La petizione per chiedere un secondo referendum sulla Brexit supera il milione di firme da. huffngtonpost.it

Pubblicato: 24/06/2016 17:03 CEST Aggiornato: 25/06/2016 12:17 CEST
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Una petizione per chiedere un secondo referendum. Questa la risposta degli europeisti britannici alla Brexit. Quel 48% di elettori che ieri ha votato per il “remain” non ci sta e a poche ore dall’esito del voto si è subito attivata per chiede una replica.

Amareggiati, delusi, increduli ma non ancora del tutto sconfitti. La petizione, sul sito parliament.uk, chiede modifiche al processo referendario e potrebbe trasformarsi in un secondo referendum sull’adesione del Regno Unito all’Unione europea.
È stata già superata la soglia delle 100 mila firme necessarie per avviare un dibattito in Parlamento, come è avvenuto in precedenza per la cannabis. La petizione infatti superato il milione di firme e c’è attesa per la risposta dal Ministero degli Interni. Sul sito dell’iniziativa il sito continua a essere di difficile accesso, probabilmente a causa dell’elevato numero di accessi di queste ore. Le firme crescono di minuto in minuto e il conteggio sta aumentando vertiginosamente. I promotori della campagna ‘Remain’ hanno raccolto in poche ore oltre 160mila firme, e il sito ufficiale dedicato alle petizioni è andato in tilt.

I firmatari della petizione, come si legge sul sito, chiedono al governo di “varare una regola in base alla quale se il voto per il Remain o il Leave è inferiore al 60% e la partecipazione inferiore al 75%, un nuovo referendum deve essere indetto”. Come prevedono le regole in vigore, il Parlamento dibatterà la questione e il governo risponderà agli organizzatori della petizione. Al voto sulla Brexit, il 23 giugno, hanno partecipato infatti il 72% degli elettori e il “leave” ha vinto per un soffio: il fronte anti-europeo ha conquistato il 51,9% dei voti mentre il “remain” ha ottenuto il 48,1%.

Si legge sul sito de La Stampa

Secondo David Alan Green, blogger e opinionista del Financial Times e del New Statesman, l’unica possibilità per fermare le procedure di attivazione della clausola dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona (che prevede l’uscita dall’Unione Europea) è la possibilità di fare un nuovo referendum. Una prospettiva che potrebbe diventare realtà entro il 2018, anno in cui la Brexit avrà i suoi effetti. Ma secondo l’Indipendent, il Parlamento e il governo rifiuteranno la proposta. «Ripetere un referendum non è il genere di cose che vengono prese in considerazione», scrivono in un articolo online.

Dopo la vittoria del no all’Europa, questa mattina David Cameron, che in questi mesi ha appoggiato la campagna del “remain”, ha annunciato le sue dimissioni da premier britannico. “Io farò il possibile, come primo ministro, per pilotare la nave nei prossimi settimane e mesi. Ma non penso che sia giusto per me cercare di essere il capitano che guida il nostro paese verso la sua prossima destinazione”, ha detto Cameron con voce rotta.

Assemblea al Nazareno di Sinistra riformista aperta da Roberto Speranza. “Basta calci ai sindacati e ‘ciaone'”. Cuperlo: “Io non chiedo le dimissioni di Orfini” da: larepubblica.it

Pd, la minoranza a Renzi: “Stop a voti di fiducia e a doppio incarico”
Pd, la minoranza a Renzi: “Stop a voti di fiducia e a doppio incarico”
Roberto Speranza all’assemblea di Sinistra riformista al Nazareno (ansa)
“C’è stata sconfitta molto dura, personalmente non ricordo una sconfitta amministrativa così pesante e non si può minimizzare ma non vogliamo fare il processo a nessuno, non avrebbe alcun senso, non voglio parlare di Renzi o di altri ma fare una discussione matura, non di parte, sul futuro dell’Italia”. Lo ha detto Roberto Speranza aprendo con una sua relazione l’assemblea al Nazareno di Sinistra riformista, area della minoranza Pd.

“Chiediamo un cambio profondo, oggi diciamo basta: non siamo più disponibili. Sulle questioni sociali bisogna invertire la rotta e non c’è più voto di fiducia che tenga. Non siamo più disponibili a sostenere provvedimenti che aggravano le fratture sociali”, ha aqgiunto Speranza. “In questi mesi – ha osservato – abbiamo spesso votato cose che non ci convincevano. Ad esempio per togliere la tassa sulla casa in maniera indistinta, anche ai miliardari”.

Il parlamentare Pd nella sua relazione ha elencato quali a suo dire sono gli errori commessi dal partito, a cominciare dall’atteggiamento sui sindacati, “uno sbaglio gravissimo che stiamo pagando a caro prezzo”. Focus poi sulle conseguenze del “combinato disposto tra riforma e Italicum” e sulla necessità di non trasformare l’appuntamento sul referendum “in uno scontro di civiltà tra bene e male, di questo non abbiamo bisogno”. “Solo un centrosinistra allargato e unito vince. Queste elezioni hanno rappresentato il funerale del Partito della Nazione”, ha poi sottolineato Speranza ribadendo che la minoranza dem non è interessata a poltrone.

“La svolta che chiediamo oggi è una svolta nell’azione di governo. Non sto parlando di ministeri e poltrone né tantomeno di posti in segreteria, quelli li avevamo, anche importanti e vi abbiamo rinunciato per difendere le nostre idee – ha scandito – Sto parlando delle linea politica di fondo se vogliamo evitare che l’Italia superi le gravissime fratture sociali che la caratterizzano. Non siamo più disponibili: si deve invertire la rotta e sulle questioni sociali non c’è voto di fiducia che tenga”.

“Queste elezioni hanno rappresentato il funerale del partito della nazione, che è stato tentato follemente in comuni importanti. Che angoscia e che rabbia vederci alleati a Napoli con chi tutti i giorni insultava Saviano. Abbiamo visto i risultati e visto che solo il centrosinistra largo, aperto e che non si chiude riesce a vincere. Basta con alleanze improprie e con tentativi di sfondamento a destra: il Pd torni con coraggio a fare il cardine di un nuovo centrosinistra aperto al civismo”, ha detto Speranza nel corso del suo intervento.

“Governare è sì decidere, ma è anche ascoltare. Si può governare unendo il Paese, invece che dividendolo. E’ più faticoso ma si ottengono risultati migliori”. E’ l’invito che Roberto Speranza ha rivolto al premier Matteo Renzi. “Basta cogliere ogni occasione per dare calci ai sindacati: è un errore gravissimo che stiamo già pagando a caro prezzo. Speriamo che il tavolo sulle pensioni rappresenti un’inversione vera di tendenza”, ha aggiunto. “Mai più l’intollerabile arroganza del ‘ciaone'”, ha poi aggiunto riferendosi al tweet dello scorso 17 aprile di Ernesto Carbone, membro della segreteria del partito, per salutare ironicamente l’allontanamento del raggiungimento del quorum sul referendum trivelle.

Speranza ha anche ribadito la sua contrarietà al doppio incarico: “Non serve un partito megafono di Palazzo Chigi. Non fa bene neanche a Palazzo Chigi. Non basta un modello in cui c’è un leader carismatico che va in tv e tanti comitati elettorali più o meno efficaci sul territorio. Non funziona il doppio incarico. Non ha funzionato la logica dei commissariamenti senza limite. Sono posizioni note”.

“Oggi più che mai c’è bisogno di ritrovare luoghi e spazi di confronto interno. Soprattutto a livello locale, dopo le tante brutte sconfitte. E poi a livello nazionale dove la discussione principe non potrà comunque che essere quella del congresso su cui chiediamo chiarezza di percorso e non mezze parole e poi mezze retromarce”, ha aggiunto.

“Io sono qui per ascoltare. È una riunione convocata da Roberto Speranza. Quello che ho da dire lo dico domani in direzione dopo aver ascoltato Renzi, per una questione di cortesia nei confronti del segretario”, ha detto Gianni Cuperlo arrivando alla riunione di Sinistra riformista. “Io non chiedo le dimissioni di Orfini”, ha aggiunto Cuperlo in merito alla richiesta di dimissioni di Matteo Orfini da commissario del Pd a Roma, chieste dal ministro Marianna Madia. “Di fronte al risultato delle elezioni romane dobbiamo fare una riflessione
molto seria e di questa riflessione il commissario deve essere parte attiva”, ha concluso.

“Le dimissioni non si chiedono ma eventualmente si devono dare per senso di responsabilità”, ha chiosato il senatore della minoranza Pd Miguel Gotor.

Sanità tre medici arrestati a Messina da: newsicilia.it

MESSINA – Certificavano tumori per giustificare interventi di chirurgia estetica e ne intascavano i proventi. Ma sono stati arrestati dalla polizia, che ha eseguito un’ordinanza di applicazione di misura cautelare degli arresti domiciliari, emessa dal Gip di Messina Tiziana Leanza, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Antonella Fradà.

I tre: Letterio Calbo, 67 anni, ex direttore del reparto di endocrinologia del Policlinico; Massimo Marullo, 59 anni, vicedirettore del medesimo reparto e Enrico Calbo 39 anni, specializzando, sono ritenuti responsabili, in concorso tra loro, dei reati di falso materiale e falso ideologico, peculato e truffa aggravata, consumati nell’esercizio delle loro funzioni di dirigenti medici dell’Aou di Messina, tra il 2011 e il 2013.

Secondo quanto scoperto, gli investigatori hanno appurato la natura fraudolenta delle condotte poste in essere dai tre medici, non solo nei casi evidenziati, bensì per tutta una serie di interventi chirurgici praticati presso l’Usod di endocrinochirurgia Policlinico, addirittura a partire dal 2011.

Secondo gli inquirenti la condotta materiale consisteva nel dissimulare degli interventi di chirurgia estetica additiva (mastoplastica), certificando l’esistenza di patologie oncologiche, di origine traumatica e/o malformativa; in alcuni casi si era poi reso necessario un secondo intervento per la sostituzione delle protesi difettose, in precedenza impiantate.

La piena riuscita del programma ‘criminoso’, tradottosi poi, come è stato accertato, in un consolidato modus operandi, implicava la sistematica alterazione della documentazione clinica il direttore del reparto di endocrinochirurgia, con l’effetto di trarre in inganno sia le pazienti, sia l’Aou, sia il servizio sanitario regionale.

Le indagini hanno evidenziato che alle pazienti veniva richiesto il pagamento delle protesi impiantate, per importi di qualche migliaio di euro, di cui i medici si appropriavano, omettendo di dichiarare all’azienda sanitaria sia l’indebito compenso ricevuto, sia l’impiego di una diversa tipologia di protesi, rispetto a quelle in uso alla farmacia del Policlinico, in palese violazione del protocollo sanitario: ciò era possibile grazie all’apposizione sulle cartelle cliniche di etichette non corrispondenti a quelle delle protesi impiantate.

Ma, ovviamente, il danno economico arrecato all’azienda, non si limitava al mancato versamento delle somme corrisposte dalle pazienti, essendo aggravato dalla regolare utilizzazione di sale operatorie e apparati della struttura pubblica. Ad un secondo livello si verificava la truffa in danno del SSR, cui venivano segnalati falsamente come rientranti nella casistica dei LEA (livelli essenziali di assistenza) interventi non coperti in tutto o in parte dal Servizio sanitario Regionale, per i quali non era quindi dovuto il rimborso

Redazione NewSicilia

Gli occhi miopi sul referendum UE da: resistenze.org

Enzo Pellegrin

20/06/2016

Chi attrae i fili della politica italiana è capace di tenere i propri satelliti molto vicini al centro.

Lo dimostra – come sempre – l’attenzione grandissima conferita ai cambi di cavallo nelle battaglie elettorali comunali, mentre sullo sfondo galleggiava una nuova problematica consultazione referendaria, quella che metteva in discussione nel Regno Unito l’Unione Europea.

Le tematiche circolate mediaticamente su quest’ultimo argomento vertevano intorno a due poli. Da un lato le paure agitate anche nel nostro paese sull’inopinata uscita della Gran Bretagna, non mancando di asserire – come solito – la mancanza di conseguenze sulla nostra economia… Dall’altro la sapiente grossolana descrizione dei sostenitori della Brexit come arroccati intorno ad un blocco sciovinista e populista dominato dalla paura dell’immigrazione, col condimento del tempestivo fatto di sangue ai danni della deputata Jo Cox.

Sono lontani anni luce dal ragionare se il prossimo referendum coinvolga o meno uno dei pilastri principali del nostro sistema economico con le sue responsabilità.

Se in Italia esiste un pur splapito fronte di riflessione e resistenza nei confronti del ruolo economico ed antipopolare di queste istituzioni internazionali, questo è sapientemente deviato, evitato, silenziato, mescolato con la parziale questione dell’uscita dall’Euro, sapientemente aggirato anche dalle nascenti forze di opposizione.

Proprio Luigi Di Maio, all’alba dei successi comunali del M5S di Roma e Torino, ribadiva il corso capital-friendly del nuovo cavallo, dichiarando, in un post sul social network Facebook: “adesso tutti vorranno capire cosa siamo, chi compone questa splendida comunità e i cambiamenti che vorremo realizzare. …. Mi rivolgo alle ambasciate e ai capi di Stato dei Paesi di tutto il mondo, ai giornali stranieri, ai rappresentanti della finanza e dell’economia mondiale: non affidatevi ai giudizi dei nostri oppositori o ai soliti titoloni strumentali, venite a conoscerci di persona, saremo lieti di raccontarvi questa splendida realtà che da oggi governa Roma e Torino“.(1)

Non c’è dubbio che quanto però succede a Roma e Torino dipenda quasi interamente da quanto decide e come decide Bruxelles.

Molta intellighenzia che muove il fronte referendario del NO di ottobre, mentre spreme ogni goccia di sudore nel denunciare l’attacco alla democrazia della riforma renziana, non pare rendersi conto che giovedì sarà tratto sul banco degli imputati l’agglomerato decisionale più potente. Un solido comitato di affari che la democrazia non l’ha mai vista né mai l’ha voluta scorgere da lontano, neppure nella forma addomesticata alla maggioranza prevista nelle modifiche alla Costituzione, un meccanismo “ultrarenziano” i cui processi decisionali più importanti sono affidati ad organismi non elettivi come la Commissione Europea e la BCE.

Porre l’accento su questi temi suscita – nel panorama italiano – uno scetticismo pari a quello che incontravano i navigatori che progettavano di superare le colonne d’Ercole.

Le questioni che ruotano attorno all’uscita di uno Stato membro dall’UE non sono infatti confinati all’abbandono della politica di immigrazione, ovvero al “recupero dell’indipendenza”, od alla propria moneta (la Gran Bretagna non era nemmeno nell’Euro).

Alla base del malcontento popolare nei confronti dell’UE sta la semplice considerazione che l’UE è il principale attore, incontestabile ed impermeabile, delle politiche antipopolari.

A fianco di ciò, si agita ormai inevitabilmente la “delusione europea”. L’Unione ha coperto i suoi veri scopi con una congerie di diritti e concetti bandiera: la libertà dei viaggi, il multiculturalismo, lo studio all’estero, la facilità degli acquisti, la sprovincializzazione. Oggi questi benefici si scoprono inutili e non fruibili da grandi masse popolari. Queste ultime non solo non hanno mai visto nell’UE la soddisfazione dei propri bisogni (e non avrebbero mai potuto vederla) ma vengono precipitate in condizioni di povertà proprio dalle politiche autoritarie dell’Unione.

I disoccupati nell’UE ammontano ad oltre 22 milioni, la disoccupazione giovanile è maggiore del 20%, ma la soglia di individui che rischia di precipitare sotto la soglia di povertà è del 25%: un quarto della popolazione del territorio più avanzato del mondo è povera. (2) In essa sono compresi non solo coloro che non dispongono fonti di sussistenza, ma anche i cosiddetti “poveri da reddito”, coloro che mettono al servizio del capitale la propria forza lavoro ma non ne ricavano un reddito sufficiente per il proprio mantenimento. L’UE, per citare un esempio, è il luogo del mondo in cui il cibo costa di più. (3)

Questo è il risultato statistico dell’UE: il suo “come”.
E’ della massima importanza comprendere “perchè” ciò avviene.
Attorno a questa domanda ruotano importanti questioni che la politica e i media mainstream lasciano covare sotto la cenere, cercando di spegnerle.

1. L’UE non è nata per i bisogni dell’uomo, non agisce per i bisogni dell’uomo

Fin dal 1957 il Trattato di Roma strutturava un “mercato comune”, un luogo istituzionale per consentire via via nei suoi successivi sviluppi la libera e più profittevole circolazione dei fattori produttivi: merci, servizi, capitali e persone, intese come forza-lavoro, ovvero come “consumatori”.

I successivi sviluppi istituzionali non prevedevano una federazione politica di popoli, ma una successiva integrazione di processi decisionali che venivano “sottratti” ai popoli. Il Parlamento Europeo  (unico organo elettivo) non ha mai avuto ruolo influente sui processi di decisione, i quali sono concentrati su organi non elettivi (la Commissione Europea) ovvero su organi del tutto indipendenti e a struttura addirittura privata (la BCE).

Il contenuto dell’apparato normativo è stato volto via via a soddisfare i bisogni fondamentali delle concentrazioni monopolistiche, a seconda dello stadio in cui essi si manifestavano.

Quando la crisi di sovrapproduzione ha determinato l’impiego di capitali all’interno di pratiche finanziarie rischiose oppure di rigonfiamento del debito, gli squilibri che ne sono derivati hanno portato gli organismi decisionali dell’UE all’adozione della politiche di austerità, le quali non sono altro che il mezzo per limitare i danni della crisi al capitale attingendo alla ricchezza prodotta dalla società.

Esse hanno:

– disposto il riequilibrio a spese della collettività, mediante fondi raccolti dagli stati, degli istituti finanziari vacillanti; nello stesso tempo la procedura di riequilibrio faceva in modo che la ricchezza venisse via via concentrata nelle banche più forti, le quali gestiscono di solito il fallimento delle più deboli;

– imposto il controllo del debito sovrano, ma anche dei debiti delle imprese e delle persone fisiche, sorvegliandone la soddisfazione soprattutto nell’interesse dei monopoli finanziari che li possiedono.

Per far ciò hanno imposto ricette di controllo delle economie nazionali che in varia misura ed in vari modi esautorano ogni autonomia governativa sia attraverso le direttive sugli istituti bancari, sia attraverso le “lettere” ed i “memorandum” imposti ai vari governi, sia attraverso l’istituzione di modifiche costituzionali e trattati di stabilità finanziaria (dal fiscal compact alla nostrana modifica dell’art. 81 della Costituzione, per giungere alla strategia “Europa 2020” che prevede una governance economica rafforzata e sempre più limiti alla sovranità economica degli stati) che impediscano la messa in discussione degli interessi degli investitori privati di capitale.

Hanno da ultimo concentrato sullo sfruttamento della forza lavoro un fattore importante per mantenere la competitività e la redditività dei monopoli industriali e finanziari privati europei sul mercato internazionale. Con le varie legislazioni sul lavoro, in quasi tutti i paesi della Ue si sono cancellati diritti sindacali, limitati i diritti di sciopero, attuata la libertà per il padrone di licenziare senza rilevanti conseguenze economiche, con l’obiettivo di aumentare il tasso di sfruttamento della forza lavoro, tenere alti i valori della disoccupazione onde trarre benefici da un ingrossamento dell’esercito industriale di riserva.

2. L’UE è oltre gli Stati ed oltre i popoli

Nel perseguire i suoi fini, l’Unione Europea ha instaurato una sovrastruttura giuridica che prescinde ed è in grado di imporsi sulla sovranità dei suoi singoli stati membri. Essa è in grado non solo di fermare e guidare i governi, ma anche di imporsi sui Tribunali dei singoli Stati. Ai suoi trattati ed alle sue fonti è stato dato valore e forza di legge superiore a quella statale. Una simile forza è disgiunta da qualsiasi controllo “dal basso” e da qualsiasi censura che possa provenire da coloro che debbono subire le decisioni, le quali determinano spesso effetti a lungo termine che ricadono inevitabilmente sulle spalle degli equilibri sociali dei singoli Stati e dei singoli popoli e territori. Pochi ricordano che, ad esempio, la privatizzazione dell’impianto siderurgico di Taranto, che determinò l’acquisto dell’ILVA, dei Riva con la loro nefasta gestione, fu imposto proprio dall’UE nell’ambito della politica di svincolo della produzione di materie prime dalla proprietà pubblica. A copertura di ciò, l’UE contrappone istituzioni e diritti individuali  “di facciata” della cui vera realizzazione si disinteressa, slegandoli dall’equiparazione delle condizioni economiche, fattore necessario per il loro godimento. Crea un individuo con mille opportunità personali e mille sogni, ma che non ha la possibilità di acquistarli.

3. L’UE è veicolo di guerra contro l’autodeterminazione dei popoli

L’Unione Europea si è sempre alleata con la NATO e ne ha sempre condiviso le guerre imperialiste di aggressione: dall’Afghanistan all’Iraq, per giungere alla Libia e da ultimo alla Siria, spesso occultando tali interventi con il pretesto della lotta al terrorismo o ad organizzazioni terroristiche come Al Qaeda, Daesh ed Isis addestrate finanziate ed iniettate come elemento destabilizzante proprio dalla Nato e dai suoi alleati. Oggi truppe francesi si stabilizzano a Kobane, sfruttando le zone liberate dai curdi, più con l’intento di colpire il governo siriano che di combattere quel Daesh che sinora non avevano mai seriamente contrastato.

4. L’UE limita la libertà di pensiero

Da ultimo, l’Unione Europea svolge un ruolo attivo nella limitazione di libertà politiche e di pensiero nei confronti delle organizzazioni politiche che si schierano a sostegno dei veri interessi della classe lavoratrice. Mentre una libertà di comodo è concessa a partiti veicoli di sciovinismo e di razzismo, in Polonia viene perseguito penalmente il partito comunista, la stessa UE svolge attiva pratica di anticomunismo, diffamando il contributo del socialismo al progresso dei popoli e dell’Europa, tentando in malafede, con una vera e propria riscrittura della storia, di equiparare le esperienze storiche di ogni tipo di socialismo  o di conflitto sociale alla dittatura nazista, al disordine sociale, al terrorismo.

Lungi dalle aspirazioni idealiste di Altiero Spinelli, sparse a piene mani dalla classe dominante dell’epoca per favorire, in funzione antisovietica, la costruzione di un mercato comune interamente controllabile dai monopoli, l’Unione Europea ha edificato la propria struttura come strumento giuridico e politico di un’alleanza tra le classi dominanti ed i proprietari dei fondamentali mezzi di produzione e del capitale. Esprime e serve gli interessi di questi raggiungendo un potere enorme: quello di sovrastare i singoli sistemi politici, democratico-borghesi o meno che siano.

Il suo operare ha sicuramente creato contraddizioni anche all’interno della stessa borghesia.

Nel fronte anti UE si trovano oggi, per interessi totalmente diversi, quegli strati della borghesia impoveriti e pauperizzati dalla stretta finanziaria, eliminati dalla selezione “in alto” del mercato, oppure quegli strati che temono la concorrenza del blocco commerciale dei Brics, la posizione preminente della Germania e vedono l’Unione come una congerie di restrizioni e controlli a favore di monopoli più forti, sperando, con la sua uscita, di avere mani ancora più libere per lo sfruttamento dei fattori produttivi, tra cui il lavoro dell’uomo, ovvero di avere una maggiore “assistenza” dello Stato con politiche di incentivo, svalutazione competitiva ed altre misure di sostegno alle imprese. Spesso queste espressioni “centrifughe” della borghesia si uniscono alla critica all’UE portata su posizioni razziste e scioviniste, tentando di attrarre in quest’orbita le classi popolare che hanno sofferto le contraddizioni della crisi.

Così avviene in Gran Bretagna, dove il fronte maggioritario della borghesia anti UE è composto sì dall’UKIP, ma anche di quei settori dei conservatori preoccupati per lo strapotere tedesco, per la concorrenza dei BRICS e perché ritengono che gli interessi economici della loro classe dominante possano essere meglio gestiti sotto la sola ala dell’imperialismo USA, contro l’imperialismo di altri vasi di ferro nella UE.  (4)

La presenza di questi centri di forza porta alla logica conclusione per cui l’eventuale uscita dall’UE da parte di uno stato membro non rappresenta di per se una panacea sociale od un trampolino di lancio per un cambiamento radicale della società.

Tuttavia essa mette in forse e contrasta gli interessi dei dominanti proprietari più potenti nel mercato globalizzato. Lo dimostra l’estrema lotta che questa parte di capitale internazionale svolge contro le sue tendenze “centrifughe”, lavorando su ogni campo per attrarre a se ogni strato della società che se ne allontani, riconducendo, appunto, all’interno di ogni sistema, i satelliti vicini al centro e conferendo credibilità a quelle forze politiche che mostrano comunque di non metterne in discussione il cammino. Lo svincolo dall’Unione Europea e dalla Nato può aprire contraddizioni degne di essere sfruttate. Una base per iniziare il rovesciamento di quel sistema economico che non può che portare necessariamente alle sue crisi. (5) Così come non è possibile cambiare o riformare l’Unione Europea, così non è possibile riformare o difendersi dalla natura del capitalismo se non sostituendo una produzione socializzata, avulsa da quella competizione tra uomini e popoli che porta con se’ lo sfruttamento di uomini e popoli.

Comprendere semplicemente che se chiude un asilo a Torino, se mancano case e lavoro a Roma, è perché a Bruxelles, non solo a Roma o a Torino, si è deciso così.

Note:

1) https://www.facebook.com/LuigiDiMaio/posts/1050383891664823
2) http://www.resistenze.org/sito/te/pe/dt/pedtgf13-018056.htm
3) http://www.newworker.org/archive2016/nw20160617/say_no_to_eu_on_thursday.html
4) http://www.resistenze.org/sito/te/pe/dt/pedtgf13-018056.htm, vedi anche le interviste http://icp.sol.org.tr/europe/leaving-will-represent-defeat-bourgeois,  e http://icp.sol.org.tr/europe/leaving-will-represent-defeat-bourgeois
5) Zoltan Zigedy, Sorry, There’is no fix, http://zzs-blg.blogspot.it/2016/06/sorry-there-is-no-fix.html

L’Italia alla guerra in Siria a fianco di Erdogan da: resistenze.org

Antonio Mazzeo | antoniomazzeoblog.blogspot.it

15/06/2016

Operazione top secret dell’Esercito italiano al confine turco-siriano. Il 6 giugno, una batteria di missili terra-aria SAMP/T e una trentina di militari italiani sono stati schierati nella zona di Kahramanras, a nord di Gaziantep (Turchia meridionale), nell’ambito dell’impegno assunto dalla NATO a protezione dello spazio aereo turco dal “rischio di sconfinamenti provenienti dalla Siria”. La notizia è stata pubblicata dai maggiori quotidiani turchi e dall’agenzia di Stato “Anadolu”. I mezzi militari italiani sono sbarcati nel porto di Iskenderun per dirigersi poi nella zona di Kahramanras, nei pressi del confine siriano. Sempre secondo i media turchi, il sistema missilistico messo a disposizione dal nostro paese “avrà esclusivamente il compito di contrastare aerei, missili da crociera e tattici e non sarà impiegato nell’imposizione di una no-fly zone”.

La batteria SAMP/T sostituirà il sistema “Patriot” che le forze armate della Germania avevano schierato a sud della Turchia circa tre anni fa. La decisione del cambio negli assetti missilistici NATO a “protezione” delle forze armate di Erdogan che operano al confine e in territorio siriano è stata assunta all’ultimo vertice dei ministri degli esteri dei paesi del’Alleanza tenutosi a Bruxelles. Oltre alla batteria dei SAMP/T italiani, a luglio la NATO fornirà alla Turchia il supporto di un altro velivolo radar AWACS (Airborne Warning and Control System).

Il sistema antiaereo e antimissile a medio raggio SAMP/T è stato sviluppato dal consorzio europeo “Eurosam” formato dalle aziende MBDA Italia (gruppo Leonardo-Finmeccanica) e Thales (Francia). Basato sul missile intercettore “Aster 30” con un raggio sino a 100 km e una velocità massima di 1.400 m/s, il nuovo sistema sarebbe in grado di intercettare e abbattere anche in maniera del tutta automatica aerei, elicotteri, droni, missili di crociera, missili teleguidati, ecc.. Ogni batteria SAMP/T è costituita da lanciatori con un numero variabile di missili da 8 a 48 che possono ingaggiare fino a 10 bersagli contemporaneamente. Il costo del sistema è elevatissimo: nel 2008 l’Esercito italiano, dopo i test effettuati in Francia e nel poligono di Salto di Quirra in Sardegna ha deciso di acquistare 6 batterie di lanciatori con una prima tranche di spesa di 246,1 milioni di euro.

Il trasferimento in Turchia di una batteria missilistica SAMP/T del 4° reggimento artiglieria contraerea “Peschiera” era stato anticipato il 18 maggio scorso da un articolo di Analisi Difesa che analizzava il decreto di rifinanziamento delle missioni militari italiane all’estero. In esso, infatti, era stato previsto uno stanziamento di 7 milioni di euro per la partecipazione all’operazione NATO “Active Fence” al confine turco-siriano. La missione italiana nell’ambito di “Acrive Fence” era stata confermata il 7 giugno in Parlamento dai ministri Roberta Pinotti e Paolo Gentiloni, ma senza che ne fossero specificate le modalità o i tempi.

“La nuova missione militare, oltre alle implicazioni legate al conflitto siriano, non può non venire contestualizzata nella crescenti tensioni tra NATO e Russia”, scrive l’analista Gianandrea Gaiani. “La batteria missilistica è infatti schierata a due passi da un’area conflittuale complessa dove le truppe turche colpiscono in Siria le milizie dello Stato Islamico e quelle curde, sostengono altre milizie islamiste come quelle di al-Qaeda (Fronte al-Nusra) e combattono sul territorio turco e in Iraq le forze curde del PKK”.

“Alla luce di queste valutazioni stupisce l’assenza di un dibattito politico in Italia circa l’opportunità o meno di inviare nostre truppe e mezzi in quell’area con un compito che rischia di coinvolgerci nel confronto in atto tra Ankara e l’asse Damasco/Mosca”, aggiunge Gaiani. “Difficile non notare che dopo l’abbattimento da parte di un F-16 turco di un bombardiere russo il 24 novembre scorso, tutti i partner NATO hanno ritirato le loro batterie di missili terra-aria dal sud della Turchia mentre gli italiani si schierano in quella polveriera nel momento in cui diversi alleati (statunitensi in testa) sembrano voler soffiare sul fuoco di una nuova guerra fredda”. Ma, si sa, Renzi, Pinotti e Gentiloni non brillano certamente per lungimiranza politica e militare…

Lasciare la UE: un passo in senso antimperialista da: resistenze.org

International Communist Press (ICP) | icp.sol.org.tr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

18/06/2016

Intervista esclusiva sul referendum UE a Ella Rule, Vice Presidente del Partito Comunista di Gran Bretagna – Marxista Leninista (CPGB-ML)

ICP: In un articolo del vostro giornale, si dice che lasciare la UE consente di compiere un piccolo passo in avanti nella lotta per il socialismo. In che modo?

Ella Rue: L’aspetto saliente è che si tratta di un passo antimperialista. Il popolo non necessariamente se ne rende conto. Ma se l’Unione europea è una formazione imperialista che ha commesso numerosi crimini di guerra sin dal suo esordio e perché l’Unione europea è forte. Se la UE cadesse a pezzi, cosa che il voto britannico per la Brexit favorirebbe, l’imperialismo uscirebbe indebolito. Sì, rimarrebbero diversi paesi, ma non sarebbero così forti come prima. L’Unione europea inoltre è sempre stata strettamente alleata con l’imperialismo degli Stati Uniti: la disgregazione della UE indebolirebbe anche l’imperialismo statunitense, che è, naturalmente, il nemico più feroce della classe operaia.

ICP: Quali sono le principali preoccupazioni per la partecipazione all’UE? In che modo l’appartenenza alla UE influenza il popolo?

ER: La UE ci rende co-cospiratori nella lotta dell’imperialismo contro i popoli del mondo. Non vogliamo davvero aggregarci a questi banditi. Credo che con ogni probabilità ci sarà molta pressione sotto il profilo finanziario come esito dell’uscita dall’UE, se ciò dovesse accadere. I quotidiani dicono che gli anziani perderanno i loro abbonamenti gratuiti del pullman e il Cancelliere ha sputato ogni tipo di minacce. Anche se fossero messe in atto, ritengo che non si possa far parte di un’istituzione la cui sopravvivenza dipende dall’oppressione della maggior parte del mondo e dal terrore esercitato sui popoli degli altri paesi. Si è fatto molto rumore sugli immigrati che vengono in Europa. Arrivano perché l’Unione europea è implicata come l’imperialismo USA nella fuga dalle loro case. Qualsiasi indebolimento dell’imperialismo crea opportunità per il movimento di classe.

ICP: Dicevi che opponendosi all’Unione europea, i socialisti si trovano in una compagnia estremamente nauseante. Venite criticati per trovarvi dalla stessa parte di questi gruppi. Ciò rende la vostra lotta più difficile?

ER: Sì, naturalmente. Si può ben capire il motivo per cui questi personaggi hanno preso questa posizione. Non capiscono realmente la natura imperialista della UE. E quindi, la loro agenda si ferma alla superficie delle questioni, senza affrontare il problema di fondo. In realtà, l’anti-islamismo e la xenofobia sono posizioni del tutto reazionarie e dividono e indeboliscono la classe operaia. Tuttavia, un detto inglese dice che “anche un orologio rotto ha ragione due volte al giorno”, quindi, anche i reazionari a volte sono in grado di prendere una posizione corretta, anche se parte da assunti sbagliati.

ICP: Frances O’Grady, segretaria generale del Trades Union Congress, afferma che è grazie all’Unione europea che ai lavoratori sono garantiti i loro diritti, quali le ferie retribuite, il congedo parentale, la parità di trattamento per i lavoratori part-time, ecc. Molti altri che sostengono di essere di sinistra dichiarano la loro volontà di rimanere. Cosa ne pensi a riguardo?

ER: Non so in quale pianeta vivano! Si guardi a ciò che sta accadendo in Grecia ora, la Grecia che è ancora un membro dell’Unione europea: in che modo la UE sta aiutando la Grecia? Le pensioni dei greci sono state tagliate e i servizi sociali – scuole, ospedali, ecc – sono in una situazione estremamente disastrosa. Non pare che la UE li protegga. I francesi stanno combattendo molto ferocemente per cercare di preservare i loro diritti fondamentali. Come li aiuta l’Unione europea? E’ pazzesco, la tesi più strampalata che abbia sentito in un milione di anni.

ICP: Nel Regno Unito, vi è un gran numero di persone provenienti da paesi europei venuti per lavorare. Pensi che l’uscita dalla UE costringerà queste persone – tutte della classe lavoratrice – a tornare nei loro paesi d’origine?

ER: Dubito che, a seguito di un esito positivo della Brexit sarebbero rimandati indietro. Se lo fossero, sarebbe un effetto collaterale molto infelice. Ma comunque non si possono contrastare gli interessi dell’imperialismo senza fare sacrifici. Non potremo vincere la guerra contro l’imperialismo, senza sacrifici tremendi. Sarebbe ovviamente un peccato ma mi sembra tuttavia improbabile. La classe dirigente britannica guadagna un sacco da maestranze altamente qualificate e molto economiche. Allora, perché dovrebbero rimandarli a casa?

ICP: In quale modo gli altri paesi potrebbero essere colpiti dalla Brexit? L’UE uscirà considerevolmente indebolita?

ER: Lo sarà. Il fatto è che ci sono diversi paesi anche all’interno dell’UE in cui le masse popolari tendono ad accusare l’UE della crisi economica che sommerge il mondo nel suo complesso. Vi è questa sensazione: se il Regno Unito esce, sarà il primo di molti. Si guardi alla Spagna, per esempio, dove probabilmente potrebbero essere indette nuove elezioni, visto che non sono riuscite le precedenti. Si pensa che pure il popolo spagnolo potrebbe prendere seriamente in considerazione l’uscita. La Grecia avrebbe dovuto lasciare. Lasciare e rifiutare di pagare il debito. La Grecia ha recentemente ricevuto un nuovo prestito. Si specula che la ragione del nuovo prestito da parte del Fondo monetario internazionale (in violazione delle norme di prestito del FMI) è proprio per evitare il  default della Grecia alla vigilia del referendum britannico. Perché quando la Grecia fallirà – è probabile che vi sarà costretta – allora i creditori della Grecia presenteranno il conto ai paesi europei. Dovremo coprire le perdite, il che significherà maggiore austerità sulle spalle della classe operaia nel resto dell’UE… Chiaramente stanno facendo quello che possono per tenere a bada il default greco un po’ più a lungo.

ICP: Ci sono diverse campagne e vari fronti che si propongono di abbandonare l’UE. Cosa pensi di loro?

ER: Per quanto mi riguarda, la principale campagna per l’uscita è la Brexit. Ma include gli sciovinisti, include coloro che nutrono motivazioni xenofobe. In un certo senso noi stiamo per conto nostro. Nessuna di queste altre persone vorrebbe aver a che fare con noi.

ICP: Qual è la politica del suo partito sull’immigrazione?

ER: Sono un europea. Mio padre è spagnolo e mia madre è inglese. Amo l’unità europea. Mi piace vagare per l’Europa. Mi piace ascoltare e parlare altre lingue. La politica del nostro partito è l’apertura delle frontiere. Siamo a favore del coordinamento internazionale e della cooperazione tra i lavoratori di tutti i paesi. Siamo contrari a ogni controllo sull’immigrazione. Ma questo non significa che automaticamente dobbiamo sostenere un’organizzazione imperialista. Ci sono molte persone che vengono in Gran Bretagna per opportunità di lavoro. Inoltre, molti inglesi lavorano in tutto il mondo. Vogliamo riportarli indietro? Si lasci che le persone colgano le opportunità dove sono. Il capitale va dove vuole. Perché non le persone? Parte delle sofferenze subite dalla classe operaia sono dovute al fatto che il capitale che hanno prodotto per il capitalista va a fare più soldi in un’altra parte del mondo. Il capitalismo è il capitalismo; è così che funziona. Non può funzionare in modo diverso. Persegue il massimo profitto. L’unica soluzione è sbarazzarsi del capitalismo. Lasciare l’Unione europea può essere un passo verso questa soluzione.

ICP: Grazie mille per l’intervista.

ER: E’ stato un piacere. Grazie.

Migranti, quando al licenziamento si aggiunge anche l’espulsione. Iniziativa sindacale davanti alle prefetture Autore: redazione da: controlacrisi.org

Per i migranti aumentano i casi di mancato rinnovo del permesso per chi ha perso il lavoro sono infatti numerosi, nonostante la legge 92/2012 abbia gia’ previsto l’aumento della durata del “permesso per attesa occupazione” da sei mesi ad un anno e che lo stesso permesso possa essere ulteriormente rinnovato Questo accade in caso di utilizzo di un ammortizzatore sociale e nel caso in cui il lavoratore dimostri di avere un reddito minimo annuo non inferiore all’assegno sociale (poco piu’ di 5mila euro).

“Questa grave situazione- si legge in una nota della Filcams- ha causato per almeno 200 mila lavoratori un drammatico scivolamento nella illegalita’ del lavoro nero, con conseguenze facilmente immaginabili anche per i nuclei famigliari coinvolti (a partire dai minori). Si tratta di un problema particolarmente vivo nei nostri settori- afferma Cristian Sesena segretario nazionale della Filcams Cgil- dove la presenza di lavoratori migranti e’ assai significativa, e dove la piaga del lavoro irregolare o fintamente regolare continua ad essere presente anche per il progressivo venir meno di seri controlli da parte dei servizi ispettivi”.

In alcune provincie, come a Reggio Emilia, l’ufficio migranti della Cgil segnala che in provincia, nel 2015, sono stati richiesti 463 permessi “in attesa di occupazione”. Martedì prossimo ci sarà una iniziativa a livello regionale a Bologna e in molte atre città italiane davanti alle prefetture. .

Nel 2016 (dati fino al 15 giugno) le pratiche aperte sono state 182. Col fatto che la pratica e’ inoltrata direttamente dalla persona, pero’, “non abbiamo certezza su quante pratiche siano andate a buon fine e quante siano state respinte a Reggio Emilia”, spiega il sindacato. “Conosciamo solo i casi non numerosi di respingimento, in cui il cittadino immigrato ha chiesto la nostra assistenza”, aggiunge Ramona Campari della segreteria della Cgil. A causa della crisi, poi, anche a Reggio “dopo anni di trend in crescita, si registra una contrazione della popolazione straniera, nel 2015 sul 2014, pari al meno 2,9%”. Un calo soprattutto maschile di cittadini marocchini, tunisini e indiani, controbilanciato dall’aumento della migrazione femminile. Fra le rivendicazioni oggetto di una iniziativa nei prossimi giorni a livello regionale di Cgil, Cisl, Uil, anche quella di sanare le posizioni dei lavoratori e lavoratrici immigrati che hanno perso lavoro e permesso di soggiorno, e anche la richiesta di combattere il lavoro nero e lo sfruttamento dei migranti. E ancora, i sindacati sottolineano la necessita’ di monitorare il comportamento delle Questure, visto che il numero dei mancati rinnovi pare eccessivo. Infine si chiede al Governo di fornire indicazioni chiare alle Questure perche’ il permesso venga rinnovato correttamente e in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale e di mettere in campo politiche attive del lavoro per una maggiore inclusione sociale. Quest’ultima misura “e’ essenziale – evidenzia Campari- perche’ gli stranieri vivono con maggiore fragilita’ una situazione di difficolta’ generale pagandola ad un prezzo ancora di piu’ alto anche dal punto di vista sociale, a causa di emarginazione, pregiudizi e attraverso l’associazione impropria stranieri uguale problema sicurezza”. Tesi “purtroppo suffragata anche dalle rilevazioni sulle assunzioni a tempo indeterminato che si sono avute con il Jobs Act, dove si evidenzia che la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e’ stata per la maggiore a carico di italiani”, conclude la sindacalista.

“Brexit, l’esito del voto non è né di destra né di sinistra”. Intervento di Federico Giusti da. controlacrisi.org

Confessiamo di avere letto poco dei commenti post voto perché la tendenza dei pensatori e intellettuali nostrani è quella di piegare il voto inglese a giustificare letture parziali della realtà. Da destra e da sinistra tutti a esultare la vittoria del Brexit, o a strapparsi le vesti per il fallimento dell’Europa dei popoli.
Intanto prima del trattato di Lisbona non era neppure contemplata la uscita dalla Ue, se guardiamo ai blog della sinistra radicale inglese si capiscono molte cose, per esempio che il referendum viene ancora visto come espressione dell’estrema destra, della reazione antixenofoba senza neppure abbozzare una lettura critica di cosa sia oggi la UeSi aprono intanto scenari nuovi, due anni nei quali molte cose potrebbero cambiare, 24 mesi per armonizzare la uscita della Gb ma anche per comprendere quale sia il modello da seguire senza dimenticarei molteplici accordi che continuano a legare i vari paesi dell’Unione su materie dirimenti per l’economia nazionale. Non è detto insomma che non nascano nuovi equilibri all’interno del capitale europeo….Sarebbe utile leggere intanto la composizione del voto per conoscerne i risvolti sociali, dai primi dati si evince che nelle metropoli è prevalsa una posizione filo europea al contrario delle periferie e dei quartieri popolari e soprattutto della campagna inglese, in Scozia e nel Nord Irlanda la maggioranza era per restare in Europa. Di sicuro, tanto a destra quanto a sinistra, si è votato contro l’Europa a trazione tedesca, o sognando i fasti dell’Impero che fu dentro una logica nazionalista e non immune da razzismo e xenofobia o rifiutando un’Europa dominata dalle banche, dagli interessi speculativi e finanziari che taglia salari e servizi sociali accanendosi con ferocia contro i ceti popolari

Che poi questi ultimi siano attirati dalle sirene della destra avviene in tutta Europa a dimostrazione del fallimento della sinistra, anche la piu’ radicale.

E’ presto per suonare le campane a morto al capezzale del pd e del governo Renzi, di certo dalle elezioni e dal voto in Gb Renzi esce indebolito come dimostra, solo per dirne una, anche il suo silenzio su twitter.

Se la tentazione è quella di seguire il modello norvegese, si ricorda che dallo stesso è prevista la libera circolazione di uomini e donne, quindi dubitiamo che la destra reazionaria d’Oltre Manica voglia rivedere la chiusura delle frontiere ai migranti, un tema caro ai conservatori e uno schieramento trasversale che accomuna i due fronti referendari.

C’è chi come Romano Prodi invoca una Europa a trazione italo franco spagnola tedesca, sentirlo dire da chi ha privatizzato e svenduto l’industria nazionale fa ridere o piuttosto versare lacrime amare, soprattutto se pensiamo che su Il sole 24 ore recrimina sulla assenza di leaders nazionali del calibro di Kohl (!!)

Le elezioni nazionali del 2017 sono dietro l’angolo e i leaders dei paesi europei ben sanno di non potere dare risposte ad una crisi sociali ed economica devastante acuita dalle politiche di austerità, il timore è che prevalgano le fazioni antieuropee assemblando malessere sociale, rifiuto dell’austerità con un retroterra nazionalista.
Siamo certi che non si possano paragonare gli scenari inglesi e Greci, due contesti economici diversi e una posizione di forza della Gb rispetto alla Grecia che di fatto è stata costretta a negoziare\accettare la permanenza nell’Ue con un memorandum che si traduce nella svendita del paese.

Ovviamente il nazionalismo e il ritorno agli stati nazionali di 30 anni fa non sono le risposte necessarie\possibili a combattere la crisi, non lo sono per le masse popolari e i lavoratori, non lo sono per le classi sociali meno abbienti

Che la svolta sia a destra è indubbio ma rimpiangere la sinistra dell’austerità non ha senso a meno che non si vogliano far passare manovre economiche lacrime e sangue come le risposte dovute alla crisi

Per questo il voto in Gb non è né di destra né di sinistra , è un voto contro questa Europa e la dice lunga sul fatto che negli ultimi 20 anni l’annessione alla Germania e alle sue politiche non abbia conosciuto opposizione di sorta

Il remain era sostenuto dalle banche e dagli interessi speculativi, nei giorni precedenti il voto l’indice delle borse era cresciuto proprio quando i sondaggi davano vincente la permanenza della GB in Europa., i grandi media avevano diffuso ad arte statistiche pilotate per dimostrare che l’uscita dall’Europa avrebbe pesato oltre 2500 euro all’anno come perdita di acquisto delle buste paga, dati che non si capisce da cosa scaturiscano ma hanno comunque ottenuto il risultato di alimentare confusione.

Con il brexit esce sconfitta la politica europea dell’austerità e l’ineluttabilità dello scenario comunitario dentro cui restare accettandone ogni ricetta economica antipopolare, da qui bisogna ripartire pensando che la crisi capitalistica puo’ avere molteplici uscite, sta alla nostra capacità decidere se svoltare verso il nazionalismo o verso un nuovo protagonismo delle classe sociali meno abbienti, protagonismo che potrà realizzarsi al di fuori delle compatibilità politiche e istituzionali del capitale che proprio ieri ha deciso, in Italia, il sostegno alla riforma costituzionale del Governo Renzi