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ANPI CATANIA voterà NO al referendum contro le modifiche costituzionali del Senato
Sulla sinistra ha ragione Bertinotti da: ilfattoquotidiano.it
Bertinotti, della cui figura politica si può dire ciò che si vuole (e se ne deve dire anche male, visti i risultati e ciò che produsse la sua dirigenza, ovvero lo sgretolamento della sinistra radicale italiana), rivela più acume di coloro che ancora oggi sperano in una rimonta della sinistra attraverso una battaglia condotta dal di dentro, ovvero di tutti quelli che pensavano e pensano che la battaglia per le ragioni della sinistra si potesse fare e si possa fare appoggiando nell’ordine Monti, Letta, e oggi Renzi. Bertinotti infatti colloca dentro l’Ulivo la nascita del renzismo. È dentro quell’esperienza, che peraltro abbiamo voluto e votato, da sinistra o dal centro, sia per sconfiggere Berlusconi che perché ci sembrava che le ragioni dell’eguaglianza e della giustizia sociale potessero convivere con alcune istanze ‘liberiste’, e forse allora davvero potevano, poiché i tempi erano diversi e la crisi non aveva ancora mostrato il volto di morte delle politiche di distruzione del diritto del lavoro e del welfare; e perché i rapporti di forza consentivano soltanto un appoggio critico che era destinato in nuce a spezzarsi; è dentro quell’esperienza, dicevo, che covava il virus che poi avrebbe portato a ciò che oggi stiamo vivendo, una sorta di Terza via in edizione italica, ovvero fuori tempo massimo, fuori dalla storia. Posto che ci si era sbagliati anche sulla Terza via di Blair o sulle misure di Schroeder. Ma, e andando ancora al di là di quanto dichiarato da Bertinotti, in quella storia c’era anche il preludio della sconfitta della sinistra: indebolita, incapace di parlare alle masse e di rappresentarle, stava progressivamente introiettando tutti i codici semantici del dominio ‘neoliberale’ (qualunque cosa voglia dire oggi questa parola – secondo me poco, ma la uso per capirci). Poteva andare diversamente? No, non poteva. Nessuno avrebbe potuto invertire quella rotta.
Peraltro questa genealogia spiega anche in termini psicanalitici l’atteggiamento di Matteo Renzi, figlio di quella storia nobile ma già contaminata dalla malattia che avrebbe condotto alla situazione attuale. Renzi doveva uccidere (rottamare) il padre, rimuoverlo, e in particolare il padre più antipatico di tutti, di cui però si sentiva erede e figlio tanto quanto quel padre oggi sembra percepire Renzi come colui che egli avrebbe voluto essere e non è stato. Parlo naturalmente di Massimo D’Alema, quello con più sale in zucca di tutti, preso anch’egli dentro il vortice che ha travolto la sinistra italiana e globale. Se Renzi si richiama oggi a Prodi (che rispetto a lui era un gigante), il vero padre dell’Ulivo, è perché Prodi è investito di un alto valore totemico che non può essere bellamente messo in questione nei termini volgari della rottamazione: deve piuttosto muovere l’Acheronte contro di lui, i pugnalatori nell’ombra dell’urna.
Bertinotti fece a modo suo una battaglia contro quella deriva. Non so quanto avesse visto ciò che sarebbe accaduto, ma certo oggi ha ragione a dire che per capire questa storia è lì che bisogna guardare. Ed è lì che bisogna guardare anche per capire le ragioni della disperazione per una sinistra che a stento si risolleverà. Questo lo sanno Bersani, Errani, Speranza, Gotor; lo sanno tutti. Resta da capire se nei loro disegni c’è una battaglia dall’interno, da dentro i gangli vitali della decisione (battaglia difficile, rischio e allo stesso tempo alibi: venire catturati), oppure se è solo una lotta per la sopravvivenza politica. La loro.
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Ahmed, 13 anni, da solo dall’Egitto all’Italia in cerca di un medico per il fratellino. Il Careggi di Firenze pronto a curarlo
Ahmed, 13 anni, è arrivato da solo in Italia, partendo dall’Egitto, per cercare un medico che curi il suo fratello piccolo da una grave malattia al sangue. La traversata quasi eroica di questo bambino è raccontata in un articolo del Corriere della sera. E ora l’ospedale Careggi di Firenze è pronto a curare Farid, il fratellino d Ahmed.
Per approdare a Lampedusa è partito dal delta del Nilo, da Rashid Kafr El Sheikh, lasciando papà, mamma, la sorellina e due fratelli in una polverosa casbah a 130 chilometri dal Cairo. Da solo. Nascosto in un carro di animali. A tredici anni. Controllando in continuazione la gualcita fotocopia di un certificato medico protetto da un sacchetto di plastica. Come fosse un tesoro. Ragione assoluta per un calvario con un unico obiettivo, come racconta Ahmed, questo piccolo, smilzo e spaventato eroe dagli occhi umidi di commozione: «I miei genitori, i miei zii, tutta la famiglia mi hanno fatto partire per trovare in Sicilia, in Italia, in Europa un ospedale, dei medici disposti a curare e operare il più piccolo dei miei fratelli, Farid, sette anni, da tre colpito da una malattia del sangue, da una…».
Ed estrae la fotocopia con la storia di una creatura affetta da una gravissima piastrinopenia, un malanno provocato da una riduzione nella produzione midollare di megacariociti, come scrivono i medici egiziani che hanno tentato una prima operazione e che per un altro necessario intervento — forse una splenectomia, l’asportazione della milza — chiedono cinquantamila lire egiziane a una famiglia di contadini senza risorse perché, quando il raccolto va bene, ne guadagna tremila in un anno. «Il mio sogno è vedere mio fratello giocare senza sentirsi male, giocare con me a calcio e correre insieme senza aver paura che svenga perché non riesce a stare molto in piedi…», racconta Ahmed. Sconvolto da quello che definisce «il dolore più grande che abbia mai provato». E ricorda: «È stato terribile vedere dimettere mio fratello dall’ospedale perché mio padre non aveva i soldi per pagare le cure e per l’operazione».
Ecco la ragione del calvario di questo minore passato dalla posta del carro bestiame alla carretta del mare approdata a Lampedusa. Una Via Crucis con sosta obbligata in un capannone della spiaggia di Baltim dove Ahmed, non lontano da Alessandria d’Egitto, ha continuato a nascondersi mentre trafficanti e scafisti picchiavano i suoi compagni di viaggio, come sussurra timoroso: «Alcuni derubavano gli uomini, altri afferravano giovani donne trascinate in un magazzino da dove tornavano in lacrime prima della partenza sul barcone… Pensavo di morire in mare. Né cibo né acqua. Soltanto un sorso di acqua a persona al giorno…».
Dopo aver letto l’articolo del Corriere, l’assessore al diritto alla Salute della Regione Toscana, Stefania Saccardi, si è immediatamente attivata, assieme alla direzione dell’ospedale Careggi, per dare risposta al drammatico appello di Ahmed. La direzione dell’azienda ospedaliera e il professor Marco Carini hanno dato la loro disponibilità a prendere in carico il bambino: “Se sarà necessario, troveremo anche ospitalità per lui e per i familiari che lo accompagneranno”.
“Con i programmi di cooperazione sanitaria internazionale – dice ancora Saccardi – nei nostri ospedali accogliamo e curiamo tanti bambini che vengono da altri paesi. Lo faremo anche per Farid. La direzione di Careggi prenderà subito i contatti necessari per dare la propria disponibilità e far arrivare quanto prima a Firenze Farid e la sua famiglia”.
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‘Con il sangue dei partigiani ci laverem le mani’: l’eccidio dei martiri di Villamarzana di Antonella Beccaria da: ilfattoquotidiano.it
| 16 agosto 2016
“Ricordo che alla sera si sentivano da lontano solo le loro voci che cantavano a squarciagola: ‘Con il sangue dei partigiani ci laverem le mani’. E così è stato”. Nazzarena Boaretto, il 15 ottobre 1944, aveva appena compiuto 16 anni, ma si ricorda nei dettagli gli anni della guerra, soprattutto quelli dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. I repubblichini, i nazisti dentro casa, i rastrellamenti, le deportazioni in Germania, le violenze, il coprifuoco, la caccia a chi aveva deciso che avrebbe combattuto per la Resistenza.
Ma lei, nata in provincia di Rovigo, si ricorda in particolare dell’eccidio dei martiri di Villamarzana. A cercare notizie sulla fucilazione di 43 partigiani, passati per le armi come rappresaglia dopo la cattura e la sparizione di quattro collaborazionisti, tra cui il figlio di un colonnello a capo di una caserma locale, la Silvestri, se ne trovano. Ma Nazzarena Boaretto, che oggi ha 88 anni e vive a Cervesina, nell’Oltrepo pavese, ha deciso di andare oltre e di mettere in fila i ricordi della ragazzina che fu.
Così ha scritto un libro, “Memorie di una vita“, se lo è autopubblicato distribuendolo tra amici e conoscenti e, a forza di passaparola, la voce dell’esistenza di questo volume che contiene anche fotografie si è diffusa. Dunque oggi Nazzarena torna nel Polesine, va nelle scuole, incontra i ragazzi e viene invitata anche all’Università di Padova. Perché la sua testimonianza riporta alla memoria una strage dimenticata, forse più di altre.
In quel pezzo di pianura che nel 1951 sarebbe stato sommerso da metri d’acqua del Po, fu sufficiente una lampada rimasta accesa perché i repubblichini puntassero su una cascina, a Castelguglielmo. Qui i partigiani nascosti furono riportati a Villamarzana, rinchiusi nella bottega del barbiere e, a gruppi di sei, trascinati in piazza dove finirono davanti a un plotone di esecuzione composto da dodici militari, per una metà in piedi e per l’altra in ginocchio. Poi i corpi furono lanciati sul cassone di un camion che se li perdeva strada facendo e buttati all’interno del cimitero di Villamarzana, senza essere seppelliti.
Dopo il massacro, i repubblichini non si accontentarono. Il giorno dopo fu preso anche il cugino di Nazzarena, Bruno Boaretto, catturato a causa di “una soffiata mentre si recava dalla morosa nel paese di Costa”. Preso a bottigliate, percosso e torturato con la fiamma delle candele sotto i piedi, alla fine crollò rivelando ai suoi aguzzini dov’erano sepolti i quattro fascisti. “Non appena confessò – scrive Nazzarena di Bruno – sicuro della sorte che gli era stata riservata, ebbe solo la forza di chiedere […] di essere ucciso sulla tomba di sua sorella [e] gli venne concesso”.
Poi fu preso il parroco del paese, don Vincenzo Pellegatti, che rischiò di essere ucciso sull’altare mentre celebrava la funzione del mattino, e il segretario politico di Villamarzana, Primo Murari, insieme al figlio e nipote, accusato di eccessiva compiacenza con i partigiani. Ci fu quindi la madre di due adolescenti, 14 anni uno e 15 l’altro. Il famigerato maresciallo “Bomba” le fece una proposta: “Scegli tu quale dei due figli vuoi che ammazziamo, sicuramente almeno uno dei due”. Ma la donna non ce la fece a decidere quale salvare.
Perché dopo tutti questi anni, in età avanzata e con i postumi di una frattura al femore, rimettersi in gioco per raccontare questa storia? “Lungi da me voler dare giudizi – scrive Nazzarena Boaretto all’inizio del suo libro – tanto meno fare considerazioni finali su ciò che è stato ed è accaduto nel bene (poco) e nel male (tantissimo)“. Il suo diario è “piuttosto un invito a tutti coloro che lo leggeranno oggi o negli anni a venire a prenderlo come un impegno morale affinché in futuro non possano più succedere cose come quelle di cui io stessa sono stata involontariamente testimone oculare […] rubandomi la gioia e la spensieratezza della mia giovinezza”.
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Trivelle, la battaglia di Cesenatico contro l’Eni su Ici/Imu Fonte: GreenreportAutore: Riccardo Spadarelli
Comune di Cesenatico ha iniziato a valutare già da fine 2013 la possibilità di assoggettare ad Ici/Imu le piattaforme in concessione ad Eni per ricerca ed estrazione di gas naturale di fronte al territorio comunale.Nel corso del 2014 si è richiesto alla Capitaneria di porto di Rimini una delimitazione geografica e cartografica dello spazio di mare antistante il territorio di Cesenatico che ha permesso di localizzare entro le 12 miglia sei piattaforme di cui una a 3,5 miglia (piattaforma Morena) e cinque a 10 miglia (piattaforme Cervia A, B, C, Cluster e Arianna). Successivamente si è richiesto ad Eni di fornire il valore contabile di dette strutture al fine di valutarne il possibile assoggettamento ad Ici/Imu con i criteri previsti per fabbricati ascrivibili alla categoria D, ma privi di rendita catastale. La direzione di Eni ha fornito una serie completa dei valori contabili per singolo impianto, oltre ai progetti e allo stato di fatto, pur dichiarandosi contraria all’assoggettamento di dette strutture ad imposte comunali.
A seguito della sentenza della Commissione tributaria dell’Abruzzo (Comune Torino di Sangro) e, soprattutto a quella nota della Corte di cassazione del febbraio 2016 (Comune di Pineto), il Comune di Cesenatico si è ritenuto legittimato ad emettere nel mese di aprile i primi atti di accertamento Ici per le annualità 2010 e 2011 e notificarli ad Eni.
Il valore preso a base imponibile è quello contabile comunicato da Eni per i sei impianti (complessivamente circa 90 milioni di euro per valori degli anni ‘80), soggetto a rivalutazione mediante le corrispondenti tabelle ministeriali. Probabilmente il Comune di Cesenatico è il primo Comune ad emettere atti di accertamento Ici delle piattaforme basati su valori contabili dei cespiti, come rimarcato dalle Commissioni tributarie regionali e dalla Corte di cassazione, e non su proprie perizie di stima.
L’imposta corrispondente per l’intero periodo (2010 – 2015), dopo la rivalutazione, corrisponde a circa 9,5 milioni di euro. I primi atti emessi dal Comune di Cesenatico prevedono la disapplicazione delle sanzioni per omessa dichiarazione e versamento (Ici), riconoscendo ad Eni l’incertezza normativa precedente alle citate sentenze. L’Eni ha presentato ricorso alla competente Commissione tributaria di Forlì – Cesena, adducendo essenzialmente le motivazioni contenute nella Risoluzione ministeriale del 1 giugno.
Oltre all’avvio dell’iter procedurale del processo tributario, si attende ora con interesse lo sviluppo delle proposte di legge recentemente presentate da gruppi parlamentari al fine di definire per via legislativa l’intera vicenda, anche per il 2016 e anni successivi. Si attende inoltre con estremo interesse la pubblicazione di una seconda sentenza della Corte di cassazione, riunitasi il 5 luglio scorso, quale terzo grado di giudizio dell’azione avviata dal Comune di Termoli, in condizione quindi di esprimere una decisione considerando la citata risoluzione ministeriale del 1 giugn
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