Elsa Cayat, di Charlie Hebdo, sopravvive nelle sue lucide opere di genere da: noidonne

Elsa Cayat, di Charlie Hebdo, sopravvive nelle sue lucide opere di genere

Psicologa colta, e vivace analista delle dinamiche di coppia, Elsa Cayat (1960 – Parigi, 7 gennaio 2015), vittima del terrorismo islamico, rivive nelle sue opere sulla sessualità di coppia e sulle differenze fra i due generi.

inserito da Marta Mariani

4 milioni di francesi uniti contro il terrorismo. Una fiumana di determinazione, di solidarietà. Una moltitudine di cordoglio, di estremo dolore, certo, ma senza paura: «Terroriste t’es foutu, / la France est dans la rue!» (Terrorista, sei fottuto / la Francia è scesa in piazza!). Nell’ultimo week-end, quella che da “Le Figaro” è stata definita una “marea umana” ha sguinzagliato tutto il suo disprezzo verso il fanatismo islamico, e soprattutto, verso il terrorismo, incarnando con il suo “je suis Charlie” le 12 vittime della redazione Charlie Hebdo. Le vittime, uccise dal fuoco dei kalashnikov aperto al grido di “Allah akbar!”, erano soprattutto giornalisti, oltre a un addetto alla portineria e ad un poliziotto in sorveglianza. Una donna, fra le vittime – Elsa Cayat, psicoanalista e scrittrice – curava la rubrica bisettimanale “Charlie Divan”. E’ per omaggiare il suo lavoro e il suo contributo all’informazione francese che diamo spazio, qui, alle sue opere di genere.

Elsa Cayat, infatti, era un’analista delle relazioni fra uomini e donne, un’indagatrice delle dinamiche di coppia, una studiosa della psicologia dei generi. Nel 1998, la Cayat aveva pubblicato, con Jaques Grancher Edition, un volume di psicologia dal titolo “Un homme + un femme = quoi?” (“Un uomo + una donna = che cosa?”). In questo libro, la psicologa scongiurava l’approdo della coppia a mero “quadretto formale di celibi e nubili che semplicemente coabitano” in un’unione “non più intima ma prettamente sociale”. Così, con uno sguardo certamente ironico e pronto a sorridere di molte disillusioni, la Cayat osservava come si possono paradossalmente celare, dietro un grande amore, l’odio e il risentimento.

L’occhio sbarazzino della Cayat sopravvive ancora nella sua più recente pubblicazione – Albin Michel 2007 – redatta a quattro mani con il giornalista Antonio Fischetti, “Le désir et la putain: Les enjeux cachés de la sexualité masculine” (“Il desiderio e la puttana: La celata posta in gioco della sessualità maschile”). La Cayat vi analizzava la centralità del sesso per gli esseri umani, il significato simbolico della penetrazione, vi si domandava se le parole fossero oggetti dotati di carica libidica, se tutte le donne non fossero, per gli uomini, che una variazione sul tema della “madre” o della “puttana”. Cayat e Fischetti vi dibattevano, infine, di prostituzione, per coprire a parole tutto il divario che intercorre fra desiderio, carnalità e “intima comprensione sessuale” fra i generi.

Insomma, la Cayat, – che avrebbe potuto ancora regalarci perle di sapienza sulla vita di coppia e sull’amore – nel suo più luminoso guizzo dello spirito, possiamo leggerla nell’intervista edita su Psychologies.com, che così comincia: «Come è possibile voler fondare la propria vita su qualcuno che sia altro da se stesso? Questo è il nucleo di qualsiasi problema sull’amore. Il punto, infatti, non è cercare di fondare la propria vita sulla vita di un altro. Il punto è di assicurarsi la propria vita e di rimettere al centro il Sé, per potersi aprire all’altro… Da qualche parte dentro di noi noi vorremmo poggiarci e riposare sull’altro perché crediamo che tutti i problemi provengano da una mancanza d’amore. Pensiamo che l’amore sia la soluzione ad ogni carenza, e dunque, che l’altro possa guarirci da ogni male. Ma questo è falso. Non soltanto l’altro non può supplire alle nostre carenze, ma i problemi personali spunteranno fuori nella misura stessa dell’intensità amorosa. Per poter risolvere i nostri problemi, dobbiamo analizzarci interiormente e ricentrarci sul nostro Sé, sul nostro io…»

| 12 Gennaio 2015