Il vero obiettivo tedesco è l’eliminazione di Syriza da: il manifesto

Germania e Ue. La posta in gioco dietro il fuoco tedesco

Ancora una volta era sem­brato che l’accordo tra Ue e Gre­cia si potesse fare, rag­giun­gendo così l’obbiettivo di chiu­dere la bat­ta­glia ini­ziata con la vit­to­ria di Syriza nel gen­naio 2015, nono­stante l’obbiettivo vero delle auto­rità euro­pee sia sem­pre stato l’estromissione di Syriza dal governo. In que­sti mesi, infatti, quasi mai la posta in gioco dello scon­tro ha coin­ciso con le misure discusse. Bensì, da parte euro­pea, otte­nere l’adesione alla filo­so­fia del Memo­ran­dum. Ma que­sta sot­to­mis­sione al Memo­ran­dum che l’Eurogruppo voleva non c’è mai stata.

Le «Isti­tu­zioni», via via sem­pre più irri­tate dalla tat­tica nego­ziale di Tsi­pras, prima attac­ca­rono vio­len­te­mente Varou­fa­kis per espel­lerlo dalla trat­ta­tiva, e poi lan­cia­rono l’ultimatum al governo greco dopo la riu­nione «segreta» dei quat­tro (Com­mis­sione, Bce, Fmi e Eurogruppo).

A que­sta richie­sta fu rispo­sto no, con durezza, e le trat­ta­tive rico­min­cia­rono. Ma nono­stante le dif­fe­renze nelle misure da adot­tare si ridu­ces­sero, appa­riva chiara la volontà dell’Eurogruppo di accet­tare solo una resa com­pleta della Grecia.

E creb­bero le mano­vre euro­pee in Gre­cia per arri­vare a una sosti­tu­zione del governo di Syriza con uno di unità nazio­nale. A que­sto Tsi­pras rispose col refe­ren­dum, con­si­de­rato dagli euro­pei una mossa tal­mente ostile da dichia­rare, sia prima che subito dopo, che il refe­ren­dum ren­deva impos­si­bile la ria­per­tura delle trattative.

Tutti sap­piamo che la trat­ta­tiva si è ria­perta solo per l’esito quasi ple­bi­sci­ta­rio del refe­ren­dum, e per l’intervento pesante degli Stati Uniti. Dopo il refe­ren­dum e l’evidenza dei cal­coli poli­tici sba­gliati, gli Usa hanno ricor­dato bru­sca­mente agli euro­pei che i vin­coli geo­stra­te­gici non pote­vano essere un optio­nal subor­di­nato agli obbiet­tivi poli­tici intra-europei.

Rispetto a que­sto punto va valu­tata accu­ra­ta­mente la posta in gioco in que­sto momento. Che non può che essere che la soprav­vi­venza del governo di Syriza come obbiet­tivo asso­lu­ta­mente prio­ri­ta­rio. Evi­den­te­mente nel lato euro­peo sta pren­dendo di nuovo piede la posi­zione esat­ta­mente oppo­sta: che sia asso­lu­ta­mente prio­ri­ta­rio invece libe­rarsi di que­sto governo; e, in subor­dine, se que­sto non fosse pos­si­bile, libe­rarsi della Gre­cia nell’euro, pre­ci­pi­tan­dola in un caos che comun­que sia di monito a chiun­que volesse seguire quella via.

Solo così si spiega, infatti, la ria­per­tura vio­lenta dei gio­chi che sem­bra­vano taci­tati dall’intervento ame­ri­cano. Evi­den­te­mente pesano due moti­va­zioni entrambe vitali per la diri­genza tede­sca. La prima che que­sta rot­tura «poli­tica» della disci­plina dell’austerità era comun­que inac­cet­ta­bile per il con­ta­gio che avrebbe potuto pro­vo­care, indi­pen­den­te­mente dal con­te­nuto delle misure con­te­nute negli accordi. Ma c’è un secondo lato, fin qui in ombra, che sta venendo in luce. Ed è la stessa sta­bi­lità poli­tica tedesca.

È evi­dente, infatti, che Schäu­ble sta gio­cando pesan­te­mente sulla asso­luta osti­lità dell’opinione pub­blica tede­sca nei con­fronti di un qual­siasi accordo con la Gre­cia, che smuove strati pro­fondi di disprezzo verso il Sud d’Europa. L’incertezza della Mer­kel nel dare corso alle richie­ste ame­ri­cane di tener conto degli aspetti geo­stra­te­gici che l’esito nega­tivo dell’accordo impli­che­rebbe, pare quindi dovuto al timore che que­sta opi­nione pub­blica, da lei stessa aiz­zata fino al paros­si­smo, possa rea­gire vio­len­te­mente, desta­bi­liz­zando tutto il qua­dro poli­tico tedesco.

Non sarebbe più allora il peri­colo di for­ma­zioni popu­li­ste a pre­oc­cu­parla, ma che forse la stessa Csu bava­rese di Schäu­ble possa scen­dere sul piede di guerra.

Equi­li­bri tede­schi con­tro equi­li­bri euro­pei e geo­stra­te­gici mon­diali. Que­sta è la par­tita tre­menda che si sta gio­cando. Syriza deve morire, è l’urlo della destra tede­sca, e europea.

Che chia­ri­sce anche ai più tardi qual è la posta in gioco. Non certo le per­cen­tuali dell’accordo. Ma il potere in Europa. Che, per la prima volta, da Maa­stri­cht in poi, è stato messo in discus­sione dalla for­ma­zione poli­tica di un pic­colo paese di grande corag­gio. Chapeau.

PRIME CONSIDERAZIONI SULLE ELEZIONI IN GRECIA da: tutti i colori del rosso


di Fabio Nobile

a) La vittoria elettorale di Siryza è straordinaria. Per la prima volta in Europa una forza di sinistra ed esplicitamente contro Bruxelles vince. Trasformarla in una vittoria politica di lungo periodo per i compagni greci sarà un compito arduo. E’ bene saperlo per affrontare la fase con la giusta razionalità.

b) Circa la scelta di Syriza di allearsi con ANEL, formazione politica riconducibile alla destra greca, ogni giudizio rischia di essere prematuro. Indubbiamente si tratta di una scelta che può rivelarsi scivolosa, ma è pur vero che data l’indisponibilità del KKE (Partito comunista greco) non c’erano grandi alternative.

c) I rapporti di forza. Sul piano istituzionale europeo Tsipras è oggettivamente isolato: i più vicini, ovviamente solo a parole, sul tema dell’austerity sono Renzi e Hollande. Giova, in proposito, ricordare che non più di sei mesi fa la Merkel ha “rifatto” il governo francese, perché non perfettamente allineato ai diktat di Berlino. Sul piano interno Tsipras ha certamente un margine più ampio, che si è ora consolidato col grande successo elettorale. Decisivi comunque sono i primi cento giorni, durante i quali sono indispensabili i primi concreti provvedimenti per alleviare il disagio sociale.

d) Atteso che i rapporti di forza sembrano essere questi, la partita che si gioca Tsipras è tutta politica. Se l’obiettivo generale del governo Tsipras è aprire lo scontro sull’impianto delle politiche economiche europee, la sua azione – sul breve periodo – deve essere necessariamente finalizzata ad aprire un varco negoziale vero su austerity e debito (questione 1) e a compattare e strutturare il sostegno popolare al governo (questione 2). Decisiva è, quindi, la capacità di tenuta di Syriza tanto sotto il profilo istituzionale, nella gestione delle dinamiche governative e parlamentari, quanto sotto il profilo sociale, nel mantenere il bandolo della matassa politica in una società segnata e provata dalla crisi. La Merkel, infatti, potendo disporre delle leve politiche e finanziarie europee, giocherà a logorare il governo greco: bastone e carota, aperture e chiusure, nubi e schiarite, ossessivamente. Continuamente si tenterà di riassorbire Syriza in logiche ultra-gradualiste. Molto dipenderà quindi dalla determinazione e dalla capacità di Syriza di reggere lo scontro con la Merkel e la Troika, senza cedimenti e con la disponibilità ad assumere anche scelte di completa rottura.

e) Per aprire un varco vero su austerity e debito (questione 1) bisogna, quindi, individuare degli interlocutori in Europa e provare a premere su di loro, e sulle loro contraddizioni, per aumentare la pressione su BCE e Berlino. Serve premere su forze che hanno un peso sul piano politico, sindacale e sociale, in primo luogo all’interno del cuore pulsante dell’Europa: in Francia e Germania. Più di tutto conterà quanto si alzerà il livello di mobilitazione popolare nel resto d’Europa, la funzione e la forza che metterà in campo la sinistra politica e sociale europea e la pressione che ne scaturirà in quei paesi in cui il consenso verso le politiche d’austerity, e le forze politiche che le sostengono, sono in costante calo. Il potenziale positivo dell’effetto contagio è ancora una volta enorme; da quello dipende in gran parte l’isolamento o meno della Grecia.

f) Per compattare e strutturare il sostegno popolare al governo (questione 2) servono molti passi in avanti. In termini di capacità di mobilitazione popolare al di là della smagliante leadership, la più transitoria delle virtù politiche, bisogna fare molto. Pur tenendo in grande considerazione le pratiche mutualistiche, fiore all’occhiello di Syriza e aspetto dal quale dovremmo certamente trarre insegnamento, non bisogna sottovalutare la capacità di mobilitazione e la strutturazione che esprimono i corpi intermedi tradizionali, primo tra i quali il sindacato. Ed è qui che c’è un nodo di non poco conto: la più importante organizzazione sindacale greca, il Pame, in grado di portare in piazza milioni di lavoratori, è saldamente in mano ai comunisti del KKE.

g) Il risultato del KKE è certamente di tenuta e non era affatto scontato. Bisogna ammettere che anche grazie alla strutturazione e alla radicalità della critica da sinistra mossa dal KKE che Syriza è riuscita a costruire una piattaforma politica avanzata. Ma bisogna avere chiaro che se Siryza, tuttavia, fallirà anche chi oggi si chiama fuori, come il KKE, ne sarà responsabile. Il terzo partito di Grecia è il neonazista Alba Dorata. Una forma di sostegno condizionato sul piano politico sarebbe, con ogni probabilità, la scelta giusta per il KKE e la Grecia. L’attesismo della purezza, in una fase così complessa e dinamica, rischia infatti di essere esiziale.

h) Per quanto riguarda l’Italia, che non è la Grecia, dobbiamo lavorare ad un nostro originale percorso di unità in grado di essere efficace nel nostro Paese. Non esiste in Europa un percorso che è copia dell’altro. Esiste in generale l’esigenza di rafforzare politicamente l’unità d’azione delle forze che in Europa si battono contro la Troika e per noi l’urgenza di poter dare il nostro contributo.

i) A coloro i quali cercano di legittimare il proprio posizionamento politico in Italia in virtù di quanto accade in Grecia vanno ricordati alcuni paletti che qualificano l’impresa di Siryza. 1. Syriza fa un accordo di governo solo dopo aver raggiunto rapporti di forza schiaccianti in proprio favore; 2. nelle precedenti tornate elettorali Syriza ha risolutamente rifiutato ogni genere di accordo col Pasok e coi vari partiti filo-Bruxelles; 3. Syriza si è giustamente rifiutata di candidare all’interno delle proprie liste gli esponenti di Dimar, una formazione politica nata nel 2010 da una scissione da destra di Synaspismós.
E’ utile conoscere anche questi aspetti se si vuole valorizzare l’esperienza greca.

“Grecia, un varco su debito e austerity è possibile solo con un alto livello di mobilitazione”. Intervento di Fabio Nobileda: controlacrisi.org

Prime considerazioni sulle elezioni in Grecia.a) La vittoria elettorale di Siryza è straordinaria. Per la prima volta in Europa una forza di sinistra ed esplicitamente contro Bruxelles vince. Trasformarla in una vittoria politica di lungo periodo per i compagni greci sarà un compito arduo. E’ bene saperlo per affrontare la fase con la giusta razionalità.

b) Circa la scelta di Syriza di allearsi con ANEL, formazione politica riconducibile alla destra greca, ogni giudizio rischia di essere prematuro. Indubbiamente si tratta di una scelta che può rivelarsi scivolosa, è pur vero che data l’indisponibilità del KKE non c’erano grandi alternative.

c) I rapporti di forza. Sul piano istituzionale europeo Tsipras è oggettivamente isolato: i più vicini, ovviamente solo a parole, sul tema dell’austerity sono Renzi e Hollande. Giova, in proposito, ricordare che non più di sei mesi fa la Merkel ha “rifatto” il governo francese, perché non perfettamente allineato ai diktat di Berlino. Sul piano interno Tsipras ha certamente un margine più ampio, che si è ora consolidato col grande successo elettorale. Decisivi comunque sono i primi cento giorni, durante i quali sono indispensabili i primi concreti provvedimenti per alleviare il disagio sociale.

d) Atteso che i rapporti di forza sembrano essere questi la partita che si gioca Tsipras è tutta politica. Se l’obiettivo generale del governo Tsipras è aprire lo scontro sull’impianto delle politiche economiche europee la sua azione – sul breve periodo – deve essere necessariamente finalizzata:
ad aprire un varco negoziale vero su austerity e debito (questione 1);
e a compattare e strutturare il sostegno popolare al governo (questione 2).

Decisiva è, quindi, la capacità di tenuta di Syriza tanto sotto il profilo istituzionale, nella gestione delle dinamiche governative e parlamentari, quanto sotto il profilo sociale, nel mantenere il bandolo della matassa politica in una società segnata e provata dalla crisi. La Merkel, infatti, potendo disporre delle leve politiche e finanziarie europee, giocherà a logorare il governo greco: bastone e carota, aperture e chiusure, nubi e schiarite, ossessivamente. Continuamente si tenterà di riassorbire Syriza in logiche ultra-gradualiste. Molto dipenderà quindi dalla determinazione e dalla capacità di Syriza di reggere lo scontro con la Merkel e la Troika, senza cedimenti e con la disponibilità ad assumere anche scelte di completa rottura.

e) Per aprire un varco vero su austerity e debito (questione 1) bisogna, quindi, individuare degli interlocutori in Europa e provare a premere su di loro, e sulle loro contraddizioni, per aumentare la pressione su BCE e Berlino. Serve premere su forze che hanno un peso sul piano politico, sindacale e sociale, in primo luogo all’interno del cuore pulsante dell’Europa: in Francia e Germania.
Più di tutto conterà quanto si alzerà il livello di mobilitazione popolare nel resto d’Europa, la funzione e la forza che metterà in campo la sinistra politica e sociale europea e la pressione che ne scaturirà in quei paesi in cui il consenso verso le politiche d’austerity, e le forze politiche che le sostengono, sono in costante calo. Il potenziale positivo dell’effetto contagio è ancora una volta enorme, da quello dipende in gran parte l’isolamento o meno della Grecia.

f) Per compattare e strutturare il sostegno popolare al governo (questione 2) servono molti passi in avanti. In termini di capacità di mobilitazione popolare al di là della smagliante leadership, la più transitoria delle virtù politiche, bisogna fare molto. Pur tenendo in grande considerazione le pratiche mutualistiche, fiore all’occhiello di Syriza e aspetto dal quale dovremmo certamente trarre insegnamento, non bisogna sottovalutare la capacità di mobilitazione e la strutturazione che esprimono i corpi intermedi tradizionali, primo tra i quali il sindacato. Ed è qui che c’è un nodo di non poco conto: la più importante organizzazione sindacale greca, il Pame, in grado di portare in piazza milioni di lavoratori, è saldamente in mano ai comunisti del KKE.

g) Il risultato del KKE è certamente di tenuta e non era affatto scontato. Bisogna ammettere che anche grazie alla strutturazione e alla radicalità della critica da sinistra mossa dal KKE che Syriza è riuscita a costruire una piattaforma politica avanzata. Ma bisogna avere chiaro che se Siryza, tuttavia, fallirà anche chi oggi si chiama fuori, come il KKE, ne sarà responsabile. Il terzo partito di Grecia è il neonazista Alba Dorata. Una forma di sostegno condizionato sul piano politico sarebbe, con ogni probabilità, la scelta giusta per il KKE e la Grecia. L’attesismo della purezza, in una fase così complessa e dinamica, rischia infatti di essere esiziale.

h) Per quanto riguarda l’Italia, che non è la Grecia, dobbiamo lavorare ad un nostro originale percorso di unità in grado di essere efficace nel nostro Paese. Non esiste in Europa un percorso che è copia dell’altro. Esiste in generale l’esigenza di rafforzare politicamente l’unità d’azione delle forze che in Europa si battono contro la Troika e per noi l’urgenza di poter dare il nostro contributo.

i) A coloro i quali cercano di legittimare il proprio posizionamento politico in Italia in virtù di quanto accade in Grecia vanno ricordati alcuni paletti che qualificano l’impresa di Siryza:

– Syriza fa un accordo di governo solo dopo aver raggiunto dei rapporti di forza schiaccianti in proprio favore;
– nelle precedenti tornate elettorali ha risolutamente rifiutato ogni genere di accordo col Pasok e coi vari partiti filo-Bruxelles;
– Syriza si è giustamente rifiutata di candidare all’interno delle proprie liste gli esponenti di Dimar: una formazione politica nata nel 2010 da una scissione da destra di Synaspismós.
E’ utile conoscere anche questi aspetti se si vuole valorizzare l’esperienza greca.

Syriza come il Brasile da: il manifesto

di Teodoro Andreadis Synghellakis – da il manifesto

L’anticipazione. «Governare non significa avere il potere. Siamo all’inizio di un processo di lotta. Come in Brasile col Pt, dobbiamo cercare di mantenere la coesione sociale». Tsipras tratteggia le caratteristiche di un potenziale governo di sinistra: «Ci saranno grandi trasformazioni e la priorità, in questo momento, è la fine dell’austerità». Il 25 gennaio la Grecia vota.

Teo­doro Andrea­dis Syn­ghel­la­kis, greco ma quasi dalla nascita resi­dente in Ita­lia dove i suoi geni­tori si erano rifu­giati durante la dit­ta­tura, ha scritto un libro – «Ale­xis Tsi­pras. La mia sini­stra» – che con­tiene una assai inte­res­sante inter­vi­sta con il lea­der di Siryza che qui si sof­ferma soprat­tutto sulla natura del nuovo par­tito che la sini­stra greca ha saputo darsi.

La pre­fa­zione al volume – che sarà nelle libre­rie da gio­vedì 15 — è di Ste­fano Rodotà e con­tiene anche i giu­dizi di un certo numero di pro­ta­go­ni­sti della poli­tica ita­liana. Ve ne diamo, in ante­prima, alcuni stralci.

Il raf­for­za­mento della sini­stra è ancora un pro­cesso in divenire?
Dovremo sem­pre tenere a mente che abbiamo l’obbligo di susci­tare tra i nostri soste­ni­tori una presa di coscienza sem­pre più demo­cra­tica, radi­cale, pro­gres­si­sta. Non pos­siamo per­met­terci il lusso di igno­rare il fatto che gran parte della società greca, e anche una per­cen­tuale di nostri soste­ni­tori, abbiano assor­bito idee con­ser­va­trici; che c’è stato un tipo di pro­gresso il quale aveva come punto di rife­ri­mento la conservazione.
Dob­biamo, inol­tre, sepa­rare il signi­fi­cato che ha un governo della Sini­stra, da un rischio di abuso di potere da parte della Sini­stra. Il potere è una cosa più com­plessa, che non viene eser­ci­tata solo da chi governa. È qual­cosa che ha a che fare anche con le strut­ture sociali, con chi con­trolla i mezzi di pro­du­zione. Noi riven­di­che­remo il governo del paese, così da poter dare avvio – da una posi­zione di forza – a quella grande bat­ta­glia ideo­lo­gica e anche sociale che por­terà a cam­bia­menti e tra­sfor­ma­zioni i quali daranno il potere alla mag­gio­ranza dei cit­ta­dini, sot­traen­dolo alla minoranza.
Ma la gente deve com­pren­dere bene che il fatto che Syriza andrà al governo non signi­fica auto­ma­ti­ca­mente che il potere pas­serà al popolo. Signi­fica, invece, che ini­zierà un pro­cesso di lotta, un lungo cam­mino che por­terà anche a delle con­trap­po­si­zioni – un cam­mino non sem­pre lineare – ma che verrà sicu­ra­mente carat­te­riz­zato dal con­ti­nuo sforzo di Syriza per riu­scire a con­vin­cere delle forze ancora più vaste, per accre­scere la sua dina­mica mag­gio­ri­ta­ria ed il con­senso verso il suo pro­gramma, con l’appoggio di forze sociali sem­pre più ampie.
Tutto que­sto, per riu­scire a com­piere passi in avanti asso­lu­ta­mente neces­sari. Sto descri­vendo un cam­mino che in que­sto periodo, seguono molti par­titi e governi di sini­stra in Ame­rica Latina, anche se mi rendo conto che, in parte, si tratta di una realtà che può risul­tare estra­nea alla quo­ti­dia­nità europea.
So bene che la grande domanda che pro­voca un inte­resse cosi forte nei nostri con­fronti, è come tutto ciò potrà diven­tare realtà nel con­te­sto della glo­ba­liz­za­zione e all’interno dell’Unione Euro­pea, visto che la Gre­cia non è un gio­ca­tore solitario.

Si tratta di una realtà che negli ultimi anni pone anche delle forti limi­ta­zioni, dal punto di vista economico…
Asso­lu­ta­mente. Ed è per que­sto, tut­ta­via, che io credo che la con­di­tio sine qua non per­ché Syriza possa con­ti­nuare a seguire un cam­mino frut­tuoso, è che rie­sca a con­qui­stare, da una parte il con­senso della mag­gio­ranza della società greca e dall’altra, a garan­tirsi un appog­gio mag­gio­ri­ta­rio anche in tutta Europa.
È chiaro che la prio­rità, in que­sto momento, non è il socia­li­smo, ma è pro­prio la fine dell’austerità (…)

Il fatto che gli elet­tori di Syriza pro­ven­gano sia dall’area comu­ni­sta che da quella del cen­tro pro­gres­si­sta è una risorsa o un problema?
Credo che Syriza sia riu­scito ad arri­vare dal 4% al 27% per­ché abbiamo avuto la capa­cità poli­tica di indi­vi­duare in modo molto veloce i cam­bia­menti poli­tici e sociali che hanno pro­vo­cato la crisi.
Intendo lo sbri­cio­la­mento, la distru­zione dei sog­getti sociali cau­sata dalla poli­tica dei memorandum.
Allo stesso tempo, abbiamo offerto una via di uscita poli­tica a tutti i cit­ta­dini che ave­vano l’esigenza di potersi espri­mere per fer­mare que­sto pro­cesso di distru­zione. Ci siamo tro­vati, quindi, in modo quasi “vio­lento”, repen­tino, dal 4% al 27%, e que­sta “vio­lenza” ci mette ancora alla prova, per­ché ci costringe, comun­que, a cam­biare orien­ta­mento. Abbiamo avuto l’istinto di com­pren­dere, espri­mere e rap­pre­sen­tare gli inte­ressi dei gruppi sociali che erano rima­sti senza alcuna rap­pre­sen­tanza poli­tica, senza una casa, ma devo con­fes­sare che non ave­vamo la cul­tura pro­pria di un par­tito che riven­dica il potere.
C’eravamo schie­rati, ritro­vati tutti a Sini­stra – anche io, ovvia­mente – ave­vamo accet­tato e soste­nuto un modo di vita, che aveva a che fare, prin­ci­pal­mente, con la resi­stenza, con la denun­cia ed un approc­cio teo­rico ten­dente ad una società “altra”.
Non c’eravamo con­fron­tati, però, con il biso­gno pra­tico di aggiun­gere ogni giorno un pic­colo mat­tone per poter costruire que­sta società di cui par­la­vamo, spe­cie in un momento dif­fi­cile come quello che stiamo vivendo.
Se domani Syriza sarà chia­mata a gover­nare, sarà obbli­gata ad affron­tare una situa­zione sociale, una realtà dram­ma­tica: la disoc­cu­pa­zione reale al 30%, una povertà dif­fusa, una base pro­dut­tiva pra­ti­ca­mente distrutta. E si trat­terà – fuor di dub­bio – di una scom­messa enorme, anche que­sta di por­tata storica.
Si potrebbe dire che sarà una scom­messa simile a quella del Bra­sile di Lula, quando venne eletto presidente.
Noi, intendo la Sini­stra nel suo com­plesso, dob­biamo cer­care (senza tro­varci nella dif­fi­ci­lis­sima posi­zione e nel ruolo del capro espia­to­rio), di riu­scire a man­te­nere la coe­sione dei gruppi sociali, all’interno di un pro­getto di rico­stru­zione pro­dut­tiva, di demo­cra­tiz­za­zione e di uscita dalla crisi. Ed è un’impresa molto difficile.

Guar­dando tutto ciò anche da fuori, si può guar­dare in que­sto momento a Syriza quasi come ad un caso unico, dal momento che non appar­tiene alla fami­glia della social­de­mo­cra­zia, non si iden­ti­fica nelle posi­zioni dei par­titi tra­di­zio­nal­mente comu­ni­sti e sta cer­cando di trac­ciare una strada nuova, creando un spa­zio nuovo tra que­ste due grandi fami­glie. Si potrebbe par­lare di un espe­ri­mento che cerca di rifor­mare le posi­zioni della Sini­stra, tenendo insieme, appunto, i suoi “punti forti” e il biso­gno di modernità?
Pos­siamo dire che è cosi, ma si tratta di un pro­cesso che è ini­ziato da metà degli anni Novanta, quando in Gre­cia è stata creata la Coa­li­zione della Sini­stra e del Pro­gresso, Syna­spi­smòs. Par­liamo del periodo in cui, in Europa, una serie di par­titi post comu­ni­sti – dopo la caduta del Muro di Ber­lino – cer­ca­vano di apporre il loro tratto ideo­lo­gico e poli­tico, andando oltre i con­fini della social­de­mo­cra­zia e della strada seguita sino ad allora dai par­titi di area comu­ni­sta. È in quel periodo che si è for­mato anche il Par­tito della Sini­stra Euro­pea che com­pren­deva e con­ti­nua a com­pren­dere anche alcuni par­titi comu­ni­sti. Sono dei par­titi, tut­ta­via, che hanno com­piuto una seria auto­cri­tica riguardo al periodo sta­li­ni­sta ed hanno rin­no­vato il loro modo di inter­pre­tare ed ela­bo­rare la realtà. Tra i mem­bri del Par­tito della Sini­stra Euro­pea, ovvia­mente, ci sono anche forze come Syriza, la coa­li­zione in cui si è tra­sfor­mato Synaspismòs.
Ana­liz­zando la cosa, qual­cuno potrebbe dire che que­sto tratto ideo­lo­gico è riu­scito a rag­grup­pare delle forze appar­te­nenti a una Sini­stra inde­bo­lita ed in disfa­ci­mento, che non riu­sciva a supe­rare il 6 o 7%. Ora, però, Syriza sta riven­di­cando la guida della Gre­cia, il governo del paese. Io vedo come una cosa estre­ma­mente posi­tiva il fatto che il nostro sia un par­tito gio­vane ma con alle spalle, tut­ta­via, una lunga tra­di­zione. Le sue radici affon­dano nel secolo pas­sato, ma quello che abbiamo, appunto, è un par­tito giovane.
Altret­tanto posi­tivo è il fatto che non appar­tenga al blocco di forze le quali con­ti­nuano a seguire l’ortodossia comu­ni­sta, e che non fac­cia parte della fami­glia socialdemocratica.
Stiamo par­lando, ovvia­mente, di una social­de­mo­cra­zia che oggi è parte inte­grante della crisi in atto e che ha una grande respon­sa­bi­lità per lo stato in cui si è venuta a tro­vare l’Europa.
È una social­de­mo­cra­zia “gene­ti­ca­mente modi­fi­cata”, che ha adot­tato quasi tutti i credo neo­li­be­ri­sti. In que­sto senso, quindi, potremmo dire che tanto Syriza quanto gli altri par­titi della nuova Sini­stra dell’Europa non por­tano sulle spalle il peso dei “pec­cati ori­gi­nali” di alcune forze che appar­ten­gono alla nostra tra­di­zione. Con­tem­po­ra­nea­mente, non sono nean­che respon­sa­bili dei grandi delitti per­pe­trati dalla social­de­mo­cra­zia nel periodo che stiamo vivendo.
Siamo in grado, cioè, di offrire una pro­spet­tiva più ampia, di cata­liz­zare ed unire forze ancora mag­giori, rispetto a quelle rag­grup­pate, tra­di­zio­nal­mente, dalle forze del blocco socialista.
A chi è solito sot­to­li­neare che siamo un par­tito filoeu­ro­peo – il quale com­prende la situa­zione che si è venuta a creare con la realtà data della glo­ba­liz­za­zione – ma non appar­te­niamo a nes­suna grande fami­glia poli­tica dell’Europa, vor­rei ricor­dare que­sto: nel 1981, anche il Par­tito Socia­li­sta del Pasok, di Andreas Papan­dreou, si tro­vava esat­ta­mente nella nostra stessa situa­zione: non appar­te­neva, in realtà, né all’Internazionale Socia­li­sta, né ai par­titi social­de­mo­cra­tici e nean­che alla sini­stra socialista.

TEODORO ANDREADIS SYNGHELLAKIS

da il manifesto

Mense e cliniche, le trincee di Syriza da: rifondazione comunista

di Angelo Mastrandrea

Segnalo e consiglio vivamente la lettura di questo reportage uscito sul Manifesto. Quando alcuni anni fa, dopo il congresso di Chianciano del 2008, abbiamo iniziato a lavorare sulle prospettiva della costruzione del partito sociale che era stata una delle indicazioni strategiche uscite da quel congresso, ricevemmo molte critiche e plateale disinteresse condito da ironie di ogni genere da parte dell’area del PRC più politicista e non solo da quella a dire il vero. Si sosteneva che con le pratiche sociali noi non prendevamo voti, che il ruolo di un partito era un altro ecc. ecc.  Nonostante queste critiche, e nonostante la difficoltà della fase in questi anni abbiamo lavorato in questa direzione cercando di capire come, nella crisi dell’azione collettiva, costruire pratiche sociali in grado di connettersi con i settori popolari più colpiti dalla crisi cercando di essere utili e solidali. Questo reportage di Angelo Mastrandrea, che racconta l’esperienza greca di Syriza ci dice di come l’intuizione che avevamo avuto, nel tentativo di costruire una rete di mutuo soccorso, sia stata giusta e che meritava l’impegno corale del partito. Ma un’intuizione seppur positiva deve misurarsi con la realtà concreta della società, e noi seppur con molte difficoltà abbiamo provato a farlo, nelle emergenze ambientali come in quelle sociali. Ora occorre avere il coraggio di fare un salto in avanti, e di mettere a disposizione queste pratiche sociali che abbiamo sperimentato in uno spazio più largo, nel quale dismettere ogni settarismo senza dismettere la nostra radicalità. Non dobbiamo quindi prendere solo esempio da Syriza e dalle sue pratiche sociali, ma organizzare il partito sociale in un campo più largo di quello che siamo stati fino ad ora. Concepirlo come processo aperto nel quale misurarsi su tutti i livelli, come un motore di un processo che sia in grado di riannodare i fili della solidarietà popolare. Per questo è necessario valorizzare le esperienze che in questi anni abbiamo portato avanti cercando di connetterle con le altre forme di autorganizzazione sociale, come una delle articolazioni essenziali della ricostruzione di una sinistra anticapitalista e antiliberista nel nostro paese capace di combattere il neoliberismo e arginare la barbarie.

FRANCESCO PIOBBICHI, Direzione nazionale PRC

Mense e cliniche, le trincee di Syriza
Reportage. Cibo e assistenza sanitaria gratuita, attività culturali e media. Viaggio nelle roccaforti della sinistra radicale greca che ora vuole governare. Tra farmacie sociali e fabbriche recuperate, cibo ai poveri e assistenza ai migranti

Nella sala d’attesa della Kifa alle spalle del Muni­ci­pio di Atene ogni paziente rimane ad aspet­tare il suo turno disci­pli­na­ta­mente. C’è chi aspetta di pre­sen­tare la pre­scri­zione medica e pren­dere i far­maci che gli spet­tano, chi è in fila per una visita odon­to­ia­trica e chi per una con­su­lenza psi­co­lo­gica. Cate­rina si occupa di smi­stare il traf­fico, indi­riz­zando i pazienti là dove serve. Snoc­ciola qual­che cifra: «Da quando abbiamo aperto, nel gen­naio del 2013, sono state effet­tuate 2.364 ope­ra­zioni den­ti­sti­che, 5.580 visite, 2.500 medi­ca­zioni e una ven­tina di ope­ra­zioni ambu­la­to­riali». A prima vista sem­bra di essere finiti in un ambu­la­to­rio medico come tanti altri, rica­vato in un con­for­te­vole appar­ta­mento del cen­tro della città. Invece si tratta di una Kifa, un acro­nimo che indica una cli­nica e far­ma­cia sociale. Qui arri­vano a farsi visi­tare o a pren­dere medi­ci­nali, a frotte, gli esclusi dalla sanità pubblica.

Sedute ad atten­dere il loro turno, due signore con­fa­bu­lano fra loro, alcuni anziani riman­gono in silen­ziosa aspet­ta­tiva. In un angolo, un signore magro, con la bar­betta bianca, ha voglia di par­lare. Rac­conta di essere espa­triato al tempo dei colon­nelli e, dopo una vita tra Stati Uniti e Canada, una decina d’anni fa è tor­nato in Gre­cia. In tempo per assi­stere al crollo. «È nor­male che siamo andati a finire così, colpa dei governi ma pure del popolo. Abbiamo vis­suto troppo al di sopra delle nostre pos­si­bi­lità e ora rischiamo di tor­nare indie­tro di cinquant’anni», dice.
La cli­nica sociale si regge sul volon­ta­riato. Ven­totto den­ti­sti si alter­nano gra­tis, fuori dal loro ora­rio di lavoro, a garan­tire cure per tutti, e lo stesso fanno psi­chia­tri, psi­co­logi, pedia­tri. Tra i danni più gravi pro­vo­cati dall’austerità impo­sta alla Gre­cia, quelli alla salute delle per­sone sono pro­ba­bil­mente i più pesanti. Solo ad Atene hanno chiuso otto ospe­dali, men­tre la spesa pub­blica per la sanità in Gre­cia è stata ridotta del 25 per cento tra il 2008 e il 2012. L’assicurazione sani­ta­ria è garan­tita solo a chi lavora e con la disoc­cu­pa­zione che affligge più di un terzo della popo­la­zione que­sto è diven­tato un pro­blema social­mente deva­stante. Ecco spie­gato per­ché le cli­ni­che sociali sono affol­late come e più di un qual­siasi ambu­la­to­rio pri­vato o pronto soc­corso pub­blico: nelle Kifa si viene per riti­rare medi­cine altri­menti troppo costose o per visite spe­cia­li­sti­che altri­menti fuori por­tata dalle tasche di una fascia di popo­la­zione espulsa dal mondo del lavoro o con red­diti ormai da fame. Su undici milioni di greci, si stima che almeno tre milioni oggi siano senza coper­tura sani­ta­ria, quasi uno su quat­tro. «Ma ci sono anche tanti che, pur avendo la coper­tura, non rie­scono a pagarsi cure spe­cia­li­sti­che o le medi­cine, visto che per­sino un esame del san­gue arriva a costare un cen­ti­naio di euro», spiega Caterina.

Que­sto spiega il pro­li­fe­rare di forme di autor­ga­niz­za­zione sociale. La rete di mutuo soc­corso è estesa e opera come una sorta di wel­fare paral­lelo, spesso clan­de­stino. Oltre alle cli­ni­che sociali, «ci sono medici che accet­tano di visi­tare gra­tis i pazienti nel loro stu­dio e altri che fanno pic­coli inter­venti chi­rur­gici. Quando sono neces­sari esami par­ti­co­lari, indi­riz­ziamo i pazienti in ospe­dali dove abbiamo dot­tori amici che li fanno di nasco­sto». La situa­zione è così tra­gica che alle cli­ni­che sociali si vede dav­vero di tutto: «Pensa che qui si sono pre­sen­tati per­sino dete­nuti in manette, accom­pa­gnati dalla poli­zia». E i far­maci? «Ci arri­vano attra­verso la rete Solidarity4all, che li rac­co­glie e poi li smi­sta alle cli­ni­che e far­ma­cie sociali. Altri ci ven­gono por­tati dalla gente. Spesso si tratta di dona­zioni dei fami­liari di per­sone che muoiono».

Quella che ho sotto gli occhi è una sorta di resi­stenza silen­ziosa, sot­ter­ra­nea, che si affianca e in molti casi ha preso il posto della rivolta di piazza che tra il 2008 e il 2009 incen­diò piazza Syn­tagma e il quar­tiere di Exar­chia, e che di tanto in tanto rie­splode con forza. Come un paio di set­ti­mane fa, quando lo scio­pero della fame di un gio­vane anar­chico appena ven­tu­nenne, Nikos Roma­nos, che pro­te­stava per l’elementare diritto a soste­nere un esame all’università, ha rischiato di togliere il coper­chio a una pen­tola ancora in ebollizione.

Attorno al Poli­tec­nico ci sono ancora i resti della bat­ta­glia. Marmi divelti tutt’attorno ai resti dell’ingresso sfon­dato dai tank dei colon­nelli, il 17 novem­bre del 1973, quasi a man­te­nere un filo tra la rivolta di allora e quelle di oggi. Negozi sbar­rati e un’aria da ribel­lione «no future», nono­stante i locali della movida gio­va­nile di Exar­chia siano fre­quen­tati come al solito. La lapide che ricorda l’uccisione di Ale­xis Gri­go­ro­pou­los è cir­con­data di mura­les, di tanto in tanto qual­cuno passa, sosta, foto­grafa, lascia una scritta. La strada è stata rein­ti­to­lata al gio­vane ucciso, come la piazza Ali­monda di Carlo Giu­liani. Ale­xis aveva 16 anni e si acca­sciò tra le brac­cia del suo grande amico Nikos Roma­nos, la sera dell’8 dicem­bre del 2008, ful­mi­nato dalla pal­lot­tola di un poliziotto.

«Quel giorno ha cam­biato la sto­ria della Gre­cia, per­ché la bat­ta­glia di quei giorni ha costi­tuito il pro­pel­lente che ha tra­sfor­mato Syriza, in bre­vis­simo tempo, da un par­ti­tino del 3 per cento alla prin­ci­pale forza poli­tica del Paese», sostiene Ada­mos Zacha­ria­des, seduto davanti al suo com­pu­ter nella reda­zione di Epohi, un set­ti­ma­nale di sini­stra che, pur indi­pen­dente come la gran parte delle cli­ni­che sociali e delle altre forme di autor­ga­niz­za­zione gre­che, costi­tui­sce una delle stam­pelle del par­tito della sini­stra radi­cale che ter­ro­rizza l’Europa. Zacha­ria­des è un noti­sta poli­tico, rac­conta sor­ri­dendo di venire da uno dei tanti grup­petti della sini­stra extra­par­la­men­tare con­fluiti nel ven­tre di Syriza («era­vamo non più di due­cento, ci chia­ma­vamo Rosa», con un chiaro rife­ri­mento a Rosa Luxem­bourg) e insieme riav­vol­giamo il nastro degli ultimi dieci anni, per pro­vare a rac­con­tare l’evoluzione di un modello che dal sociale sale alla poli­tica e non vice­versa, senza tra­la­sciare la cul­tura e l’informazione. «Le radici di Syriza sono nel movi­mento alter­mon­dia­li­sta. Gli attuali diri­genti si sono for­mati tutti nei social forum, lì hanno avuto modo di con­fron­tarsi e strin­gere rela­zioni in tutta Europa. Un’intera gene­ra­zione di greci è figlia di quella sta­gione. In seguito, nel 2006 c’è stato un for­tis­simo movi­mento stu­den­te­sco con­tro la pri­va­tiz­za­zione e Syriza è stato l’unico par­tito a sup­por­tarlo. Ma il punto di svolta vero è stato la rivolta del 2008», spiega Zacha­ria­des. L’uccisione di Ale­xis fece da deto­na­tore a un males­sere sociale che covava da tempo: quella che scen­deva in strada a scon­trarsi con la poli­zia fu defi­nita da gior­nali e tv come la «gene­ra­zione 800 euro». Pochi soldi, male­detti e soprat­tutto pre­cari, men­tre il resto del Paese spro­fon­dava sotto il peso del debito pub­blico, della cor­ru­zione e dell’evasione fiscale, e l’Europa non tro­vava di meglio che soste­nere quelle forze che ave­vano con­tri­buito a creare tutto ciò.

Sei anni dopo, chi gua­da­gna 800 euro al mese può con­si­de­rarsi for­tu­nato. Davanti al mini­stero dell’Economia mi imbatto in una pro­te­sta tutta al fem­mi­nile. Il palazzo è tap­pez­zato di stri­scioni e un grup­petto di donne di mezza età è seduto davanti all’ingresso. Una di loro fa la maglia ed è la stessa ritratta a muso duro di fronte a un poli­ziotto, in una sequenza di foto affisse al muro che testi­mo­niano di uno sgom­bero. Sono lì da sei mesi, da quando sono state dismesse per­ché l’appalto per le puli­zie è stato aggiu­di­cato a un’altra ditta, a costi infe­riori. Si defi­ni­scono «vit­time della dere­gu­la­tion». Chiedo loro quanto gua­da­gna­vano. «Tra i 500 e i 600 euro al mese, dipende dai giorni di lavoro». Sono state man­date via in 595, per un periodo hanno avuto un sus­si­dio equi­va­lente al 70 per cento del sala­rio, ora più nulla. Domando anche chi le abbia sup­por­tate, finora: «Syriza, il Kke, gli Indi­pen­denti Greci», una for­ma­zione poli­tica di cen­tro­de­stra nata da una scis­sione di Nea Demo­cra­zia del pre­mier delle lar­ghe intese Anto­nis Sama­ras, al quale hanno tolto il soste­gno politico.

Pro­te­ste del genere non sono una rarità in Gre­cia. Il mal­con­tento sociale è eson­dato dai gio­vani costretti a emi­grare alla wor­king class, la classe media è stata spaz­zata via dalla crisi e il con­senso va cer­cato su que­sto ter­reno. Finora, chi è riu­scito a trarne gio­va­mento più di tutti è Syriza, gra­zie alla lezione appresa, a loro dire, nei social forum dove si sono for­mati i qua­dri diri­genti: oriz­zon­ta­lità nelle deci­sioni, sup­porto alle lotte sociali ma senza ban­diere, assi­stenza mate­riale e pre­senza sul ter­ri­to­rio. Nel quar­tiere di Neos Cosmos la vec­chia sede del par­tito è stata ria­dat­tata in mensa per i nuovi poveri: «Non c’era mai nes­suno, veni­vano solo gli iscritti per qual­che riu­nione», rac­conta Argy­ris Pana­go­pou­los, abi­tante del quar­tiere e brac­cio destro di Ale­xis Tsi­pras nelle tra­sferte ita­liane (non­ché vec­chio amico del mani­fe­sto). E allora, via le ban­diere e cibo per tutti: a ora di pranzo c’è la fila per un piatto caldo.

A Nea Phi­la­del­phia, quar­tiere ope­raio a una quin­di­cina di chi­lo­me­tri dal cen­tro, il mini­sin­daco di Syriza Aris Vas­si­lo­pou­los ha tra­sfor­mato un edi­fi­cio pub­blico in un cen­tro di assi­stenza ai biso­gnosi. Vado a incon­trarlo il giorno dell’inaugurazione. Nel giar­dino c’è una festa popo­lare, si soli­da­rizza con cubani e vene­zue­lani venuti fin qui a soste­nere cause inter­na­zio­na­li­ste, poi tutti a pranzo come a una vec­chia Festa dell’Unità. Vas­si­lo­pou­los rac­conta i suoi tra­scorsi poli­tici, dal G8 di Genova al Forum sociale euro­peo di Firenze («ci sem­brava la rivo­lu­zione», dice, non capa­ci­tan­dosi di quello che è acca­duto in seguito in Ita­lia), poi passa a elen­care i pro­blemi del quar­tiere, dalla «mafia dei rifiuti» che gli sta facendo la guerra al ten­ta­tivo di fer­mare la spe­cu­la­zione per la costru­zione del nuovo sta­dio dell’Aek Atene. Infine spiega che, se è vero che il par­tito ha accolto diversi tran­sfu­ghi del Pasok e que­sto fa stor­cere il naso a molti, la base è invece molto più intran­si­gente: «Noi siamo molto radi­cali sulle que­stioni sociali, le per­sone votano Syriza non per ragioni ideo­lo­gi­che ma per­ché sosten­gono che la situa­zione è così grave che non pos­sono fare altro». La domanda da un milione di dol­lari è però cosa acca­drà se Syriza dovesse andare dav­vero al governo. Vas­si­lo­pou­los non nasconde un certo timore che il grande sogno di una «rivo­lu­zione greca» possa eva­po­rare di fronte a una real­po­li­tik fatta di alleanze poli­ti­che dif­fi­cili da gestire, pres­sioni finan­zia­rie inter­na­zio­nali e impo­si­zioni di Bru­xel­les. Già nella situa­zione attuale non è sem­plice gestire un muni­ci­pio di 35 mila resi­denti: «Da quando c’è il Memo­ran­dum i tra­sfe­ri­menti del governo sono dimi­nuiti del 70 per cento. Abbiamo meno soldi e con­tem­po­ra­nea­mente più respon­sa­bi­lità». La solu­zione adot­tata è ancora una volta l’autorganizzazione. Il Comune ha messo a dispo­si­zione la strut­tura, il resto lo fanno i volon­tari. Dafne Tri­co­pou­los è una di que­sti. Lavora all’ospedale psi­chia­trico, gua­da­gna 850 euro al mese “dopo 22 anni di anzia­nità” e rischia il licen­zia­mento per­ché, pur non essen­doci il cor­ri­spet­tivo greco della nostra legge Basa­glia, il governo vuole chiu­dere i mani­comi senza sapere che farne dei suoi ospiti. E nel tempo libero viene alla Soli­da­rity Cli­nic a dare una mano. Gra­tis. “Qui c’è molto da fare, più che in altri quar­tieri. La chiu­sura delle fab­bri­che ha creato molti pro­blemi psi­co­lo­gici e di depres­sione agli ex ope­rai», dice. Gior­gios Dia­man­tis, che si defi­ni­sce ammi­ra­tore di Gram­sci, vive tutto ciò come un attacco ai lavo­ra­tori: «Sia chiaro, per noi quella che stiamo com­bat­tendo è una lotta di classe».

Il quar­tier gene­rale della sini­stra sociale è nella cen­trale via Aka­di­mia. Al set­timo piano di un palazzo come tanti altri c’è la sede di Soli­da­rity for all, il net­work dei cen­tri di mutuo soc­corso, delle mense e cli­ni­che social e dei cen­tri di assi­stenza agli immi­grati. In una stanza sono acca­ta­state sca­tole di medi­ci­nali, un’altra è adi­bita a stu­dio legale, un’altra ancora ospita gli atti­vi­sti che si occu­pano del soste­gno al movi­mento coo­pe­ra­tivo. Su un ter­razzo dal quale si gode di una pano­ra­mica da bri­vido dello sprawl urbano ate­niese sono pog­giate alcune con­fe­zioni di sapone liquido pro­dotte dalla Vio​.me di Salo­nicco, la fab­brica recu­pe­rata di Salo­nicco defi­nita da Naomi Klein «un segnale di spe­ranza cri­tica» per l’Europa. Chri­stos Gio­van­no­pou­los, uno dei respon­sa­bili della cam­pa­gna, sro­tola una mappa dell’Attica sulla quale sono indi­cate le roc­ca­forti della gau­che ate­niese: far­ma­cie sociali, scuole per immi­grati, cen­tri sociali. Sono decine, una legenda spiega il nome e l’attività di ognuna. Ce n’è per­fino una che si chiama Lacan­dona, zapa­ti­sti nella giun­gla urbana ate­niese. «Abbiamo tre linee prin­ci­pali di azione: il cibo con le mense sociali e la distri­bu­zione di viveri, la sanità con le cli­ni­che e far­ma­cie, e le coo­pe­ra­tive», spiega Gio­van­no­pou­los. Soli­da­rity for all aiuta i lavo­ra­tori a recu­pe­rare le aziende che chiu­dono: un feno­meno che è comin­ciato qual­che anno fa alla Vio​.me e attorno al quale si sta strut­tu­rando un vero e pro­prio movi­mento.

In nome di Poulantzas

Chissà cosa avrebbe detto oggi Nicos Pou­lan­tzas se non si fosse lan­ciato dalla fine­stra dell’abitazione di un amico il 3 otto­bre 1979 a Parigi, ad appena 43 anni. È quello che si chie­dono all’Università Pan­teion, in un quar­tiere di palaz­zoni che non fanno rim­pian­gere la peri­fe­ria romana. Il Pou­lan­tzas Insti­tute, think thank inti­to­lato al filo­sofo mar­xi­sta greco allievo di Louis Althus­ser, ha orga­niz­zato due giorni di dibat­tito sulla crisi euro­pea, alla quale par­te­ci­pano stu­diosi e atti­vi­sti, soprat­tutto del nord Europa. La crisi greca ha pro­vo­cato come effetto col­la­te­rale una risco­perta del Gram­sci elle­nico, che ebbe lo sguardo lungo sul futuro del con­ti­nente. Pou­lan­tzas aveva già pre­fi­gu­rato un’Europa divisa tra cen­tro e peri­fe­ria, con i paesi medi­ter­ra­nei sopraf­fatti sia dal capi­tale inter­na­zio­nale che dalle avide bor­ghe­sie nazio­nali. E sem­bra che ci abbia preso.

L’aspetto cul­tu­rale non è secon­da­rio nel «modello Syriza». «Abbiamo stu­diato tanto in que­sti anni», dice Ada­mos Zacha­ria­des, che snoc­ciola i rife­ri­menti teo­rici del partito-coalizione che sta rivo­lu­zio­nando la sini­stra euro­pea: da Etienne Bali­bar a Michel Fou­cault, pas­sando per Cor­ne­lius Casto­ria­dis e Gior­gio Agamben.

Ale­xis Tsi­pras non è nella sede del par­tito. L’uomo più temuto d’Europa è in cam­pa­gna elet­to­rale per­ma­nente, impe­gnato a schi­vare gli euro­sgam­betti di Jean Claude Junc­ker e le spal­late del pre­mier Anto­nis Sama­ras. Da quando si è deli­neata l’ipotesi di un ritorno anti­ci­pato alle urne e dai son­daggi Syriza risulta il primo par­tito di Gre­cia, la tem­pe­ra­tura poli­tica del Paese è improv­vi­sa­mente salita, in misura pro­por­zio­nale al crollo della Borsa. Nel quar­tier gene­rale del par­tito, in piazza Elef­the­ria, si denun­cia il «ter­ro­ri­smo» delle élite interne e di quelle euro­pee, le stesse che hanno ridotto il Paese allo stremo e ora annun­ciano sce­nari da Argen­tina 2001 a par­tire dal giorno dopo la vit­to­ria dell’uomo che minac­cia di ribal­tare il dogma tede­sco dell’austerità. «Il pro­blema per Tsi­pras sarà gestire la tran­si­zione», dice un ana­li­sta alla tv. Una fase di tur­bo­lenza è con­si­de­rata quasi ine­vi­ta­bile, «ma noi siamo pronti a tutto», rispon­dono da Syriza. Dal 2008 per il par­tito della sini­stra radi­cale un tempo fra­tello minore, e acer­rimo rivale, dei comu­ni­sti del Kke, è stato un cre­scendo: gli ultimi son­daggi lo danno, in caso di pro­ba­bili ele­zioni anti­ci­pate, tra il 25 e il 28 per cento. La bat­ta­glia si com­batte nelle piazze e sui media. La galas­sia Syriza può con­tare sul quo­ti­diano Avgì e radio Kok­kino, non­ché sul set­ti­ma­nale d’area Epohi e su isti­tuti cul­tu­rali come il Pou­lan­tzas. Ma non basta. Biso­gna sfon­dare sui media main­stream ed è l’operazione più dif­fi­cile, anche se qual­che brec­cia si sta aprendo, se è vero che per­sino una Bib­bia del capi­ta­li­smo glo­ba­liz­zato come il Finan­cial Times è stata costretta ad ammet­tere, sia pur a malin­cuore ma con one­stà, che gli unici ad avere le idee chiare su come si possa uscire dalla crisi in Europa sono due par­titi di fronte ai quali gli alfieri teu­to­nici dell’ordoliberismo sbuf­fano come i tori come quando vedono rosso: Syriza, appunto, e lo spa­gnolo Podemos.

Altra stam­pella fon­da­men­tale sono le alleanze inter­na­zio­nali. Metà della sfida di Tsi­pras si gioca in Europa, e per que­sto nei con­ve­gni di Syriza poli­tici e mili­tanti di Pode­mos e della tede­sca Linke sono di casa. «Ma c’è un pro­blema: nes­suna di que­ste forze è al potere», ricor­dano in molti., temendo che la sini­stra greca possa tro­varsi sola al governo, a soste­nere una sfida più grande di lei . Il para­dosso è che men­tre Syriza è pro­iet­tata all’esterno, con­sa­pe­vole che la bat­ta­glia la si vince o si perde tutti insieme, in Europa molti guar­dano a Syriza con spe­ranza, sì, ma come spet­ta­tori di una par­tita che si gioca altrove.

da il manifesto