Anche se fa il cuoco lui non se la beve e non se l’è bevuta. Alla favola della mafia che sta al sud o al massimo a Milano “dove ci sono la borsa e la finanza” non ci ha creduto. E si è messo come un mastino a denunciare quel che accadeva nella sua città e dintorni. Mantova, città dei Gonzaga, dei tortellini di zucca, e del festival della letteratura. E la sua ricca provincia, dove abitano più maiali che persone. Sissignori, Claudio Meneghetti, benché non rappresentasse né associazioni né partiti (è uscito dal partito comunista, di cui era funzionario, da tempi immemorabili), e non avesse incarichi ufficiali, si è messo sulla pista dei fatti a tutti noti, quelli che uscivano sui giornali in colonnine minute o talvolta trovavano risalto dentro qualche cronaca giudiziaria. Ha ascoltato con attenzione le voci in arrivo da questo o quel paese e ha composto il nuovo affresco dei tempi. Dove di Rinascimento non c’è nulla: Mantova la bella c’è finita in mezzo anche lei. Lentamente, dal basso, in silenzio, fino a trovarsi prigioniera. In odor di mafia. Naturalmente all’inizio non se l’è filato quasi nessuno. Fole di un cuoco che fa da mangiare divinamente e che nel 2007 ha chiuso il ristorante, il leggendario Portichetto. Poi chissà che idee gli hanno messo in testa quelli che si affollavano alle due di notte alla sua tavola negli anni in cui a Mantova c’era un festival musicale all’insegna dell’antimafia.
Ma il Meneghetti, detto “Menego”, faccia larga e sorridente, è andato avanti per la sua strada. Così, passo dietro passo, ha trovato chi lo sta a sentire. Militanti della sinistra mantovana, anche loro a volte un po’ emarginati per via di quella fissa dei clan, grillini pimpanti, giovani delle associazioni. Perfino i giornali se ne sono dovuti occupare, quando è uscito come una prima frustata il suo libro “La ‘ndrangheta all’assalto della terra dei Gonzaga”, e come una seconda quello successivo, “Volevo i laghi balneabili ma ho trovato la ‘ndrangheta”. In mezzo un libro su Cremona curato dall’Arci e a cui lui ha fatto l’introduzione, ovvero la cronistoria documentata dei fatti “all’ombra del Torrazzo”. Occhio alle cosche calabresi e soprattutto al clan di Antonio Muto, amico dei Grande Aracri (ma recentemente assolto dall’accusa di associazione mafiosa), è il messaggio che ne arriva come un tam tam. Qui anche le autorità hanno fatto finta di non vederli e invece “quelli”, i clan, sono operosissimi, si infilano nelle costruzioni, nella sanità, rimonta agli anni novanta il primo notevole episodio, storia di una clinica, la “Villa Azzurra” di Borgoforte, soldi di Pippo Calò. E questo senza tanti soggiorni obbligati. Solo fiuto criminale e amicizie a pagamento.
Anche la sua compagna, Fiorenza Brioni, piddì e sindaco per cinque anni, è stata minacciata per averne condiviso le denunce. “Anzi, la vuoi sapere tutta? Ora la Fiorenza vive con 600 euro al mese, cerca un lavoro, ma tutti le dicono che non hanno un impiego alla sua altezza. Intendiamoci: non casca il mondo ma queste cose un po’ si pagano. Io come vivo ora? Lavoro da intendente per qualche privato e mi faccio la stagione in montagna o al mare come cuoco. Non mi lamento. Ma certo qui a parlarne dai fastidio a un intero sistema. Qui tra i professionisti che hanno lavorato per le imprese dei Muto ci sono fior di assessori, fondatori del Pd. Ci trovi avvocati e direttori dei lavori con la tessera del partito. Mentre il capogruppo in comune di Forza Italia era l’amministratore di “Ecologia e sviluppo”, un’impresa il cui socio principale era proprio Antonio Muto. Qui a Goito, un giorno simbolo del Risorgimento, l’Arci ha dovuto chiudere il suo circolo dopo gli arresti del 2010, e non l’hanno mai più riaperto. Prova a vedere chi era coinvolto nei lavori di piazzale Mondadori, dove c’è stato l’ultimo, recentissimo sequestro di immobili, prevista una popolazione di ottocento abitanti. O la vicenda di Lagocastello, duecento villette in riva al Lago inferiore, zona diventata edificabile dalla sera alla mattina. Ma sai che imbarazzo c’è a parlarne? La verità è che qui hanno tutti il morto in casa”.
Monta, la denuncia del “Menego”. I fatti gli hanno scrollato di dosso la fama del visionario solitario. Ora ha dietro un pezzo non piccolo di società civile, anche a livello nazionale; e gli studenti universitari vanno a intervistarlo. Un giornale locale lo ha messo in copertina accanto ad Antonio Muto titolando “I due nemici”. Ma lui non ci sta: “Io sto solo difendendo la mia città. Chi la governa, purtroppo, non se ne occupa”.
(scritto sul Fatto Quotidiano del 14.10.16)
Filed under: Antimafia |