Usa, spara sulla folla in locale gay di Orlando: aggressore ucciso. Sindaco: “50 morti e 53 feriti” E’ stato ucciso l’uomo che si era introdotto nel club “Pulse” di Orlando, in Florida, sparando all’impazzata. L’uomo è stato identificato: Omar Mateen, americano figlio di afghani da. rainews.it

MONDO Orlando . Lo Stato Islamico rivendica l’attentato: “era un combattente dell’Isis”. Hillary Clinton chiede maggiori controlli sulle armi da guerra come quelle usate dall’attentatore. La condanna del Papa. La solidarietà di Renzi Tweet Obama: atto di terrore e di odio Usa, in un video gli spari al club gay di Orlando: serie impressionante di colpi Usa, l’assalto al locale gay di Orlando. Un testimone: “Una serie interminabile di spari” Usa: sparatoria davanti a una scuola. Morto un teenager Los Angeles, sparatoria all’università UCLA: due vittime Washington, sparatoria alla Casa Bianca. Fermato l’attentatore e cessato l’allarme Strage in Georgia: uccise cinque persone in due sparatorie, suicida il killer 12 giugno 2016 Sarebbe stato identificato il killer autore della sparatoria al night club di Orlando della scorsa notte: lo riferisce la Cbs. Il suo nome è Omar Mateen, figlio di immigrati afghani. Nato nel 1986, l’uomo è di nazionalità americana. Secondo quanto riporta l’Nbc, l’uomo avrebbe chiamato il 911 giurando fedeltà all’Isis, prima di andare a compiere la strage. Anche il senatore repubblicano Adam Schiff, ha riferito che Omar Mateen aveva giurato fedeltà all’Isis. Schiff, membro della commissione di intelligence alla Ccamera Usa, ha citato funzionari della Homeland security. Sul web l’Amaq, l’agenzia di stampa del Califfato rivendica la strage di Orlando affermando che: l’attentatore “era un combattente dell’Isis”. Omar Mateen si è introdotto nel club per gay “Pulse” sparando all’impazzata, ed è stato poi ucciso. Il bilancio in termini di vite umane è terribile, secondo il sindaco “almeno 50 morti e 53 feriti”. Trenta gli ostaggi tratti in salvo. Secondo quanto riportano vari media americani, Omar Mateen lavorava come guardia privata per la sicurezza, era stato sposato e aveva un figlio di tre anni. Il giovane viveva a Fort Pierce, il capoluogo della contea di St. Lucie, in Florida. Secondo quanto riferisce il Daily Beast, Mateen era nato a New York e la donna con la quale è stato sposato per un breve periodo era del New Jersey. Cnn: il killer era osservato dall’Fbi Omar Seddique Mateen, era sotto l’osservazione dell’Fbi ed era una delle cento persone sospettate di essere simpatizzanti dell’Isis presenti nella lista del Federal Bureau in Orlando. E’ quanto affermano fonti della polizia alla Cnn. Il Daily Beast riferisce che Mateen divenne ‘persona di interesse’ nel 2013 e poi nuovamente nel 2014. Ad un certo punto, l’Fbi apri’ anche un’indagine su di lui, ma poi chiuse la pratica quando non comparve nulla che suggerisse il proseguimento delle indagini. Terrorismo interno o matrice islamica La polizia di Orlando ha definito la sparatoria un “attacco terroristico”, senza precisare di quale natura. Uno sceriffo locale ha parlato di “terrorismo interno”. La polizia ha anche suggerito che l’autore dell’attacco, che non era di Orlando, poteva essere ispirato da ideologie estremiste interne. Di diverso avviso l’agente della Fbi, Ronald Hoppe, che rispondendo a una domanda di un giornalista su una possibile pista islamica ha detto: “Abbiamo indicazioni che questo individuo potesse avere inclinazioni nei confronti di questa particolare ideologia”. Ma poi ha aggiunto che queste indicazioni devono essere ancora verificate e confermate. Padre killer Orlando: odio contro gay movente strage Potrebbe essere un bacio tra due gay la molla che ha fatto scattare la rabbia all’autore della strage nel gay club di Orlando. E’ quanto sostiene il padre del killer alla Nbc News. “Il movente religioso non c’entra nulla, ha visto due gay che si baciavano a Miami un paio di mesi fa ed era molto arrabbiato”, ha detto. “Siamo scioccati come il resto dell’America”, ha aggiunto. Il padre del killer, si è appreso, è un sostenitore della politica dei talebani afghani. Lo rivela il Washington Post. In passato l’uomo ha condotto una trasmissione tv chiamata ‘Durand Jirga’ sul canale ‘Payam-e-Afghan’, in onda dalla California. In uno dei suoi video rintracciabili su YouTube, Mateen esprime sostegno ai talebani: “I nostri fratelli del Waziristan, i nostri guerrieri nel movimento e i talebani dell’Afghanistan stanno risollevandosi”. Trump attacca Il candidato repubblicano Donald Trump, ore dopo la sparatoria in un night club di Orlando, ha ribadito di aver ragione per quanto riguarda “il terrorismo islamico radicale”. “Apprezzo le congratulazioni per aver avuto ragione sul terrorismo radicale islamico – ha scritto su Twitter – Ma non voglio congratulazioni, voglio durezza e vigilanza. Dobbiamo essere svegli”. Hillary Clinton chiede maggiori controlli sulle armi da guerra “Dobbiamo tenere le armi, come quelle usate la scorsa notte, lontano dalle mani di terroristi e altri violenti criminali. questa e’ la sparatoria di massa peggiore degli Stati Uniti e ci ricorda ancora una volta che non c’e’ posto per le armi da guerra sulle nostre strade”. Lo si legge in una dichiarazione diffusa da Hillary Clinton sulla strage di Orlando, in cui la candidata democratica sottolinea come si sia trattato di un “atto di terrore e odio”, un attacco “ad un locale lgbt nel mese dell’orgoglio”. La dinamica dell’attentato Qualche minuto prima che scattasse l’assalto della polizia all’interno del locale, un reporter di una tv locale ha riferito di una forte esplosione. Il giornalista ha raccontato di un ordigno fatto brillare dalla polizia che, infatti, era arrivata sul luogo dell’attacco con i cani anti-bomba. Sul luogo sono stati trovati una pistola e un fucile mitragliatore d’assalto Ar-15. Sui social le foto dei feriti a terra fuori da club Ambulanze, polizia e corpi a terra o sulle barelle. Sono le immagini che hanno inondato Facebook e Twitter, scattate da chi è riuscito a scappare dal Pulse club. Secondo i testimoni c’erano almeno 100 persone all’interno del club quando sono iniziati i colpi, che si sentono chiaramente in un video postato sempre su Twitter che riprende il parcheggio del locale Terrore al “Pulse” L’uomo ha fatto irruzione nel club sparando all’impazzata e barricandosi all’interno con un numero imprecisato di ostaggi. Decine di veicoli di emergenza hanno circondato la discoteca nel giro di pochi minuti e da subito si è avuta notizia che molte persone erano state colpite. Appena poche ore dopo l’uccisione al termine di un concerto di Christina Grimmie, la città di Orlando, in Florida, è tornata così al centro delle cronache. “Ero li’. L’uomo ha aperto il fuoco intorno alle 2 di notte. La gente sulla pista da ballo si è buttata a terra e alcuni di noi che erano vicino al bar e all’uscita sono riusciti a raggiungere l’esterno”, ha scritto un uomo, Ricardo J.Negron Almodovar su Twitter raccontando l’accaduto. “Siamo corsi fuori. Io sono sano e salvo a casa. Spero che anche gli altri stiano bene”. Altri ostaggi hanno chiesto aiuto con messaggi sul social. “Quattro di noi sono ancora nascosti – scrive uno di loro – le luci sono spente nel club. I poliziotti sono qui, ma non sono ancora entrati”. Sulla pagina Facebook del club, quando l’uomo ha fatto irruzione, era stata postata la scritta: “Uscite dal locale e mettetevi a correre”. Strage Orlando: condanna e dolore da Papa Francesco “La terribile strage avvenuta ad Orlando, con un numero altissimo di vittime innocenti, ha suscitato nel Papa Francesco e in tutti noi i sentimenti più profondi di esecrazione e di condanna, di dolore e di turbamento di fronte a questa nuova manifestazione di follia omicida e di odio insensato. Il Papa Francesco si unisce nella preghiera e nella compassione alla sofferenza indicibile delle famiglie delle vittime e dei feriti e li raccomanda al Signore perché possano trovare conforto”. Lo ha detto padre Federico Lombardi. Renzi: atroce strage, vicini a fratelli americani “Solidarietà e commozione del governo italiano per l’atroce strage di #Orlando in Florida. Il nostro cuore è con i nostri fratelli americani”. Lo scrive su twitter il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Usa-spara-sulla-folla-in-un-locale-gay-aggressore-ucciso-Sindaco-Orlando-50-morti-e-53-feriti-354b208d-172f-4ff3-807a-88dde8bcbe7d.html

“Un sindacato democratico e di classe che continuerà a battersi contro l’accordo del 10 gennaio”. Intervista (audio) doppia a Bellavita e Tomaselli Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Un sindacato di classe e democratico basato non più sugli attacchi a Cgil, Cisl e Uil ma su pratiche profondamente diverse da quelle organizzzioni sindacali. Un sindacato che ha dovuto aderire all’accordo del 10 gennio 2014 ma che continuerà a fare battaglia sindacale per il suo superamento. 
E’ questo in sintesi il quadro che viene fuori dalla doppia intervista a Fabrizio Tomaselli (esecutivo nazionale Usb) e Sergio Bellavita, ex Cgil ora approdato a Usb.
L’intervista (
qui) è stata realizzata alla fine dell’assemblea che si è tenuta ieri a Roma

Giornalismo, il 15 giugno manifestazione a Montecitorio contro il reato di diffamazione Autore: redazione da: controlacrisi.org

Si terrà mercoledì 15 giugno dalle ore 16 alle ore 19 davanti al Parlamento, sotto l’obelisco di Montecitorio. Sono invitati a partecipare i giornalisti e i cittadini interessati ad ottenere un’informazione completa, corretta e senza condizionamenti. Ora basta: per far tacere i giornalisti e non farli lavorare in un clima di libertà da tempo è invalso l’uso di minacciarli di querele per diffamazione a mezzo stampa, reato che prevede non solo la sanzione pecuniaria, ma anche la possibilità di una richiesta risarcitoria di qualsiasi importo e, dulcis in fundo, il carcere fino a 6 anni. E che NON prevede la “prova liberatoria”, ovvero chi è accusato non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona che si ritiene offesa. Per accusare di diffamazione a mezzo stampa basta che qualcuno si ritenga messo in cattiva luce da un articolo o da un servizio giornalistico e l’autore del pezzo si trova subito incastrato in un girone infernale che lo porta ad incaricare immediatamente un avvocato a proprie spese, a seguire poi il lunghissimo iter processuale che gli fa perdere tempo e denaro, a rischiare il posto di lavoro e il grande valore aggiunto della credibilità personale. E tutto questo in ogni caso, anche se alla fine si viene dichiarati innocenti.

“C’è stata una goccia che ha fatto traboccare il vaso” commentano gli organizzatori: “il tentativo della Commissione Giustizia del Senato di inserire nel Disegno di Legge sul contrasto alle intimidazioni ai danni degli amministratori locali, una norma che nulla aveva a che vedere con l’argomento in oggetto e che prevedeva l’aumento dal 30 al 50% della pena detentiva per il reato di diffamazione a mezzo stampa, dunque arrivando a 9 anni di carcere per i giornalisti, qualora i querelanti fossero politici, magistrati o amministratori pubblici. Una norma tra l’altro in contrasto con un altro Disegno di Legge, presentato nel 2013 e di fatto fermo ora sempre al Senato, in cui si parlava invece di depenalizzare il medesimo reato.

La manifestazione – tengono a precisare i componenti del Comitato organizzativo – è libera, autonoma e non ha alcun colore, non segue alcun gruppo precostituito, non segue alcuno schieramento né politico né giornalistico. Abbiamo invitato ad aderire tutte le istituzioni e i gruppi organizzati di giornalisti. Può partecipare CHIUNQUE, anche per lanciare un segnale di unità e condivisione su un tema tanto delicato come la libertà di stampa, correlata al diritto dei cittadini di essere informati”.

L’ideologia di Renzi: la libertà di licenziare non ha tolto i diritti Fonte: il manifestoAutore: Roberto Ciccarelli

Jobs Act. Jobs Act. Istat: +242 mila occupati su base annua, ma per il governo i conti non tornano. Visto che i tagli degli sgravi alle imprese hanno diminuito le assunzioni nel 2016, Renzi trucca le carte. La stella polare è il liberismo: la libertà di licenziare permette agli imprenditori di assumere. Falso: gli imprenditori hanno assunto qualcuno perché Renzi gli ha dato 14-22 miliardi a spese del bilancio statale.

Per l’Istat il Jobs Act ha prodotto 242 mila occupati in più in un anno, tra il primo trimestre del 2015 e il periodo analogo del 2016. Renzi, che prova a darsi coraggio prima della batosta che lo aspetta ai ballottaggi del 19 giugno, ha preso fiato (corto) e haprovato a dare qualche colpo alla cyclette della propaganda.

Con il tono della vittima, stavolta ha fatto riferimento al «rancore ideologico» di chi lo critica, sulla base dei dati. «Qualsiasi paese che non vive di rancore ideologico dovrebbe accogliere questi dati con uno sguardo sorridente». Con l’aria di chi porta la verità, e rischiara il cielo dagli stormi dei «gufi» che lo attaccano, Renzi ha combinato almeno altri due pasticci ideologici. Il primo è dovuto alla sua ormai leggendaria incapacità di comprendere i dati sull’occupazione: non solo non ha capito che i dati diffusi ieri dall’Istat riassumono l’andamento annuale, ma per dare fiato alla sua corsa stanca è arrivato a citare i dati dal febbraio 2014: «sono 455 mila posti in più, oltre 390 mila a tempo indeterminato» ha detto ieri davanti alla platea di Confcommercio.

Il presidente del Consiglio si riferisce dunque a un periodo antecedente all’entrata in vigore del suo Jobs Act (7 marzo 2015) e estende gli effetti della sua presunta pozione magica all’inizio del suo mandato, quando defenestrò il suo compagno di Pd Enrico Letta, con l’avallo di Napolitano.

Dopo avere mescolato le pere con le mele, Renzi è arrivato al sodo: ebbene, a suo avviso, questi «455 mila posti in più» sono dovuti proprio al Jobs Act: «Avere cancellato l’articolo 18 non ha tolto diritti, non ha permesso di licenziare ma di assumere». Un capolavoro ideologico: Renzi non dice che le nuove assunzioni dei «precariamente stabili» con il Jobs Act sono dovute ai 14-22 miliardi di euro che ha regalato alle imprese ai danni del contribuente . Ma dice che le imprese assumono perché sono sicure di essere libere di licenziare. Nascondere la realtà, e distorcerla, sono operazioni di un certo tipo di ideologia.

L’ossessione con la quale Renzi ribadisce questa lettura dell’operato del suo governo rivela un rancore, ancora non elaborato, contro la realtà. I dati della «lettura integrata» sul mercato del lavoro fornita ieri dall’Istat parlano di un contributo «decisivo» dell’occupazione dipendente a tempo indeterminato, una sostanziale stagnazione del tasso di disoccupazione (11,6%) e ribadiscono il già noto: la ripresa dell’occupazione è trainata dagli over 50, cioè coloro a cui la riforma Fornero ha allungato l’età pensionabile . Dunque, altro che Jobs Act.

Non solo: continua a ridursi l’occupazione in valori assoluti nella fascia d’età più produttiva: quella tra i 35 e i 49 anni, anche se il relativo tasso aumenta di 0,2 punti. Si allargano i divari di genere: gli occupati maschi sono il triplo delle donne (180 mila contro 62 mila); crescono i classici divari territoriali: l’occupazione è più consistente nel Nord e nel Centro (+0,9 e 0,8, meno al Sud (+0,6). Peggiora la condizione delle partite Iva e sembra migliorare la precarietà dei più giovani.

Questi dati non bastano a comprendere ancora gli effetti del Jobs Act. Nonostante le promesse, il governo non ha ancora trovato la soluzione a un problema tutto italiano: non esiste una fonte unica di rilevazione. Oltre all’Istat, ci sono il ministero del lavoro e l’Inps a darli. È a quest’ultimo che bisogna ricorrere per capire meglio i risultati del Jobs Act. Il 18 maggio scorso l’Inps ha rilevato che il taglio degli sgravi alle imprese nel 2016 ha fatto crollare i contratti a tempo indeterminato del 33%, il saldo è a meno 77%. Il record è dei voucher: +45% nel 2016.

L’occupazione è inferiore al peggiore anno della crisi: il 2014. Nel primo trimestre del 2016 i contratti a tempo indeterminato sono crollati di 51mila unità, contro i 225mila di un anno fa. Dunque 162 mila in meno, proprio nell’anno dei contributi più alti. I 14 miliardi preventivati, ma forse in crescita, di incentivi pubblici alle imprese rappresentano oggi un trasferimento di ricchezza al capitale. Le perdite sono di tutti, i guadagni sono di pochi.

Lavoro, la «segregazione» all’italiana Fonte: Il ManifestoAutore: Riccardo Chiari

Con il ricatto della Bossi Fini sempre pendente come una spada di Damocle sul proprio futuro, gli immigrati in Italia hanno affrontato gli anni della grande crisi caricandosi sulle spalle più di un peso, e riuscendo comunque a produrre sempre più ricchezza.

Pagando però prezzi molto salati. A partire dal salario, più basso di circa un quarto rispetto allo stipendio dei lavoratori italiani (-24,2%), con un differenziale che arriva al -27,6% per le donne.

E con, in parallelo, la conferma di una vera e propria segregazione occupazionale che, al di là del titolo di studio, li porta invariabilmente a lavorare nei settori «a basso valore aggiunto»: dai servizi alla persona all’agricoltura, passando per il comparto delle costruzioni e gli impieghi in alberghi e ristoranti. Settori dove la concorrenza con l’offerta di lavoro degli autoctoni – al di là dei deliri leghisti – risulta marginale. E dove comunque gli immigrati sono stati i primi ad essere sacrificati nel momento in cui la crisi azzannava.

È nitida la fotografia che emerge dallo studio «Le conseguenze della crisi sul lavoro degli immigrati in Italia», realizzato dalla Fondazione Di Vittorio della Cgil nell’ambito delle attività dell’Osservatorio sulle migrazioni, che ha analizzato le condizioni dei lavoratori stranieri occupati in Italia nel quinquennio 2011-2015.

«Dal punto di vista della “segregazione occupazionale” non ci sono novità – osserva Sally Kane, responsabile del Dipartimento politiche immigrazione della Cgil – gli immigrati fanno perlopiù i lavori più umili. Ma fanno anche quelli più pericolosi, basta vedere i dati degli infortuni sul lavoro.Resta confermato anche che guadagnano meno, a parità di impiego, degli autoctoni. Piuttosto, con la crisi, sono stati loro i primi a essere espulsi dal mercato del lavoro – spiega Kane – mentre là dove l’occupazione è stata mantenuta, come nell’agricoltura, è aumentato il lavoro nero, ed è aumentato quindi il differenziale retributivo».

Pur contribuendo sempre di più a produrre ricchezza (arrivata oggi all’8,6% del Pil nazionale), nella pratica un lavoratore immigrato dipendente a tempo pieno guadagna in media 362 euro netti meno di un italiano: tra gli uomini -350 euro, e tra le donne -385 euro.

Quanto al tasso di disoccupazione, nel 2015 è stato più alto di quasi cinque punti rispetto alla forza lavoro autoctona (16,2% contro 11,4%, vedi sotto). Così come sono aumentate precarietà e part-time involontario.

«Non solo – puntualizza Sally Kane – dalle analisi di Emanuele Galossi, un ricercatore molto bravo, emerge come ad esempio nel settore della logistica merci, che attira molti immigrati, con i cambi di appalto i lavoratori siano costretti ad accettare livelli contrattuali inferiori, o anche diminuzioni di orario di lavoro. Di qui le minori retribuzioni, accettate per forza di cose da chi non può permettersi, a causa della Bossi Fini, di perdere l’impiego».

Nella ricerca si segnala come l’incidenza degli immigrati sul totale degli occupati sia arrivata comunque al 10,5%, con un aumento dell’1,5% (+329 mila unità).

Al tempo stesso il tasso di disoccupazione nel 2015 è stato più alto di quasi cinque punti percentuali rispetto a quello relativo alla forza lavoro italiana (16,2% contro 11,4%). È stato evidenziato peraltro come il tasso di sofferenza occupazionale – un indicatore che comprende disoccupati, cassintegrati e scoraggiati disponibili a lavorare – degli immigrati è stato nel 2015 pari al 15% (604 mila persone), 3,2% sopra quello italiano. Mentre il tasso di disagio (precari e part time involontari sul totale degli occupati di 15-64 anni) è arrivato al 30% (706 mila persone), quasi il doppio di quello italiano.

Infine il tema delle professioni e delle qualifiche: gli immigrati sono occupati nella maggior parte dei casi con mansioni poco qualificate, nonostante che oltre la metà di loro risieda in Italia da oltre dieci anni.

Le prime dieci professioni in cui sono impiegati (fra cui pulizie, servizi domestici, facchini, braccianti, ecc.) coprono quasi due terzi dell’occupazione straniera (63%) contro poco più di un quinto di quella italiana (21%).

Deforma Renzi, protesta del Comitato per il No con una lettera a Boldrini e Grasso: “La propaganda del Governo dilaga” Autore: redazione da: controlacrisi.org

Matteo Renzi interviene pressoché quotidianamente nelle trasmissioni del servizio pubblico per sostenere il voto favorevole al referendum. Per contro all’illustrazione delle ragioni di “merito” in favore del No sono stati finora concessi solo degli spazi infinitesimali.
Alessandro Pace, presidente del Comitato per il No nel referendum costituzionale, ha preso carta e penna e ha scritto ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Pietro Grasso. Nella lettera, il professor Pace, sollecita un loro «autorevole e sensibile intervento sulla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi pubblici radiotelevisivi perché si riunisca in tempi brevi e finalmente affronti il grave problema posto dal macroscopico squilibrio informativo a danno delle ragioni del No».