Nasce il Governo Gentiloni: contro il Sud e, soprattutto, contro la Sicilia da: inuovivespri.it

Il vero segnale politico di questo nuovo esecutivo è rappresentato dall’idea che il 41% preso dai Sì al referendum, lungi dall’essere una sconfitta è una mezza vittoria, perché i renziani del PD – sempre in sella – pensano che si tratti di voti dello stesso Partito Democratico. ‘Premiata’ Maria Elena Boschi, protagonista del referendum del 4 dicembre ‘vittorioso’. Il ‘siluramento’ di Verdini lascerebbe pensare a un accordo con Berlusconi. Per il Sud ci sono solo parole di circostanza. Mentre per la Sicilia le ‘minestre riscaldate’ di Angelino Alfano e Anna Finocchiaro: due personaggi che nell’Isola, ormai, rappresentano solo se stessi

Paolo Gentiloni ha varato il suo Governo. Al di là dei volti nuovi (pochi, in verità), delle riconferme (tante) e della incredibile promozione di Maria Elena Boschi (protagonista della sconfitta al referendum insieme con Renzi) a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, un dato politico salta agli occhi: la pervicacia corriva con la quale i renziani insistono sulla linea tenuta finora, considerando il 41% preso dai Sì al referendum come voti del PD: quasi una vittoria…

Insomma, lo scorso 4 dicembre i renziani hanno perso la consultazione referendaria. La riforma della Costituzione targata JP Morgan è stata ‘sgamata’ e ‘bocciata’ dal 59% degli italiani. Ma Renzi e i suoi non si considerano affatto perdenti. L’ex capo del Governo resta segretario nazionale del Partito Democratico e si prepara allo scontro con le minoranze interne. La Boschi, come già ricordato, rimane nel Governo (ma non aveva detto – come aveva detto Renzi – che, in caso di sconfitta al referendum, sarebbe andata a casa’). E ben tredici ministri del Governo Renzi vengono confermati nel Governo Gentiloni.

Rimangono nella ‘stanza dei bottoni’ i protagonisti del partito fantasma: quel Nuovo Centrodestra Democratico che in Sicilia – che dovrebbe essere la regione baricentrica di questa formazione politica – ormai non presenta più il simbolo alle elezioni. Angelino Alfano lascia il ministero degli Interni e va agli Esteri. Mentre la sua compagna di partito, Beatrice Lorezin, rimane al ministero della Salute.

Al Viminale, al posto del già citato Alfano, arriva Marco Minniti. Al ministero della Giustizia resta Andrea Orlando. Al ministero della Difesa resta Roberta Pinotti. Al ministero dell’Economia resta Piercarlo Padoan. Al ministero dello Sviluppo resta Carlo Calenda. All’Agricoltura resta Maurizio Martina. Al ministero dell’Ambiente resta Gian Luca Galletti. Al ministero delle Infrastrutture e Trasporti resta Graziano Delrio. Al Lavoro resta Giuliano Poletti. Al ministero della Cultura resta Dario Franceschini. 

Si cambia invece al ministero dell’Istruzione e Università: via Stefania Giannini, sostituita da Valeria Fedeli.

Nuova anche la nomina di Claudio De Vincenti, romano e docente di Economia all’università La sapienza di Roma, che alla Coesione territoriale: un ministero un po grottesco: dovrebbe occuparsi del Mezzogiorno, ma servirà solo a certificare gli scippi ai danni del Sud. E’ inutile girarci attorno: il Sud, in questo Governo, non c’è. E, per la Sicilia, ci sono due ministri – Alfano e la Finocchiaro – che nella nostra Isola non sembrano godere di grande seguito popolare. Ma tant’è.

Il Sud, dice Gentiloni, resta una priorità. Bisognerà capire se, alle parole, seguiranno i fatti.

Nuova anche la nomina di Luca Lotti allo Sport (lui, in realtà, sognava di andare a gestire i servizi segreti, invece andrà a seguire le partite…).

Un altro dato politico importante è la penalizzazione di Denis Verdini e dei suoi, che rimangono fuori dal Governo. da quello che si capisce, i ministeri non sono stati sufficienti per tutti. E Renzi e Gentiloni hanno deciso di sacrificare Verdini e la sua ALA (si parlava di Saverio Romano, già ministro con Berlusconi, ma poi non se n’è fatto nulla).

Ci sono anche i ministri senza portafoglio: ai Rapporti con il Parlamento va Anna Finocchiaro, alla Semplificazione e Pubblica Amministrazione resta Marianna Madia, agli Affari Regionali resta Enrico Costa. 

I messaggi che si possono ‘leggere’ dai nomi di questi ministri sono contrastanti. la designazione di Valeria Fedeli, ad esempio, potrebbe essere vista come una mano tesa alla CGIL, se è vero che il neo ministro all’Istruzione è un esponente storico di questa organizzazione sindacale.

Il ‘sacrificio’ dei verdiniani potrebbe essere visto come un’apertura alla sinistra del partito, che ha sempre visto male la presenza di Denis Verdini nell’ara del Governo. Ma ci potrebbe essere un’altra chiave di lettura. Il siluramento di Verdini potrebbe significare problemi al Senato, dove i numeri del Governo Gentiloni, senza i senatori di ALA, diventano stretti. Ma dietro l’angolo ci potrebbe essere un accordo con Berlusconi, a cominciare dalla legge elettorale, da riscrivere per bloccare i grillini che ormai sembrano in vantaggio rispetto al PD.

Massimo D’Alema ha fatto notare che questo Governo – che al 90% circa ricalca il Governo Renzi – rischia di far perdere al Partito Democratico almeno il 5% dei voti. Ma forse il vero ‘segreto’ di questo Governo Gentiloni è allontanare lo spettro delle elezioni anticipate e tirare sino alla fine della legislatura, provando a recuperare i voti che oggi non ha più.

Che dire? Che, forse, rispetto ai segnali lanciati dal Paese al referendum, dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ci si sarebbe aspettati qualcosa di diverso: sì, di molto diverso…

Autore: federico giusti “Cosa ne sarà delle province? Contraddizioni, ritardi e nodi non risolti mettono a rischio servizi e posti di lavoro”. Intervento di Federico Giusti da: controlacrisi.org

La vittoria del No al referendum ha rotto le uova nel paniere del Partito democraticoInutile dire che l’assenso dato alla legge Del Rio da parte di Cgil Cisl Uil è stato un grave errore sindacale e politico, la legge 56\2014 ha anticipato gli effetti della Riforma Costituzionale, infatti l’articolo 1 , commi 5 e 51, prevedeva che l’adozione delle nuove normative avvenisse in attesa della Riforma del titolo V della Costituzione con relative forme di attuazione, insomma chi ha votato No al referendum del 4 Dicembre dovrebbe spiegare la ragione per la quale ha approvato una Legge che andava sostanzialmente nella direzione opposta.

Parliamo della cosiddetta legge Delrio, la n. 56 in vigore dall’8 aprile 2014, che ha modificato ruoli e organizzazione delle Province, enti territoriali di area vasta.

La legge Del Rio, ricordiamolo, di danni ne ha fatti molti, non ultimi i blocchi delle assunzioni per due anni nella Pa, il trasferimento coatto di circa 20 mila dipendenti delle Province ad altre amministrazioni, ma il danno più grande è quello di avere anticipato un modello organizzativo e gestionale dando per scontato che la riforma della Costituzione sarebbe andata in porto e non bocciata come avvenuto per fortuna il 4 Dicembre scorso.
Attualmente le Province si trovano in un limbo in attesa del legislatore, ci sarà bisogno di un provvedimento straordinario per ridurre i tagli insopportabili a cui sono state sottoposte, non ci sono soldi per la gestione di strade e scuola, non si può predisporre i bilanci per il 2017, ci sarà bisogno di un intervento legislativo probabilmente per adeguare le normative alla mancata riforma costituzionale visto che marcia indietro con la soppressione della Legge in questione non la faranno (come sarebbe logico )

Sono a rischio servizi essenziali ai cittadini e a dirlo non siamo noi ma il Presidente dell’Upi, l’Unione delle Province italiane, Achille Variati: ” le Province sono allo stremo dopo i tagli che dal 2015, anno che è seguito alla riforma Delrio del 2014, hanno tolto loro rispettivamente 650 mln, 1 miliardo e 300 (quest’anno) e 1 miliardo e 950 milioni nel 2017″

Le questioni non sono di poco conto perché nei prossimi mesi dovranno adeguare la Legge 56 alla mancata revisione della riforma Costituzionale e il discorso non vale solo per province ma per le città metropolitane

Chiamiamole allora province o enti di area vasta, resta il fatto che la sola cosa da fare sarebbe cancellare la legge Del Rio, quella che Cgil Cisl Uil definirono una buona legge.

Le competenze in materia di ambiente, strade, scuole sono tutte saltate, mancano fondi , strumenti e personale per la gestione a pagarne le conseguenze sono i cittadini e il personale rimasto nelle Province.

La tanto decantata semplificazione ha dato i suoi frutti, la annunciata lotta alla casta si è tramutata in disservizi ai cittadini e i politici non piu’ eletti ma nominati continuano a fare il bello e il cattivo tempo. Un motivo in piu’ per non credere ai politici innovatori e ai loro servi sciocchi sindacali

Autore: redazione Governo, Ferrero (Prc-Sinistra Europea): «Il governo Renzi bis é uno schiaffo alla sovranità del popolo italiano. Il Parlamento faccia il reddito minimo e non si occupi di legge elettorale» da: controlacrisi.org

Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, sul nuovo Governo Gentiloni dichiara:
«La nascita del governo Renzi bis con il mandato di rifare la legge elettorale é uno schiaffo alla sovranità del popolo italiano. Noi chiediamo che si vada al voto appena la Consulta si sarà pronunciata sulla costituzionalità dell’italicum, senza che il parlamento metta nuovamente le mani sulla legge elettorale. É un parlamento eletto sulla base di una legge elettorale incostituzionale e che ha varato a sua volta una legge elettorale che sara certamente dichiarata incostituzionale. Il parlamento non è legittimato a scrivere nuove regole per ingabbiare la volontà del popolo italiano e tantomeno lo è il governo Renzi bis. Il governo, invece della legge elettorale, si occupi di povertà e faccia il reddito minimo, in modo che si vada a votare rapidamente e che l’elettorato non ci debba andare con la pancia vuota».

Anpinews n.227

Su questo numero di ANPInews (in allegato):

 

ARGOMENTI

 

Notazioni del Presidente Nazionale ANPI, Carlo Smuraglia:

 

 

Data la particolarità del momento, preferisco riportare, senza ulteriori commenti, il documento approvato all’unanimità, il 9 dicembre, dal Comitato nazionale ANPI, nonché la breve intervista pubblicata da “Repubblica”. Da entrambi risulta, con chiarezza, la posizione dell’Associazione per il presente e per il futuro, senza necessità di ulteriori integrazioni in questa sedeanpinews-n-227