La notte del 4 agosto 1974, una bomba fa saltare in aria il treno Italicus nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, uccidendo 12 persone innocenti e ferendone altre 48. L’attentato è rivendicato dall’organizzazione “Ordine Nero”, ma sino a ora non sono stati individuati e condannati né i mandanti né gli esecutori. NOI NON DIMENTICHIAMO…

La nomination della Clinton, l’esigenza di capire se le donne ai vertici della politica mostrino “originalità con un segno femminile”.. e tanti avvenimenti da approfondire ….. da: ndnoidonne

Prima Pagina Donna (25-31 luglio 2016)

inserito da Paola Ortensi

Prima Pagina Donna (25-31 luglio 2016)

L’ultima settimana di luglio 2016 ha registrato innumerveoli avvenimenti di portata storica; si va dal raduno a Cracovia dei giovani con Papa Francesco, segnato da parole importanti adeguate ai giorni difficili che vive il mondo,  fino all’iniziativa senza precedenti – proposta e attuata da rappresentati del mondo islamico – di partecipare nelle chiese alle funzioni della domenica per segnare l’alleanza per la pace e contro il terrorismo, in una guerra – sottolinea Papa Francesco – che non è di religione .Iniziativa presa a seguito dell’orrendo omicidio di Padre Jacques in Francia .
Di appuntamenti però davvero significanti per uno sguardo al femminile, che vanno oltre i legittimi giudizi e opinioni umane e politiche per la protagonista, ne è avvenuto uno già annunciato ma oggi divenuto fatto concreto. Il riferimento è alla definitiva candidatura “firmata “ dalla Convention del Partito democratico per Hillary Clinton a Presidente degli USA.
Hillary Clinton è sicuramente una figura complessa e discussa sulla quale, considerata la sua storia umana e politica,  i giudizi divergono e in alcuni casi sono critici (anche all’interno del suo stesso partito), una figura che,  non a caso, ha forse determinato l’imprevisto grande successo del competitor Sanders. Ma è difficile negare come la Clinton sia una persona che  – forse proprio appellandosi ad alcune doti catalogate normalmente come piuttosto femminili quali: tenacia, pazienza, resistenza, astuzi – è riuscita a compiere un percorso pieno di difficoltà, inciampi, errori e successi come persona – e anche come moglie di un Presidente che con i suoi tradimenti la umiliò e la sottopose a giudizio di una intera nazione – ma come professionista e come politica è arrivata a ricoprire come “Ministra degli esteri” una funzione difficile e di estrema importanza ma in cui avvenimenti catalogati come errori non piccoli non sono mancati.
Nostante tutto questo Hillary, rispondendo colpo su colpo a Trump che non le ha lesinato attacchi oltre la politica,  ce l’ha fatta e ha potuto godere dell’accredito forte e autentico in primis del Presidente Obama e di sua moglie Michelle; anche Sanders in un modo che definirei leale e convincente si è rivolto ai suoi sostenitori, cercando di convincere anche ‘gli irriducibili e lo ha fatto puntando all’interesse del paese contro il candidato repubblicano Trump che, pur di attaccare Hillary, è arrivato a rivolgersi con benevolenza a Putin e alla Russia, forse per presunzione facendo il primo errore serio.
La candidatura di Hillary ovviamente non significa una vittoria già in tasca e le preoccupazioni non sono poche, stando ai sondaggi. Credo tuttavia sia interessante non semplicemente esprimere, dal mio punto di vista, la speranza che possa vincere ma che nel corso della campagna elettorale – fino a quell’8 novembre che sarà il giorno della verità – seguire il percorso di Hillary e verificare come si evolva e valorizzi la responsabilità di essere donna.  E’ un elemento tenuto sotto osservazione da tante donne, non solo americane, ma in gran parte del mondo. Hillary ha indubbiamente una personalità umana e politica ben delineata, ma tra le sue responsabilità di oggi c’è anche il come intende interpretare il suo essere donna come PRESIDENTE. Molto realisticamente come l’alleanza con Sanders l’ ha costretta a modificare o arricchire il suo programma in termini più di sinistra, così l’aspettativa delle donne deve, credo, potersi misurare in parole e idee in cui si riconoscano.
Mi sembra interessante e sicuramente è tempo di chiedere e domandarsi cosa e se le donne ai massimi luoghi di potere della rappresentanza portino qualcosa di originale e positivo o se a tali livelli non ci sia davvero alcun segno e impegno di diversità del femminile.
La risposta non è affatto scontata e a me pare che ancora non ci sia.
Ma la Merkel, in Germania, è ancora una volta in prima fila a gestirela Brexit con la nuova leader dei conservatori  e primo ministro del Regno Unito, Theresa May. Per non dire della “gestione” della questione emigrati, degli attacchi terroristici e non solo, le aspettative sulla Clinton e anche, per parlare con riferimento a questi giorn,i la triste situazione di Dilma Rouseff che, sospesa dal suo incarico di presidente del Brasile per l’accusa di “intrallazzi” di varia natura, non parteciperà il 5 di agosto all’apertura delle Olimpiadi, segnando visibilmente una sconfitta del suo incarico. Tutti questi avvenimenti ci danno un’opportunità in più per guardare dentro al problema.
Datp, ritengo, lo spessore del tema che in questa settimana inizia con la Clinton e si allarga come ho cercato di dire, a ben altro orizzonte, penso di rinviare-  magari prima della fine di questa settimana – alcuni pensieri su due donne significative anche se con modalità completamente diverse, che ci hanno lasciato. Mi riferisco a Marta Marzotto e ad Anna Marchesini. Entrambe con una storia individuale e scelte di vita molto femminili, interessanti, da conoscere e capire per trarne riflessioni  e, anche, per valorizzarle con uno nuovo sguardo.

Ps: Morti di tante donne e bambini in attacchi senza sosta in Siria e in Afghanistan contro i civili, bombe su un ospedale in SIra,  l’unico e ultimo in una regione dedicato a nascite e pediatria; il susseguirsi di tragedie in mare in cui si perdono tante donne e bambini, il perpetuarsi di violenze e omicidi contro donne penso meritino quanto prima parole dedicate. Lo faremo presto in questo spazio per quanto senza presunzione.
PAOLA ORTENSI

Arabia Saudita/ Paese alla ricerca della (possibile) modernità? da: ndnoidonne

Culla dell’Islam, perché ospita le città sante di Mecca e Medina, l’Arabia Saudita sta attraversando importanti cambiamenti

inserito da Zenab Ataalla

Quando si parla di Arabia Saudita vengono subito in mente una manciata di cose.
Al di là dell’importanza che ricopre per i fedeli e le fedeli musulmani di tutto il mondo perché ospita le città sante di Mecca e Medina. Al di là del fatto che sia uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo, l’Arabia Saudita è anche il paese nel quale convive più di una contraddizione.
In fatto di diritti femminili il l’Arabia Saudita di certo non brilla per la sua lungimiranza.
Se le donne non hanno il diritto di guidare, a partire dal 2015 hanno però il diritto di votare.
Se le donne non possono lavorare, hanno però il diritto di concorrere come candidate alle elezioni municipali. E se sono considerate adultere, possono essere anche lapidate pubblicamente.

E cosa ne è dei diritti umani? Anche in questo caso sono considerati solo parole scritte su carta straccia, valide per tutti tranne che per il Paese. E lo sappiamo grazie alle battaglie delle organizzazioni internazionali come Amnesty International.
Non sono assenti solo i diritti civili, lo sono anche i diritti sociali e quelli personali.
In un Paese dove lo scandire della vita è regolato dal wahabismo, la corrente più intransigente e radicale dell’Islam, criticata e negata dalla maggioranza dei musulmani e musulmane di tutto il mondo, ogni comportamento che è considerato dissoluto e fuorviante viene messo al bando.

Da anni, anzi da decenni ogni attività per il divertimento è stata chiusa. Ma forse non per sempre. O almeno è così da quanto risulta dalle ultime notizie che arrivano.
Dopo che a partire dagli anni Settanta cinema e teatri hanno chiuso i battenti perché minavano la morale pubblica, sembrerebbe che la Commissione per il pubblico spettacolo, istituita ad hoc, stia di nuovo pensando all’apertura di locali di intrattenimento nelle principali città saudite.
La commissione che è stata voluta dal nuovo re saudita ha aperto i lavori a maggio scorso e sembrerebbe avere il compito di organizzare e sviluppare attività di intrattenimento per incoraggiare il turismo interno.
Ma non è per migliorare la vita dei e delle saudite, perché la ragione di questa scelta è puramente economica.
Difatti, sebbene l’Arabia Saudita sia uno dei Paesi più ricchi al mondo, i suoi sudditi non hanno molti modi per spendere i loro soldi, se non nell’acquisto di macchine per gli uomini ed abiti di alta moda per le donne.
E pensando di volere sganciare la dipendenza del Paese alla sola estrazione e vendita di petrolio, l’unico modo per cambiare le cose è pensare ad investire in attività con cui far girare la moneta interna.
Ma se sono molti quelli che appoggiano l’idea del Consiglio per lo sviluppo e gli affari economici, come i membri della famiglia reale ed i ministri, sono altrettanti quelli che non condividono il progetto, soprattutto tra la gente comune.
Lo scetticismo deriva prima di tutto dal fatto che investire nel settore del divertimento/intrattenimento di fatto non migliorerà la condizione di vita dei sauditi e delle saudite che, pur ricchi, sono comunque privati della loro libertà.
I problemi ed i bisogni sociali rimarranno quelli già esistenti. E i diritti umani e civili continueranno ad essere inesistenti.

È comune il sentire di quanti pensano che le contraddizioni sulle quali il Paese ha costruito la sua storia non cesseranno. E forse non accadrà nemmeno questa volta perché, se da un lato si ha una Commissione intenta ad organizzare eventi culturali ed artistici destinati agli uomini e le donne sauditi, d’altra parte c’è il Consiglio degli anziani studiosi islamici – noto per le sue posizioni contro la musica e l’intrattenimento – che è contrario sd ogni evento che preveda la presenza di uomini e donne nello stesso luogo, dal momento che potrebbe avallare comportamenti non moralmente corretti.
Foto di National Geographic

Tunisia/ Primo passo verso la legge contro la violenza sulle donne – Udi Catania da: ndnoidonne

In Tunisia il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo della legge contro la violenza sulle donne. La parola va ora al Parlamento

inserito da Redazione

La notizia è ufficiale: il Consiglio dei Ministri ha approvato il testo della legge, che va ora in Parlamento.
Si tratta di un provvedimento che prevede misure efficaci contro ogni forma di violenza e sopruso basato sul genere, per garantire alle donne rispetto della dignità e per assicurare l’eguaglianza tra i sessi, attraverso un approccio globale che si articola su prevenzione, punizione dei colpevoli e protezione delle vittime.
Ricordiamo che in Tunisia è già stato abolito l’art.27 bis del Codice Penale che giudicava non perseguibile l’uomo che stupra una donna di età inferiore ai 20 anni e che in seguito sposa la sua vittima.
Il Codice si è dotato inoltre recentemente di un articolato che prevede fino a due anni di reclusione e multe severissime per chi è giudicato colpevole di molestie sessuali.
Tutti questi passi avanti sono conseguenti e resi possibili dallo spirito dell’art.46 della nuova Costituzione, che impone allo Stato di adottare le misure necessarie per sradicare la violenza nei confronti delle donne.
Grazie alle nostre sorelle tunisine, alla loro determinazione, al coraggio e all’ambizione che non si lascia piegare neppure in questi tempi bui e minacciosi per tutti i nostri Paesi.

26 luglio 2016, Mediterranea UDI Catania
a cura di Carla Pecis – carlapecis@tiscali.it

Dalla Puglia a Santiago de Compostela contro la violenza. E’ l’impresa di Grazia Andriola da: ndnoidonne

5000km a piedi con al fianco WeWorld per dire “Non ho paura di camminare sola e nessuna donna ne dovrebbe avere”

inserito da Redazione

“Lo scorso anno ho percorso per la prima volta il cammino di Santiago. Ho provato dolore, fatica, ho pianto ma ho riscoperto quanto è breve questa vita e quanto la sprechiamo per cose inutili. Ho deciso di intraprendere un nuovo cammino di oltre 5000km, da sola, da Santa Maria di Leuca alla volta di Santiago di Compostela. Un’esperienza che ho deciso di condividere con WeWorld Onlus che sarà al mio fianco in questo cammino per portare un messaggio di coraggio alle migliaia di persone che incontrerò, ai luoghi e alle strade che percorrerò per 190 giorni”. Grazia Andriola, 47 anni, camminerà per 5000 km per sensibilizzare contro la violenza sulle donne e raccogliere fondi per i progetti di WeWorld.

Il 31 luglio ne visiterà uno: lo sportello SoStegno Donna all’interno del Pronto Soccorso dell’ospedale San Camillo Forlanini di Roma. A riceverla una delle nostre operatrici che H24 sette giorni su 7 accolgono le donne che arrivano in ospedale perché “sono scivolate nella doccia”, “hanno sbattuto contro una porta” e che direttamente dal triage iniziano a instillare in loro il seme di un’altra vita possibile. Insieme a loro Stefano Piziali, Coordinatore dei Progetti in Italia di WeWorld per ringraziare Grazia per il percorso fatto. Un passo alla volta, contro la violenza sulle donne.

L’impresa di Grazia nasce lo scorso anno mentre percorreva il cammino di Santiago, quando un terribile fatto di cronaca colpisce la sua attenzione. La violenza su una ragazza degli Stati Uniti, rimasta poi uccisa, perpetrata da un uomo di origini spagnole che aveva sabotato i cartelli del percorso per poter molestare delle pellegrine.

Da questa tragedia è nata la volontà di riscrivere questa storia attraverso un cammino per affermare che “Non ho paura di camminare sola e nessuna donna ne dovrebbe avere” e insieme per camminare per tutte le donne che ogni giorno subiscono violenza perché in Italia una donna su 3 è ancora oggi vittima, ma sono ancora troppo poche le denunce. Un passo alla volta Grazia camminerà anche per tutte le oltre 6 milioni di donne che in Italia subiscono violenza, per dire basta, per non avere paura.

“Questo mio lungo cammino lo dedico a chi merita di essere felice, lo dedico a chi non ha la forza di reagire e lo dedico a chi trova il coraggio di dire basta. Da qui nasce il progetto #steptostopviolence per sensibilizzare e raccogliere fondi contro la violenza sulle donne e sostenere i progetti di WeWorld”.

WeWorld Onlus, organizzazione che si occupa di difendere i diritti dei bambini e delle donne più vulnerabili ogni giorno si prende cura delle donne vittime di violenza con gli sportelli SoStegno Donna nei Pronto Soccorso di alcuni tra i maggiori ospedali italiani per garantire assistenza medica, psicologica e sociale, H24 sette giorni su sette, alle vittime che ricevono immediatamente le cure necessarie al riparo da chi ha abusato di loro. WeWorld è inoltre presente nelle zone più difficili di Napoli, Palermo e Roma con gli spazi WeWorld per le Donne, dove la violenza è talmente diffusa da essere accettata e persino – a volte – non percepita.

In questi centri sono stati attivati spazi bimbi per permettere alle donne e alle mamme di partecipare alle attività e contemporaneamente favorire uno spazio di osservazione in cui operatrici esperte possano rilevare situazioni di disagio grave, se non addirittura casi di violenza assistita e subita.

È possibile seguire sui social l’impresa di Grazia con l’hastah #steptostopviolence e donare attraverso il nostro sito: http://www.weworld.it/steptostopviolence

Ufficio stampa WeWorld
Greta Nicolini, Tel 02.36.21.53.45 greta.nicolini@weworld.it

Autore: piergiorgio duca* “Ripensare la sanità pubblica e la sicurezza sul lavoro. Il Ssn è sostenibile a patto che…”. Intervento di Medicina Democratica da: controlacrisi.org

Medicina Democratica, a 40 anni dal suo primo Congresso (1976 Bologna), promuove un’iniziativa per riaffermare la centralità della salute quale fondamentale diritto dell’individuo, interesse della collettività e l’irrinunciabilità dell’impegno della Repubblica alla efficace tutela di tale diritto.Con questo intende offrire un’opportunità al confronto e alla riflessione collettiva sul tema “Salute e Sanità” per condividere coerenti iniziative di documentazione, mobilitazione, sensibilizzazione e lotta da attuare a livello locale, nazionale, europeo. Per questo rivolge l’invito alla più ampia partecipazione organizzativa delle associazioni e realtà collettive che condividono tale obiettivo.

Un primo incontro preparatorio, svoltosi a Bologna il 2 luglio scorso, ha visto una scarsa partecipazione, anche per limiti di preparazione. Abbiamo comunque discusso gli aspetti principali e siamo arrivati a prime conclusioni che offriamo al dibattito più allargato e qualificato. Abbiamo convenuto anzitutto di non organizzare un convegno fatto di relazioni e di gruppi di approfondimento, concordando circa la necessità che l’iniziativa debba essere finalizzata a definire progetti, predisporre programmi e individuare obiettivi di lotta da opporre alla deriva politica e sociale che progressivamente intende ridurre ad un “optional”, a un “benefit” contrattuale il diritto alla tutela della salute. Una deriva che naviga verso un riconoscimento di tale diritto al più come un bisogno individuale da soddisfare grazie del mercato quindi esposto alle leggi della concorrenza e della speculazione finanziaria nazionale e multinazionale delle assicurazioni, dei fondi di investimento, delle multinazionali del farmaco, delle organizzazioni di ricerca e formazione sempre più “for profit”, private ma sempre pronte, come sempre, a finanziare con i soldi pubblici la massimizzazione dei profitti privati.

Con questo non intendiamo negare la necessità e l’utilità di entrare nel merito di vari temi quali modi, tempi, strumenti e finanziamenti alla ricerca, alla formazione, alle iniziative di vera e falsa prevenzione, alla valutazione della vera sostenibilità economica attraverso la ricerca di efficacia, efficienza, appropriatezza e contro la malagestione, la pervasività dei politici, e la lotta alla corruzione e alle mafie, anche attraverso la promozione di leggi e iniziative giudiziarie appropriate, che richiedono la collaborazione di esperti per una comprensione approfondita e per la identificazione di linee di sviluppo efficace di dibattito culturale e di lotta sociale, e di lotta. Questo verrà fatto ma non in occasione del convegno qui proposto.

Infatti la deriva in atto, che acuisce le diseguaglianze economiche, sociali e culturali, arrivando a minare alle fondamenta la stessa democrazia fondata sul riconoscimento e la composizione dei conflitti fra interessi oggettivamente diversi, senza lasciare però spazio alle distorsioni introdotte dai conflitti di interesse non riconosciuti, occultati, imposti attraverso lobby con iniziative opache, richiede una pronta risposta di movimento fondata su una sempre più consapevole ed ampia partecipazione, documentata ed informata per difendere efficacemente le basi stesse della nostra stessa convivenza civile e coesione sociale.

Abbiamo individuato due temi caratterizzanti tutta la storia di Medicina Democratica fin dalla nascita, sui quali focalizzare il confronto per farne scaturire iniziative di lotta.

A) LA FALLACE CONTRAPPOSIZIONE FRA LAVORO DA UNA PARTE E SICUREZZA, SALUTE, BENESSERE DALL’ALTRA; LA CENTRALITA’ SIA DELLA FABBRICA (LA CONDIZIONE DEI POSTI E LUOGHI DI LAVORO: NOCIVITA’ DELLA PRODUZIONE E DELLA SUA ORGANIZZAZIONE), SIA LA CONDIZIONE ESTERNA (I RISCHI DA INQUINAMENTO E IL “CONTENUTO” DELLE MERCI).

La salvaguardia della salute, fin dagli inizi della rivoluzione industriale inglese di fine ‘700, è stata considerata un aspetto trascurabile, rispetto alla necessità di mantenere il posto di lavoro, sempre e comunque. Il ricatto padronale: o lavoro o salute, con il corollario della monetizzazione del rischio e l’eventuale indennizzo del danno (assicurazione obbligatoria sugli infortuni), ha dominato fino ai giorni nostri.
Solo negli anni 1969-1973 si è imposto, anche a livello sindacale oltre che a livello politico e culturale, il rifiuto di tale monetizzazione e la promozione, a livello contrattuale e legislativo, di una organizzazione del lavoro e della tutela ambientale da cui ogni nocività venisse espulsa. Ma una tale conquista di civiltà si è rivelata non acquisita definitivamente, come ogni “diritto” sottoposto ai cambiamenti storici e sociali ovvero ai rapporti di forza tra le classi. Oggi il problema si ripropone tal quale, ad esempio all’ILVA di Taranto, con la medesima nettezza e spietatezza, amplificata dalla prospettiva “globale” dell’economia come degli effetti ambientali di tali scelte.

Nella pratica, ma purtroppo anche nella teoria (nella coscienza collettiva e nella cultura fino ad arrivare ai giudizi espressi dalla magistratura), la salvaguardia della salute viene legata alle risorse disponibili, facendone così non un diritto ma una fra le tante opzioni fra le quali sono le condizioni del mercato a scegliere, non più la Carta Costituzionale e le leggi cogenti che derivano da questa, a stabilire quale priorità va riconosciuta tra profitto di pochi e salute di tutti.

Nel convegno, a partire da realtà quali l’ILVA di Taranto, così come dalla Caffaro di Brescia, dalla Eternit di Casale Monferrato o dalle tante altre fabbriche dell’amianto e di altri cancerogeni intendiamo ragionare sulle conseguenze per i lavoratori e per le popolazioni circostanti di scelte padronali che taluno definisce irresponsabili ed altri bollano come criminali (crimini di pace). Si potrebbe dibattere su quelle che debbono essere le nuove prospettive e le nuove forme organizzate della mobilitazione e della lotta.

Si tratta di aprire la discussione, e l’iniziativa di base, su quale relazione, in una vera democrazia, fondata sul lavoro e che al lavoro e al lavoratore riconosce la dignità dei diritti universali dell’uomo, debba legare economia, finanza e lavoro, quali produzioni promuovere e quali bandire, come affrontare l’impatto ambientale delle produzioni chimiche, dell’energia, della gestione dei rifiuti urbani ed industriali, della produzione, trasporto e commercializzazione degli alimenti e delle altre merci.

Non ultimo si tratterà di affrontare anche il problema di come funzionano e di che cosa sono diventate le istituzioni dedicate a promuovere e diffondere la prevenzione che sempre più soffrono per la mancanza di risorse e di operatori, mentre altre hanno perso completamente la bussola e hanno subito una distorsione nella loro stessa ragione d’essere. Pensiamo all’INPS e all’INAIL, quest’ultimo ormai un pachiderma burocratico che sta riprendendo via via le competenze che la riforma sanitaria del 1978 aveva invece opportunamente affidato alle USSL nel frattempo diventate “aziende”.

Sicurezza sul e del lavoro, condizione femminile e lavoro, nuove forme di nocività (mobbing) sono altri punti che dovranno essere affrontati per definire iniziative specifiche. Tra gli aspetti che proponiamo al dibattito vi sono i seguenti
1. Lotta a ogni forma di precariato sul lavoro e garanzia della autoorganizzazione in fabbrica da parte dei lavoratori quali condizione preliminare per l’affermazione del diritto alla salute nei luoghi di lavoro (attuazione concreta dell’art. 9 dello Statuto dei lavoratori e delle lavoratrici).
2. Piena competenza dei compiti di vigilanza nei luoghi di lavoro (in tutti i luoghi di lavoro) da parte dei servizi di prevenzione delle USL/ASL con relativo piano di assunzione di un numero di tecnici idoneo per estendere i controlli in tutte le aziende.
3. Responsabilità e autonomia decisionale dei tecnici della prevenzione della ASL/USL nella attuazione dei controlli programmati, in emergenza e su richiesta dei lavoratori e delle loro rappresentanze. Predominanza di interventi mirati e di qualità rispetto a criteri basati esclusivamente sul numero dei controlli.
4. Inasprimento delle sanzioni a carico del datore di lavoro e dei dirigenti dalla normativa cogente per il mancato adempimento degli obblighi relativi a diritto del lavoro e a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.
5. Ripristino del testo originale del D.Lgs. 81/08, eliminando le modifiche peggiorative per la salute e la sicurezza dei lavoratori introdotte dalle successive modifiche (D.Lgs.106/09, Decreto del fare, Decreto semplificazioni, Decreti attuativi del Jobs Act). Contrasto ad ogni ulteriore modifica peggiorativa del D.Lgs. 81/08, come quella prospettata dal Disegno di Legge Sacconi già presentato in Senato che comporterebbe una drastica deresponsabilizzazione del datore di lavoro e la trasformazione della valutazione dei rischi e la definizione conseguente delle misure di prevenzione e protezione in una semplice “certificazione” da parte di un professionista pagato dall’azienda.
6. Sostenere la ripresa della conoscenza e coscienza dei lavoratori con la promozione di sportelli salute e sicurezza autorganizzati e gestiti dalle realtà locali, in una rete di associazioni, anche a sostegno dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, che spesso operano senza validi sostegni formativi.
7. Creazione di una rete di assistenza tecnico/legale per i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza quando, a seguito della loro attività, subiscono discriminazioni da parte delle aziende.
8. Previsione di pool di magistrati che si occupano di salute e sicurezza sul lavoro in ogni Procura, con relativa formazione specifica, creazione di una Procura nazionale per la sicurezza sul lavoro.
9. Ripresa e sviluppo del rapporto tra lavoratori e tecnici sia per quanto riguarda i rischi lavorativi che quelli ambientali, anche al fine della programmazione degli interventi per filiera produttiva o rischio e della formazione e sensibilizzazione dei lavoratori sulla conoscenza dei loro diritti rispetto a salute e sicurezza sul lavoro.
10. Introduzione nel codice penale dei reati di omicidio sul lavoro (revisione dell’apparato sanzionatorio del D.Lgs. 81/08) e di vessazioni sul lavoro (mobbing, discriminazione sul lavoro, violenza e stalking sul lavoro) anche creando osservatori su tali temi e sostenendo quelli già esistenti.
11. Introduzione in maniera esplicita nel D.Lgs 81/08 dell’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e di definire le relative misure di prevenzione e protezione, anche tenendo conto dei dati epidemiologici della coorte di riferimento responsabilizzando i Medici competenti.
12. Passaggio delle competenze sul riconoscimento delle malattie professionali dall’INAIL alle USL/ASL, revisione delle tabelle sulle malattie professionali (introducendo le neoplasie mancanti, patologie come MCS e sindrome da elettrosensibilità, patologie psichiche e psicosomatiche lavoro correlate) e della tabella sulla quantificazione del danno biologico. Contrasto con l’atteggiamento di chiusura di enti (INAIL in primis) che non riconoscono o rendono impervio il riconoscimento di malattie professionali.
13. Promozione della ricerca attiva dei tumori professionali da parte dei servizi di prevenzione delle USL/ASL (utilizzo delle indagini epidemiologiche per ricerche sui comparti a rischio) sull’esempio del modello OCCAM.
14. Piena attuazione ed estensione del regolamento europeo REACH per le sostanze di maggiore pericolosità (cancerogeni, mutageni e teratogeni) per arrivare al divieto di produzione e di introduzione nei paesi aderenti alla Unione Europea.

B) L’USO STRUMENTALE DELLA RETORICA DELLA NON SOSTENIBILITA’ DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE PUBBLICO, UNIVERSALE, EQUO, SOLIDALE, FINANZIATO ATTRAVERSO LA TASSAZIONE PROGRESSIVA, FONDATO SULLA PREVENZIONE E SULLA PARTECIPAZIONE, PER PROMUOVERNE, ANCHE IN MODO SUBDOLO, LA PRIVATIZZAZIONE.

Tale giudizio di insostenibilità viene curiosamente gonfiato, anche attraverso il finanziamento di convegni e della produzione pubblicistica, soprattutto da coloro che hanno tutto da guadagnare nel sostenerlo. I privati che intendono speculare su un bisogno che si dice “non abbia prezzo” che, una volta cancellato come diritto diviene merce alla mercé di speculatori e strozzini vari la cui politica dei prezzi, quella per intendersi delle multinazionali del farmaco, è stata recentemente bollata da un ricercatore non certo “comunista”, fondatore e direttore dell’Istituto Mario Negri, il professor Silvio Garattini, come “crimine contro l’umanità”.

Come una volta ebbe a dire il direttore di una rivista scientifica di fronte a quanti si lamentavano dei costi eccessivi dell’istruzione di massa: “Dite che l’istruzione di massa costa troppo? Provate con l’ignoranza e ve ne accorgerete!”. Lo stesso vale per il SSN: “Dite che non sia economicamente sostenibile? Provate con un sistema privatizzato”. Basta fare i confronti di efficacia e di costo complessivo dei sistemi nazionali pubblici universali e di quelli privati o basati sulle assicurazioni individuali.

L’attacco al SSN non riguarda solo l’Italia, ma anche la Spagna e la Gran Bretagna. In Italia, oggi, la punta di diamante di tale attacco è rappresentata dalla proposta e dalla imposizione, venduta come necessità irrinunciabile, se si vuole difendere la sanità, del ricorso alla sanità integrativa, come innocua scelta a disposizione di chi intende migliorare il proprio status senza nulla togliere agli altri. Come ha anche sostenuto in un recente articolo Chiara Saraceno su La Repubblica del 9 Giugno: “Chi paga un’assicurazione sanitaria integrativa… alla lunga può chiedersi come mai deve finanziare, tramite le tasse, anche la sanità pubblica che non usa” e, più avanti “Con l’istituto dell’attività intra (ed extra) moenia da parte dei medici ospedalieri molto mercato è già entrato nella sanità pubblica… un’ulteriore espansione del privato via assicurazioni rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, non di migliorala”, per concludere, “Occorre invece rafforzare la sanità pubblica, certo rendendola più efficiente ed eliminando sprechi e storture, ma avendo come fine non il contenimento della spesa, bensì il diritto alla salute della cittadinanza, a partire da quelli che hanno meno alternative”.

L’impressione, ripetiamo, è che coloro che si stracciano le vesti per denunciare l’insostenibilità del SSN, sono proprio coloro che dai sistemi assicurativi e integrativi, e dall’acquisto (a prezzi di realizzo?) delle strutture sanitarie esistenti hanno tutto da guadagnare nel trasformare il settore sanitario in una fonte di ancor più grandi profitti (essendo le multinazionali del farmaco già le industrie a maggiori tassi di profitto unitamente a quelle di produzione di armi). A tale proposito si allega anche un articolo recentissimo del Sole 24 Ore sulle assicurazioni, che ribadisce quanto qui sosteniamo.

La pochezza del livello culturale del dibattito sul tema, rispetto a quello che si svolse alla Liberazione dal Nazifascismo, a quello della elaborazione della nostra carta costituzionale, fino a quello che accompagnò la predisposizione della legge di Riforma del 1978, la dominanza assoluta del pensiero unico iper-liberista che non trova oramai contrapposizioni se non dal seggio pontificio (!!!). La frammentazione delle forze sociali e politiche che dovrebbero difendere, attraverso la sanità pubblica, quelli che si definivano un tempo “gli interessi del popolo”, è tale che tutto congiura nel minare alle fondamenta il diritto costituzionale. Nostro intendimento è cercare di operare per la ricostruzione di un fronte comune, che identifichi specifici obiettivi da perseguire a sui quali creare la mobilitazione delle coscienze e della cultura che oggi, in un panorama culturale desolato, manca del tutto. Per questo i punti dai quali proponiamo di partire nel dibattito sono:
1. non è vero che la sanità pubblica è insostenibile: un sistema sanitario nazionale pubblico universale è anzi più efficace e meno costoso, come dimostrano i dati comparativi;
2. le varie forme assicurative (private-private, miste, integrative, mutualistiche, del welfare 2.0) hanno lo scopo di lucrare profitti e di fatto corrodono dall’interno i principi etici su cui il SSN si fonda;
3. l’ideologia della prestazione, ovvero l’idea consumistica e funzionale quindi al mercato, che la buona salute dipenda dal numero delle prestazioni (visite, esami, prescrizioni) è falsa, funzionale solo al sistema medicale-industriale contro il quale si muove il movimento internazionale per la appropriatezza, “lessi s more”, contro “overtreatment” e “overdiagnosis”;
4. la prevenzione che agisce sulle cause della malattia, del disagio e del malessere deve essere parte fondamentale del sistema sanitario e non può essere confusa, né sostituita da pratiche di diagnosi precoce. Valore aggiunto della prevenzione così intesa è la partecipazione ovvero l’adesione convinta, informata e responsabile a buone pratiche sanitarie e di stile di vita, non imposte dalle mode ma convintamente abbracciate dai diretti interessati per convincimento razionale e non per imbonimento pubblicitario o imposizione autoritaria più o meno favorita dal Ministero;
5. non si può sostituire l’operatore sanitario con regole e procedure fisse estranee al contesto lavorativo, ambientale, sociale in cui ogni persona è inserita e non si può quindi prescindere dalla relazione interpersonale nel rapporto operatore-paziente nella quale soltanto può trovare realizzazione la visione olistica della persona come storia individuale, ruolo sociale, nodo di relazioni sostanziali per rendere praticabile ed efficace ogni provvedimento sanitario;
6. a tal proposito non si può tacere che va in direzione esattamente contraria ai principi sovraesposti l’eccesso di medicalizzazione che si è fatta strada negli ultimi anni in particolare, ma non solo (vedi anche la questione “vaccinazioni”), nel settore della Salute Mentale. Qui avanza una notevole regressione alla situazione pre-Basaglia ed è in corso sia nel Servizio Pubblico (ASL) che nelle sedi di formazione universitaria: non solo nei contesti di bisogno di cura davanti a (oggettivi) sintomi di natura psicotica quanto soprattutto per il dilagante ricorso, davanti a segni di vitalità (ad esempio ansia) e di tristezza (ad esempio depressione) letti entrambi come sintomi di patologia, a dosi eccessive di psicofarmaci e a “terapie” che assolutamente non rispettose della dignità dell’essere umano (vedi terapia elettroconvulsivante);
7. le prestazioni non vanno graduate in funzione delle risorse economiche del richiedente, sostenute o meno da una personale assicurazione o mutualità, ma erogate solo in funzione del bisogno, da qui la necessità che il servizio sanitario si regga sulla fiscalità progressiva, senza alcuna apertura ad integrazioni o assicurazioni;
8. devono essere eliminate dal servizio pubblico come elementi di corrosione della sua integrità ed efficienza tutte le forme di esercizio della libera professione intra o extra moenia che siano competitive e quindi negative per il suo funzionamento;
9. gli utenti devono essere informati correttamente, ad esempio il dibattito sulle “code” va subordinato a quello sulla appropriatezza e sulla documentata efficacia degli interventi;
10. va inoltre riconosciuto che il servizio sanitario nazionale è un sistema fondato sul decentramento territoriale per cui i responsabili devono essere conosciuti ed identificabili da parte dei cittadini, messi nella condizione di esercitare azioni di controllo e valutazione partecipate e condivise. Per questo il servizio sanitario nazionale deve andare incontro a una profonda revisione ma finalizzata a riportarlo alle origini ovvero ai principi costituzionali fondanti di cui agli articoli 3, 32, 41 della Costituzione, ripresi ed estesi dagli articoli 1 e 2 della legge di Riforma Sanitaria del 23 dicembre 1978;
11. infine una tale opera di profonda revisione del sistema non può prescindere dalla rimessa in discussione del sistema universitario di ricerca e formazione. Solo operatori ai quali la formazione abbia insegnato quali sono i principi, i metodi e gli strumenti della partecipazione e delle condizioni nelle quali possono essere davvero prese decisioni condivise con il cittadino (prevenzione), con l’utente (programmazione, governo, gestione e valutazione-promozione di qualità), con il paziente (medicina centrata non sulla malattia ma sul paziente) potranno lavorare per una sanità pubblica più efficiente, più efficace, più giusta, equa e solidale.

*presidente medicina democratica