Dall’Est con furore letterario/1
La letteratura migrante è un’occasione di costruttiva reciprocità. Allo stesso tempo, decostruisce una visione etnocentrica del mondo, consentendo di rifuggire dalle secche di una mortifera autoreferenzialità e di aprirsi al rinnovamento imposto dalla storia. Essa traccia il sentiero di uno scambio autenticamente paritario fra culture diverse. Non si limita, infatti, a rielaborare criticamente in forma artistica i processi relativi al passato, né a descrivere quelli di creolizzazione tuttora in svolgimento al livello mondiale, ma offre, altresì, una speranza nuova per il futuro, alimenta le ragioni dell’utopia, in vista di un concreto orientamento sul fronte dell’incontro interculturale.
L’attività principale di lavoro di tutti questi scrittori non è quella di romanzieri, poeti o prosatori (sono, in genere, mediatori culturali, traduttori, educatori, ecc.). L’attività letteraria coincide più sovente con la professione primaria tra i migrant writers, che vivono in Italia già da alcuni decenni. Volendo tracciare un loro “identikit”, possiamo affermare che questi scrittori/letterati sono, di solito, in possesso di un livello medio/alto d’istruzione e sono in gran parte donne. Ecco perché in questo articolo ci concentreremo sulla produzione letteraria femminile.
In via convenzionale possiamo identificare due gruppi di migrant women writers: Un “primo” gruppo, non più giovane (nato tra gli anni Trenta e Cinquanta), arrivato in Italia prima del crollo del comunismo, e un “secondo” gruppo (nato tra gli anni Sessanta e Ottanta) emigrato nel periodo in cui andavano consolidandosi nei paesi d’origine società post-comuniste, o a seguito della dissoluzione della Jugoslavia.
Fanno parte del “primo” gruppo, la scrittrice e poetessa ebrea ungherese Edith Steinschreiber Bruck [1932], che si stabilisce in Italia nel 1954, dove conosce Montale, Ungaretti, Luzi, e dove stringe amicizia con Primo Levi, che la sollecita a ricordare la Shoah. Tra le scrittrici migranti, Edith Bruck è considerata l’antesignana della letteratura testimoniale sulla Shoah; la traduttrice e mediatrice culturale, originaria del Montenegro, esperta di cultura balcanica e rom, Nada Strugar [1943], che vive in Italia (Brescia) da oltre vent’anni; la croata Vesna Stanić [1946], autrice di poesie, racconti e saggi. Trasferitasi a Roma negli anni Settanta, oggi vive e lavora a Trieste; la scrittrice slovacca Jarmila Očkayová [1955] arrivata in Italia nel 1974. Figlia di due genitori dissidenti, sostenitori di Alexander Dubček (interprete di una linea politica anti-autoritaria definita “socialismo dal volto umano”), è stata testimone durante la sua adolescenza di quella feconda stagione politica che fu la Primavera di Praga, stroncata nell’agosto del 1968 dall’occupazione del paese da parte dei carri armati sovietici; la scrittrice croata Sarah Zuhra Lukanić [1960] trasferitasi in Italia (Roma) nel 1987, vincitrice con la raccolta di racconti Rione Kurdistan del premio letterario “Mare nostrum” dedicato alla cultura migrante (Viareggio, 6-7 ottobre 2006).
Benché questi due gruppi di migrant women writers abbiano caratteristiche proprie, entrambi hanno condiviso uno stesso percorso di emancipazione letteraria che li ha visti impegnati nella costruzione di una scrittura “nuova” nello stile e nei contenuti, e che si è trasformata in un lasso di tempo relativamente breve da letteratura legata all’immigrazione (spesso di tipo autobiografico):
- letteratura di testimonianza o di denuncia della condizione drammatica dell’immigrato, delle difficoltà di quest’ultimo a inserirsi nella società italiana e dei pregiudizi di cui è spesso vittima, o descrizione delle strategie di sopravvivenza adottate nei paesi d’accoglienza. Si pensi, al riguardo, al romanzo Voglio un marito italiano (Il Punto d’Incontro, 2006) della scrittrice ucraina Marina Sòrina[1973], con il quale l’autrice sfata il luogo comune secondo cui le donne dell’Est europeo sarebbero delle avide ammaliatrici pronte a sedurre e ad accaparrarsi un marito italiano, per acquisire la cittadinanza e poi fare i propri comodi;
- a racconto delle proprie origini, o a letteratura sulla storia, cultura e tradizioni del proprio paese d’origine;
- infine, a testi significativi del patrimonio letterario italiano con l’abbandono dei temi classici dell’immigrazione o del rimpianto per la propria terra, per affrontare, invece, temi universali: l’amore, la morte, la solitudine, la giovinezza, ecc.;
(prima parte – continua)
* Questo articolo è la sintesi di un intervento alla Tavola Rotonda “Fenomeni sociali e produzioni letterarie migranti” (Carroponte di Sesto San Giovanni – 2 giugno 2016), promossa dall’Assessorato Pace e Cooperazione Internazionale del Comune di Sesto San Giovanni (MI).
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