Un appello all’OSCE contro gli arresti illegali e le torture in Ucraina da: www.resistenze.org

KPRF | kprf.ru
Traduzione da marx21.it

11/06/2016

Il testo integrale dell’appello dei deputati comunisti russi J. Lantratova e M. Shevchenko all’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) per la creazione di un gruppo di inchiesta sulle detenzioni illegali, le torture e altre violazioni dei diritti umani in Ucraina.

Stimato signor Segretario Generale,

Nei due recenti rapporti sulla situazione dei diritti umani in Ucraina a partire dal 16 novembre 2015 fino a questo momento l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), e in seguito l’Assistente Segretario Generale delle Nazioni Unite per i diritti umani Ivan Šimonović hanno confermato ufficialmente numerosissimi casi di persecuzione motivata politicamente di cittadini ucraini e di altri paesi sul territorio di questo stato.

Inoltre, pochi giorni fa la sottocommissione dell’ONU sulla prevenzione della tortura, alla ricerca di prove sui trattamenti crudeli, inumani e degradanti dei prigionieri politici in Ucraina, è stata scandalosamente costretta a interrompere la sua visita in questo paese. La ragione di un passo così fuori dall’ordinario è stato il rifiuto delle autorità ucraine a consentire ai rappresentanti delle Nazioni Unite di accedere dove, secondo quanto è emerso, i servizi speciali detengono persone illegalmente. Ciò è stato pubblicamente dichiarato dal capo della delegazione Malcolm Evans: “Non siamo stati in gradi visitare alcuni luoghi, sui quali avevamo registrato numerosissime e gravi accuse sulla detenzione di persone e su possibili torture o maltrattamenti”.

Riteniamo necessario ricordare che l’Ucraina ha ratificato il Protocollo opzionale alla Convenzione ONU “contro la tortura e gli altri trattamenti crudeli, degradanti o umilianti della dignità umana”, che deve essere adempiuto dal paese indicato senza alcuna restrizione. In particolare, l’art. 4 del Protocollo stabilisce che “Ciascuno Stato Parte, in accordo con il presente Protocollo, autorizza le visite da parte degli organismi di cui ai precedenti artt. 2 e 3 in tutti i luoghi posti sotto la sua giurisdizione e il suo controllo in cui delle persone sono o possono essere private della libertà, in virtù di un ordine dell’autorità pubblica oppure nel quadro di indagini da essa condotte o con il consenso espresso o tacito”.

Nei rapporti pubblicati nel sito del OHCHR è confermato ufficialmente il fatto che in Ucraina è comune la pratica della privazione per i prigionieri accusati di separatismo, da parte dei collaboratori del SBU(servizio di sicurezza, ndt), di contatti con le famiglie e dell’accesso agli avvocati.

“L’informazione, registrata dal OHCHR, testimonia che, che a partire dal febbraio 2016 solo nel palazzo della direzione regionale di Kharkov del SBU sono state detenute illegalmente senza comunicazione con l’esterno dalle 20 alle 30 persone”, si afferma nel rapporto delle Nazioni Unite.

La delegazione delle Nazioni Unite sottolinea che la maggior parte delle persone detenute presso la direzione di Kharkov del SBU non è stata arrestata legalmente. Nei confronti di costoro non è stata ancora presentata alcuna accusa, e nonostante ciò sono stati privati della libertà per i loro presunti legami con “gruppi armati”.

In tal modo, i rappresentanti dell’Organizzazione hanno confermato il fatto che molti cittadini  detenuti illegalmente in “prigioni segrete del SBU” (molti di questi sono detenuti unicamente in base a legami di parentela con membri dell’ “opposizione armata”) sono di fatto ostaggi del servizio di sicurezza che li utilizza per lo scambio con i militari che sono stati fatti prigionieri dalle milizie delle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk.

Non a caso, in tutto il paese dal servizio di sicurezza dell’Ucraina è stata lanciata la cosiddetta “chiamata sociale”, che fa appello a segnalare eventuali casi di “separatismo”, mentre i cittadini, al minimo sospetto di slealtà nei confronti dell’attuale governo (per messaggi “anti-ucraini” nelle reti sociali, la pubblicazione di volantini contro l’aumento delle tariffe per i servizi, il crollo della  valuta nazionale, ecc.) possono essere illegalmente privati della libertà.

Secondo le nostre informazioni, il numero dei cittadini dell’Ucraina e di altri stati detenuti illegalmente nelle “prigioni segrete del SBU” supera le 100 persone, tra le quali ci sono anche cittadini della Russia.

Ad esempio, alla fine del mese scorso a causa della pressione dei gruppi ultra-nazionalisti armati illegalmente non è stata applicata la sentenza del tribunale di Odessa in merito al trasferimento agli arresti domiciliari di Evghenya Mefedova, che era sopravvissuta miracolosamente all’incendio nella Casa dei sindacati del 2 maggio 2014. Venuto in Ucraina nel 2013 dove ha lavorato come tassista, un semplice cittadino della Federazione Russa da oltre due anni si trova in prigione con accuse inventate contro di lui. Inoltre, in base a una persecuzione motivata politicamente in merito al “caso 2 maggio” in stato di privazione della libertà si trova pure un altro russo, Maksim Sakauov.

Riteniamo importante rilevare che sulle torture nelle “prigioni segrete del SBU” hanno più volte riferito non solo i rappresentanti delle strutture ufficiali di difesa dei diritti umani, ma anche prestigiose testate internazionali, come The Times (http://www.thetimes.co.uk/edition/world/kiev-allows-torture-and-runs-secret-jails-says-un-vwlcrpsjn). Tuttavia, non ha fatto seguito la doverosa replica delle autorità ucraine su tali dimostrate pratiche antidemocratiche portate avanti in questo paese.

A questo proposito, si vuole attirare la vostra attenzione sulle massicce e sistematiche violazioni dei diritti umani da parte delle autorità ucraine, che non sono conformi ai principi della democrazia e dello stato di diritto, che sono alla base dell’organizzazione internazionale da Lei guidata.

Per questa ragione invitiamo a prendere in considerazione la creazione di un apposito gruppo di monitoraggio per un’indagine indipendente, approfondita, aperta ed equa su tutti i casi di persecuzione motivata politicamente di cittadini dell’Ucraina e di altri paesi sul territorio di questo Stato, al fine di fermare la pratica degli arresti arbitrari di massa, delle torture e delle altre innumerevoli violazioni dei diritti e delle libertà in Ucraina, e per mettere tale questione all’ordine del giorno delle prossime riunioni dell’organizzazione.

Per la fratellanza dei popoli, gliene chiederemo conto! da: www.resistenze.org

Partito Comunista (KP), Turchia | kp.org.tr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

13/06/2016

La presunta “indignazione” suscitata dalla risoluzione del parlamento tedesco sul genocidio armeno è legata alle esigenze del capitalismo turco. La reazione dell’AKP è fasulla, dal momento che il capitalismo turco ha profondi legami con la Germania.

Non è possibile per il governo mettere in discussione i rapporti commerciali, economici e militari con il capitalismo internazionale e con la Germania.

Ciò significa che la risoluzione tedesca è, per il governo AKP, solo una maniera e un mezzo per amplificare una demagogia irrazionale, nazionalistica e sciovinista. L’agenda sul genocidio è solo uno strumento di cui necessita l’AKP.

E’ abbastanza ridicolo fare riferimento al concetto di genocidio in questa misura. Quanto è stato fatto contro il nostro popolo armeno è un crimine contro l’umanità, e questo è ciò che conta per noi. Ciò che invece va fatto è di creare la coscienza sociale sul massacro, l’esilio e la cancellazione del nostro popolo armeno e chiedere ai responsabili di renderne conto. E l’analisi, la coscienza e il conto di cui farsi carico devono essere in termini di classe.

I conflitti che hanno avuto luogo tra gruppi etnici e religiosi nel corso dell’epoca moderna dell’Impero ottomano avevano le loro basi nelle contraddizioni di classe con aspetti economici, così come in altre parti del mondo.

La questione armena era esplosa come una questione riguardante la terra nel tardo XIX secolo. Il trasferimento di terre e ricchezze non derivavano dal nazionalismo. Al contrario, erano i conflitti di classe ad aver assunto una forma nazionalistica.

Proprio come gli altri elementi non-musulmani, anche la borghesia armena fu esiliata come parte del più ampio e urgente progetto di creazione di una nuova borghesia nazionale. Tale progetto non avrebbe potuto essere realizzato semplicemente appropriandosi dei beni delle classi ricche armene. Affinché tale ricchezza cambiasse di mano, contando al tempo stesso su di un sostegno di massa, era necessaria una copertura nazionalistica.

D’altra parte, le potenze imperialiste e colonialiste avevano all’ordine del giorno la questione della liquidazione dell’Impero ottomano, cosa che portava con sé innumerevoli contraddizioni e tensioni potenziali. Le differenze culturali non sono le principali cause del conflitto in sé. Eppure, esse possono facilmente essere trasformate in strumenti di repressione politica. Le grandi potenze del tempo non esitarono a intervenire nelle contraddizioni interne della società ottomana e la richiesta di democratizzazione dalla rivoluzione costituzionalista del 1908 si evolse rapidamente in disintegrazione. Quella armena è una questione di classe e il suo farla divenire una questione internazionale fa parte del piano più ampio per la ridistribuzione dell'”Est”, vale a dire della nostra regione.

Consapevolmente o inconsapevolmente, chi ha massacrato gli armeni ha servito le classi possidenti che intendevano allargare le loro terre, i capitalisti che volevano accelerare l’accumulazione primitiva di capitale e gli imperialisti che avevano posato gli occhi sulle risorse naturali della regione, mentre cercavano allo stesso tempo di ottenere vantaggi strategici. I giudizi razzisti e sciovinisti servono a mascherare tutto ciò.

Per decenni gli imperialisti sono riusciti a evitare di assumersi la colpa e con arroganza hanno fatto del riconoscimento del genocidio un nuovo strumento di manipolazione. Tali interventi continui servono a mantenere in ombra il ruolo dell’imperialismo sulla questione. Proprio come sfugge il fatto che fu lo stato imperialista tedesco dell’epoca il mentore e il pianificatore delle pratiche di deportazione e genocidio.

Tali interventi sono anche diretti a screditare la Repubblica di Turchia, fondata a seguito di una lotta antimperialista e a vanificare le speranze del nostro popolo per la creazione di un nuovo paese e di un futuro basato sull’uguaglianza e la giustizia sociale. Un paese fondato sul genocidio invece che su di una guerra d’indipendenza è senza dubbio illegittimo. Ecco perché la campagna imperialista sulla questione è diventata parte dei progetti di ricolonizzazione.

D’altra parte, l’attuale scenario aiuta le forze reazionarie a rendere ostili i popoli e funge da ancora di salvezza per i settori religiosi sciovinisti e razzisti in Turchia. Lo sciovinismo continua a riprodurre l’ostilità contro gli armeni in Turchia, i quali hanno inconfutabilmente sperimentato la peggiore tragedia delle nostre terre.

La questione non può essere affrontata solo in termini storici, dal momento che i suoi effetti segnano l’attualità! Ciò che dovrebbe essere messo in discussione non è la legittimità storica del nostro paese e del nostro popolo, ma il capitalismo, le cui fondamenta poggiano su milioni di massacrati. Illegittimo è l’imperialismo, che definisce progetti per rendere i popoli di questo paese ostili l’uno con l’altro.

Sono costoro che devono essere chiamati a risponderne. Lo devono essere per la cancellazione di uno dei più antichi popoli abitanti di queste terre, per i tentativi di screditare il nostro popolo che ha combattuto una delle prime guerre di indipendenza contro l’imperialismo. Devono essere chiamati a risponderne dai nostri popoli, insieme, spalla a spalla…

Partito Comunista, Turchia
Comitato centrale

Dichiarazione del Partito Comunista Palestinese sulla “Iniziativa francese per la pace” da: www.resistenze.org

Partito Comunista Palestinese (PCP) | lien-pads.fr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

09/06/2016

Nonostante tutte le conferenze internazionali, allo scopo di risolvere il conflitto israelo-arabo come si sostiene, la realtà dell’occupazione e della repressione non cambia.

Contrariamente a ciò, dopo la Conferenza della pace di Madrid e la firma dell’accordo di Oslo, tristemente celebre, il ritmo della colonizzazione e le procedure arbitrarie dell’occupazione si sono incrementate contro i diritti dei figli del nostro popolo. I Palestinesi non hanno ottenuto nulla, se non una flebile autorità che non possiede alcun potere sulla terra, né sul suolo, né sulle frontiere o sullo spazio aereo.

Malgrado le negoziazioni che durano da più di 25 anni, queste non hanno portato alcun miglioramento al popolo palestinese. Solamente coloro che si sono arricchiti alle spese del popolo palestinese, legando i loro interessi in forma di associazione organizzata con l’occupazione, considerano il mantenimento dell’attuale situazione come la migliore possibile per sopravvivere. Questo è il motivo per cui li troviamo tra i primi oppositori di una degna resistenza nazionale contro l’occupazione e i suoi collaboratori. Tentano di giustificarsi raccontando futili motivazioni che non possono convincere nessuno, nemmeno se stessi.

Nonostante questo, l’Autorità di Oslo resta sempre legata all’opzione dei negoziati, malgrado sia consapevole che non ha ottenuto nulla nella loro conduzione. La terra è confiscata tutti i giorni, le colonie continuano ad estendersi, la giudaizzazione di Gerusalemme e la cacciata della popolazione non si ferma, tanto che il presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas non è più in grado di proseguire nei negoziati con i governanti razzisti d’occupazione che, nel corso della storia di questa entità, hanno fatto prova di un’intransigenza senza eguali. Ma in cambio, il Presidente Mahmoud Abbas non possiede altra visione strategica che quella di inutili negoziazioni. A causa della rigidità della situazione attuale nella Palestina occupata e dell’incapacità di ottenere anche il minimo progresso, l’autorità palestinese si accontenta di far avanzare il suo approccio capitolazionista alle masse popolari. Da allora la situazione palestinese è divenuta globalmente esplosiva in Cisgiordania. Nonostante tutti i tentativi effettuati dai servizi di sicurezza palestinesi e il loro coordinamento con la sicurezza e i dispositivi di repressione sionisti, non sono riusciti a fermare minimamente la serie di attacchi suicidi individuali da parte dei giovani palestinesi che aspirano alla libertà e all’emancipazione dai loro occupanti oppressivi. Finora non sono riusciti a controllare questa nuova forma di lotta che è portatrice dei germi di una terza intifada palestinese e di una nuova direzione. Questa è separata dalle direzioni di tutte le organizzazioni palestinesi sotto le loro diverse forme. Questa direzione, se ha forza aggregante, può dirigere la lotta del popolo palestinese per la libertà e distruggere il carattere separato della decisione palestinese monopolizzata dai due lati della divisione palestinese a Gaza e nella parte occidentale. Sulla base di queste ragioni è sorta “l’iniziativa francese per la pace” come un’ancora di salvataggio per tutti al fine di salvarsi da quello che li attende. L’iniziativa francese non risponde minimamente alle aspirazioni palestinesi, poiché l’entità governativa l’ha svuotata prima ancora della sua apertura. Questa iniziativa ha imposto condizioni note per partecipare al congresso internazionale in programma che si terrà quest’anno. Ha posto questa conferenza sotto la presidenza degli Stati Uniti e ha dato la priorità alle due condizioni seguenti: la sicurezza e l’economia omettendo tutte le altre questioni urgenti, come il diritto al ritorno dei profughi, la decisione della colonizzazione e la liberazione dei prigionieri, ecc.

Masse del nostro eroico popolo, l’iniziativa francese è morta prima di nascere. Ai Palestinesi resta una sola scelta: la resistenza che hanno fatto tutti popoli colonizzati per sbarazzarsi dell’occupazione, come l’Algeria, il Vietnam, il Sud Africa fino a scorrere tutti gli esempi viventi di questi popoli che hanno ottenuto la loro indipendenza. Il nostro popolo Palestinese non ha meno capacità e resistenza di questi popoli che hanno ottenuto la loro libertà con la lotta e la resistenza, contando su se stessi e non sulle conferenze internazionali fuorvianti che sono a favore delle potenze coloniali e dell’imperialismo mondiale. Sulla base di quanto detto, noi del Partito Comunista Palestinese rifiutiamo tali iniziative sospette. Le consideriamo come un odioso tentativo di liquidare i diritti dei rifugiati Palestinesi, una risoluzione del conflitto arabo-Israeliano secondo gli interessi dell’imperialismo e del sionismo internazionale sul Medio Oriente. Chiediamo alle nostre masse popolari di non farsi indurre in errore da queste iniziative. Esse non possono condurre che ad una ulteriore repressione del popolo Palestinese e alla confisca delle sue terre sotto la copertura di un presunto processo di pace. L’unica soluzione per il nostro popolo palestinese è l’elaborazione di una strategia nazionale con l’accordo di tutte le componenti dell’azione nazionale. Questa scelta strategica deve essere resistenza e ancora resistenza e sempre resistenza.

Viva la lotta del popolo Palestinese
Libertà per i prigionieri

Partito Comunista Palestinese

(Solidnet – traduzione dall’arabo della redazione di Lien)

C’è Wall Street dietro il colpo di stato in Brasile da. wwwresistenze.org

Michel Chossudovsky | globalresearch.ca
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

01/06/2016

Il controllo sulla politica monetaria e sulle riforme macroeconomiche è stato l’obiettivo finale del colpo di stato. Le nomine chiave, dal punto di vista di Wall Street sono la Banca Centrale, che domina la politica monetaria così come gli scambi con l’estero, il Ministero delle Finanze ed il Banco del Brasile.

Per conto di Wall Street e del “consenso di Washington”, il governo post golpista ad interim di Michel Temer ha nominato un ex amministratore delegato di Wall Street (con cittadinanza americana) a capo dell’amministrazione del  Ministero delle Finanze.

Henrique de Campos Meirelles: ex presidente della FleetBoston Financial’s Global Banking (dal 1999 al 2002) ed ex capo della Banca Centrale sotto la presidenza Lula è stato nominato ministro delle finanze il 12 Maggio.

Ilan Goldfajn [Goldfein]: appena nominato a capo della Banca Centrale, era capo economista di Itaù, la più grande banca privata del Brasile. Goldfein ha stretti legami sia col Fondo Monetario Internazionale che con la Banca Mondiale. E’ compare finanziario di Meirelles.

Background storico

L’attuale sistema monetario del Brasile con il Real è pesantemente dollarizzato. Le operazioni sul debito interno favoriscono l’espansione del debito con l’estero. Wall Street è intenzionata a mantenere il Brasile dentro una camicia di forza monetaria.

Fin dal governo di Fernando Enrique Cardoso, Wall Street ha esercitato il controllo sulle nomine chiave dell’economia, incluso il Ministro delle Finanze, il Banco del Brasile e la Banca Centrale. Sotto i governi di Cardoso e di Lula, la nomina del governatore della Banca Centrale è stata approvata da Wall Street.

Le nomine di Cardoso Lula e Temer su indicazione di Wall Street

Arminio Fraga: presidente della Banca Centrale (4 marzo 1999 – 1 gennaio 2003) manager di fondi speculativi e socio di George Soros, nel Quantum Fund di New York, doppia cittadinanza brasiliana-americana.

Henrique de Campos Meirelles: Presidente della Banca Centrale, (1 gennaio 2003- 1 gennaio 2011), doppia cittadinanza brasiliana-americana.

Presidente ed amministratore delegato di Bank Boston (1996-99) e Presidente di FleetBoston Financial’s Global Banking (1999-2002). Nel 2004, FleetBoston si è fusa con  Bank America. Prima della fusione con Bank America, FleetBoston era la settima più grande banca degli USA. Bank America è attualmente la seconda più grande banca negli USA.

Dopo essere stato destituito da Dilma nel 2010, Meirelles è tornato in auge. E’ stato nominato Ministro delle Finanze dal “Presidente ad interim” Michel Temer.

Ilan Goldfajn: economista capo di Itaú, la Banca più grande del Brasile. Goldfajn [Goldfein] è stato nominato dal governo ad interim di Michel Temer a capo della Banca Centrale il 16 maggio del 2016. Doppia cittadinanza israeliana-brasiliana.

Goldfajn ha precedentemente lavorato alla Banca centrale sia sotto Arminio Fraga che sotto Henrique Mereilles. Ha stretti legami personali col Prof. Stanley Fischer, attuale vicepresidente della US Federal Reserve. Senza bisogno di dirlo, la nomina di Golfajn alla Banca centrale è stata approvata dal FMI, dal Dipartimento del Tesoro degli Usa, da Wall Street e dalla Federal Reserve.

Val la pena di evidenziare che Stanley Fischer ha precedentemente ricoperto la posizione di vice direttore amministrativo del FMI e di Governatore della Banca Centrale di Israele. Sia Fischer che Goldfajn sono cittadini israeliani ed hanno legami con la lobby filoisraeliana.

La nomina di Dilma Rouseff alla Banca Centrale che non è stata approvata da Wall Street

Alexandre Antônio Tombini: Governatore della banca Centrale (2011-2016). Funzionario di carriera del Ministero delle Finanze. Cittadinanza brasiliana.

Background storico

All’inizio del 1999, nell’immediatezza del risveglio dell’attacco speculativo contro la moneta nazionale brasiliana (il Real), il presidente della Banca Centrale Professor Francisco Lopez (che era stato nominato il 13 gennaio, il mercoledì nero del 1999) fu successivamente licenziato in tronco e sostituito da Arminio Fraga, un cittadino statunitense alle dipendenze del Quantum Fund di Soros a New York.

“La volpe era stata messa a guardia del pollaio”

Più concretamente, gli speculatori di Wall Street diventavano i responsabili della politica monetaria brasiliana.

Sotto la presidenza Lula, Henrique Campos de Meirelles è stato nominato Presidente della Banca Centrale del Brasile. Egli aveva lavorato come presidente ed amministratore delegato all’interno di uno dei più grandi istituti finanziari di Wall Street. FleetBoston era il secondo più grande creditore del Brasile, dopo Citigroup. Per dirla in breve, era in pieno conflitto di interessi. La sua nomina fu concordata prima dell’avvento di Lula alla Presidenza.

Henrique Meirelles era un fedele sostenitore del controverso Piano Cavallo del 1990 per l’Argentina: un “piano di stabilità” di Wall Street che portò nel paese il caos economico e sociale. La struttura essenziale del Piano Cavallo per l’Argentina fu replicata in Brasile con il Piano Real, vale a dire il rafforzamento di una moneta nazionale convertibile e dollarizzata (il Real). Lo schema prevedeva che il debito interno fosse trasformato in un debito esterno misurato in dollari.

Dopo l’avvento di Dilma alla Presidenza nel 2011, la nomina di Mereilles non fu confermata alla Banca Centrale.

Sovranità nella Politica Monetaria

Il ministro delle finanze Mereilles sotto il governo “ad interim” sostiene la cosiddetta “indipendenza della Banca Centrale”. La traduzione in pratica di questo falso principio prevede che il Governo non possa intervenire sulle decisioni della Banca Centrale. ma non ci sono restrizioni per le “volpi di Wall Street”.

La questione della sovranità nella politica monetaria è cruciale. L’obiettivo del colpo di Stato era quello di negare al Brasile la sovranità sulla politica macroeconomica.

Una volpe di Wall Street

Sotto la Presidenza di Dilma, la tradizione  di nominare una “volpe di Wall Street” è stata abbandonata con la nomina di Alexandre Antônio Tombini, un funzionario di carriera governativa che ha guidato la Banca Centrale del Brasile dal 2011 al maggio del 2016.

Dopo l’avvento di Michel Temer alla Presidenza “ad interim”, Henrique Campos de Meirelles è stato nominato a capo del Ministero delle Finanze. In cambio, Meirelles ha potuto nominare i suoi compagni di merende a capo della Banca Centrale ed al Banco del Brasile. Meirelles è stato descritto dai media USA come “idoneo al mercato”

Le nomine economiche di Michel Temer

Henrique de Campos Meirelles, Ministro delle Finanze.

Ilan Goldfajn, Presidente della Banca Centrale del Brasile, compagno di merende nominato da Meirelles.

Paulo Caffarelli, Banca del Brasile, compagno di merende nominato da Meirelles.

Notazioni conclusive

Ciò che interessa di questi vari meccanismi – incluse le operazioni di intelligence, la manipolazione finanziaria, la propaganda dei media – è la palese destabilizzazione della struttura istituzionale del Brasile, per non menzionare l’impoverimento di massa della popolazione brasiliana.

Gli Stati Uniti non vogliono parlare o negoziare con un governo riformista e sovrano. Ciò che vogliono è un governo accondiscendente che rappresenti gli interessi americani.

Lula era “accettabile” poiché ha seguito le istruzioni di Wall Street e del Fondo Monetario Internazionale.

Mentre sotto Rousseff ha prevalso un’agenda politica neoliberista, anche un’agenda politica riformista e populista ha potuto essere attuata con il sostegno e il supporto macroeconomico di Wall Street durante la Presidenza Lula. Secondo Heinrich Koeller, direttore amministrativo del FMI (2003) Lula era “il nostro miglior Presidente”:

“Sono entusiasta [dell’amministrazione Lula]; ma sarebbe meglio dire che sono profondamente impressionato dal Presidente Lula” (IMF Press Conference, 2003).

Sotto Lula, non c’era bisogno di un “cambio di regime”. Luis Ignacio da Silva aveva ottenuto il “consenso di Washington”.

La temporanea destituzione di Henrique de Campos Meirelles a seguito dell’elezione di Dilma Rousseff è stata cruciale. Wall Street non ha approvato le nomine di Dilma alla Banca Centrale ed al Ministero delle Finanze.

Se Dilma avesse scelto di tenersi Henrique de Campos Meirelles, il Colpo di Stato non avrebbe probabilmente avuto luogo.

Val la pena di notare che l’ex Presidente Lula, che ha una stretta relazione personale con Meirelles, aveva raccomandato alla Presidenta Dilma di nominare Meirelles alla carica di Ministro delle Finanze come rimedio per evitare il suo impeachment.

Meirelles, il Ministro delle Finanze di Temer, quello che Lula voleva per Dilma.

Il regime fantoccio degli Usa a Brasilia

Un ex presidente ed amministratore delegato di uno dei più grandi istituti finanziari americani (ed un cittadino americano) controlla le istituzioni finanziarie chiave del Brasile e predispone l’agenda macroeconomica e monetaria per una nazione di più di 200 milioni di persone.

Si chiama colpo di Stato… ad opera di Wall Street

Anpi Ravenna: Alleghiamo ultimo numero di Notizie Resistenti

 


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