dal 2015-6 il Registro nazionale del personale, che farà lo screening delle sedicenti “abilità” di ognuno/a, fissandole in un Portfolio individuale su cui verranno conteggiati i presunti “crediti” professionali dei singoli. E sulla base del Portfolio e dei crediti i presidi assumeranno ma anche premieranno, perché per gli scatti stipendiali si procederebbe in parte per anzianità ed in parte per presunto merito con graduatorie di istituto, in base alle quali il 66% dei “migliori” (data l’aleatorietà dei criteri, sarà il preside ad avere la parola decisiva) avrà uno scatto ogni 3 anni (sempre con il permesso di Padoan e di Draghi).
4) In questo quadro finisce per preoccupare persino l’annunciata “eliminazione della burocrazia scolastica” (un’altra “rottamazione”?) se significherà, come scritto, lasciare carta bianca alla decisionalità dei “presidi in rete”, trasformati in Amministratori delegati alla Marchionne, possessori delle scuole e del personale.
5) C’è poi un’accorata sollecitazione agli investimenti privati, in un quadro di potenziamento “dei rapporti con le imprese”, non solo alle aziende vere e proprie, a cui si promettono forti sconti fiscali, ma anche al “microcredito” dei cittadini, con raccolte “popolari” di soldi, visto che il finanziamento pubblico da solo “non ce la fa”. E toccherebbe ai genitori farsi avanti con altri quattrini. E la fuoriuscita per stages lavorativi (gratuiti) in azienda dovrà divenire la regola alle superiori. La “didattica lavorativa” sarà resa “sistemica”, verso una scuola-fabbrica.
5) Per incentivare al massimo la concorrenza tra docenti, si torna ai “formatori” contro cui nacquero i Cobas. Si chiameranno “innovatori naturali” coloro che invece di insegnare si occuperanno della formazione e dell’aggiornamento, che diverrà obbligatorio e conterà molto per i “crediti”. Ovviamente i tizi otterranno meriti e soldi in più. Cosa che accadrà anche per il “docente mentor” un supervisore della valutazione della scuola e del singolo, nonché per le attività di “formazione”.
Insomma, in attesa che, sull’unico punto potenzialmente positivo del programma -, e cioè l’assunzione al 1 settembre 2015 di 150 mila precari – un CdM prenda un preciso impegno legislativo a investire nella imminente Finanziaria i 4 miliardi annui necessari, ci apprestiamo a respingere al mittente il resto, con l’aiuto dei tanti docenti, Ata, studenti e cittadini che non si lasceranno ingannare dal novello Berlusconi. Quindi, sabato 6 settembre riuniremo il nostro Esecutivo nazionale per decidere le iniziative di protesta e di lotta in difesa della scuola pubblica e dei suoi lavoratori/trici, anche tenendo conto della decisione già presa da molte organizzazioni studentesche che hanno convocato per il 10 ottobre uno sciopero nazionale degli studenti.
3 settembre 2014
Cobas scuola

“Renzi nella scuola sta facendo quello che Marchionne ha fatto con la Fiat”. Intervista a Battista, di Usb Fonte: www.usb.it | Autore: rossella lamina

Renzi ha presentato le sue linee guida sulla scuola e promette l’assunzione di 150.000 precari: finalmente tornano i conti nelle aule?
Un principio basilare della matematica, della logica e anche del buon senso è che per stabilire se una qualsiasi quantità è “tanta” o “poca” vada messa in relazione ad un’altra quantità. Sicuramente per il singolo precario che aspetta da decenni la stabilizzazione, o per la classe che non ha mai lo stesso insegnate di matematica o italiano perché quel posto è “vacante”, 150mila assunzioni possono apparire come un traguardo. Se invece rapportiamo grandezze dello stesso tipo, in questo caso dobbiamo prendere i dati nazionali, cioè contare tutte le classi senza professore e tutti i precari. Dobbiamo allora, nel nostro raffronto, riferirci ad un periodo più lungo dell’anno scolastico perché si tratta di un sistema fatto di esseri umani e del loro sviluppo. Sulla base dei dati del 2005, il risultato è che 150mila stabilizzazioni nel 2015 sono il minimo dovuto, ma non ancora l’essenziale. E non si parla del personale ATA, ridotto all’osso e sottopagato come e più dei docenti.Perché soltanto un “minimo dovuto”?
Perché ci sono montagne di sentenze contro il Ministero dell’Istruzione che riconoscono ai precari risarcimenti per la mancata stabilizzazione; perché c’è un procedimento di infrazione da parte dell’Unione Europea per la mancata stabilizzazione del personale che ha già avuto tre contratti a tempo determinato; perché è un lavoro immane – e costoso – gestire ogni anno tutta questa partita delle assunzioni per tappare i buchi strutturali di organico; perché, in fondo, grazie alle modifiche contrattuali intervenute in questi anni (senza contrattazione, ma accettate dai sindacati collaborazionisti) stabilizzare un precario, alla fine dei conti, non costa poi tanto di più che mantenerlo precario.

Ma allora quali saranno a vostro avviso gli effetti concreti delle assunzioni?
Con 150 mila assunzioni finalmente lasciamo che molti nostri colleghi vadano in pensione, con un assegno da fame ma non da precari: avranno un contratto a tempo indeterminato in tasca. Tante classi avranno finalmente il loro docente, ma saranno composte dallo stesso numero spropositato di studenti, con meno ore di lezione, meno sostegno per i ragazzi diversamente abili o semplicemente provenienti da altri paesi; meno pulizie, meno sicurezza e vigilanza, meno “punti di erogazione”, cioè scuole o plessi distribuiti sul territorio nazionale. Insomma, saranno le stesse classi che ha composto la Ministra Gelmini. (vedi tabella 1). Un altro dato da tenere in mente è la disoccupazione galoppante: con questo piano non c’è un posto di lavoro in più! Anzi, decine di migliaia di posti di lavoro verranno eliminati dall’idea dell’organico funzionale, cioè con personale non più legato ad una scuola ma ad una “rete” (che può comprendere scuole distanti anche fino a 50 km) il quale dovrà tappare le supplenze “brevi”. Saranno dunque gli stessi docenti di ruolo a curare la malattia della “supplentite”, e tutto per lo stesso stipendio. Idea preoccupante, proveniente da “testa” sindacale e già approvata e sottoscritta nell’Accordo per la provincia di Trento (Flc-CGIL e CISL), con un aumento di orario a parità di salario.

Tabella 1

In che modo si è già risparmiato sulla pelle della scuola e dei suoi lavoratori?

Col blocco del Contratto Collettivo Nazionale dal 2009, la cancellazione degli scatti di anzianità dal 2010 e oggi sappiamo dalla Madia che il blocco proseguirà almeno fino al prossimo anno, mentre già nei vari decreti legge è fino al 2020. Col taglio del salario accessorio, l’aumento dell’orario di lavoro de facto e del carico di lavoro e, soprattutto, dell’età pensionabile per le donne (oltre il 70% del personale) a 65 anni e la legge Fornero per tutti; col ritardo del pagamento della liquidazione pure decurtata; con la mobilità e gli esuberi che crescono in modo vertiginoso. Considerando poi che i lavoratori della scuola sono cittadini di questo Paese, il taglio di tutti gli altri servizi – dalla sanità ai trasporti – con l’aumento costante dei prezzi di prodotti come il cibo o le utenze domestiche (per chi una casa ce l’ha), è oramai palpabile l’impoverimento dei 950 mila lavoratori della scuola.

Ma questi scatti per “merito”, non potrebbero migliorare la situazione?

Volendo al momento sorvolare sul termine “merito”, si tratta di 60 euro mensili per meno della metà del personale. Vi sottopongo un’altra tabella:

Tabella 2

Si tratta di un calcolo fatto su un sistema che, a come descritto nelle linee guida del documento del governo, è molto rigido: prende lo scatto solo il “bravo” che rientra nella finestra triennale che dovrebbe aver inizio dal 2018; se nel 2018 si è già in servizio da 2 anni, si deve comunque aspettare il 2021. La “variazione stipendiale annua lorda media” è dunque calcolata sul caso migliore del docente assunto nel 2015, non un anno prima né un anno dopo. Bisogna ricordare che già nel 2011 per i neo assunti fu tagliato (con accordo firmato dai sindacati complici) lo scatto al terzo anno di anzianità, con una perdita che allora calcolammo del 6%, e dunque si tratterebbe di un parzialissimo recupero. Il discorso si complica, e gli incrementi diventano decurtazioni stipendiali, per i lavoratori con una anzianità di servizio più alta. Solo per esempio, un docente che nel 2018 avrà 21 anni di servizio perderà fino a fine carriera quasi mille euro ogni anno. Insomma, una parte dei lavoratori della scuola che ad oggi NON hanno preso i famosi 80 “renzini” mensili, avranno dal 2018 tra i 500 e i 900 euro lordi all’anno. Gli altri, tutti insieme, regaleranno ancora qualche miliardo di euro allo Stato! Finalmente Brunetta vedrà il suo sistema “meritocratico” applicato, con i nuovi docenti “premiati” proprio come i clienti fedeli di un supermercato…

Quanto costano gli scatti dei docenti?
Fino al 2018 tutti gli scatti sono bloccati per tutti. Come lo stipendio, sul quale già ad oggi dall’ultimo rinnovo abbiamo perso almeno 7.000 euro, o le ferie, che in questi anni sono state cancellate per il personale precario più o meno per un ammontare proprio di 1.000 euro! Non possiamo dimenticare che chi verrà “scritto sulla lavagna” perderà 3.400 euro e se si è un docente con già 21 anni di servizio non conviene neanche essere bravo! Insomma, con quello che stiamo perdendo complessivamente non conviene proprio a nessuno fare il primo della classe con il Dirigente di turno.

Un altro esempio di come una bugia ripetuta 100 volte diventa realtà per l’opinione pubblica…
Questo “nuovo” sistema in realtà è molto vecchio: taglia gli stipendi, non restituisce il maltolto e reintroduce un sistema di relazioni all’interno della Scuola pre-Gentiliane (prefasciste). Son previste modifiche importanti agli organi collegiali (la cosiddetta legge “Aprea”), già combattute con decine di scioperi e manifestazioni, che sono troppo spesso costate la reazione violenta contro gli studenti in piazza. Organi Collegiali che a vari gradi coinvolgono tutti – dai genitori ai collaboratori scolastici, alla vita della scuola – vengono svuotanti cancellandone la loro funzione di controllo o eliminati, come il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, che ha avuto il “torto” di aver espresso pareri contro la Riforma Gelmini e “causato” la condanna del Ministero – ma il Governo non dà seguito alle sentenze oramai definitive. D’altro lato i Dirigenti vengono trasformati definitivamente in Kapò ai quali si vuole dare il potere di “scegliersi la squadra”, cioè la libertà di assumere e licenziare. Per questo abbiamo indetto lo sciopero proprio il primo giorno del Collegio Docenti, uno sciopero che coinvolge tutte le scuole e durerà almeno una settimana. L’USB ha conquistato un nuovo strumento di lotta, a vent’anni della legge antisciopero superandone le pesanti imposizioni.

…E il ruolo dei soggetti privati?
Il senso più profondo della riforma Renzi sta nell’ingresso e nel controllo che i privati eserciteranno – e invero già esercitano – sulle scelte didattiche e gli obiettivi finali dell’istruzione. La trasformazione di interi pezzi del processo formativo in Fondazioni Private è già in atto, grazie alla bella intuizione di Bersani-Fioroni e la realizzazione della Gelmini, con fondi fuori controllo di Fondazioni che ricevono finanziamenti pubblici, personale, e sgravi fiscali per i privati che fanno “beneficenza”. Quello che è successo in Sanità con le Fondazioni sta davanti a tutti: lo sfascio economico l’eliminazione del diritto alla salute, la stessa strada perdente la stanno percorrendo con la Scuola.

Qual è la proposta dell’USB?
Per riassumere, la rivoluzione annunciata di Renzi è l’applicazione del modello Marchionne alla Scuola: ricattare i lavoratori con lo scambio posto di lavoro-diritti. D’altra parte già questa estate avevamo detto che per “rivoluzionare” la scuola mantenendo il Paese nel quadro delle compatibilità imposte dalla Trojka per il pagamento del debito, Renzi avrebbe dovuto “fare Tarzan”. Ma nelle sue acrobazie ha mancato la liana: invece della rivoluzione abbiamo una riforma Gelmini.2.0

Per iniziare a parlare di ripresa della Scuola, riconquista di occupazione vera e sana ad oggi, sono necessari altri 250 mila lavoratori tra docenti e personale ATA per far fronte all’aumento degli studenti e il recupero dei posti tagliati e i futuri pensionati, oltre la stabilizzazione degli attuali precari; il rinnovo del contratto di lavoro e la reinternalizzazione dei servizi e dei lavoratori delle ditte che lavorano nella scuola; la cacciata dei privati e la cancellazione della legge Fornero.

Tutta la Riforma della Pubblica Amministrazione sta strozzando i lavoratori e piegando agli interessi privati la macchina statale. Per farlo devono calpestare la libertà – di pensiero, di espressione – a partire dai luoghi di lavoro, a partire dal restringimento dei diritti sindacali. La complicità di CGIL, CISL e UIL non può essere più sottaciuta e consentita, nella scuola come in tutto il resto del mondo del lavoro. Dopo la firma di accordi come quello sulla Rappresentanza Sindacale o come nella Scuola, con le firme su Accordi che anticipano e suggeriscono le “riforme” dei Governi, non si può più parlare genericamente di “unità”. L’unità, per noi, è tra le organizzazioni che lottano con coerenza, dei lavoratori che non si arrendono, con chi non nasconde la testa sotto la propaganda renziana.

La mobilitazione necessaria è quella di tutti i lavoratori contro il Job act, gli accordi liberticidi dei diritti sindacali e democratici, contro la riforma della P.A. e per la cancellazione della Legge Fornero, fino allo sciopero confederale generale nazionale, e la giornata del 10 ottobre indetta dagli studenti può essere per la scuola una tappa importante. È necessario riconquistare la scuola di massa, laica e statale. I figli dei lavoratori, i precari, immigrati e non, i disoccupati, hanno il diritto e il dovere di partecipare alla vita del Paese e non permetteremo che venga tolta loro la possibilità di un riscatto, perché noi siamo i figli dei lavoratori, degli sfruttati che in questo Paese hanno lottato per farci studiare e non lasceremo la nostra scuola allo sbaraglio senza lottare.

La scuola è una «grande» opera Fonte: Il Manifesto | Autore: Alba Sasso*

Per chi suona la campanella. La «sorpresa» di Renzi-Giannini non può calcare le orme delle troppe «rivoluzioni» fallite negli ultimi decenni. Investire nell’istruzione, non solo «riformarla», è la chiave del futuroSono con­vinta che le poli­ti­che dell’istruzione non pos­sano essere sle­gate da un pro­getto di svi­luppo eco­no­mico, cul­tu­rale e civile com­ples­sivo del paese, da una rifles­sione sui modelli cul­tu­rali, sulle forme odierne di pro­du­zione e dif­fu­sione del sapere, sulla neces­sità di intro­durre nella scuola sapere tec­no­lo­gico — che è rifles­sione pra­tica e teo­rica sugli stru­menti tec­no­lo­gici, esplo­ra­zione di un modello pos­si­bile di cono­scenza -, sul fatto che la scuola debba diven­tare sem­pre di più una fine­stra aperta sul mondo (del lavoro e non solo).

SCUOLA E PAESE DESTINI INCROCIATI

Insomma che esse deb­bano fon­darsi su una idea di società e su un’idea di futuro, pro­prio per­ché una riforma del «sistema scuola» pro­duce i suoi effetti in tempi lun­ghi. Altri­menti ci si affi­derà di volta in volta alla tro­vata pro­po­sta come geniale e sal­vi­fica, che poi risul­terà insieme pre­ten­ziosa quanto inef­fi­cace, sem­pli­ce­mente inu­tile: dai tablet, al regi­stro elet­tro­nico, (e la banda larga?), alle ridi­cole «tre i», alle pre­oc­cu­panti recenti pro­po­ste di ridu­zione dell’ultimo anno delle supe­riori (senza alcuna moti­va­zione cul­tu­rale e didattica).

In que­sti ultimi anni la scuola, e in qual­che modo anche l’università, hanno sof­ferto di disat­ten­zione sociale e cul­tu­rale. E se il «sistema scuola» ha retto, nono­stante tutto, lo si deve a quel popolo affa­ti­cato ma indo­mito di inse­gnanti, stu­denti, diri­genti, che con­ti­nua a lavo­rare con pas­sione, insomma a «cre­derci» , nono­stante il vuoto pneu­ma­tico che lo circonda.

Per­ciò tremo quando sento par­lare di «rivo­lu­zioni» in arrivo e mi auguro che la mini­stra Gian­nini abbia accen­tuato, all’ultimo mee­ting di Rimini, i carat­teri neo­li­be­ri­sti della pro­po­sta sulla scuola, forse spinta dal genius loci. Per­ché se tutto si ridu­cesse alla vec­chia e ricor­rente pro­po­sta — chi ricorda Leti­zia Moratti? — «meri­to­cra­zia e aper­tura ai pri­vati», come tito­lava ieri l’altro la Repub­blica, dav­vero non avremmo affron­tato nes­suno dei pro­blemi veri della scuola. E soprat­tutto ver­remmo meno a quel det­tato costi­tu­zio­nale che affida alla Repub­blica il com­pito di garan­tire diritti e libertà anche e soprat­tutto su que­sto terreno.

Mi chiedo anche per­ché in que­sto paese riforme, o cam­bia­menti del «sistema scuola» — un mondo che coin­volge circa 10 milioni di per­sone — devono sem­pre essere calati dall’alto e con la logica del «vi stu­pi­remo con effetti spe­ciali». Pos­si­bile che non si possa fare un’ ana­lisi (che non deve ovvia­mente durare anni) dei punti di forza e di debo­lezza del sistema, magari ascol­tando i diretti pro­ta­go­ni­sti — in Fran­cia lo hanno fatto alcuni anni fa — per inter­ve­nire con mag­giore efficacia?

CHE SUC­CE­DERÀ IL 29 AGOSTO?

Nelle anti­ci­pa­zioni gior­na­li­sti­che di que­sti giorni alcune cose con­vin­cono: l’eliminazione del pre­ca­riato (penso che vogliano dire que­sto Gian­nini e Renzi quando par­lano di eli­mi­na­zione delle sup­plenze e lasciano intra­ve­dere l’inizio della sta­bi­liz­za­zione dei pre­cari) e la crea­zione di un «orga­nico fun­zio­nale», sup­porto neces­sa­rio e indi­spen­sa­bile per una vera auto­no­mia sco­la­stica: quella quota di inse­gnanti che pos­sono fare sup­plenze o sup­por­tare l’attività didat­tica per raf­for­zarla o arric­chirla. Per­ché le scuole siano in grado di affron­tare insieme il disa­gio e l’eccellenza. E per­ché la con­ti­nuità didat­tica torni ad essere la regola e non l’eccezione.
Ma que­sto vuol dire inve­stire seria­mente sugli inse­gnanti, tro­vare le risorse. Quelle che ad esem­pio il Mini­stero dell’Economia ha negato per la vicenda degli inse­gnanti eso­dati («quota 96»).

E ancora meglio se que­sto volesse dire che la sta­bi­liz­za­zione degli inse­gnanti pre­cari deve avve­nire su tutti i posti vacanti e dispo­ni­bili ( cosa che non è stata fatta negli ultimi anni). È dimo­strato tra l’altro che sta­bi­liz­zare i pre­cari non avrebbe costi molto supe­riori rispetto al man­te­nerli pre­cari, licen­zian­doli e giu­gno e rias­su­men­doli a settembre.

Ma anche per que­sto ci vuole un inve­sti­mento serio e una poli­tica meno con­trad­dit­to­ria e ondi­vaga come quella degli ultimi anni sia per il reclu­ta­mento, (ripri­stino dei con­corsi dopo aver chiuso le scuole di spe­cia­liz­za­zione e crea­zione del tiro­ci­nio for­ma­tivo attivo che ne è la brutta copia), sia per la for­ma­zione in ser­vi­zio che, curio­sa­mente, non esi­ste più da anni in un mestiere che richiede, soprat­tutto oggi, una for­ma­zione e un aggior­na­mento continui.

Infine, la valu­ta­zione. Ben venga se serve a moni­to­rare il sistema, ad indi­care i punti di sof­fe­renza e quelli di forza. Ma non se, come spesso capita, viene bran­dita come un’arma per distin­guere i buoni dai cat­tivi e ten­tare di intro­durre nuove dif­fe­ren­zia­zioni sala­riali, ma sem­pre al ribasso. Mi pare vadano in que­sta logica le ultime pro­po­ste sulla car­riera degli inse­gnanti. Vec­chio man­tra che non risolve il pro­blema della qua­lità del sistema. Men­tre, e anche que­sto è dimo­strato, le scuole che hanno migliori risul­tati sono quelle in cui fun­ziona la coo­pe­ra­zione e il lavoro collettivo.

LA NECES­SITÀ DEL CAMBIAMENTO

È inne­ga­bile: il «sistema scuola» in Ita­lia ha biso­gno di cam­bia­menti pro­fondi. E per­ciò occorre met­tere a fon­da­mento di ogni pro­po­sta l’idea che l’istruzione non è un costo ma un inve­sti­mento deci­sivo e lun­gi­mi­rante. Infine, ogni pro­fonda e seria pro­po­sta di cam­bia­mento non può essere fatta a colpi di decreto, ma deve nascere dall’incontro e dal con­fronto tra tutte quelle risorse e quelle intel­li­genze che sono patri­mo­nio della scuola ita­liana, inse­gnanti e stu­denti in primo luogo. Negli anni ’90 l’allora mini­stro Mat­ta­rella con­vocò gli «Stati gene­rali della scuola» e la stessa Moratti tentò qual­cosa di ana­logo prima di pre­sen­tare la sua riforma.

Met­te­rei da parte l’idea di grandi e pic­cole inge­gne­rie isti­tu­zio­nali (anni in più o in meno) a van­tag­gio di leggi di prin­ci­pio, che garan­ti­scano il carat­tere nazio­nale e uni­ta­rio del sistema, anche alla luce delle norme costi­tu­zio­nali sull’autonomia e ruolo degli enti locali. Riflet­tendo anche sulla pro­po­sta di modi­fi­che al titolo V della Costi­tu­zione nella con­vin­zione che, come dice Bene­detto Ver­tec­chi ne La scuola disfatta: «L’educazione sco­la­stica costi­tui­sce un fat­tore posi­tivo nella sto­ria dei popoli quando si fonda sul pre­sup­po­sto uto­pi­stico che sia pos­si­bile rea­liz­zare ciò che non è».

Oggi c’è biso­gno di più scuola, di più sapere per tutte e tutti. Per navi­gare e non nau­fra­gare in soli­tu­dine nel mare di infor­ma­zioni a cui ognuna e ognuno può acce­dere. Dob­biamo dav­vero ras­se­gnarci a pen­sare che la scuola sia un luogo da attra­ver­sare sbri­ga­ti­va­mente, un po’ di inglese, un po’ di infor­ma­tica, l’Università un esa­mi­fi­cio. Oppure si tratta di garan­tire quella coscienza cri­tica e quella capa­cità di appren­dere e di orien­tarsi nel mondo, e soprat­tutto di aggior­nare le pro­prie cono­scenze nel corso della pro­pria vita, indi­spen­sa­bili per evi­tare esclu­sione e mar­gi­na­liz­za­zione? Non è pos­si­bile che si con­ti­nuino a pian­gere lacrime di coc­co­drillo sulla dimi­nu­zione delle imma­tri­co­la­zioni all’Università, e non si fac­cia una rifles­sione molto ma molto seria sul numero chiuso e sulla neces­sità di aumen­tare le risorse per il diritto allo studio.

Per­ché dob­biamo far cre­scere il numero dei lau­reati, non rin­chiu­derci nel for­tino delle «5 migliori università».

CAM­BIARE VERSO SI PUÒ

E allora dob­biamo dav­vero «cam­biar verso». Per­ché le poli­ti­che sco­la­sti­che degli ultimi, ormai decenni, sono state tutte all’insegna della ridu­zione e del rispar­mio. Una scuola minima che non ha risorse per tutte e tutti e che fini­sce con l’essere, come diceva don Milani, un ospe­dale che cura i sani ed espelle i malati.

Rico­min­ciamo allora a par­lare di gene­ra­liz­za­zione della scuola dell’infanzia – è in quella fascia di età che si pos­sono supe­rare i gap cul­tu­rali di par­tenza tra bam­bine e bam­bini ed è esten­dendo la scuola dell’infanzia sta­tale che si pos­sono garan­tire uguali diritti a bam­bine e bam­bini su tutto il ter­ri­to­rio nazionale.

E cer­chiamo di ripa­rare i danni che la cosid­detta «riforma Gel­mini» ha pro­vo­cato nella scuola ele­men­tare — sem­pre nella logica del rispar­mio — scom­pa­gi­nando un modello con­so­li­dato, otti­ma­mente valu­tato nelle clas­si­fi­che inter­na­zio­nali, quello del team di inse­gnanti, e lasciando l’organizzazione didat­tica al caso e alla buona volontà degli insegnanti.

Ripren­diamo a par­lare di con­ti­nuità cur­ri­co­lare fra scuola ele­men­tare e scuola media, di pari qua­lità dei per­corsi della secon­da­ria. Di inter­venti per con­tra­stare la disper­sione sco­la­stica, anche a par­tire dalla con­sa­pe­vo­lezza che i paesi che meglio stanno resi­stendo alla crisi sono quelli che sul ter­reno della for­ma­zione hanno allar­gato la pla­tea degli aventi diritto.

In Puglia, ad esem­pio, il pro­getto «Diritti a scuola» rea­liz­zato dalla Regione per con­tra­stare la disper­sione ha otte­nuto ottimi risul­tati, cer­ti­fi­cati anche dalle rile­va­zioni Ocse Pisa. Sem­pli­ce­mente facendo lavo­rare nella scuola gio­vani pre­cari in fun­zione di sup­porto — circa 6.500 in 4 anni — aumen­tando il tempo scuola per bam­bini e ragazzi e impe­gnando signi­fi­ca­tive risorse. Di misure sem­plici per garan­tire momenti di ascolto e di soste­gno per stu­denti e fami­glie, come gli spor­telli psi­co­lo­gici finan­ziati da molti enti locali.

Ripren­diamo il ragio­na­mento sull’aumento dell’obbligo sco­la­stico fino a diciotto anni, sul nodo della qua­lità e dell’efficacia dei per­corsi di qua­li­fica trien­nale, sulla crea­zione di un vero e pro­prio sistema di for­ma­zione degli adulti. Par­liamo di un rap­porto serio e signi­fi­ca­tivo tra scuola e mondo del lavoro, a par­tire dalla con­vin­zione che è il sapere a pro­durre van­tag­gio eco­no­mico, sociale e civile e dalla capa­cità di creare col­le­ga­menti e siner­gie tra istru­zione, for­ma­zione e lavoro , anche e soprat­tutto attra­verso incen­tivi alla ricerca e all’innovazione rivolti alle imprese. Per­ché chi più innova, più crea lavoro.

E soprat­tutto eli­mi­niamo il pre­ca­riato e rico­no­sciamo alle e agli inse­gnanti il valore della loro fun­zione. «Paga­teli come mini­stri», scrisse anni fa Nata­lia Gin­sburg su Repub­blica.

Per fare tutto que­sto deve essere com­piuta una scelta decisa sulla desti­na­zione delle risorse pub­bli­che. Mi pare che sulle mace­rie degli ultimi anni, anche in que­sto campo, si debba aspi­rare ad una vera tra­sfor­ma­zione, in una linea di decisa discontinuità.

Ci vogliono risorse straor­di­na­rie. La scuola è «una grande opera».

* Asses­sora scuola, uni­ver­sità, for­ma­zione pro­fes­sio­nale e diritto allo stu­dio della regione Puglia

riProposta per una buona scuola da: Like @ Rolling Stone Mauro Presini

riProposta per una buona scuola

9 maggio 2014

La legge di iniziativa popolare “Una SeiUnaBravaScuolabuona scuola per la Repubblica” è una proposta di legge presentata nel 2006 (dopo aver raccolto ben 100.000 firme) ma i cui contenuti sono assolutamente innovativi.
Si tratta della proposta più ampia e organica mai prodotta dal mondo della scuola. Presenta l’esito di un dibattito e di un percorso che ha coinvolto in modo democratico migliaia di genitori, docenti e studenti di varie parti d’Italia, che hanno avuto così l’opportunità di riflettere e condividere un’idea di scuola composita e complessa.

In contraddizione con gli enunciati propagandistici di tutti i Governi che si sono succeduti, di attuare riforme condivise o “dal basso”, anche questa legge di iniziativa popolare, è stata “abbandonata in un cassetto”. Quegli stessi Governi che, ora come allora, dichiarano di voler fare riforme condivise, ascoltando il paese, non l’hanno mai discussa.
Per questo motivo il mondo della scuola lancia un appello ai parlamentari della Repubblica affinché sottoscrivano e ripresentino a loro nome la legge “Per una buona scuola per la Repubblica”, impegnandosi a portarla di nuovo all’attenzione del Governo e del Parlamento.

LA SCUOLA NELLA LEGGE:

intestaUna scuola pubblica, laica e pluralista: capace di garantire a tutte e tutti il diritto all’istruzione.
Risorse certe ed adeguate: il 6% del Pil, perché una buona scuola è la base della democrazia e del futuro di una società
Estensione dell’obbligo scolastico ai 18 anni.
Vivibilità delle classi e qualità della relazione educativa: non più di 22 alunni per classe e continuità didattica dei docenti.
Integrazione vera: dotazione organica aggiuntiva per il sostegno, l’alfabetizzazione, la lotta alla dispersione scolastica.
Programmi moderni, efficaci, condivisi.
Funzione docente: unicità, pari dignità, qualificazione.
Partecipazione di tutti alla gestione della scuola: rilancio ed estensione degli organi collegiali elettivi.
Autovalutazione delle scuole per un miglioramento continuo.
– Un piano straordinario di edilizia scolastica

Sul sito http://adotta.lipscuola.it/ il testo integrale della Legge, la sua storia, la campagna per rilanciarla
facebook.com/adottalalipscuola per condividere e seguire l’iniziativa

Contro la devastazione della scuola pubblica, rilanciamo la Legge di iniziativa popolare
per la buona scuola disegnata dagli art. 3, 33, 34 della nostra Costituzione.

Adottiamone le parole, le idee, le speranze, condividiamola e facciamola condividere
Vai e fai andare sul sito:

http://adotta.lipscuola.it/

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Facciamola diventare tutta colorata, poi cercheremo deputati che la riportino in Parlamento.

Lavoro, sanità, scuola: per gli stranieri la discriminazione è “istituzionale” Fonte: redattoresociale.it

 

Sottoinquadrati a livello lavorativo, poco seguiti a scuola, esclusi dall’erogazione di prestazioni di welfare: dai bonus bebè ai contributi per la casa, alle prestazioni sanitarie anche in presenza di disabilità. La discriminazione anche giuridico-istituzionale è una costante ricorrente per i cittadini stranieri che vivono nel nostro paese. Una realtà che viene messa in luce quest’anno anche dal dossier statistico immigrazione 2013, che allo stigma e al razzismo dedica un focus consiste. Il rapporto è infatti realizzato da Idos per Unar, l’ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali.

I rom. L’emblema dello stigma sono i cittadini di origine rom (circa 150 mila tra italiani e stranieri), additati come “abitanti dei campi”, “estranei”, “pre-moderni”. La metà dei bambini rom lascia la scuola nel passaggio dalle elementari alle medie e sono solo 134 quelli iscritti nelle scuole superiori italiane.

La casa . Il dossier sottolinea che l e compravendite immobiliari da parte di immigrati sono diminuite nettamente negli anni della crisi economica, passando da 135 mila nel 2007 a poco più di 45 mila nel 2012, soprattutto perché i mutui sono sempre più difficoltosi da ottenere e da saldare. Anche gli affitti, oltre a incidere per il 40 per cento sul reddito degli immigrati, si trovano con difficoltà e spesso nelle aree più degradate, con contratti non sempre regolari.

Il lavoro . Diversi i punti critici che caratterizzano anche l’inserimento nel mondo del lavoro: il sottoinquadramento, una condizione che riguarda il 41,2 per cento degli occupati stranier i; la diffusione del lavoro sommerso; l’acuirsi del lavoro sfruttato e paraschiavistico nonostante un elevato tasso di sindacalizzazione; l’offerta prevalente di lavori a carattere temporaneo; il ridotto inserimento in posti qualificati; l’elevata incidenza degli infortuni (15,9 per cento del totale).

La scuola . Negativo è anche il sistema scolastico per gli stranieri , soprattutto per la carenza di risorse economiche e professionali; di requisiti burocratici talvolta escludenti; carenza di interventi di sostegno per l’apprendimento della lingua italiana; orientamenti “selettivi” ed esiti insoddisfacenti, specialmente per gli studenti che non sono nati in Italia, nell’ammissione agli esami di scuola media e dispersione.

La sanità . Atti discriminatori si rilevano anche in campo sanitario. In Italia, infatti  solo 6, tra le regioni e le province autonome, hanno formalmente ratificato l’accordo finalizzato a s uperare le disuguaglianze di accesso degli immigrati ai servizi sanitari. Ancora si riscontrano lentezze e indecisioni,  nell’iscrizione al Servizio Sanitario dei minori figli di immigrati senza permesso di soggiorno.