Renzi l’iperberlusconiano da: micromega

 

Questo articolo può essere ripreso anche integralmente, purché preceduto (preceduto) dalla dicitura “riprendiamo dal sito http://www.micromega.net” e fatto seguire dalla dicitura “copyright © Paolo Flores d’Arcais”

di Paolo Flores d’Arcais

Se si trattasse di omosessualità diremmo che è stato un coming out. Ma trattandosi di un cattolico praticante, ed essendosi svolta in una location che più cattolica non si può, il meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, è d’uopo invece parlare di CONFESSIONE. Matteo Renzi ha confessato pubblicamente: di essere la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi, anzi di essere la realizzazione del berlusconismo adeguata ai tempi, cioè alla non implementazione del berlusconismo con i mezzi di Berlusconi (l’intermezzo dei governi-nullità Monti e Letta non merita menzione: de minimis non curat praetor).

Confessione solenne, coram populo e urbi et orbi, che non a caso uno dei bracci armati del berlusconismo, le falangi devote di CL e del cattolicesimo di Mammona, ha salutato canonizzando il nuovo leader post Pd a punto di riferimento.

Che la confessione ci sia stata, e inequivocabile, si dimostra per tabulas. Nell’immediato dopoguerra, quando il regime di Mussolini è spazzato via dalla vittoria della Resistenza nell’ambito della vittoria militare alleata (Roosevelt Churchill Stalin), dopo la Liberazione cui fa seguito la Repubblica e la sua Costituzione (firmatari il comunista Terracini e il democristiano De Gasperi, giurista di riferimento l’azionista Calamandrei), i fascisti che vogliono combattere la Rottura e trovare i mezzi efficaci per ristabilire una Continuità non sono i rottami nostalgici di Salò ma quanti predicano l’ideologia delle non ideologie: oltre sia il fascismo che l’antifascismo.

Così Renzi col berlusconismo e l’antiberlusconismo, papale papale. Ovviamente senza la tragedia del fascismo, i morti i torturati gli incarcerati gli esiliati … il berlusconismo non è stato il fascismo [“Fascismo e berlusconismo”, MicroMega 1/2011] è stato “l’equivalente funzionale e postmoderno del fascismo” (ivi) e il renzismo ne costituisce l’apoteosi effettiva (come già analiticamente dimostrato in “Sinistra e parresia”, MicroMega 8/14).

In realtà, quando dice che ci si deve liberare del berlusconismo e dell’antiberlusconismo Renzi ha di mira solo quest’ultimo, non c’è un solo elemento del berlusconismo che non abbia fatto proprio e non stia realizzando: giustizia, informazione, lavoro, riforma istituzionale, i quattro capisaldi della lobotomizzazione della democrazia (già in crisi da decenni di partitocrazia) tentata dal Cavaliere per antonomasia poi Criminale qualificato. Lobotomizzazione che implica la distruzione di tutti i contrappesi che fanno della democrazia liberale un sistema di governo limitato: magistratura autonoma, informazione indipendente, sindacati rappresentativi e forti, impossibilità di occupare a maggioranza le istituzioni di garanzia.

Di fronte a questa realizzazione del berlusconismo ha però poco senso indignarsi. È addirittura offensivo e vergognoso se a farlo sono quanti propiziarono o subirono le stagioni dell’inciucio (si pecca egualmente per atti e per omissioni, e più che mai per viltà). Non dimentichiamo che la “sinistra” di establishment è stata al governo quasi otto anni in questi ultimi venti, che pure chiamiamo giustamente “ventennio berlusconiano”, visto che tali governi niente hanno fatto “di sinistra” (il governo Prodi col suo pessimo ministro della giustizia si segnalò per una persecuzione contro “Mani pulite” da far invidia al precedente governo Berlusconi).

I pochi che invece parlarono di regime, come era doveroso vista che si trattava di una verità fattuale, e che poi pochi non erano (oltre un milione a san Giovanni a Roma il 14 settembre del 2002 in una indimenticabile “festa di protesta”, ad esempio), benché da trovare col lanternino tra intellettuali e altri “opinion maker”, anziché piegarsi nella nostalgia dovrebbero provare a capire perché quelle straordinarie energie che suscitarono e catalizzarono nella società civile non hanno trovato espressione politica. Espressione politica adeguata, che il 25% di voti al Movimento 5 Stelle è ancora l’onda lunga di quella stagione di lotta, dai girotondi ai popoli viola alle manifestazioni contro il bavaglio ai se non ora quando, ma un’onda che non metterà palafitte e dunque non sarà mai alternativa (benché in mancanza di essa resti il solo voto possibile del non piegarsi e non mollare).

Questa riflessione abbiamo già avviato per tempo, nel numero 1/14 (dialogo con Rodotà) e nel numero 8/14 (Sinistra e Parresia), ma bisognerà tornarci, soprattutto dopo l’articolo di Rodotà su Repubblica del 25 agosto, che giustamente si scaglia contro “il risveglio tardivo dei critici di Renzi”, ricordando che “in politica i tempi contano per chi agisce e per chi discute” e “non basta fare la buona battaglia, bisogna farla al momento giusto”. Bisognerà tornarci, e presto, perché riguarda tutti noi che abbiamo combattuto Berlusconi e che quella alternativa non abbiamo saputo o voluto costruire, o addirittura abbiamo distrutto alternative in cantiere, malgrado ci siano state offerte parecchie occasioni, anche nei due o tre anni più recenti.

(29 agosto 2015)

Matteo Renzi, il premier che gettò la maschera da: antimafia duemila

lodato2-c-giorgio-barbagallo-2014di Saverio Lodato – 1° agosto 2015

Detesta la magistratura. Detesta il controllo di legalità. Detesta le inchieste. Mal sopporta Procure e investigatori. Non ritiene che il Paese abbia bisogno di grandi verità sul passato recente e remoto. Non gliene frega niente di stragi, grandi delitti e mandanti esterni. Una volta a Firenze, a una giornalista che gli chiese che ne pensasse della strage di via dei Georgofili, rispose infastidito: “chieda alla mia segretaria”. Elegante, non c’è che dire. E soprattutto rispettoso del dolore dei parenti delle vittime.
Detesta il confronto. Detesta la dialettica parlamentare. Gli piace la Cavalcata delle Valchirie, ma a colpi di voti di fiducia.
Non capisce perché lo Stato debba reggersi sull’equilibrio di tre poteri, quando ne basterebbe uno solo, il suo. Odia i giornali e i giornalisti, quelle rare volte che lo mettono in cattiva luce. Gli va il sangue al cervello, e metterebbe, metaforicamente, s’intende, la mano alla fondina, al solo sentir parlare di intercettazioni telefoniche, soprattutto se è anche lui a finirci dentro, come è accaduto quando anticipava che avrebbe licenziato Letta senza preavviso.
Non pronuncerà mai, né l’ha mai pronunciata, la parola “valori”. Lo stesso dicasi per la “questione morale” che sembra diventata in Italia, da quando c’è lui, parola ricoperta dalla muffa della Crusca. Se scoppiano scandali che denotano un tasso di corruzione che ha fatto ormai dell’Italia una nazione irrecuperabile, fa finta di reagire con “gli strumenti della politica”, nominando “consulenti” e “commissari”, pretendendo la verità senza la quale “chi ha sbagliato pagherà”. Tutto il mondo ha capito come Roma sia diventata negli anni la capitale dello Stato-Mafia. Ma consulenti e commissari, servizievoli al suo dettato, trovano il modo di non scioglierne il consiglio comunale, quando al Sud, per un decimo di quanto è accaduto a Roma, ne sono stati sciolti a bizzeffe.
Non lo sentirete mai pronunciare il nome di Nino Di Matteo, il pubblico ministero palermitano che rischia la vita. Non hai mai fatto riferimento, né lo farà mai, al processo sulla Trattativa Stato-Mafia che, fosse per lui, andrebbe spianato da una ruspa.

E’ solito abbracciarsi agli “impresentabili” in campagna elettorale, per l’immancabile foto ricordo.
E’ solito bistrattare i suoi stessi compagni di partito, pensiamo alla Bindi, o allo stesso Orfini, quando si sono permessi in alcune occasioni, anche se magari solo a parole, di alzare la cresta innalzando l’asticella della legalità.
Quando poi la temperatura sale eccessivamente, la contesa si fa rovente, i problemi esplodono, è lo specialista della fuga.
Fughe intercontinentali, fughe a lunga percorrenza, da un continente all’altro.
Fugge all’estero, America o Israele non fa differenza, perché aspetta che la situazione interna si calmi e giornali e televisioni abbiano ormai altro a cui pensare.
E lui, che non solo è il premier, ma il segretario del PD, pretende una sua “presenza blindata” alla Festa nazionale dell’Unità. Come se Papa Francesco, per affacciarsi in piazza San Pietro, pretendesse fucili mitragliatori che fanno capolino dalle persiane. Ma c’è di più, e di peggio, come si sarebbe detto una volta. Alla fine, alla Festa dell’Unità non c’è neanche andato, accontentandosi di incontrare, in un’improvvisata, i cuochi che se lo son visti catapultare in mezzo a pentole e padelle. Temeva un fitto lancio di uova e pomodori di stagione.
Direte che è arrogante.
Che è un cialtrone, un cialtroncello o un cialtronaccio, a usare i diminutivi e i peggiorativi della parola “cialtrone” riportati dal dizionario Treccani. E sbagliereste di grosso. Direte che è un superficiale, un approssimativo, un giovane Narciso dirottato da palazzo Pitti a Palazzo Chigi.
Direte che a suo tempo, uno dei suoi primi gesti mediatici fu rendere omaggio a Silvio Berlusconi nella sua dimora. Questo è vero. Ma può bastare quest’indizio, piatto forte per i “colpevolisti”, per spiegare chi è oggi l’uomo che ha definitivamente gettato la maschera? Noi pensiamo di no.
Per giustificare il salvataggio del senatore Azzollini, con intercettazioni a suo carico che chiuderebbero qualsiasi udienza processuale cinque minuti dopo, ha avuto il coraggio, o la faccia tosta, se preferite, di complimentarsi con i senatori che avevano riscontrato il “fumus persecutionis” dei magistrati non accettando di far da “passacarte delle Procure”. E le sue ministre ebetine, ma anche qualche suo ministro particolarmente signorsì, annuirono. Come d’abitudine.
Cosa vi aspettate di diverso da un premier così?
Da un premier che è amico di famiglia, essendone amico anche il suo papà, di un tal Verdini per quattro volte rinviato a giudizio?
O vi aspettavate che Matteo Renzi, perché è di questo signore che fino a ora abbiamo parlato, fosse un “passacarte delle Procure”?
No, no. Non lo capite? Questo premier sta cambiando l’Italia.
In che modo lo stia facendo, giudicatelo da soli.

saverio.lodato@virgilio.it

Foto originale © Giorgio Barbagallo

Renzi invece di parlare a vanvera di Grecia dovrebbe pagare le pensioni giuste agli italiani. Intervento di Argyrios Panagopoulos da: controlacrisi.org

Matteo Renzi non ha fatto niente per il suo paese e per l’Europa durante il semestre italiano. È stato latitante in qualsiasi sfida europea degli ultimi mesi, per esempio quando Merkel e Hollande trattavano con la Grecia di Tsipras la soluzione della crisi greca. Avete visto da qualche parte Renzi? Avete sentito se ha preso una sola iniziativa?

Improvvisamente il presidente del consiglio dei ministri italiano si è messo a fare campagna elettorale per il referendum in Grecia traducendo in italiano i compiti estivi che deve fare a casa sua, che probabilmente sono stati scritti direttamente in tedesco.
“Euro o dracma”, ha balbettato il signor Renzi che ha fatto aumentare i poveri nel suo paese, ha fatto fuori la Corte Costituzionale per non pagare i pensionati, mentre la Cassazione gli ha fatto mezzo regalo per evitare di restituire agli statali il maltolto. Altro che pagare le pensioni ai greci, come diceva giorni fa! Il capo del governo italiano e il suo ministro delle Finanze non possono pagare le pensioni agli italiani, perché altrimenti saranno licenziati dal… fiscal compact, da quella che l’ha imposto o da qualche lettera della BCE firmata dal fido italiano Draghi.

In Grecia probabilmente le parole non hanno perso ancora il loro valore. Per democrazia si intende la partecipazione del popolo alle decisioni e non solo alle elezioni o ai referendum, come si è visto dalla grande manifestazione in piazza Syntagma. Per sinistra si intende fare politiche per la gente, cercare di ridistribuire la ricchezza tassando chi ha i soldi e le grandi imprese, fare battaglie contro la povertà, l’evasione fiscale e la corruzione, rispettare ed estendere i diritti dei lavoratori, essere coerenti e leali con i compagni e il popolo. SYRIZA e Tsipras sono di sinistra perché lo dice la gente.

È bello e facile rilasciare interviste gratis per parlare a nome degli altri, scordando che durante il suo operoso governo il debito italiano continua ad aumentare, insieme con la disoccupazione e la povertà. Quante scuole e ospedali dovrà chiudere e quante persone dovranno essere licenziate per diminuire il debito italiano dai 2.200 miliardi di oggi al 60% del vostro Pil nei prossimi vent’anni? Renzi assomiglia ogni giorno di più a Samaras o peggio al suo compagno di partito, il socialista Venizelos.
Povero Matteo! Ha sbagliato anche questo compito! Il vero dilemma non è “euro o dracma”. Perfino Mariano Rajoy, che sparse veleni dapper tutto contro Tsipras, oggi ha espresso le sue preoccupazioni per l’uscita di un paese dall’eurozona. Perché se la Grecia tornasse alle sue dracme la cosa più probabile è che il nostro Matteo si troverebbe di fare i conti in sesterzi. Perché per quando insignificante nel contesto europeo meriterebbe almeno una moneta.. imperiale.

Gli euro, le dracme e i sesterzi di Matteo Renzi da: rifondazione comunista

Di Argiris Panagopoulos – Matteo Renzi non ha fatto niente per il suo paese e per l’Europa durante il semestre italiano. È stato latitante in qualsiasi sfida europea degli ultimi mesi, per esempio quando Merkel e Hollande trattavano con la Grecia di Tsipras la soluzione della crisi greca. Avete visto da qualche parte Renzi? Avete sentito se ha preso una sola iniziativa?
Improvvisamente il presidente del consiglio dei ministri italiano si è messo a fare campagna elettorale per il referendum in Grecia traducendo in italiano i compiti estivi che deve fare a casa sua, che probabilmente sono stati scritti direttamente in tedesco.
“Euro o dracma”, ha balbettato il signor Renzi che ha fatto aumentare i poveri nel suo paese, ha fatto fuori la Corte Costituzionale per non pagare i pensionati, mentre la Cassazione gli ha fatto mezzo regalo per evitare di restituire agli statali il maltolto. Altro che pagare le pensioni ai greci, come diceva giorni fa! Il capo del governo italiano e il suo ministro delle Finanze non possono pagare le pensioni agli italiani, perché altrimenti saranno licenziati dal… fiscal compact, da quella che l’ha imposto o da qualche lettera della BCE firmata dal fido italiano Draghi.
In Grecia probabilmente le parole non hanno perso ancora il loro valore. Per democrazia si intende la partecipazione del popolo alle decisioni e non solo alle elezioni o ai referendum, come si è visto dalla grande manifestazione in piazza Syntagma. Per sinistra si intende fare politiche per la gente, cercare di ridistribuire la ricchezza tassando chi ha i soldi e le grandi imprese, fare battaglie contro la povertà, l’evasione fiscale e la corruzione, rispettare ed estendere i diritti dei lavoratori, essere coerenti e leali con i compagni e il popolo. SYRIZA e Tsipras sono di sinistra perché lo dice la gente.
È bello e facile rilasciare interviste gratis per parlare a nome degli altri, scordando che durante il suo operoso governo il debito italiano continua ad aumentare, insieme con la disoccupazione e la povertà. Quante scuole e ospedali dovrà chiudere e quante persone dovranno essere licenziate per diminuire il debito italiano dai 2.200 miliardi di oggi al 60% del vostro Pil nei prossimi vent’anni? Renzi assomiglia ogni giorno di più a Samaras o peggio al suo compagno di partito, il socialista Venizelos.
Povero Matteo! Ha sbagliato anche questo compito! Il vero dilemma non è “euro o dracma”. Perfino Mariano Rajoy, che sparse veleni dapper tutto contro Tsipras, oggi ha espresso le sue preoccupazioni per l’uscita di un paese dall’eurozona. Perché se la Grecia tornasse alle sue dracme la cosa più probabile è che il nostro Matteo si troverebbe di fare i conti in sesterzi. Perché per quando insignificante nel contesto europeo meriterebbe almeno una moneta.. imperiale.

Il PMLI tinge di rosso il corteo del 25 Aprile, guadagnandosi il consenso della piazza. La presidente dell’Anpi Sconza: “Ribellarsi al governo Renzi. Siamo caduti dalla padella alla brace” da: PMLI

Catania
Il PMLI tinge di rosso il corteo del 25 Aprile, guadagnandosi il consenso della piazza. La presidente dell’Anpi Sconza: “Ribellarsi al governo Renzi. Siamo caduti dalla padella alla brace”
Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania
Anche quest’anno gli antifascisti catanesi sono scesi in piazza il 25 Aprile: le compagne e i compagni della Cellula “Stalin” di Catania e dell’Organizzazione di Caltagirone hanno partecipato al corteo indetto dall’Anpi tingendolo di rosso con numerose bandiere e le magliette rosse del PMLI, attirando l’attenzione di molti manifestanti.
Nel documento di indizione l’Anpi provinciale denuncia chiaramente alcuni degli elementi che caratterizzano la politica neofascista e piduista che il governo Renzi sta portando avanti contro le masse lavoratrici e ciò che rimane dell’impianto istituzionale e costituzionale dello Stato democratico borghese: “Per legge ordinaria – si afferma nel testo in un passaggio che il PMLI condivide appieno – è stato violato l’articolo 1 della Costituzione con la cancellazione dello statuto dei lavoratori, l’articolo 33 che vieta il finanziamento pubblico delle scuole private e sbeffeggiato l’articolo 11 con gli interventi militari in Serbia, Iraq, Afghanistan ed in Libia. Un governo, eletto da un Parlamento dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale, opera per una profonda demolizione del dettato costituzionale, nella direzione di un’inaudita concentrazione dei poteri in ristrette oligarchie”.
Durante tutto il lungo corteo, partito dalla centrale piazza Stesicoro, i compagni hanno distribuito i volantini “Facciamo rivivere lo spirito della Resistenza” che sono stati accolti con piacere dagli antifascisti, catanesi e non, con cui si sono intrattenuti. Ad essere apprezzati sono stati anche gli interventi al megafono fatti dai compagni durante il corteo, nei quali è stata ribadita la necessità di unirsi per lottare contro il nuovo fascismo che ha il volto di Matteo Renzi, la reincarnazione moderna e tecnologica di Mussolini e Berlusconi, che continua a calpestare la Costituzione al fine di completare il piano fascista della P2. I compagni hanno ricordato lo spirito della Resistenza che fu l’antifascismo, l’importante ruolo che ebbe l’URSS di Stalin per la sconfitta del nazi-fascismo e gli interventi fatti in questi anni dalla destra come dalla “sinistra” borghese per denigrare la Resistenza e criminalizzare i partigiani jugoslavi istituendo giornate della memoria per le vittime delle foibe. Lungo il tragitto ci si è fermati più volte per ricordare i partigiani catanesi scomparsi, in particolar modo Graziella Giuffrida, violentata e massacrata dai nazisti a soli 22 anni a Genova.
Il corteo si è concluso in piazza Dante con l’intervento della presidente dell’Anpi della provincia di Catania, Santina Sconza, che ha voluto ricordare il partigiano “Mitraglia”, nome di battaglia di Antonino Mangano, scomparso la sera prima, e le vittime dell’ultima strage di migranti, l’importanza di lottare contro il razzismo alimentato dal fascio-leghista Salvini e dal suo partito, contro gli interventi militari e per l’applicazione della Costituzione.
Nel suo discorso la presidente dell’Anpi ha attaccato frontalmente il governo Renzi. Rivolta al deputato Pd Giovanni Burtone ha esclamato: “Si ribelli al governo Renzi”; “lei deve ribellarsi a questo esecutivo che vuole stravolgere la Costituzione, frutto delle lotte partigiane”. E così ha proseguito: “Da molti anni c’è una riduzione delle libertà e della democrazia, pensavamo che con la caduta del governo di centro destra presieduto da Berlusconi ci fosse “un governo amico” che fermasse questa deriva, in realtà ci siamo sbagliati, siamo caduti dalla padella nella brace. Il mago Renzi ha fatto credere a tutti che la crisi economica fosse un male della Costituzione Italiana, delle sua forma di Stato e delle troppe libertà sindacali. Il disprezzo verso il sindacato, abolizione dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, la sordità verso le opposizioni ci preoccupa molto. La storia insegna! Ecco perché occorre una nuova RESISTENZA.”
Ha poi aggiunto: “L’ANPI chiede l’apertura di un corridoio umanitario per l’accoglienza dei migranti, la distruzione dei barconi evita la morte per annegamento ma non quella di fame e sete nel deserto libico. Ricordiamo che le guerre che dilagano dalle coste del Mediterraneo passando dal medio fino l’estremo oriente sono causate dalle folli iniziative militari dell’ultimo ventennio in cui l’Italia è stata partecipe.” Infine ha salutato la vittoria contro il MUOS : “Ringraziamo tutti ma un grazie particolare alle mamme NO MUOS, una resistenza che può essere paragonata alle donne del ’45.”
Alcuni partiti, i centri sociali e altre organizzazioni con in testa Rifondazione Comunista, hanno deciso di non confluire in piazza Dante con l’Anpi ma di staccarsi per non condividere la giornata di lotta con le istituzioni ed il PD rompendo l’unità antifascista che in quella giornata era necessaria e scegliendo di non contestare l’amministrazione locale.
La nostra aspirazione di marxisti-leninisti è che sia il proletariato a mettersi alla testa della lotta antifascista contro i governo Renzi, in quanto unica classe a cui il potere politico spetti di diritto.
Siamo pienamente d’accordo con le valutazioni scritte a “Il Bolscevico” da un compagno simpatizzante secondo cui “l’interesse dimostrato da parte dei manifestanti verso il PMLI dimostra che parte di quegli ostacoli posti artificiosamente dalla borghesia per non farci incontrare con le masse cominciano a crollare, le sue critiche a Lenin, Stalin e Mao e l’equiparazione tra comunismo e nazismo cominciano a perdere il loro effetto. Le masse lavoratrici cominciano ad aver fiducia nei maxisti-leninisti, che aprono i loro occhi dicendo la verità”

 

29 aprile 2015

Matteo Renzi è una lepre di pezza, il PD è un cane morto da: antimafia duemila

renzi-pd-eff-lodatodi Saverio Lodato – 13 maggio 2015
Per un Pippo Civati che se ne va, a migliaia ne arrivano di nuovi.
Se Stefano Fassina se ne va, il problema è suo, mica del partito.
Nel mondo la “sinistra riformista” vince, a Londra e in Liguria perde la “sinistra masochista”.
Il sindacato sciopera per la scuola? Il sindacato teme di perdere potere.
La Consulta boccia il blocco delle pensioni? La Consulta non dice che c’è l’obbligo di restituire tutto.
Candidati campani in odor di Gomorra? Alcuni candidati mi imbarazzano, ma il Pd è pulito.
Maurizio Landini segretario della Fiom? Landini è un soprammobile da talk show.
L’abolizione dell‘articolo 18? L’abolizione dell’articolo 18 è “di sinistra”, di “sinistra riformista”.
Lo stato della giustizia in Italia? I giudici hanno ferie troppo lunghe.
Il popolo ha fame, come si sarebbe detto una volta? Che si mangiassero l’Italicum, in assenza delle brioches di Maria Antonietta…
Fermiamoci. Può bastare. Che è Matteo Renzi, ancor prima che: chi è?

Che è? Che interessi rappresenta e difende? Che scuola di partito l’ha mai programmato? A chi appartiene? Dove intende andare a parare? Chi sono quelli del coretto che si è messo al fianco? E’ forse la sintesi e la personificazione vivente di “mondi di sotto”, “di sopra” e “di mezzo”? Fa solo di testa sua? Risponde a qualcuno? Fa in tempo a pensare prima di parlare? Come può venirgli in mente di cambiare l’Inno di Mameli per inaugurare l’Expo?
Si esprime macinando battute. Non pronuncia mai una frase dal senso compiuto. Non risponde mai alle poche domande di pochi giornalisti audaci al punto da apparire eroici. Alterna metafore calcistiche, parole d’ordine vagamente marziali e stentoree, titoli di film, nomi di personaggi di fiction televisive, previsioni meteo che volgono inevitabilmente al bel tempo, schizzatine di veleno per l’avversario di turno, prevalentemente se proviene dal mondo del centro sinistra, silenzi eloquenti quando è chiamato a dire la sua sulle situazioni imbarazzanti e scandalose del suo governo o che riguardano uomini del centro destra.
Ha annunciato che cambierà il PD. Troppo tardi: il PD è bello che defunto e seppellito. Ha annunciato che cambierà il nome al PD. Questa poi: non si è mai visto il padrone di un cane cambiare il nome al cane morto. Annuncia che la sinistra sta vincendo, ha vinto e vincerà. L’Italia sta cambiando, è cambiata e cambierà.
Forza Italia è ridotta al 4 per cento? La “sinistra masochista” rischia di rianimare Forza Italia.
La Lega sta triplicando i suoi voti? E chissenefrega: su questo Renzi preferisce tacere.
In Italia, si voterà, forse all’inizio del quarto millennio. Poi si vedrà.
Concludendo: fior di pensatori lanciano l’allarme sul rischio del Partito Unico Della Nazione. E denunciano l’abnormità dell’”uomo solo al comando”. Capiamo queste preoccupazioni. Ma c’è un dettaglio sul quale ci permettiamo di dissentire: Renzi non è affatto l’”uomo solo al comando”. Ha le spalle coperte, copertissime. Da chi? Questo lo vorremmo tanto sapere, ma lo ignoriamo.
Sapete semmai che ci fa venire in mente la corsa di Matteo Renzi? Ci fa venire in mente la corsa della finta lepre, quella di pezza, programmata nei cinodromi per far correre i levrieri, a beneficio dello spettacolo taroccato.
Ma chi ha messo in pista la finta lepre?
Come vedete, la domanda si ripropone.

saverio.lodato@virgilio.it

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Israele è responsabile per aver colpito sette siti delle Nazioni Unite utilizzati come rifugi per i civili durante la guerra di Gaza del…

Italicum, la vendetta di Matteo Renzi da: l’espresso

La nuova legge elettorale introduce un presidenzialismo di fatto. Un cambiamento storico sul quale si è giocata un’enorme partita di potere. Vinta dal più spregiudicato nella battaglia. Che oggi si gode la rivincita: in mezzo alle macerie

DI MARCO DAMILANO

04 maggio 2015

Italicum, la vendetta di Matteo Renzi

Alle 18.20 la Camera vota, passa l’Italicum a scrutinio segreto con 334 voti, Maria Elena Boschi di rosso vestita bacia tutti e Matteo Renzi consuma la sua Vendetta. A lungo preparata. Perché nulla si capisce in questa storia di voti di fiducia, canguri, opposizioni silenziate e silenziose, indubbie forzature democratiche se non si parte da questo sentimento. La rivincita, la rivalsa, il desiderio di restituire il colpo ferito che anima il premier da quel pomeriggio di mercoledì 4 dicembre 2013.

Mancavano appena quattro giorni alle primarie che secondo tutti i pronostici avrebbero incoronato il sindaco di Firenze nuovo segretario del Pd. Una mina sulla strada del governo Letta, era il pronostico di tutti gli osservatori. Facile prevedere che con l’onda d’urto di milioni di voti nei gazebo il nuovo leader si sarebbe mosso rapidamente per chiudere con la fase politica aperta dal voto del 25 febbraio 2013, rappresentata dal governo Letta, e spingere verso nuove elezioni anticipate. A patto di poterlo fare, con una legge elettorale degna di questo nome.

Matteo Renzi si è approvato l’Italicum

5 Stelle, Forza Italia, Lega e Sel escono dall’aula, e lasciano sola la maggioranza di governo. Aumentano anche i no della minoranza del Pd, ma non abbastanza. L’Italicum è la nuova legge elettorale. E alle opposizioni resta solo il referendum abrogativo

La sentenza della Corte, incostituzionali il premio di maggioranza e le liste bloccate del Porcellum, sfilò a Renzi la legge elettorale sotto il naso, lo strumento per tornare al voto. “Dal punto di vista giuridico e tecnico la trovo sorprendente”, reagì a caldo il candidato segretario. Non nascose la stizza: “La Corte dice che il Parlamento può approvare una nuova legge elettorale? Beh, grazie di cuore per la cortese concessione. Meno male che ce l’hanno detto i giudici. O hanno il senso dell’umorismo, o non so cosa pensare”. E l’8 dicembre, alle primarie, in tanti andarono a votare contro una sentenza che in quel momento appariva di stabilizzazione delle larghe intese, un passo indietro, dalla democrazia maggioritaria verso una nuova democrazia bloccata, come negli anni della Prima Repubblica. Il primo a farlo in nome della difesa del bipolarismo in pericolo fu Romano Prodi, che pure aveva annunciato di non voler votare. E a elezione incassata, Renzi sparò a zero: “Dobbiamo scardinare il sistema”. Niente di meno.

Il commento del ministro delle Riforme Maria Elena Boschi dopo l’approvazione definitiva della legge elettorale. Per il capogruppo di Forza Italia Brunetta: “I numeri che ha avuto Renzi nel voto di oggi alla Camera se rapportati al Senato fanno sì che Renzi non abbia più la maggioranza”video di Marco Billeci

Saranno gli storici a stabilire chi in quei giorni spinse per quella sentenza della Consulta e chi la coprì ai vertici istituzionali. Ma di certo chi pensava che togliere a Renzi la legge elettorale per tornare a votare avrebbe blindato il governo Letta si è trovato nei mesi successivi di fronte a una gigantesca eterogenesi dei fini. Prima conseguenza: non avendo più la possibilità di tornare al voto perché non c’era la legge elettorale Renzi decise di eliminare Letta e di andare a Palazzo Chigi senza passare dalle elezioni, come aveva sempre giurato di voler fare. Secondo: la necessità di non affogare nel ritorno alla proporzionale spinse Renzi a concludere il Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi. Terzo: la consapevolezza di questo Parlamento di essere delegittimato sul piano giuridico, perché eletto con una legge dichiarata incostituzionale, e politico, perché il premier è un leader extraparlamentare, ha spinto i deputati e i senatori a votare qualsiasi cosa pur di mandare avanti la legislatura.

I colleghi di governo si congratulano con la ministra per le Riforme mentre Pierluigi Bersani lascia l’aula subito dopo il voto di Fabio Butera

Sull’Italicum si è dunque giocata un’enorme partita di potere. E oggi l’ha vinta il più spregiudicato nella battaglia, l’inquilino di Palazzo Chigi. Da questa sera c’è una nuova legge elettorale che modifica in profondità il sistema politico. Introduce un presidenzialismo di fatto, la figura inedita del sindaco d’Italia. Un cambiamento storico. Anche se, per paradosso, entrerà in vigore tra più di un anno, nel luglio 2016. In pochi stasera alla Camera scommettono che la scadenza sarà rispettata. La riforma del Senato, inevitabile complemento della legge elettorale, avrà un cammino accidentato. E Renzi potrebbe essere tentato da elezioni anticipate tra un anno con l’Italicum esteso anche al Senato o una mini-legge elettorale solo per Palazzo Madama.

“E’ il figlio legittimo del Porcellum. E’ ispirato dalla stessa ossessione compulsiva: dare più potere ai potenti e meno ai cittadini”. Così il presidente di Sel Nichi Vendola in merito all’approvazione definitiva della nuova legge elettorale. “Rappresenta una deriva autoritaria contro cui occorre mobilitarsi”, ha aggiunto Vendola(video di Francesco Giovannetti)

Oggi si gode la sua vittoria. In mezzo alle macerie: Parlamento svuotato, Pd trasformato in mera cassa di risonanza del premier con le minoranze interne che neppure oggi sono riuscite a balbettare qualcosa di comprensibile per il loro elettorato. Un dibattito di livello infimo. Argomenti sbagliati, citazioni agghiaccianti, invocazioni di pulizie etniche a sproposito (Renato Brunetta). Banalizzazioni a raffica. Con queste opposizioni, fuori e dentro il Pd, e in questo Parlamento, per parafrasare Nanni Moretti, Renzi non perderà mai. E infatti il fronte del No è destinato a scaricarsi fuori dalle aule parlamentari, nelle piazze. Ma è un ben triste Paese quello in cui l’opposizione è affidata alle contestazioni di piazza. O in cui il premier può vantare di essere dalla parte di chi pulisce le strade contro chi sfascia le macchine. Si possono amare le città pulite, le manifestazioni pacifiche e gli stabilmenti dell’Expo senza per forza iscriversi alle tifoserie renziane, perdonate l’ovvietà.

L’Italicum è una legge quasi perfetta se c’è una competizione tra due partiti, tra due liste alternative. In loro assenza costruisce un nuovo sistema bloccato.Non dipende dalla bontà della legge elettorale, ma dalla politica, certo. E da stasrea la questione è: riuscirà il centrodestra a federare le sue anime per costruire un’alternativa al Pd di Renzi, o come si chiamerà? Perché è difficile che il Pd resti simile a quello attuale, con lo stesso nome. Una vecchia classe dirigente esce ingloriosamente di scena. Quella nuova ancora non si vede. Rimane la voglia di correre, sempre, del leader-premier venuto da Firenze. Che stasera può esultare per l’ennesima vittoria, questa sì di portata storica. Ma non deve dimenticare che vincere da soli, per svuotamento degli avversari, alla lunga può diventare noioso. E forse perfino dannoso

Italicum, Onida: “Renzi viola le regole del gioco. Democrazia a rischio” da: l’inkiesta

Il presidente emerito della Corte Costituzionale: «Non dovevano discutere tutti assieme? C’è un problema di modello istituzionale»

AFP

Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, per nove anni giudice della Consulta, professore all’Università degli Studi di Milano, è tra gli esperti di diritto in Italia che in queste settimane ha criticato l’Italicum, la legge elettorale voluta da governo di Matteo Renzi in questi giorni in discussione alla Camera. Lo ha scritto nero su bianco sul Corriere della Sera in una lettera il 10 marzo scorso. A distanza di quasi due mesi non ha cambiato idea, anche se altri suoi colleghi come Augusto Barbera o Stefano Ceccanti stanno portando una dura battaglia a favore. «Siamo su tesi radicalmente diverse» spiega Onida. «Ho avuto un fitto scambio di email con Barbera e Ceccanti, ma resto della mia idea».

Lei non critica tanto il tema dei capilista bloccati, che invece è una delle critiche più in voga rivolte all’Italicum in questi giorni.
È solo una parte del problema. Con i capilista bloccati si determina la conseguenza che chi domina il partito può dominare anche il gruppo parlamentare. Ma il punto chiave è l’attribuzione della maggioranza assoluta dei seggi alla Camera ad un solo partito o lista, o al primo turno se raggiunge il 40% dei voti, o nel secondo turno se prevale nel “ballottaggio” ristretto alle sole due prime liste. Così un partito, pur non essendo espressione della  maggioranza degli elettori né dei votanti, risulta collocato in Parlamento in una posizione di predominio esclusivo.

Sul Corriere della Sera criticava il premio di maggioranza alla singola lista
Questo è il punto. Prevedere il premio di maggioranza alla singola lista significa di fatto premiare un solo partito anche se è una minoranza…Teoricamente potrebbe esserci una lista multipartito, ma è ovvio che è difficile che si verifichi perché necessita di accordi preventivi, e comunque ciò impedirebbe di misurare il consenso dei singoli partiti fra gli elettori.

Lei mette sotto accusa anche il ballottaggio.
Un “ballottaggio” fra liste non ha lo stesso senso di un ballottaggio cui si ricorre per la scelta di una persona, come potrebbe accadere in un sistema a collegi uninominali. Passare poi dal ballottaggio di coalizione al ballottaggio di lista comporterà che si avrà un solo partito che conquista la maggioranza assoluta della Camera anche se non ha il consenso di una reale maggioranza fra gli elettori.

Ovvero?
Se ci fossero solo due partiti in campo non ci sarebbe niente di male. Ma noi non siamo in una situazione di bipartitismo. L’elettorato è frazionato. Invece l’Italicum forza le cose in modo tale da dare a un solo partito il dominio assoluto del Parlamento.

Le risponderebbero che c’è un problema di governabilità nel nostro paese, che queste riforme sono necessarie.
Questa è la solita scusa. Non si può, in nome della governabilità, distorcere troppo la rappresentatività dell’assemblea, in una situazione che non è di bipartitismo. Si può governare (e magari talvolta si governa meglio) anche con governi di coalizione, come accade in molti Paesi. I governi si fanno spesso in base ad accordi. L’ha scritto anche Ilvo Diamanti: questo dell’Italicum è un sistema che porta di fatto all’elezione diretta del presidente del Consiglio. Con l’argomento della governabilità e del rafforzamento ulteriore dell’esecutivo (che in realtà è già molto forte) si persegue un sistema in cui il presidente del Consiglio sarebbe legittimato a fare tutto ciò che vuole senza dover costruire e conservare una maggioranza né perseguire un allargamento del consenso.

Le critiche che muove la minoranza del Pd sono pretestuose o fondate?
La proposta di consentire l’apparentamento di più liste per il ballottaggio andrebbe nella direzione giusta.

C’è chi teme una deriva autoritaria.
Non è questione di autoritarismo, è un problema di modello istituzionale. La sinistra ha sempre combattuto in prevalenza contro l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, perché conduce ad una riduzione della democrazia. Non è un problema di nuovi Mussolini: questo rischio ci sarebbe se domani si presentasse un partito autoritario. Ma la questione attuale non riguarda Renzi, riguarda l’impianto istituzionale del nostro Paese.

Un’altra critica è l’assenza di una larga adesione dei gruppi parlamentari attorno al progetto di riforma elettorale.
In effetti la legge elettorale sarebbe bene che fosse votata con largo consenso. Inoltre lo stesso Pd è diviso. Sostituire i deputati in commissione, porre la fiducia, sono tutte azioni volte a superare i dissensi in seno al partito. Alla fine quindi la legge elettorale sarà frutto di un consenso assai ristretto.

Avrebbe preferito magari un apparentamento delle liste?
La possibilità di apparentamento di liste in sede di ballottaggio sarebbe un modo per far sì che  la maggioranza assoluta che nasce dal secondo turno possa riflettere con maggiore probabilità una maggioranza effettiva degli elettori

Le riforme non rappresentano «un affare di governo» dice Pier Luigi Bersani.
Normalmente non è così per le riforme che riguardano le istituzioni, che dovrebbero essere discusse e deliberate dal Parlamento

Eppure suoi colleghi costituzionalisti rievocano esempi del passato per dire che non ci sono forzature.
Non è questione di trovare dei precedenti. Il problema è di merito e di metodo. Se poi si volesse approvare addirittura la riforma costituzionale a colpi di voti di fiducia si violerebbe il criterio fondamentale per cui le regole del gioco, come diceva anche Renzi, dovrebbero essere condivise da tutti o almeno da larghe maggioranze. Ne va della credibilità delle istituzioni, della fiducia nelle istituzioni.

Il Vaffanculicum di Renzi e la robbbetta di opposizione Fonte: micromegaAutore: Paolo Flores d’Arcais

Sulla legge elettorale “Italicum” (che la Boschi della vignetta del geniale Mannelli suFatto quotidiano ribattezza “Vaffanculicum”) Matteo Renzi va allo scontro frontale.

Quando stampa e tv non siano totalmente plaudenti, due tamburellanti interrogativi caratterizzano i commenti: perché il Premier cerca questo “scontro finale” su un tema che interessa poco e niente alla stragrande maggioranza degli italiani? E fare dell’Italicum/Vaffanculicum una sorta di piccolo armageddon della politica nostrana è segno di forza o di debolezza?

Sul primo punto la risposta è facilissima: Renzi cerca la battaglia campale su un tema i cui contenuti non interessano, e quindi sfuggono ai più, proprio per questo: che sarà vissuta come una battaglia in cui i contenuti contano pressoché zero, e dunque per i cittadini conteranno solo le “posture” e le “virtù” che in tale battaglia si manifesteranno: la coerenza dei propositi contro la tradizione delle lungaggini, l’energia contro la palude, il nuovo contro il vecchio, la riforma contro la conservazione, il coraggio di rischiare contro la vocazione a rassicuranti compromessi, ecc. Insomma la durlindana rottamatrice contro la melmosità delle nomenklature.

Renzi perciò ne uscirà benissimo, vinca o perda (molto probabilmente vince). Tanto più che i suoi antagonisti nel centro-sinistra sono giganti della tempra di Bersani e Letta, D’Alema e Bindi, e infine Speranza (vi rendete conto?!), robbbetta che nessuno che abbia residui di lucidità può prendere minimamente sul serio, e la cui rottamazione resta una delle “gesta” che hanno fornito a Renzi il suo primigenio patrimonio di credibilità e consensi.

Altra cosa sarebbe stata se nel centro-sinistra l’opposizione si fosse manifestata in modo netto e coerente (al momento di ogni voto) su tutte le questioni cruciali, a cominciare dal problema del problema, la giustizia, e con esso quello dei media (e la legge bavaglio che li connette), e insomma fosse stata frontale fin dall’inizio, visto che il disegno di Renzi era evidente e organico. Ma un’opposizione capace di fare questo non sarebbe stata capace, quando era al governo (per quasi otto anni, in epoca berlusconiana) di tutto il miserrimo cabotaggio, e il berlusconismo di risulta, e la mimesi di corruzione, e insomma sarebbe stata una cosa completamente diversa fatta da persone completamente diverse. Mentre la robbbetta questo era in grado di dare, al governo e all’opposizione: in termini di libertà e giustizia, anche in dosi omeopatiche, il nulla.

A questo punto è chiaro che l’armageddon formato twitter che vuole realizzare Renzi è una prova di forza, non di debolezza. Una prova con un margine di rischio, ovviamente, ma una prova di forza. E’ il compimento della rottamazione. Ottenuta in una sola mossa insieme a una trasformazione strutturale che rende l’esecutivo padrone dell’intera vita politica del paese: un regime plebiscitario di minoranza, dove con un terzo dei voti, e se le altre forze sono divise, si controlla il parlamento manu militari , si nominano tutti gli organismi di garanzia, si domina la tv di Stato, insomma si fa il bello e il cattivo tempo senza “lacci e lacciuoli”.

Il berlusconismo realizzato. Grazie a quanti (la famosa robbbetta e anche qualcuno in più) hanno per anni e anni stigmatizzato come estremista chi combatteva senza transigere il regime di Arcore, hanno addirittura considerato “demonizzazione” e fanatismo l’uso del termine regime , e si sono dati voluttuosamente a ogni genere di inciucio, spacciandolo per genialità strategica e convincendo non pochi guru-gonzi del sistema mediatico e di “opinione”.

Oggi siamo una non-democrazia senza opposizione, e quelle che passano per tale sono talvolta mero fascismo e/o razzismo rimpannucciato (Salvini, Meloni, ecc.), o pezzi di nomenklatura di finta sinistra non certo migliore della robbbetta (Vendola & Co). Resta il M5S, con le stranote contraddizioni, volatilità, dogmatismi, irrazionalità esoteriche, ma anche passione civile della base.

Motivi di speranza pochi, dunque. Pochissimi. A incrementarli può esserci solo l’inventiva e le iniziative concrete che ciascuno di noi saprà costruire, per quanto in apparenza isolate e impotenti, senza aspettare che “arrivi” da chissà dove un nuovo strumento di azione politica di massa.