
di Franco Garufi
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di Franco Garufi
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Parla l’ispettore di polizia che è stato costretto a lasciare la città dopo delicate indagini per mafia negli anni ’90. Adesso scrive libri sotto un nome in codice. La presentazione del suo ultimo lavoro oggi alle 18.00 alla Feltrinelli.
Quando hai iniziato a lavorare a Catania e in quali reparti hai operato?
Dopo aver lavorato diversi anni a Roma, nel 1984 ho fatto rientro a Catania. Trasferito alla Squadra Mobile ho fatto numerose esperienze, dapprima nella sez. Furti e Truffe, poi alla Sez. Rapine, quindi alla Sez. Investigativa che si occupava di estorsioni e ricerca di latitanti. Successivamente sono stato trasferito alla Criminalpol. Poi … poi è successo qualcosa! Era il 1992, un anno che non dimenticherò mai. Di stragi e morti innocenti negli anni 80 ne avevamo già contati a decine. C’era stato il Maxiprocesso di Palermo che si era concluso con pesanti condanne. Ma non era bastato! Quello fu l’anno maledetto delle stragi di Palermo ed anche quello dell’uccisione dell’ Ispettore Lizzio a Catania. Nel 1992 in Sicilia era come essere in Afghanistan. Almeno, così la vedevo io! L’aria era pesante, irrespirabile, l’umore di tutti a pezzi, ci sentivamo profondamente colpiti, vulnerabili. Come in una guerra, dovevamo contrattaccare il nemico, che fosse vestito con la coppola o con lo smoking poco importava. Lo Stato doveva reagire ed in fretta. La risposta arrivò presto. In poco meno di un anno vennero arrestati i due latitanti per eccellenza, Santapaola e Riina e via via capitolarono quasi tutti i capi e gregari di Cosa Nostra. Lo Stato aveva risposto ed i mafiosi ne avevano tratto una insegnamento. Da lì partiva il suo lento ma inesorabile inabissamento. La mafia aveva capito che tenendo un profilo basso e lontano dai clamori, poteva svolgere meglio i propri affari. IL SILENZIO poteva essere più incisivo e determinante di una carneficina. Niente più rumore di rivoltelle e bombe, meglio le pallottole di carta. IL SILENZIO di una penna per firmare assegni ed atti notarili poteva rendere molto di più e senza arresti. Cominciava un’era nuova e il mafioso cambiava pelle diventando ancor più imprenditore e aprendosi alla politica attraverso i vari affiliati, laureati e feroci. Un anno che non dimenticherò mai il 1992 perché ha segnato anche la mia vita personale e professionale con un trasferimento per motivi di sicurezza in una tranquilla (si fa per dire) cittadina del nord dove la mafia c’era ma non si vedeva. O meglio si vedeva ma a molti faceva comodo far finta di non vederla, la peggiore delle mafie che ho cominciato a conoscere… la massoneria.
Qual è il tuo ricordo di Catania?
Ce n’è sono talmente tanti che non saprei da dove cominciare. A Catania sono nato e cresciuto. Con la città ho sempre avuto un rapporto di amore e di odio. Ma devo confessare che quando sono stato trasferito al nord, nonostante mi sentissi in parte tradito, ne ho sentito molto più la mancanza. Quell’amore per la mia città ho cercato di condensarlo in questo passaggio che ho scritto sul mio libro -Nelle mani di Nessuno – “ E poi il ritmo, mi manca il ritmo della vita di prima. Il sound etneo, il respiro profondo di Catania, la grande madre. Una città che in realtà non dorme mai e pulsa di vita senza sosta, nella bramosia di bruciare il tempo ad ogni singolo istante. Una città dove l’esistenza si gode con insaziabile voluttà, come un amplesso amoroso con la femmina dei tuoi sogni”.
Come operavano le forze dell’ordine nei confronti di Nitto Santapaola?
Nitto chi? L’innominabile? Il concetto astratto del boss? Ma lo era oppure no? Molti se lo chiedevano! Le risposte erano ingarbugliate. Ecco, queste erano le perplessità che ruotavano attorno a chi, a cavallo tra gli anni 70 e 80, aveva ottenuto un posto nella “società che conta”. Non può essere mafioso uno che ha il privilegio di avere al suo fianco un Prefetto e un Questore nel corso dell’inaugurazione della concessionaria d’auto PAMCAR. Non può essere mafioso uno a cui nel 1979 gli viene rilasciato il porto d’armi per il fucile e nel 1981 il passaporto. Sembrava un gioco a quiz dalla risposta sempre ambigua. Santapaola era il boss che nessuno cercava ma … poi qualcosa è cambiato. Nuova linfa investigativa e una magistratura più accorta cominciavano a scardinare le porte dell’omertà, anche con l’apporto dei primi pentiti. Purtroppo anche quando alcuni equilibri cambiarono e si cominciava a cercarlo veramente, e non per propaganda, non si riusciva a mettergli le mani addosso … probabilmente perché le talpe erano ovunque.
Com’era Catania in quel periodo?
A casa tengo come una reliquia qualche numero de I Siciliani di Pippo Fava. Basterebbe leggere qualcuno di quei saggi per capire il clima che si respirava. Gli omicidi, le bombe a seguito di estorsione, le rapine e gli scippi riempivano le pagine dei giornali. Catania era pericolosa, spavalda, arrogante, niente spazio alla normalità. La gente si adattava e viveva in quell’oblio indefinito che … ammutoliva. Era arrivata ad una soglia di non ritorno, stava perdendo tutto, l’identità, la libertà, la prosperità, la speranza. Io non direi com’era Catania in quel periodo. Cambierei la domanda in: è cambiata Catania? Avevo all’incirca 14 anni quando ho cominciato ad appassionarmi ai fatti della mia città, quando ho cominciato a sognare di diventare un Poliziotto. Leggevo i giornali e nel mio cervello avevo fissato i nomi delle famiglie mafiose e dei loro “carusi”, cioè dei picciotti che ne facevano parte. Ad ogni nome di persona associavo il quartiere a cui apparteneva. Ed allora era un susseguirsi di nomi di famiglie mafiose, clan e pregiudicati che ne facevano parte. Da allora ad oggi sono passati 40 anni e ancora devo sentire che la mia città è in mano alle solite bande di mafiosi di merda. I boss storici sono in galera ed i figli hanno preso il loro posto. E quando arresteranno i figli, il loro posto verrà preso dai figli e poi dai figli dei figli. Insomma sembra che arresti non ce ne sono mai stati, sembra di non aver fatto nulla di nulla. Loro vivi, ricchi e potenti. E i morti? Per chi hanno sacrificato la loro vita i valorosi rappresentanti delle Istituzioni, se questa feccia rimane la padrona della mia città? Forse saremmo condannati a sentire questi nomi ancora per i prossimi 100 anni? Ma quando lo Stato ( e non un pugno di volenterosi servitori dello Stato) deciderà di permetterci di debellare la mafia, usando il pugno duro e non di plastica? Provo molta rabbia, se penso a quante notti e giorni buttati al lavoro, all’acqua e al vento, per poter arrestare questa gente, mentre i nostri figli crescevano senza che ce ne accorgessimo. I nostri figli sono grandi, io e tanti miei colleghi in quiescenza e ancora nella mia città sento parlare di Santapaola … ca sammuccau a nostra città!!! E certamente la colpa non è solo di Santapaola ma di molti catanesi indifferenti, conniventi, colpevolmente distratti. Che tristezza!
Perché sei stato costretto ad allontanarti da Catania
Le cose accadono ed a volte neanche tu riesci bene a capire cosa, chi, come, quando e perché è successo. Forse mi sono confidato con le persone sbagliate. Forse ho fatto qualche sopralluogo con il collega sbagliato. Forse qualcuno ha chiacchierato troppo. Addirittura sono arrivato a pensare che qualcuno mi voleva proteggere. Insomma, tanta domande senza risposte nella mia testa. Il bandolo della matassa era difficile da trovare. Avevo saputo e scoperto un bel po’ di cose importanti… importantissime della mafia catanese. Avevo fatto e fatto fare ad altri colleghi – per proteggere la fonte informativa – arresti importantissimi. Penso che qualche notizia è arrivata all’orecchio sbagliato e, in un momento in cui lo Stato in Sicilia stava traballando, ripeto era il 1992, qualche pezzo di merda di mafioso si è sentito così potente da minacciare un po’ di poliziotti, io fra questi. Le scelte erano due. O sperimentare se qualcos’altro di più grave poteva accadermi o andarmene per farmi dimenticare. Ho soppesato la cosa per circa sei mesi … poi altre avvisaglie ed allora ho deciso di proteggere me stesso e la mia famiglia.
Com’è cambiata la tua vita?
E’ cambiata totalmente. Come si fa a dire a dei bambini perché non possono più giocare con i cugini o andare al parco con i nonni. Come ci si può abituare a trovarsi dal caldo del sud al freddo del nord ed a vivere con la tua famiglia all’interno di una caserma. Sapesse quanto lavoro ho fatto per capire chi può avermi tradito. Mesi e mesi ad analizzare agende, turni di servizio, nomi di colleghi, di amici, di confidenti con i quali avevo effettuato sopralluoghi, avevo parlato per confrontare notizie o conoscerne delle altre, fare riscontri. Un’idea con il tempo me la sono fatta ma oramai è troppo tardi. Quello che penso lo scrivo nei miei romanzi e chi vuole capire capisca.
Perché hai iniziato a scrivere libri?
Come ho sempre detto era un sogno che avevo sempre coltivato e soprattutto perché avevo una storia complicata da raccontare, una storia che la gente doveva conoscere. Ma il mio obiettivo non era solo quello di raccontare la mia personale storia, infatti nei miei libri ci sono tanti protagonisti, ma mettere in evidenza la vita dura che conducono le Forze dell’Ordine nel tentativo, a volte estremo, di garantire la serenità ai cittadini e diffondere un senso di legalità.
Qual è il ricordo più bello che hai di Catania?
Anche in questo caso l’elenco sarebbe lungo. Certamente non dimenticherò mai il giorno che ho preso la patente. Pensavo mi bocciassero poiché avevo stupidamente rivelato all’istruttore di guida che guidavo da quando avevo 10 anni la Fiat 500 di mio padre. Da Poliziotto il ricordo più bello è stato il giorno in cui, libero dal servizio ed in compagnia della famiglia, ho affrontato due rapinatori che stavano facendo una rapina in un rifornimento di via Pietro dell’Ova. Il rapinatore mi ha puntato l’arma addosso ed io l’ho puntata su di lui, eravamo a distanza di due metri. Siamo stati circa un minuto a guardarci negli occhi. Lui era spaventatissimo, quello era il vero pericolo. Aveva non più di 16 anni, potevo sparare ma non volevo ucciderlo, né ferirlo. Era giovane, può rifarsi una vita, pensavo in quei pochi momenti di follia. Gli ho parlato, parlato, con calma, invitandolo ad arrendersi, dicendogli che lo avrei aiutato, che non doveva spaventarsi, insomma tante cose. Poi lui ha buttato l’arma a terra ed è scappato. Io l’ho inseguito ma lui correva troppo anche per Mennea. Ho recuperato l’arma! Aveva il colpo in canna! Ho rischiato troppo quel giorno ma ero felice di non aver ucciso quel giovane. Chissà … magari dopo quello spavento ha smesso di fare quella vita. Voglio pensare che sia così…
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Catania 4/9/2015
Al Signor Questore di Catania
A Sua Eccellenza Prefetto di Catania
Il movimento neofascista “Forza Nuova” ha deciso di scendere in piazza a Palagonia il prossimo 6 settembre con manifestazione per “la formazione di comitati di cittadini per il controllo del territorio specie nelle zone isolate” una riedizione delle vecchie ronde a carattere razzista vietate dalla nostra Costituzione Repubblicana.
La nostra associazione si stringe al dolore della famiglia delle vittime dell’efferato omicidio dei due coniugi Solana, effettuato dall’ivoriano. Tutta questa violenza non giustifica il razzismo e la nascita di “comitati di cittadini” per la vendetta contro i migranti presenti al CARA di Mineo.
Da anni l’ANPI di Catania ha chiesto la chiusura del centro e ne ha denunciato il malaffare che prolifica sulla pelle dei migranti.
Da tempo denunciamo il rifiorire di rigurgiti fascisti, in tante forme, ma sempre con i soliti vessilli, i soliti richiami a ideologie fasciste e naziste, da tempo sconfitte e superate. Ci sarà qualcuno che abbia il coraggio di vietarle? Ci sarà qualcuno nelle istituzioni pubbliche che abbia chiara la concezione che emerge da tutta la Carta Costituzionale, di assoluta contrarietà ad ogni forma di fascismo e che ricorderà che il fascismo è anche quello delle leggi razziali e delle persecuzioni contro gli ebrei e che questo basta, da solo, per rendere penalmente illegittima, ai sensi della legge Mancino, qualunque manifestazione che a quella ideologia si richiami, o ne faccia apologia o mostri di volerne continuare, in qualunque forma, la tragica esperienza?
Vorremmo tanto che Lei Signor Prefetto e Signor Questore aveste presente la Carta Costituzionale e verificaste l’incompatibilità con essa della manifestazione preannunziata, traendone le conseguenze. Vorremmo ricordarvi che aggressioni ai migranti e agli attivisti della rete antirazzista sono già avvenute. Soprattutto, vorremmo che si considerasse che non si tratta (solo) di un problema di ordine pubblico, ma di coerenza con i principi costituzionali.
La democrazia deve essere difesa e garantita, prima di tutto, da parte dei pubblici poteri. Ad essi ci rivolgiamo perché vogliamo che revochino questa manifestazione e non autorizzino manifestazioni future.
Santina Sconza
presidente ANPI Provinciale di Catania
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Quarantanove morti in mare (nella foto il container refrigerato dove sono stati trasportati i corpi). Quattrocentosedici sopravvissuti: tra loro donne in stato di gravidanza e bambini. Lutto cittadino domani in città: oggi, niente fuochi per Sant’Agata. La comandante, Lise Dunham: “Abbiamo raccolto prove che forniremo al governo italiano”. IL VIDEO – FOTO
CATANIA. L’ennesima tragedia del mare ha scritto la sua sceneggiatura: forze dell’ordine, volontari, istituzioni, giornalisti. E, poi, loro: i migranti sopravvissuti. Quattrocentosedici in tutto. Un numero. Come quello dei morti al largo delle coste siciliani soffocati nella stiva della nave con la quale avrebbero voluto approdare verso la speranza della libertà: le persone che non ce l’hanno fatta, alla fine, sono state ben 49.
Due, le operazioni di soccorso eseguite dal dispositivo di sicurezza. La prima, quella con i 49 morti ed i 313 superstiti, ha portato in salvo 42 donne (una di queste in stato di gravidanza) e 9 minori. Nel secondo barcone, quello con 103 migranti, vi erano invece 4 donne e 5 minori.
Ad essere tratti in salvo sono stati migranti provenienti dai Pesei sub-sahariani, nord-africani (in prevalenza Marocco e Egitto) e asiatici (come India e Bangldesh). Tutti approdati, questa mattina, a bordo del pattugliatore Siem Pilot battente bandiera norvegese al molo di Mezzogiorno del Porto di Catania. Attivato il sistema di accoglienza con Croce Rossa e Protezione Civile: tutto sotto il coordinamento della Prefettura che deciderà sull’iter burocratico legato alle salme delle vittime che sono state trasportate all’interno di una cella frigorifera al reparto di medicina legale dell’ospedale Garibaldi. Sui tempi, molto dipenderà anche dalla magistratura (che ha aperto un fascicolo contro ignoti per “omicidio colposo”) visto il necessario e opportuno esame autoptico che verrà eseguito sui corpi.
Sul posto, gli agenti della Squadra Mobile che – con il supporto di carabinieri e guardia di finanza – hanno avviato l’indagine volta a individuare la presenza di possibili scafisti sui superstiti. Presente alle operazioni di sbarco il vice-sindaco Marco Consoli (“I superstiti non resteranno a Catania ma verranno inviati in altre regioni d’Italia: siamo pronti a seppellire qui le vittime”) e l’assessore comunale al Welfare Angelo Villari. Intanto, il tradizionale spettacolo pirotecnico per festeggiare Sant’Agata, previsto per stasera, è stato sospeso in segno di rispetto.
A margine dello sbarco la Comandante della Siem Pilot, Lise Dunham, ha incontrato i giornalisti per fornire dettagli sulle operazioni di soccorso: “Abbiamo fatto alcune indagini a bordo del barcone ed abbiamo raccolto delle prove che forniremo al governo italiano che coordina l’inchiesta. Abbiamo parlato con alcuni dei migranti che conoscono l’inglese: molti erano tristi per avere perso i loro mariti. Alcuni dei sopravvissuti hanno problemi di salute ma non si tratta di casi gravi. Qualche caso di disidratazione e dissenteria. A bordo abbiamo dato loro cibo e acqua e abbiamo cercato di tranquillizzarli fino all’arrivo a Catania”.
I migranti sarebbero partiti da Zuwara, in Libia, la notte tra venerdì e sabato scorsi. Questo da quanto hanno saputo alcuni mediatori di Save The Cildren che hanno parlato con alcuni superstiti. Giovanna Di Benedetto di Save The Cildren al Porto di Catania ha precisato che sono poche le informazioni raccolte. “Hanno raccontato – afferma – che c’erano molte persone nella stiva che sono morte asfissiate. Alcuni di loro sono del Bangladesh e quindi abbiamo seri problemi di comunicazione. I sopravvissuti – ha concluso – sono già sugli autobus e saranno subito trasferiti verso il Nord Italia: Torino, Milano, Bologna e Firenze”.
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COMUNICATO STAMPA
licenziamento Gioacchino Lunetto
Ancora una volta l’ANPI di Catania deve intervenire a denunciare atteggiamenti fascisti e razzisti, questa volta denunciamo l’atteggiamento del dirigente della Polfer di Catania Gioacchino Lunetto.
Le sue frasi razziste e fasciste sul suo profilo fb sono incompatibili col suo ruolo di appartenete alla polizia di stato. Riteniamo che questi atteggiamenti sono un grave danno all’immagine delle forze dell’ordine, che a Genova durante le manifestazioni del G8 si sono macchiate di atti indegni di un paese democratico con l’uso della tortura, non possono loro stesse tollerare questi atteggiamenti.
Visto che la Digos di Catania ha trasmesso alla Procura gli atti sulle dichiarazioni pubblicate dall’ispettore Lunetto, e il questore ha disposto l’avvio di opportune valutazioni per l’adozione di provvedimenti disciplinari.
Chiediamo alla Magistratura di Catania, visto che gli atteggiamenti del Lunetto sono contrari alla Costituzione della Repubblica Italiana e alle sue leggi di allontanarlo in modo definitivo dal servizio.
Catania 20/6/2015
Santina Sconza Presidente Provinciale ANPI Catania
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Appena giunto comunicato ufficiale della Procura di Catania che riportiamo integralmente
In data 16.06.2015 il Tribunale di Prevenzione di Catania, in accoglimento della richiesta presentata dalla Procura Distrettuale della Repubblica, ha disposto il sequestro di ingenti somme di denaro riconducibili all’editore catanese CIANCIO SANFILIPPO Mario.
Sono stati sottoposti a sequestro antimafia un rapporto bancario intrattenuto da Ciancio, per il tramite di una società fiduciaria del Lichtenstein, in un istituto di credito con sede in Svizzera in cui sono depositati titoli e azioni per un valore, stimato allo stato, di circa 12 milioni di euro e, inoltre, è stata sequestrata la somma in contanti di circa 5 milioni di euro depositata presso una filiale di una banca etnea.
Il sequestro è stato eseguito in data 17.06.2015 dai Carabinieri del Raggruppamento Operativo Speciale (ROS) Sezione Anticrimine di Catania, a cui erano state delegate le indagini penali e patrimoniali.
Come è noto la Procura di Catania ha esercitato l’azione penale nei confronti di Ciancio Sanfilippo Mario per avere lo stesso, da numerosi anni, apportato un contributo causale a cosa nostra catanese e, per tale motivo, proprio in data 19.06.2015 si terrà la prima udienza preliminare al fine di stabilire se l’imputato dovrà o meno essere sottoposto ad un processo.
In tale contesto la Procura di Catania, oltre a raccogliere e riscontrare le dichiarazioni di collaboratori di giustizia ed a ricostruire complessi affari promossi dal Ciancio nei quali aveva interesse la mafia, ha delegato indagini patrimoniali che si sono spinte a ricercare anche dei fondi detenuti illegittimamente all’estero dal Ciancio. Si sono, così, individuati, tra gli altri, depositi bancari in Svizzera, alcuni dei quali schermati tramite delle fiduciarie di paesi appartenenti ai cosiddetti paradisi fiscali; gli accertamenti sono stati agevolati dalla cooperazione prestata, tramite rogatoria e in adesione ai trattati internazionali, della Procura Svizzera di Lugano, la quale ha acquisito dagli istituti bancari documentazione bancaria rilevante.
Altre approfondite indagini sono state delegate al Nucleo di Polizia Tributaria di Catania che ha acquisito le movimentazioni bancarie e altre informazioni sulle quali il consulente del Pubblico Ministero, la società multinazionale Price Water House Coopers S.p.A. (PWC), specializzata in revisioni in bilancio, sta ricostruendo il patrimonio del Ciancio negli anni.
La richiesta di sequestro urgente è stata presentata dalla Procura Distrettuale della Repubblica nel momento in cui è venuta a conoscenza del fatto che Ciancio Sanfilippo Mario aveva dato l’ordine di monetizzare i propri titoli detenuti in Svizzera e di trasferire il ricavato in istituti di credito italiani.
Nella richiesta di sequestro sono stati ricostruiti numerosi affari del Ciancio che risultano infiltrati da Cosa nostra catanese sin dall’epoca in cui l’economia catanese era sostanzialmente imperniata sulle attività delle imprese dei cosiddetti cavalieri del lavoro, tra i quali Graci e Costanzo.
Le indagini hanno consentito di accertare l’esistenza di una sperequazione non giustificata tra le somme di denaro detenute in Svizzera ed i redditi dichiarati ai fini delle imposte sui redditi in un arco temporale assai ampio.
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L’ANPI di Catania esprime sdegno e preoccupazione per le notizie relative ai legami tra numerosi esponenti della classe politica capitolina, l’organizzazione criminale “Mafia capitale” e il CARA di Mineo. Già da tempo abbiamo denunciato in pubbliche manifestazioni la nostra preoccupazione per la conduzione amministrativa e politica dei dirigenti del CARA di Mineo.
Lo scenario emerso dalle inchieste fornisce la peggiore conferma dei nostri sospetti, ci meraviglia che nonostante che da tempo le associazioni antirazziste e alcuni politici denuncino fatti gravissimi, nessuno sia intervenuto a fermare la gestione del gruppo LA CASCINA.
Invitiamo la magistratura a continuare la ricerca delle responsabilità senza timore per nessun potere politico.
Invitiamo il ministro Alfano di commissariare la gestione del Cara di Mineo oggi stesso o trarne le giuste conclusioni e domani dimettersi.
Da parte nostra continueremo a vigilare e denunciare la corruzione che mina la democrazia.
ANPI Provinciale Catania
Catania 7/6/2015
con preghiera di pubblicazione
Santina Sconza
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CATANIA – Il quadro della criminalità organizzata a Catania risulta molto complesso e tendenzialmente policentrico. Le forze dell’ordine e la magistratura lavorano a braccetto per disarticolare un sistema che si nutre senza sosta… una bestia nera difficile da smantellare, infiltrata nelle maglie della società di cui divora complessi circuiti economico-finanziari che portano quattrini a pioggia.
“La situazione criminale qui è diversa rispetto alla Sicilia Occidentale – afferma Antonio Salvago, dirigente della Squadra Mobile – Le organizzazioni mafiose sono radicate nei quartieri e spesso all’interno delle stesse realtà cittadine convivono più associazioni criminali, il che ostacola notevolmente il controllo del territorio. Ognuna di esse fa perno su più “squadre” che agiscono autonomamente ma devono fare sempre riferimento ai reggenti che muovono le fila”.
Nonostante siano molto chiare, anche per gli addetti ai lavori, le dinamiche criminali, in città è difficile intervenire con manovre radicali perché il sistema mafioso è tentacolare: i clan, se bersagliati da una tornata di arresti, ci mettono veramente molto poco a rimodulare il proprio sistema interno.
“La coesistenza di più organizzazioni nella stessa area, in passato era oggetto di vere e proprie guerre intestine. Da alcuni anni a questa parte, invece, viviamo un momento di “low profile” perché sono le stesse realtà mafiose a mantenere un profilo basso – aggiunge Salvago – e i motivi sono due: da una parte ci siamo noi che agiamo, dall’altro è una scelta strategica cioè quella di apparire il meno possibile”.
Ma ci spieghi meglio… le dinamiche mafiose, nonostante i vostri blitz, sono identiche al passato?
“Sì, le famiglie che dominano sono sempre i Santapaola-Ercolano e i Mazzei che fanno parte di Cosa Nostra. Poi intorno gravitano tutta una serie di micro o macro organizzazioni criminali, con stessa struttura ma che non vi sono dentro a tutti gli effetti”, incalza il capo della Mobile. “Il settore maggiormente remunerativo è quello del traffico di stupefacenti e proprio il controllo delle piazze di spaccio è uno dei leitmotiv di queste realtà. Un gradino più in basso mettiamo le estorsioni che rappresentano sempre il reato principe dei gruppi criminali che attestano la signoria territoriale dell’organizzazione in un determinato quartiere. Ma potremmo continuare ancora, perché ci sono tante altre attività correlate, come per esempio l’usura o le rapine”.
Effettivamente l’ultimo rapporto della DIA di Catania non fa registrare significative oscillazioni negli equilibri mafiosi rispetto al passato ed ecco che nella nostra immagine di copertina vi mostriamo una mappa orientativa, che fotografa la presenza delle diverse associazioni criminali sul territorio.
Oggi, l’obbiettivo prioritario delle cosche, con Cosa Nostra in testa, è “fare impresa”, accumulando beni da reinvestire sul mercato legale. “Penso che l’aggressione al patrimonio dei criminali sia fondamentale – continua il dott. Salvago -. Non è sufficiente l’ordinanza di custodia cautelare sulla singola persona. È fondamentale aggredirne il patrimonio per levare linfa vitale alle organizzazioni mafiose”.
E la Squadra Mobile in questo senso che fa?
“Noi normalmente all’attività di indagine che riguarda le organizzazioni, ne aggiungiamo una patrimoniale. All’interno della Questura, per altro, esiste “l’ufficio misure di prevenzione” che si occupa esclusivamente di misure patrimoniali reali come il sequestro e la confisca dei beni ai mafiosi. E operazioni di questo tipo ne abbiamo fatte diverse, magari aiutati anche dalla guardia di Finanza”.
Per esempio?
“Basti pensare all’operazione Money Lander che ha messo le mani su un grosso giro di estorsioni e usura. In questo caso c’è stata un’attività di aggressione patrimoniale fatta proprio dalla guardia di Finanza”.
Ma secondo lei, quale peso ha la società civile in queste dinamiche?
“Parto subito da un esempio come quello di qualche giorno fa: la corsa clandestina in pieno giorno alla Circonvallazione di Catania dà il senso concreto dell’emergenza. Questa è una città che ha bisogno di un’attenzione sempre maggiore da parte di tutti, in particolar modo dei cittadini”.
In città, effettivamente, ancora domina prepotentemente la politica del “nenti sacciu, nenti viru e nenti sentu”.
“Un esempio concreto viene dall’operazione “Auto Market”, in cui abbiamo segnalato che ci vuole la denuncia dei cittadini e che essa non deve rimanere fine a se stessa bensì trasformarsi in una presa di coscienza della comunità. Bisogna rompere questo gioco vizioso, per esempio, di farci restituire la macchina in cambio di somme di denaro più o meno alte o pagare il pizzo per mantenere aperta un’attività. La strada più breve e corretta – conclude Salvago – è quella di rivolgersi alle forze dell’ordine. Ci potranno essere i casi in cui non si arriva a nulla ma io posso dire, con carte alla mano, che nella stragrande maggioranza noi, come forze di polizia, le macchine le abbiamo ritrovate e chi ha denunciato ha avuto la soddisfazione morale di poter dire di aver fatto la scelta giusta e di non aver foraggiato questo sistema perverso”.
E intanto più che un cancro da estirpare, la mafia in città sembra una fenice che rinasce sempre dalle sue ceneri…
Daniela Torrisi – Giorgia Mosca
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&amp;lt;img width=”960″ height=”230″ src=”http://www.sudpress.it/_/wp-content/uploads/2015/03/casiodev.png?a3b3a5″ class=”attachment-full wp-post-image” alt=”casiodev” /&amp;gt;
Le Procure di Catania e Caltagirone pronte a chiudere il cerchio sulla gestione milionaria del centro di accoglienza. Coinvolti a vario titolo esponenti politici, funzionari e ras delle cooperative. Ipotesi di associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta e voto di scambio. TUTTI I NOMI
La diffusione della decisione dell’Autorità Anticorruzione, firmata personalmente dal presidente Raffaele Cantone, di dichiarare illegittima la gara d’appalto da 97 milioni di euro per la gestione del CARA di Mineo ha probabilmente accelerato l’iniziativa delle due procure competenti, Catania e Caltagirone, che da tempo stanno investigando sul colossale business creatosi attorno al fenomeno dell’immigrazione clandestina.
Diversi i filoni d’indagine, compresi i collegamenti con quella in fase più avanzata della Procura di Roma retta dal procuratore capo Pignatone e che ha già condotto a numerosi arresti.
Al centro dell’indagine catanese, la presunta turbativa finalizzata a confezionare un bando di gara preconfezionato su misura in modo tale che, a causa dei requisiti specifici inseriti nel capitolato, potesse partecipare esclusivamente il raggruppamento d’imprese che già gestiva lo stesso servizio, per di più in proroga da oltre un anno.
Altro filone d’inchiesta riguarderebbe il sistema di assunzioni presso le varie cooperative coinvolte nella gestione del business dell’accogienza, dal CARA vero e proprio ai numerosi SPRAR presenti sul territorio sino all’accoglienza dei minori non accompagnati.
Il nome più eccellente tra quanti hanno avuto ruolo nella gestione del CARA figura l’attuale sottosegretario del governo Renzi Giuseppe Castiglione.
Castiglione è stato il ”Soggetto Attuatore” che ha di fatto creato il “sistema CARA” in qualità di presidente della provincia di Catania, costituendo anche il “gruppo dirigente” della struttura.
Un suo fedelissimo, al suo fianco già alla Provincia di Catania, è stato posto a capo della direzione generale, Giovanni Ferrera, responsabile diretto della gestione della gara d’appalto dichiarata illegittima ed a capo della commissione giudicatrice che era composta anche da Luca Odevaine e Salvatore Lentini, capo ufficio tecnico del comune di Vizzini..
Sempre al fianco di Castiglione anche Luca Odevaine, consulente presso il CARA, ed attualmente in carcere per il ruolo svolto nell’ambito dell’inchiesta su “Mafia Capitale”.
Patron indiscusso delle cooperative il cui ruolo sarebbe al vaglio degli inquirenti sia per le turbative che per le assunzioni, Paolo Ragusa, presidente del consorzio di cooperative SOL.Calatino.
A presiedere l’assemblea del Consorzio “Terra d’Accoglienza” il sindaco di Vizzini Aurelio Sinatra, mentre il consiglio di amministrazione ha come presidente Anna Aloisi, sindaco di Mineo ed i sindaci di Ramacca Franco Zappalà, di Licodia Eubea Giovanni Verga, di San Cono Salvatore Barbera e di San Michele di Ganzaria Giovanni Petta
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La CGIL di Catania aderisce alla manifestazione
BLOCCHIAMO LA DERIVA AUTORITARIA
DIFENDIAMO LA DEMOCRAZIA E LA COSTITUZIONE indetta dall’ANPI Catania per il 10 marzo ore 17’30 in via etnea sotto la prefettura e ne condivide i contenuti. La Cgil di Catania invita tutti gli iscritti al sindacato a partecipare
CGIL CATANIA
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