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Nuova tappa nella inchiesta sul CARA di Mineo che procede, lentamente, molto lentamente, ma procede. Gli ultimi sospetti riguardano le effettive presenze di migranti sui quali venivano calcolati i rimborsi. SUDPRESS se ne occupa dal 2013. I nomi degli indagati.
Si diffonde nelle prime ore della mattinata notizia dell’attività della Squadra Mobile di Catania con gli uomini del commissariato di Caltagirone che stanno eseguendo perquisizioni e sequestri di atti relativi alla gestione del Cara di Mineo.
Sei le persone raggiunte da avvisi di garanzia per falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell’Unione Europea.
Si tratta di: Sebastiano Maccarrone, direttore Cara; Salvo Calì, presidente Cda Sisifo, consorzio di cooperative capofila dell’Ati fino a ottobre 2014; Giovanni Ferrera, direttore generale Consorzio ‘Calatino Terra d’accoglienza’; Roberto Roccuzzo, consigliere delegato Sisifo; Cosimo Zurlo, ad ‘Casa della solidarietà’ consorzio coop dell’Ati fino da ottobre 2014 ad oggi e Andromaca Varasano, contabile del nuovo Cara Mineo.
Il provvedimento della Procura di Caltagirone, retta dal procuratore Giuseppe Verzera, scaturisce risultanze del procedimento “Mafia Capitale”, a seguito delle quali è stata avviata un’attività di investigazione allo scopo di accertare presunti illeciti nella gara d’appalto, indetta in data 24.4.2014, per la gestione triennale dei servizi del C.A.R.A. di Mineo.
La gara fu ritenuta illegittima dall’Autorità Nazionale Anticorruzione con parere 15 del 25.2.2015.
L’analisi della contabilità relativa alle presenze giornaliere dei migranti ospiti del C.A.R.A. di Mineo, finalizzata alla liquidazione delle somme spettanti al c.d. “ente gestore”, ha evidenziato che sono stati rendicontati e corrisposti, negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, importi superiori a quelli dovuti, per un ammontare di circa un milione di euro.
Sono tutt’ora in corso perquisizioni presso società in tutto il territorio nazionale.
I PROFILI DEGLI INDAGATI
Giovanni Ferrera, direttore generale del Consorzio Cara di Mineo, è stato funzionario giudiziario presso il Tribunale per i Minorenni di Catania dal 1976 al 16 dicembre 2011, responsabile della Cancelleria Civile del Tribunale per i Minorenni di Catania dal 1991 al 1993 e dal 2000 al 2004. Assessore ai servizi sociali e sanitari del comune di Catania dal 1993 al 21 gennaio 2000 e coordinatore del forum degli assessori ai servizi sociali dal 1998 al 2000. Fino al 2004 è stato componente della commissione nazionale per le adozioni internazionali, in rappresentanza dell’Anci presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal 2003Ferrera ha ricoperto il ruolo di docente di “Legislazione minorile applicata ai servizi degli Enti Locali” nei corsi di perfezionamento post laurea, organizzati dalla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Catania edal 2004 al 2011 dirigente dell’Assessorato alle Politiche Sociali della provincia regionale sempre di Catania. Dal 2007 al 2009 è stato responsabile, in qualità di Direttore del “Consorzio Giovanni Verga”, della realizzazione dei progetti finanziati con fondi del Pon Sicurezza alla Provincia e ai comuni di Catania, Acireale, Caltagirone e Vizzini e sino al 2011 responsabile dei progetti sull’immigrazione finanziati alla Provincia dal Ministero dell’Interno a valere sui fondi Pon, Fei e Unra. Componente della “Cabina di Regia” per gli interventi socio sanitari finanziati dalla legge 328 del 2000 presso l’assessorato alla famiglia della Regione Siciliana da febbraio 2009, componente del Coordinamento Regionale sull’affidamento familiare dal novembre del 2009 e componente della commissione nazionale consultiva e di coordinamento per i rapporti con le regioni, gli enti locali ed il volontariato del Ministero della GIustizia dal 2010. Nello stesso diventa componente della Commissione nazionale per le adozioni internazionali in rappresentanza dell’Upi, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Salvo Calì, ex comunista ed ex dirigente medico dell’Asp di Catania, fino a ottobre 2014 è stato presidente del consorzio Sisifo (ente coinvolto anche nello scandalo delle docce antiscabbia del Centro di identificazione ed espulsione di Lampedusa). Tra le cariche ricoperte, Calì annovera inoltre la direzione del Distretto sanitario di Giarre e Paternò, la segreteria del Sindacato Medici Italiani, ed è stato anche consigliere provinciale e consigliere comunale del Pci dal 1980 al ‘90 e dal ’90 al ‘93.
Cosimo Zurlo, amministratore delegato della “Casa della solidarietà” – consorzio di cooperative sociali dell’Ati da ottobre 2014 ad oggi che gestisce anche il Centro di Vermicino – è citato da Repubblica.it come «dipendente della società Auxilium, il 9.2.2010, veniva deferito all’autorità giudiziaria di Bari per inadempimento di contratti di pubbliche forniture e frode nelle pubbliche forniture, in concorso con Pietro Chiorazzo».
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Intervistato lo scorso marzo dal giornalista di Al Monitor Wilson Fache, che si era recato nell’area della diga per un reportage, un abitante della parte di hinterland di Mosul sotto il controllo dei peshmerga curdi (come la diga), ha usato le parole del condottiero berbero Tariq Ibn Ziyad per descrive la situazione degli abitanti dell’area: “Ora ci troviamo con il nemico davanti a noi e il mare profondo dietro di noi”.
LA GEOLOGIA.
La diga di Mosul, originalmente conosciuta come Saddam Dam, sul fiume Tigri, nel governatorato occidentale iracheno di Ninawa, si trova circa 50 chilometri a nord della città di Mosul, controllata dall’Isis, meglio detto, capitale del Califfato. La sua costruzione, cominciata nel 1980, fu decisa da Saddam Hussein, nel quadro di un piano di “arabizzazione” del nord curdo dell’Iraq. Fu costruita da un consorzio italo-tedesco Hochtier Aktiengesellschaft-Impregilo, che la completò nel 1984. Lo sbarramento è lungo 3,2 chilometri per un’altezza di 131 metri. Ė la quarta diga più grande del Medio Oriente e la più grande dell’Iraq. Componente chiave dell’energia elettrica nazionale: 4200 megawatt di turbine generano 320 MW di elettricità al giorno.
I lavori di impermeabilizzazione e di consolidamento furono eseguiti dall’impresa italiana Ing. Rodio S.p.A. di Milano. Fin dai lavori di indagine geologica, eseguiti sempre dalla Rodio, e che compresero anche lo scavo di un tunnel esplorativo si sapeva che il suolo di fondazione, argilla e gesso carsico, non era adatto alla struttura. Il consorzio non si curò delle caratteristiche non idonee del suolo del territorio scelto per la “grande opera” del governo di Saddam Hussein. I lavori furono completati nel 1984.
La diga ha sofferto fin dall’inizio problemi, che resero, quasi immediatamente, necessarie iniezioni di cemento micro fine. Una stima parla di circa 90 milioni di chili di cemento iniettato che però furono inefficaci e non hanno risolto il problema. Anzi sembra abbiano causato ulteriori deterioramenti agli strati di gesso carsico di fondazioni e alla struttura. Le continue iniezioni di cemento hanno fatto si che le aperture nel gesso si aprissero sempre più, lasciando cavità al posto del dissolto gesso, movimenti di ingenti quantità di cemento e in superfice sussidenze tutt’intorno alla diga.
Nel 2007 la diga di Mosul fu oggetto di due rapporti dei tecnici dell’americano Corp of Engineers (USACE) che misero in luce caratteristiche e pericolosità:
Geologic Setting of Mosul Dam and Its Engineering Implications
http://el.erdc.usace.army.mil/elpubs/pdf/tr07-10.pdf
e
Geologic Conceptual Model of Mosul Dam.
http://www.dtic.mil/dtic/tr/fulltext/u2/a472031.pdf
Martedì 19 e mercoledì 20 aprile scorsi il Centro studi americani, in collaborazione con l’Ispi, ha ospitato l’Iraq Crisis Conference, un ciclo di conferenze promosso dal Pafi (Peace Ambassadors for Iraq). Nadhir al-Ansari, docente presso la facoltà di ingegneria del Politecnico di Lulea alla costruzione della diga ha preso parte in prima persona, ha fornito un quadro completo dei numerosi problemi geotecnici.
GLI ALLARMI.
A fine febbraio 2016, Il governo iracheno e l’ambasciata Usa a Baghdad hanno messo in guardia i residenti lungo il fiume Tigri su un possibile cedimento della diga di Mosul. Hanno affermato che Il rischio di caduta è “serio e senza precedenti. Un’evacuazione rapida rappresenta lo strumento più efficace per salvare vite di centinaia di migliaia di iracheni”.
Ultimamente anche l’ONU ha lanciato l’allarme: “Rischio catastrofe, fate presto“ Secondo gli analisti, il cedimento della diga potrebbe travolgere tra i 500mila e l’1,4 milioni di iracheni che vivono lungo le rive del fiume Tigri. In una riunione, il 10 marzo scorso, presieduta dall’ambasciatrice Usa Samantha Power e dall’ambasciatore iracheno Mohamed Alhakim si è fatto un appello alla comunità internazionale di “effettuare al più presto i lavori necessari” e di istruire la popolazione sulle vie di fuga in caso di inondazione. Il cedimento della struttura potrebbe avvenire anche con scarsissimo preavviso e le conseguenze sarebbero devastanti: “se si dovesse aprire una falla – ha detto la Power – l’onda raggiungerebbe i 14 metri di altezza, spazzando via ogni cosa, persone, auto, case, ordigni inesplosi, scorie e altro materiale pericoloso”. La città di Mosul, che conta oltre 600 mila abitanti, sarebbe sommersa dalle acque in meno di quattro ore. “La posta in gioco è altissima – ha sottolineato l’ambasciatrice Usa – e le conseguenze possibili devastanti per non affrontare immediatamente il problema” L’onda potrebbe anche raggiungere la città di Baghdad.
Nel recente ciclo di conferenze a Roma, menzionato prima, al-Ansari si è unito al coro di allarmi affermando che “la diga cederà di certo”.
RENZI, PINOTTI E LA DIGA
Le truppe italiane in Iraq supereranno tra pochi mesi il migliaio di effettivi con l’arrivo di un battaglione destinato a presidiare la diga sul fiume Tigri a nord di Mosul, contesa aspramente nell’estate del 2014 dalle milizie dell’Isis e dai curdi che la riconquistarono con l’appoggio aereo statunitense.
La nuova missione militare è stata annunciata dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi a una trasmissione televisiva Porta a Porta del dicembre 2015: “siamo in Iraq per l’addestramento ma anche con un’operazione importante nella diga di Mosul, cuore di un’area molto pericolosa al confine con lo Stato Islamico: è seriamente danneggiata e se crollasse Baghdad sarebbe distrutta.L’appalto è stato vinto da un’azienda italiana, noi metteremo 450 nostri uomini insieme agli americani e la sistemeremo”. Il nuovo impegno dell’Italia era stato anticipato da Barack Obama, che aveva dichiarato che “l’Italia è pronta a fare di più nella lotta al Califfato”.
Roberta Pinotti, ministro della Difesa ha affermato al programma televisivo Agorà: “Non andiamo a combattere bensì a compiere interventi per preservare la diga, un’infrastruttura fondamentale per il futuro dell’Iraq, che se abbandonata rischia di provocare un grave danno ambientale. Quella di Mosul è una missione nuova e importante, in una zona molto calda perché la città è considerata la capitale del califfato in Iraq, città centrale anche per i collegamenti con la Siria” La Pinotti inoltre ha parlato di 500 soldati coinvolti nell’iniziativa oltre a dire: “ bombardare non è un tabù”
L’IRAQ E LA DIGA
Non tutti in Iraq sono d’accordo con Renzi, perché finora il governo iracheno ha mostrato poca disponibilità ad accogliere forze straniere da combattimento sul territorio nazionale. Recentemente il premier al-Abadi ha criticato il dispiegamento di forze speciali statunitensi in Iraq e ha condannato l‘arrivo di un reggimento meccanizzato turco a nord di Mosul, penetrato in Iraq col via libera dei curdi ma non di Baghdad. Il direttore iracheno della diga di Mosul, Riad Ezziddine intervistato dall’emittente tv irachena al-Sumaria news ha affermato riguardo l’invio di soldati italiani alla diga di Mosul: “Chiacchere che mirano a creare confusione. Alcune dichiarazioni diffuse ultimamente circa un imminente crollo della diga non si basano sulla realtà”
Perché gli iracheni dovrebbero accettare che truppe italiane presidino un obiettivo sensibile di quel valore? Non è un caso che le notizie sull’invio dei soldati italiani alla diga vengano definite “chiacchere che mirano a creare confusione” dal direttore iracheno della diga di Mosul, Riad Ezziddine intervistato dall’emittente tv irachena al-Sumaria news. Il ministro delle Risorse idriche, Mushsin Al Shammary, ò il 20 dicembre scorso, ha dichiarato che l’Iraq “non ha bisogno di alcuna forza straniera per proteggere il suo territorio, i suoi impianti e la gente che ci lavora”
Anche le potenti milizie scite irachene hanno reso noto che qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata come una forza occupante, compresi gli italiani. Ė l’avvertimento lanciato dal portavoce delle Brigate sciite irachene Hezbollah, Jaafar al Husseini. “La nostra posizione è chiara: qualsiasi forza straniera in Iraq sarà considerata una potenza occupante a cui dobbiamo resistere”, Il leader radicale scita Moqtada Sadr, uno dei protagonisti dell’insurrezione contro le truppe alleate d’occupazione nel 2004 (sue milizie uccisero e ferirono anche molti militari italiani nell’area di Nassiryah “tra il 2004 e il 2006) ha affermato che “l’Iraq è diventato una piazza aperta a chiunque voglia violare i costumi e le norme internazionali”. Oltre ai miliziani sunniti del Califfato, i nostri militari dovranno guardarsi anche dalle milizie scite filo iraniane che combattono a sud di Mosul e che sono poi le stesse che hanno ucciso o ferito tanti militari italiani a Nassiryah durante l’Operazione Antica Babilonia tra il 2003 e il 2006.
Per Baghdad anche l’urgenza dei lavori di ristrutturazione della diga non sembra essere poi così urgente . A fronte dei continui allarmi per il possibile cedimento dell’infrastruttura lanciati dagli americani, vedi i citati rapporti dell’Army Corps of Engineers, il ministro al-Shammary ha affermato che “Tali previsioni sarebbero corrette se la quantità di acqua nel bacino fosse al massimo, mentre attualmente è solo a un quarto”. Una situazione dovuta alla carenza di piogge e alla riduzione della quantità di acqua lasciata passare dalla Turchia negli ultimi due anni. Sulla base dei risultati raccolti al-Shammary e altri quattro ministri hanno presentato al governo un rapporto in cui non si fa alcun riferimento a un possibile imminente crollo e ha confermato che l’appalto assegnato alla Trevi prevede di “aumentare e rafforzare” le iniezioni di cemento nelle fondamenta e di riparare un’apertura di scarico che serve a ridurre la pressione dell’acqua sulla diga in caso di emergenza. Quindi lavori limitati.
L’ APPALTO
La Farnesina ha informato il 2 marzo che è stato firmato il contratto tra la società Trevi S.p.A. di Cesena con le autorità irachene, Ministero delle Risorse Idriche, per i lavori di consolidamento della diga di Mosul. Il progetto prevede due interventi da svolgere in contemporanea. Il primo riguarda il rafforzamento delle fondamenta con iniezioni di cemento. Il secondo la riparazione di una delle due paratoie, cioè le aperture a monte che vengono azionate quando è necessario scaricare acqua per diminuire la pressione sulla diga.
La tv di Stato irachena, che ha diffuso per prima la notizia, ha indicato in 273 milioni di euro il valore del contratto. Nella versione originale il valore dell’intero progetto era di circa a 1,9 miliardi di dollari da realizzare in 5-7 anni. L’impatto di questa commessa sul conto economico di Trevi è stato positivo, A Piazza Affari il titolo Trevi ha avuto un aumento del 5,26% . In un’intervista al Quotidiano Nazionale Stefano Trevisani AD della Trevi da dichiarato: “I lavori dureranno un anno e mezzo, fino a ottobre dell’anno prossimo. Gli italiani saranno una settantina, i locali almeno 250. Poi stranieri di altre nazionalità. Il cantiere sarà pienamente operativo da metà settembre e e riprenderemo la manutenzione che si faceva prima, certo con tecnologie più all’avanguardia”. Carlo Crippa, area manager per l’Iraq ha spiegato sempre a QN che “bisogna intervenire con perforazioni e iniezioni di miscele cementizie”.
Circola l’ipotesi che la Trevi abbia una relazione importante con il governo di Renzi. Ipotesi che potrebbe essere provata anche dalla presenza nel Consiglio d’Amministrazione di Marta Dassù come consigliere non esecutivo e indipendente. Esperta di politica internazionale di area PD già sottosegretario e viceministro degli Esteri con i governi Monti e Letta, la Dassù è stata consigliere di Massimo D’Alema e recentemente è stata voluta da Renzi all’interno del cda di Finmeccanica, che a differenza della Trevi però è un’azienda pubblica.
Il contratto è del tipo ‘cost plus’: la quantità dei finanziamenti sarà calibrata passo dopo passo secondo quelli che saranno i costi e il profitto dell’impresa è garantito.
Per finanziare il progetto Baghdad ha chiesto e ottenuto un prestito alla Banca Mondiale.
SITUAZIONE ATTUALE
L’ agenza di notizie Il Velino, riprendendo fonti curde, ha diffuso la notizia Il 10 aprile ha inviato nel Kurdistan iracheno a Erbil, distante da Mosul un’ottantina di chilometri, nuovo contingente di soldati e mezzi nel quadro della lotta contro lo Stato Islamico. Questo contingente, composto da 130 soldati e 8 elicotteri, ha sostituito un reparto americano privo di elicotteri d’attacco. Negli stessi giorni l’ANSA, sempre da fonti locali ha informato che militari italiani hanno effettuato un’ispezione in diga e perso contatto con i peshmerga che la presidiano per organizzare le truppe,450 soldati, che saranno addette alla sicurezza del cantiere e dei lavoratori della Trevi.
L’Associated Press ha scritt che il primo team di tecnici italiani della ditta Trevi è arrivato giovedì 14 aprile a Mosul per iniziare la preparazione del campo in cui sarà posizionato il resto della squadra che si occuperà dei lavori di sistemazione della grande diga. Fonti italiane ben informate dicono che, in realtà, si tratta di un solo responsabile, inviato momentaneamente per seguire l’avvio dei lavori per la realizzazione del compound che ospiterà i lavoratori. Dunque se ne occuperanno gli iracheni della realizzazione del campo che ospiterà i tecnici della Trevi pervisti per metà, fine giugno. I militari italiani forniranno la sicurezza all’intera area della diga mentre la protezione ravvicinata al personale italiano della Trevi sarà affidata a contractors della società britannica Pilgrims, presente da ben 12 anni in Iraq e che ha il 27 febbraio scorso ha visto rinnovata la sua licenza operativa dal Ministero degli Interni di Baghdad.
RIFLESSIONI
Durante L’ Iraq Crisis Conference tenutasi a Roma il 19 e 20 aprile scorso Jamal al-Dhari Presidente del Pafi e partigiano del principio di autodeterminazione dei popoli in Iraq, ha ben raccontato l’Iraq di oggi che ha descritto come un paese “schiavo dell’occupazione ed esportatore del terrorismo” ed non ben compreso. L’ origine della situazione sono gli Stati Uniti, che hanno invaso l’Iraq pur non avendo ottenuto alcuna legittimazione dalle Nazioni Unitee hanno contribuito a creare un sistema politico che con il tempo si è rivelato fatale per la stabilità del Paese .Tale sistema non ha fatto altro che alimentare il settarismo, perché fondato su una spartizione del potere su base etnico-religiosa. Al-Dhari ha accusato gli americani anche di “essersi ritirati dall’Iraq lasciando i suoi confini aperti”, il che non ha fatto altro che facilitare “l’ingerenza iraniana e l’insorgenza della guerra civile”. Al-Dhari ha avuto parole dure anche per la classe politica irachena, corrotta e inetta, in cui figurano un Parlamento, “che a oggi non ha mai svolto le sue mansioni”, e “dei ministri che sono al servizio delle diverse fazioni ideologiche, piuttosto che del popolo iracheno”. Da qui, la piaga del terrorismo, di cui l’Iraq è esportatore, che nasce dalla corruzione e che spinge, a sua volta, i cittadini, insoddisfatti della gestione della res publica, a radicalizzarsi e a sostenere quelle organizzazioni terroristiche.
Questo è il quadro generale dove si inserisce l’ulteriore invio di soldati italiani.
Con l’avventura di Matteo Renzi nell’area della diga di Mossul nella divisione dei compiti della coalizione anti Isis, guidata dagli Stati Uniti, l’Italia passa da sostegno militare e fornitura di armi a un ruolo attivo di vero e proprio intervento militare. Il contingente militare con l’invio di 450 militari diventerà il contingente straniero più numeroso in Iraq. Nel cuore poi del confronto armato con l’Isis. L’obiettivo di difendere il cantiere di un’impresa privata con consistenti forze militari, uomini e mezzi, è incongruente. La partenza del contingente è attualmente stimata tra maggio e giugno 2016.
Analisi Difesa un magazine on-line che si occupa tematiche militari in un articolo dal titolo significativo, Roma invia in Iraq forze da combattimento per fare la guerra, fornisce in articolo recente importanti informazioni sulla reale portata dell’operazione.
http://www.analisidifesa.it/2016/04/roma-invia-in-iraq-forze-da-combattimento-per-fare-la-guerra/
I punti dell’articolo sono i seguenti: Verso la diga, Perplessità, Quali obiettivi reali? Verso un ruolo “combat” dell’Italia?
Restano tutti gli interrogativi per uno sforzo militare nazionale ancora una volta richiesto dagli Stati Uniti, ad alto rischio per i nostri militari ma che garantirà la sicurezza anche ai lavori di riparazione dell’impresa italiana Trevi. Schierare 500 militari in quell’area comporterà un costo stimabile in almeno 50 milioni annui senza contare le spese logistiche per schierare mezzi, armi ed elicotteri, necessari ad assicurare i collegamenti ed eventuali evacuazioni sanitarie tra Erbil e la base istituita nella diga.
A livello istituzionale la vicenda dovrebbe essere discussa in dettaglio in Parlamento. Lo scorso 16 gennaio Basilio parlamentari M5s presentarono un’interrogazione, ma la riposta del sottosegretario alla Difesa Gioacchino Alfano è stata ampiamente insufficiente.
A livello di movimento deve crescere l’opposizione a questa decisione del governo di Matteo Renzi di inviare centinaia di soldati italiani alla diga di Mossul. Vanno cercate delle alternative all’intervento militare a difesa della diga, per esempio il controllato svuotamento del bacino d’acqua, fino a che la riparazione potrà avvenire in una situazione di pace.
Si segnala il link con un articolo pubblicato da Pressenza i primi di marzo 2016 dove si raccontano alcune iniziative di opposizione che vanno sviluppate.
http://www.pressenza.com/it/2016/03/mosul-lintervento-italiano-rischi-delle-grandi-dighe/
29 aprile 2016 – © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
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La Confederazione USB esprime solidarietà per i 20 attivisti NO Tav colpiti ieri da provvedimenti cautelari. “Un’opera sbagliata, quella dell’Alta Velocità Torino-Lione, come sbagliati sono gli arresti e le altre misure cautelari attuati ieri a Torino”.”L’opposizione al Tav è opposizione alle speculazioni – si legge ancora – agli affari di grandi gruppi economici, allo sperpero dei soldi pubblici, allo scempio del territorio e dell’ambiente, all’attacco alla salute di intere popolazioni, all’attacco alla democrazia e alla libertà”.
Per questo l’USB, come sempre, si sente al fianco di chi “in valle” lotta per l’autodeterminazione della popolazione interessata dai lavori e per poter esprimere liberamente il proprio dissenso. Per questo l’USB auspica e richiede la scarcerazione degli arrestati, il ritiro dei provvedimenti e la smilitarizzazione della Val di Susa.
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“Decidano loro, tanto la nostra lotta è forte, lottiamo per il diritto di tutti a vivere bene – continua Dosio – lottiamo non solo per la nostra valle ma per un mondo più giusto e vivibile per tutti. Noi non abbiamo paura e non ci inginocchiamo davanti a nessuno, e quindi io a firmare non ci vado e nemmeno starò chiusa in casa ad aspettare che vengano a controllare se ci sono o non ci sono. Siamo nati liberi e liberi rimaniamo! Liberi ed uguali!”.
Sono già due gli attivisti che hanno dichiarato la loro intenzione di disobbedire alle restrizioni imposte dalla magistratura, sia per la firma giornaliera in commissariato, sia per gli arresti domiciliari: “L’obbedienza non è mai una virtù”,si legge sul sito No Tav.
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Catania 23 Giugno 2016
Al Signor Questore di Catania
Alla Signora Prefetta di Catania
Il movimento neofascista “Forza Nuova” ha deciso di scendere in piazza a Catania il prossimo Sabato 25 Giugno 2016 con una ennesima manifestazione contro i migranti. Una manifestazione che non farà altro che incrementare odio e razzismo contro chi scappa dalla guerre, dalle torture e dalle fame.
Da tempo denunciamo il rifiorire di rigurgiti fascisti, in tante forme, ma sempre con i soliti vessilli, i soliti richiami a ideologie fasciste e naziste, da tempo sconfitte e superate. Ci sarà qualcuno che abbia il coraggio di vietarle? Ci sarà qualcuno nelle istituzioni pubbliche che abbia chiara la concezione che emerge da tutta la Carta Costituzionale, di assoluta contrarietà ad ogni forma di fascismo e che ricorderà che il fascismo è anche quello delle leggi razziali e delle persecuzioni contro gli ebrei e che questo basta, da solo, per rendere penalmente illegittima, ai sensi della legge Mancino, qualunque manifestazione che a quella ideologia si richiami, o ne faccia apologia o mostri di volerne continuare, in qualunque forma, la tragica esperienza?
Vorremmo tanto che Lei Signora Prefetta e Signor Questore aveste presente la Carta Costituzionale e verificaste l’incompatibilità con essa della manifestazione preannunziata, traendone le conseguenze. Soprattutto, vorremmo che si considerasse che non si tratta (solo) di un problema di ordine pubblico, ma di coerenza con i principi costituzionali.
Noi vigileremo, per parte nostra; ma il compito fondamentale è di chi è stato delegato a garantire, ad ogni livello, l’assoluto rispetto dei fondamenti e dei principi di una Costituzione profondamente e intrinsecamente antifascista. La democrazia deve essere difesa e garantita, prima di tutto, da parte dei pubblici poteri. Ad essi ci rivolgiamo perché vogliamo che revochino questa manifestazione e non autorizzino manifestazioni future.
ANPI Provinciale Catania
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