Il professore nelle giunte M5S e di sinistra «Roma e Sesto Fiorentino? Un laboratorio» da: corriere.it

Il docente universitario, vice presidente di Libertà e Giustizia, ha accettato di fare il super consigliere della Raggi e della  giunta di Sesto Fiorentino che la sinistra ha strappato a Renzi. «Romperò i legami commerciali dei Musei Capitolini»

di Marco Gasperetti

Tomaso Montanari (Imagoeconomica) Tomaso Montanari (Imagoeconomica)

Consigliere per la cultura del sindaco cinquestelle Virginia Raggi, consigliere per la cultura della giunta di sinistra (e anti-Renzi) di Sesto Fiorentino, l’antica roccaforte del Pci. Tomaso Montanari, fiorentino, professore all’università Federico II di Napoli, vice presidente di Libertà e Giustizia, non solo sorprende ma apre nuovi scenari politici. Nascerà un laboratorio condiviso tra M5S e l’altra sinistra, quella che si oppone al Pd e al renzismo? «Perché no. I cinquestelle stanno dando segnali interessanti a Livorno, Roma, Torino. – risponde Montanari . Mi ha colpito che un uomo come Fassino abbia parlato d’invidia sociale per giustificare la sua sconfitta. Semmai l’Appendino ha sempre lavorato per includere e non escludere i ceti più poveri. Mi sembra che queste giunte facciano politiche di sinistra. Credo che la vera sinistra e M5S possano essere alleati. A Roma chi ha votato Fassina, al ballottaggio ha scelto Raggi».

Professore, aveva rinunciato all’incarico di assessore nella giunta della Raggi e adesso ha accettato quello di super consigliere. Ci ha ripensato? «Per fare l’assessore a Roma bisogna vivere la città, esserne partecipe, essere romano di vita. Diversa la posizione di consigliere che ho accettato molto volentieri. Non ho mai votato M5S ma credo che Virginia Raggi possa fare un ottimo lavoro e apra spazi di partecipazione e in un momento in cui Il Pd con l’Italicum invita i cittadini a non scegliere e ad allontanarsi dalla politica».

Il suo primo obiettivo romano?
«Rompere i legami commerciali che affliggono i Musei Capitolini, primo museo pubblico della storia, per farlo tornare a una gestione pubblica. Oggi purtroppo è diventato una triste miniera di opere d’arte da dare in prestito».

E a Sesto Fiorentino da dove inizierà?
«Lavorerò per far risorgere il museo Ginori, il più importante museo di porcellane d’Italia. E’ chiuso da due anni e in disfacimento totale. Vorrei che diventasse un luogo di cultura inclusiva, con la partecipazione di sindacati, lavoratori, enti pubblici e naturalmente tanta gente. Con tutti i crismi della ricerca scientifica, ma vissuto dal basso, condiviso. Sesto è un laboratorio della sinistra. Se fallisce salta la sinistra in Italia».

Il potere studentesco rivendicato nel ’68 e la parola d’ordine del PMLI per la scuola e l’università governate dalle studentesse e dagli studenti Documento della Commissione giovani del CC del PMLI

Come sottolinea il nostro Documento per il 50° Anniversario della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria cinese, dal titolo: “Giovani prendete esempio dalle Guardie rosse per cambiare l’Italia”, durante il Sessantotto “la presa di coscienza e la rivendicazione non solo di un cambiamento delle istituzioni universitarie, ma di un radicale stravolgimento e rovesciamento del potere accademico espressione del potere borghese nelle università si tramuta nella parola d’ordine del ‘Potere studentesco’”.
La parola d’ordine del potere studentesco fu una rivendicazione rivoluzionaria frutto di un’accurata elaborazione politica che nacque dalla grande ondata rivoluzionaria che dal 1968 al 1977 scosse l’Italia e il mondo. In quegli anni il vento rosso che soffiava dalla Cina socialista guidata da Mao, portò in Italia le masse operaie e studentesche a mettere in discussione tutti gli aspetti della società borghese, in particolare le masse studentesche aprirono gli occhi sulla natura di classe degli organi di potere all’interno delle scuole e delle università (parlamentini, rettorato, corpo docente, ecc.) arrivando ad elaborare la necessità che non bastava battersi per una maggiore democrazia negli istituti ma che occorreva battersi per conquistare un reale ed effettivo potere, da qui nasce la parola d’ordine del potere studentesco.
Il potere studentesco
Questo concetto di potere emerge in totale contrapposizione alla rivendicazione riformista della democratizzazione della scuola portata avanti per tutti gli anni ’50 e ’60 dalle organizzazioni studentesche. Con il potere studentesco nasceva e si sviluppavano una serie di rivendicazioni che non solo mettevano in discussione gli organi di potere negli istituti ma tutto il sistema formativo scolastico, dai metodi d’insegnamento, ai contenuti stessi dell’insegnamento saturi dell’ideologia borghese, al sistema di valutazione degli studenti, ecc. Le università di Trento, Pisa, Milano, Firenze, Torino, Roma e Napoli furono i principali laboratori del potere studentesco, qui presero vita per la prima volta i contro corsi e le contro lezioni, il boicottaggio e la critica ai metodi nozionistici e alla cultura borghese, la lotta contro la totale mancanza di spazi democratici e di potere decisionale degli studenti all’interno degli istituti.
Nella lotta per il potere le masse studentesche svilupparono nuove rivendicazioni e metodi di lotta, le occupazioni delle università diventarono virali in tutto il paese e affianco ad esse si svilupparono nuove forme di democrazia diretta. In particolare l’assemblea generale divenne la nuova forma organizzativa con cui le masse studentesche vollero imporre il proprio contro potere nei confronti degli organi collegiali dominanti e del rettorato. Le assemblee generali studentesche alle quali vennero fatti partecipare in maniera paritaria anche quegli insegnanti che ne riconoscevano il potere decisionale divennero il cuore pulsante delle lotte facoltà per facoltà. Qui le masse studentesche organizzarono la propria lotta, portarono avanti le proprie rivendicazioni, fecero pressioni sugli organi di potere universitari della classe dominante affinché le decisioni prese da quest’ultimi non potessero entrare in vigore senza l’approvazione vincolante da parte dell’assemblea.
All’interno delle assemblee nacquero e si svilupparono diversi e nuovi metodi di riorganizzazione dell’università, “l’uso parziale alternativo” inteso come qualificazione politica di massa col tentativo di incidere sui contenuti dello studio rivoluzionando le tematiche trattate e “sottomettendole” alle esigenze e agli interessi delle masse studentesche, l“Università critica” nella quale si svilupparono nuove forme di approccio all’insegnamento universitario con la messa in discussione dei contenuti e dei modi d’insegnamento nozionistici dei professori, le contro-lezioni e i contro-corsi in contrapposizione ai corsi e alle elezioni pianificate dal corpo docenti, la “contestazione dei metodi didattici” che prevedeva fra l’altro l’idea di bloccare materialmente l’inizio dei corsi di studio, la valutazione dello studente non più nelle mani del professore, ma espressa come valutazione collettiva tra insegnante, masse studentesche e studente interessato.
In questo contesto prese piede un’altra importante e significativa parola d’ordine, quella della “scuola al servizio delle masse popolari” che ricomprendeva sinteticamente diversi aspetti della piattaforma del movimento studentesco. Da un lato essa indicava un obbiettivo che poteva realizzarsi solo concretamente nel socialismo e che dunque il socialismo era la prospettiva per cui dovevano lottare gli studenti, dall’altro indicava che in funzione di tale lotta, la scuola già nel capitalismo poteva essere in parte utilizzata e trasformata secondo gli interessi delle masse popolari.
Un esempio significativo dello sviluppo del potere studentesco lo si può riscontrare nei punti programmatici elaborati e votati a larga maggioranza dall’assemblea generale dalla facoltà di architettura di Firenze nel febbraio del 1968 che qui riportiamo:
Il potere nella facoltà è esercitato dall’assemblea generale. Fanno parte dell’assemblea generale coloro che ne riconoscono pubblicamente il principio del potere. Tale riconoscimento costituisce un impegno critico che richiama tutti alla partecipazione attiva nella evoluzione della facoltà, in modo da creare una struttura di rapporti fra le componenti capace di portare un reale contributo al potenziamento della facoltà stessa.
I singoli membri del corpo insegnante partecipano all’assemblea generale con gli stessi diritti dei singoli studenti.
L’assemblea generale prende la forza giuridica attraverso l’obbligo che i professori componenti il Consiglio di facoltà si assumono, nel momento stesso in cui riconoscono pubblicamente il principio di potere dell’assemblea, di controfirmare a fini burocratici, le deliberazioni prese dall’assemblea stessa.
E’ ovvio potere dell’assemblea generale di nominare, quando ne nasca la necessità, dei comitati non decisionali, temporanei e con mandato esecutivo, composti se necessario da membri di tutte le componenti.
L’assemblea generale definisce le modalità dell’esercizio del proprio potere. L’assemblea generale, contestando il potere al consiglio di facoltà, ai direttori di istituto e ai titolari di cattedra, assume direttamente (e se ne vedranno i termini operativi): a ) la gestione amministrativa dei finanziamenti; b ) il controllo della didattica e la sua programmazione; c ) il controllo della ricerca e della sua programmazione.
In merito alla gestione amministrativa dei finanziamenti, l’assemblea generale dovrà decidere riguardo la pubblicazione dei bilanci dell’anno accademico 1966-1967 ed ai fondi a disposizione per l’anno in corso. Un’apposita assemblea generale dovrà discutere e decidere, sulla base delle richieste manifestate delle assemblee di settore tramite una loro apposita rappresentanza, della distribuzione dei fondi a disposizione.
In merito al controllo e alla programmazione della ricerca, l’assemblea generale controlla, ratifica e programma i temi e gli strumenti della ricerca stessa, stabilendo inoltre i settori nel cui ambito essa deve svolgersi.
La ricerca dovrà acquisire i propri strumenti dalla didattica. Essa, oltre che a a raggiungere lo scopo che si prefigge, fa confluire nella didattica l’accrescimento di patrimonio culturale che da essa scaturisce.
La ricerca si realizza all’interno dei settori attraverso gruppi di ricerca o seminari, che costituiscono l’unità minima della struttura universitaria. All’interno dei settori di ricerca, programmati dall’assemblea generale, si costituisce l’assemblea di settore, che convoglia i vari seminari, con il compito di specificare le direttive dell’assemblea generale e di controllare il lavoro dei seminari stessi.
L’assemblea generale dovrà decidere in merito alla costituzione di una segreteria e centro stampa con il compito di verbalizzare e pubblicare quanto scaturito all’interno dei vari organismi della nuova struttura. Fanno parte di tale organo membri appartenenti alle varie componenti sottoposti al controllo dell’assemblea generale. Questa formulazione del potere è di carattere sperimentale e quindi si verificherà nella pratica dell’anno accademico. La mozione viene inviata al corpo docente e al rettore. (Documenti della rivolta universitaria – pg.362- edizioni Laterza )
Questi sono in sintesi i vari punti programmatici, le varie proposte e tentativi che le masse studentesche elaborarono e sperimentarono all’interno delle loro facoltà per la creazione, il rafforzamento e il radicamento del potere studentesco.
Un bilancio del potere studentesco
Ovviamente dell’esperienza studentesca del Sessantotto bisogna saperne anche leggere e criticare gli errori, inevitabili essendo una novità sperimentale per le masse studentesche italiane, a causa dell’influenza del revisionismo, dell’“ultrasinistrismo” e del trotzkismo mascherati dietro forme “rivoluzionarie” e “marxiste-leniniste”. Questi errori però portarono purtroppo nel tempo al declino del potere studentesco e di tutto il movimento. Due di questi questi errori furono: quello di non portare fino in fondo la lotta contro il leaderismo e il verticismo che al di là dei poteri decisionali conquistati dalle assemblee generali rimanevano ancora forti nel movimento studentesco portando al frazionismo il movimento stesso a causa del tradimento dei suoi leader marxisti-leninisti a parole, “ultrasinistri” e trotzkisti nella sostanza; quello della contestuale chiusura in se stesso del movimento studentesco e delle stesse assemblee generali che col passare del tempo divennero sempre meno generali e più improntate alle lotte di potere tra i vari leader del movimento studentesco.
In ogni caso l’adozione della parola d’ordine del potere studentesco rivelava un’importante presa di coscienza da parte delle studentesse e degli studenti di allora, i quali avevano capito che per cambiare veramente l’università era necessario conquistarne il governo. Avevano anche capito che ciò non era possibile tramite gli “organi collegiali” controllati dal ministero e quindi dal governo. Questa importante esperienza è tuttora valida e ha tanto da dire al movimento studentesco di oggi riguardo gli “organi collegiali” nelle scuole, negli atenei e a livello nazionale come il CNSU, che in realtà imbrigliano il movimento nelle rigide regole del gioco imposte dal governo ed evitano che decida da sé gli spazi e i metodi delle sue lotte.
La rivendicazione del PMLI per la scuola e l’università governate dalle studentesse e dagli studenti
Imparando da quella grande mobilitazione rivoluzionaria e dai suoi errori il PMLI ha saputo trarre molte importanti lezioni, le giuste conclusioni ed elaborare oggi il suo Programma d’azione sul fronte scolastico e universitario, racchiuso nella parola d’ordine, “Scuola e università pubbliche, gratuite e governate dalle studentesse e dagli studenti”. Proponiamo cioè di sostituire gli organi attualmente vigenti con nuovi organi con potere vincolante in cui gli studenti abbiano la maggioranza e gli insegnanti e il personale Ata siano presenti come minoranze. Tutti i membri vanno eletti democraticamente dalle rispettive assemblee generali, che possono revocarli in qualsiasi momento. È chiaro quindi che la nostra rivendicazione rappresenta uno sviluppo ulteriore del potere studentesco, perché non si limita ad essere un contropotere ma punta a un vero e proprio stravolgimento delle autorità accademiche.
È chiaramente obiettivo strategico che richiede un’ulteriore presa di coscienza e l’inasprimento della lotta, intanto però si potrebbero creare le assemblee generali fondate sulla democrazia diretta dove discutere ed elaborare gli indirizzi politici, programmatici e organizzativi, i metodi e le iniziative di lotta del movimento; e per spezzare le gambe a tendenze nocive come l’opportunismo, il carrierismo, il frazionismo, perché eviterebbe la delega in bianco e garantirebbe la revocabilità dei dirigenti eletti democraticamente, favorendo il protagonismo delle masse studentesche tanto nelle lotte quanto nell’elaborazione. Le assemblee generali inoltre potrebbero dare vita al governo alternativo delle scuole e delle università che faccia da contraltare alle autorità accademiche vigenti e avanzi le rivendicazioni degli studenti.
Tale rivendicazione è oggi tanto più urgente visto che gli “organi collegiali” non rispondono alle necessità degli studenti, non fanno nulla per avanzare le loro rivendicazioni fondamentali e anzi svolgono il ruolo degli esecutori della politica del governo, addirittura reprimendo gli studenti com’è avvenuto a Bologna di recente con la sospensione dei contestatori del professore guerrafondaio Angelo Panebianco. La storia del “potere studentesco” del resto dimostra che c’è stata una fase importante e vincente in cui vasti settori studenteschi avevano messo in discussione l’intero assetto di potere nell’università. Oggi i padroni e il nuovo duce Renzi vogliono ridisegnare gli “organi collegiali” per allargare ulteriormente il potere delle autorità e dei privati, vedi quanto previsto dalla “Buona scuola”, le studentesse e gli studenti hanno dunque tutte le ragioni per opporsi e per lottare fino alla conquista di quel potere che gli spetta di diritto.
La Commissione giovani del Comitato centrale del PMLI
Firenze, 18 giugno 2016
22 giugno 2016

Vittoria Giunti, la storia della prima sindaca in Sicilia «Guidò le donne nei cortei contro gabelloti mafiosi» da: meridionews.it

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ANDREA GENTILE 23 GIUGNO 2016

COSTUME E SOCIETÀ – Di origini toscane, nel 1956 diventa prima cittadina di Santa Elisabetta, in provincia di Agrigento. Combattente per natura, introduce il bilancio partecipativo. Il suo impegno la accompagna fino alla morte. A ripercorrerne le tappe della vita è il giornalista Gaetano Alessi, autore di una sua biografia

Quella di Vittoria Giunti è una storia d’altri tempi, lontana dalla politica e dalle polemiche attuali. Mentre parte del Paese si interroga se chiamare sindaco o sindaca Chiara Appendino e Virginia Raggi, prime cittadine donne di Torino e Roma, Vittoria Giunti si farebbe, sulla questione, una sonora risata. Esempio di militanza, resistenza, buona politica era «perché rappresentava tutti», racconta il giornalista Gaetano Alessi, autore di una sua biografia.

Vittoria Giunti diventa prima cittadina di Santa Elisabetta, in provincia di Agrigento, nel 1956. Due anni dopo che il borgo viene dichiarato Comune. È stata la prima donna a guidare un paese in Sicilia, la terza in tutta Italia. Nelll’anno in cui, per la prima volta, le donne di Sant’Elisabetta hanno potuto votare.

Anni di aspre lotte contadine, per la liberazione e la distribuzione delle terre, in cui perdono la vita sindacalisti e braccianti. Con i la povertà si faceva sentire e il giogo mafioso pure. Le lotte si registrano anche nei feudi dell’entroterra agrigentino: «Vittoria Giunti guidò le donne che aprivano i cortei, affinché i gabelloti mafiosi non potessero usare violenza nella vera guerra civile siciliana, in cui si contarono più di duemila morti – spiega Alessi -. Fece una lotta casa per casa, nelle strade, nei luoghi d’incontro della comunità».

A Santa Elisabetta, sotto la guida di Vittoria Giunti, prende vita una vera democrazia popolare, con l’adozione del bilancio partecipativo che permette «ai cittadini di controllare direttamente le opere», spiega Alessi. Che sottolinea come con lei «alla mafia vennero a mancare i bisogni del popolo, usati da essa come forma di schiavitù». La prima cittadina è stata una combattente, e in tal senso la rivendicazione contadina rappresenta solo una delle lotte che l’hanno vista protagonista.

Giunti nasce nel 1917, in una facoltosa famiglia borghese toscana. Durante la Resistenza conosce Salvatore Di Benedetto, anch’egli militante comunista, poi sindaco di Raffadali per quasi trent’anni. Nel 1945, Di Benedetto rimane ferito da un’esplosione e sfigurato. Ricoverato in ospedale, all’infermiera dà un biglietto con scritto solo Vittoria Giunti, che viene poco dopo inviata dai vertici del Partito Comunista per proteggerlo. In quel periodo di sofferenza nasce il legame che lì accompagnerà per la vita. Seguendo il marito, infatti, Giunti matura l’idea di vivere in Sicilia. «Ricca com’era, avrebbe avuto tutto l’interesse ad abbracciare il fascismo. E invece lottò, e preferì venire in Sicilia a odorare la puzza delle case contadine», continua Alessi.

A Firenze era stata assistente di matematica all’Università. «Una mente altissima», sottolinea il giornalista. Con frequentazioni tra le più brillanti del periodo, come il circolo dei ragazzi di via Panisperna. «Avrebbe voluto ritornare ad insegnare, ma capì le condizioni della Sicilia», spiega Alessi. Rimanere nell’isola diventa così una scelta d’amore e di lotta, «figlia di una consapevole rinuncia a tutto».

Conclusa l’esperienza da sindaco, Giunta sparisce dalla scena pubblica: «Ripeteva sempre che in prima fila si stava per le botte, e che la cosa più grande della sua vita era stata servire in una comunità tra pari», commenta Alessi, che l’ha conosciuta direttamente raccogliendone la testimonianza. «Non la conoscevamo, si era quasi fatta dimenticare. Avevamo 17 anni, quando la incontrammo per la prima volta», ricorda. L’ultima stagione di lotta, tuttavia, doveva ancora venire. «Ci chiamò quando Cuffaro (originario di Raffadali, ndrdivenne presidente della Regione. Ci offrì la sua intervista, fondammo il giornale per resistere al potere mafioso». Anche quelli anni difficili, in cui AdEst, rivista locale d’inchiesta, prova a raccontare le malefatte della politica, in un’area che diventa base del dominio e del consenso elettorale dei cuffariani. «Fu lei ad incentivarci – commenta ancora Alessi -. Anche quando rasero al suolo due volte la sede, lei aprì casa sua, dove ci riunivamo».

Un impegno che non si è fermato neanche in punto di morte. «Il 27 maggio 2006, quando Rita Borsellino venne sconfitta alle elezioni regionali, eravamo demotivati. Lei era a letto, vicina a spegnersi. Ci convocò e ci disse: resisto io, voi dovete farlo anche», ricorda commosso il giornalista. L’esperienza di AdEstcontinua anche dopo la morte di Vittoria Giunti, avvenuta il 2 giugno. «Siamo andati avanti fino alla condanna definitiva di Cuffaro, abbiamo resistito solo perché abbiamo avuto Vittoria».

Giulietto Chiesa, il TTIP e le lobby che comandano l’Unione Europea.