Comitato provinciale ANPI Catania 10 Giugno Venerdì ore 18 presso CGIL

Il 10 Giugno Venerdì ore 18 presso salone CGIL è convocata la riunione del comitato provinciale

o.d.g

Referendum Italicum attività da svolgere come ANPI dopo raccolta firme Referendum

varie ed eventuali

Cordiali saluti

La presidente Santina Sconza

Scritti sulla rivoluzione culturale proletaria (Parte seconda) da: wwwresistenze.org

 
Mao Tse-tung | bibliotecamarxista.org

A 50 anni dalla Rivoluzione culturale proletaria proponiamo alcuni scritti da: Mao Tse-tung, Opere, Edizioni Rapporti sociali, Milano, 1991.

Parte seconda

– 16/05/1966, Circolare del 16 maggio
– 01/08/1966, Lettera alle guardie rosse della scuola media dell’università Chinghua
– 08/08/1966, I sedici punti

Parte prima
– 17/03/1966, Sul bisogno di una grande rivoluzione culturale
– 18/04/1966, Innalziamo la grande bandiera rossa del pensiero di Mao Tse-tung; partecipiamo attivamente alla grande rivoluzione culturale socialista

Circolare del 16 maggio

16/05/1966

Lettera circolare del Comitato centrale del Partito comunista cinese.

Agli uffici regionali del Comitato centrale, ai comitati provinciali, municipali e delle regioni autonome, ai dipartimenti e alle commissioni dipendenti dal Comitato centrale, alle cellule e ai comitati di partito negli organismi statali e nelle organizzazioni popolari, al Dipartimento politico generale dell’Esercito popolare di liberazione.

Il Comitato centrale decide di:
– revocare lo Schema di rapporto sull’attuale dibattito accademico redatto dal Gruppo dei cinque incaricato della Rivoluzione culturale, approvato e messo in circolazione il 12 febbraio 1966;
– sciogliere il Gruppo dei cinque incaricato della Rivoluzione culturale e i servizi che fanno capo ad esso;
– costituire un nuovo Gruppo del Comitato centrale per la Rivoluzione culturale posto alle dirette dipendenze del Comitato permanente dell’Ufficio politico.

Lo schema di rapporto elaborato dal Gruppo dei cinque è profondamente errato. Esso si oppone alla linea definita dal Comitato centrale e dal compagno Mao Tse-tung per la Rivoluzione culturale socialista e si oppone alla direttiva sulle classi e la lotta di classe nella società socialista, formulata nel 1962 alla decima sessione plenaria dell’ottavo Comitato centrale del partito. Professando un falso servilismo, questo schema di rapporto in realtà si contrappone ostinatamente alla grande Rivoluzione culturale lanciata e diretta personalmente dal compagno Mao Tse-tung, oltre che alle istruzioni sulla critica a Wu Han da lui formulate in occasione della conferenza di lavoro del Comitato centrale, svoltasi nei mesi di settembre e ottobre del 1965 (cioè nel corso della sessione del Comitato permanente dell’Ufficio politico del Comitato centrale, cui assistevano i compagni responsabili degli Uffici regionali del Comitato centrale).

Lo schema di rapporto del cosiddetto Gruppo dei cinque non è in realtà che il rapporto del solo Peng Chen; egli lo ha elaborato in gran segreto secondo le sue idee e all’insaputa del compagno Kang Sheng, membro del gruppo e degli altri compagni. Peng Chen non ha mai sollevato discussioni né proceduto a scambi di opinioni all’interno del Gruppo dei cinque in merito a questo documento, che pure tocca problemi di importanza capitale per tutto l’insieme della rivoluzione socialista; non ha chiesto il parere di nessun comitato locale di partito, né ha chiarito che questo schema doveva essere inviato al Comitato centrale per essere approvato prima di diventare un documento ufficiale; ancor meno ha ottenuto l’approvazione del compagno Mao Tse-tung, presidente del Comitato centrale. Ricorrendo ai metodi più scorretti, Peng Chen ha agito in modo arbitrario, ha abusato dei suoi poteri e, usurpando il nome del Comitato centrale, si è affrettato a far circolare questo documento in tutto il partito.

I principali errori di questo schema di rapporto sono i seguenti.

1. Partendo da posizioni borghesi e da una concezione borghese del mondo, nel valutare la situazione e la natura della critica in corso in tutto il settore accademico, lo schema rovescia completamente il rapporto tra il nemico e noi, mettendo l’uno al posto dell’atro. Nel nostro paese la grande Rivoluzione culturale proletaria ha preso slancio e si sviluppa con impeto, facendo a pezzi le posizioni ideologiche e culturali decadenti della borghesia e i residui di feudalesimo. Ora, invece di incoraggiare tutto il partito a mobilitare senza riserve le masse degli operai, dei contadini e dei soldati e di tutti coloro che si battono per una cultura proletaria perché tengano duro in questa lotta, questo schema fa di tutto per far deviare il movimento verso destra. Con un linguaggio confuso, contraddittorio e ipocrita, esso vuole offuscare l’acuta lotta di classe che è attualmente in corso sul fronte culturale e ideologico e in particolare esso vuole offuscare l’obiettivo di questa grande lotta, che è criticare e ripudiare Wu Han e i numerosi rappresentanti antipartito e antisocialisti della borghesia (un buon numero dei quali si trova anche in seno al Comitato centrale e ai suoi organismi, come pure in seno a organizzazioni governative e di partito a livello centrale, provinciale, delle municipalità e delle regioni autonome). Non menzionando di proposito ciò che il presidente Mao ha sottolineato a più riprese e cioè che il punto essenziale dell’opera teatrale di Wu Han La destituzione di Hai Jui è il problema della destituzione dal suo incarico, lo schema di rapporto mira a nascondere il carattere assolutamente politico di questa lotta.

2. Lo schema viola il principio fondamentale del marxismo secondo il quale ogni lotta di classe è una lotta politica. La stampa aveva appena iniziato ad affrontare i problemi politici insiti nell’opera teatrale di Wu Han La destituzione di Hai Jui che già gli autori dello schema arrivarono a dire: “Le discussioni sui giornali e sulle riviste non devono limitarsi ai problemi politici, ma entrare nel merito delle diverse questioni accademiche e teoriche che vi sono connesse”. A proposito della critica a Wu Han, hanno anche affermato in diverse occasioni che non era permesso arrivare al nodo del problema; in altre parole, non si poteva toccare la questione della destituzione degli opportunisti di destra avvenuta nel corso della riunione di Lushan del 1959, né quella delle attività antipartito e antisocialiste di Wu Han e soci. Il compagno Mao Tse-tung ci ha spesso ripetuto che la lotta contro la borghesia sul piano ideologico è una lotta di classe di lunga durata che non può risolversi tirando conclusioni politiche affrettate. Tuttavia Peng Chen ha deliberatamente messo in giro delle voci in tal senso, dicendo a numerose persone che, secondo il presidente Mao, nel giro di due mesi si sarebbe potuti giungere a delle conclusioni politiche in merito alla critica a Wu Han. Peng Chen ha detto anche che i problemi politici potevano essere affrontati nel giro di due mesi. Il suo scopo era di incanalare la lotta politica in corso nell’ambito culturale, nella sfera delle discussioni puramente accademiche così spesso raccomandate dalla borghesia. Ciò significa, chiaramente, porre l’accento sulla politica borghese e rifiutarsi di mettere al primo posto la politica proletaria.

3. Lo schema insiste in modo particolare sulla necessità di incoraggiare la “libertà di espressione”; ma, con un gioco di prestigio, altera grossolanamente la politica di “libertà di espressione” spiegata dal compagno Mao Tse-tung in occasione della conferenza nazionale del partito sul lavoro di propaganda del marzo del 1957 e nega il contenuto di classe di quella politica di “libertà di espressione”. Trattando di tale politica, il compagno Mao Tse-tung sottolineò giustamente: “Dobbiamo ancora condurre una lunga lotta contro l’ideologia borghese e piccolo-borghese. Sarebbe un errore non comprendere ciò e rinunciare alla lotta ideologica. Tutte le idee erronee, tutte le erbe velenose, tutti i fantasmi e i mostri devono essere criticati; in nessuna situazione dobbiamo lasciar loro campo libero”. Il compagno Mao Tse-tung disse anche: “Libertà di espressione significa permettere a tutti di esprimere liberamente le proprie opinioni, in modo che tutti osino parlare, osino criticare e osino discutere”. Invece lo schema contrappone la “libertà di espressione” alla denuncia da parte del proletariato delle posizioni reazionarie della borghesia. Ciò significa che la politica di “libertà di espressione” non è che una politica di liberalizzazione borghese, che permetterebbe solo alla borghesia di esprimere liberamente le sue opinioni, ma non garantirebbe al proletariato la “libertà di esprimersi” e di contrattaccare; in altre parole, essa sarebbe uno scudo protettivo per i rappresentanti della borghesia reazionaria del genere di Wu Han. La politica di “libertà di espressione”, così come viene formulata da questo schema, si contrappone al pensiero di Mao Tse-tung e risponde alle esigenze della borghesia.

4. Quando abbiamo cominciato a reagire ai violenti attacchi della borghesia, gli autori dello schema hanno lanciato la parola d’ordine: “Davanti alla verità siamo tutti uguali”. Questa è una parola d’ordine borghese. Negando completamente il carattere di classe della verità, essi la utilizzano per proteggere la borghesia e opporsi al proletariato, al marxismo-leninismo e al pensiero di Mao Tse-tung. Nella lotta tra il proletariato e la borghesia, tra la verità del marxismo e i fallaci sofismi della borghesia e di tutte le altre classi sfruttatrici, o il vento dell’est prevale sul vento dell’ovest o il vento dell’ovest prevale sul vento dell’est e non si può assolutamente parlare di uguaglianza. Si può forse ammettere una qualche equidistanza in questioni così basilari come la lotta del proletariato contro la borghesia, la dittatura del proletariato sulla borghesia, la dittatura del proletariato nella sovrastruttura, ivi compresi tutti i settori della cultura e i continui sforzi del proletariato di eliminare i rappresentanti della borghesia che si sono infiltrati nel partito comunista e agitano la “bandiera rossa” per opporsi alla bandiera rossa? I vecchi socialdemocratici, all’opera da qualche decina d’anni e i revisionisti moderni da oltre un decennio non hanno mai ammesso l’uguaglianza del proletariato con la borghesia1. Essi negano categoricamente che la storia millenaria dell’umanità sia una storia di lotta di classe. Negano categoricamente la lotta di classe del proletariato contro la borghesia, la rivoluzione proletaria contro la borghesia e la dittatura del proletariato sulla borghesia. Sono, al contrario, fedeli lacchè della borghesia e dell’imperialismo. Insieme alla borghesia e all’imperialismmo si aggrappano ostinatamente al sistema ideologico borghese che opprime e sfrutta il proletariato e al modo di produzione capitalista e si oppongono all’ideologia marxista-leninista e al sistema socialista. Sono un gruppo di controrivoluzionari, nemici del partito comunista e del popolo. La lotta che conducono contro di noi è una questione di vita o di morte, in cui non c’è ombra di uguaglianza. Perciò, anche la nostra lotta contro di loro non può che essere una questione di vita o di morte e i nostri rapporti con loro non possono essere in nessun modo rapporti di uguaglianza. Ma al contrario, sono rapporti di oppressione di una classe sull’altra, ossia rapporti di dittatura del proletariato sulla borghesia. Non può esserci altro tipo di rapporto, né un rapporto di cosiddetta uguaglianza, né di coesistenza pacifica tra classi sfruttatrici e classi sfruttate, né di benevolenza o magnanimità.

5. Nello schema si afferma che “è necessario non solo battere l’avversario politicamente, ma anche superarlo veramente e batterlo sul piano accademico e professionale con largo margine”. Anche questa idea, che non fa alcuna distinzione di classe sulle questioni accademiche, è assolutamente errata. Essendosi impadronito della verità sui problemi accademici, la verità del marxismo-leninismo, la verità del pensiero di Mao Tse-tung, il proletariato ha già di gran lunga superato e battuto la borghesia. La formula avanzata nello schema rivela che i suoi autori esaltano le sedicenti autorità accademiche della borghesia e tentano di rilanciare il loro prestigio, mentre odiano e soffocano le nuove forze militanti che rappresentano il proletariato negli ambienti accademici.

6. Il presidente Mao ha spesso sottolineato che senza distruzione non esiste costruzione. La distruzione significa critica e rifiuto, significa rivoluzione. Ciò implica ragionare sulle cose e questo è costruzione. Mettiamo la distruzione al primo posto e in questo processo maturerà la costruzione. È nella lotta per la distruzione del sistema ideologico borghese che è nato e si è costantemente sviluppato il marxismoleninismo e il pensiero di Mao Tse-tung. Questo schema, invece, sottolinea che “senza costruzione, non può esserci vera e completa distruzione”. Ciò equivale in realtà a interdire la distruzione dell’ideologia borghese e a proibire la costruzione di un’ideologia proletaria. Il che è diametralmente opposto al pensiero del presidente Mao. Ciò va contro la lotta rivoluzionaria che stiamo conducendo sul fronte culturale per una radicale distruzione dell’ideologia borghese. Ciò equivale a impedire al proletariato di fare qualunque rivoluzione.

7. Nello schema si afferma che “non ci si deve comportare come despoti della cultura che agiscono sempre arbitrariamente e tentano di opprimere il popolo con il loro potere” e che “dobbiamo guardarci dalla tendenza dei lavoratori di sinistra degli ambienti accademici di prendere la via degli esperti e dei despoti borghesi della cultura”. Che significa “despoti della cultura”? Chi sono questi despoti? Il proletariato non deve forse esercitare la sua dittatura e imporla alla borghesia? Il lavoro accademico del proletariato non deve forse sopraffare e sradicare quello della borghesia? E se il lavoro accademico del proletariato sopraffà e sradica il lavoro accademico della borghesia, può essere questo considerato un atto di “tirrania culturale”? Lo schema di rapporto dirige la punta della sua lancia contro la sinistra proletaria. Il suo scopo è evidentemente quello di bollare i marxisti-leninisti come “despoti della cultura” e appoggiare così i veri despoti borghesi della cultura, al fine di puntellare la loro vacillante posizione di monopolio negli ambienti accademici. In realtà, coloro tra i responsabili del partito che hanno imboccato la via del capitalismo e che appoggiano i despoti borghesi della cultura e quei rappresentanti della borghesia che, infiltratisi nel partito, proteggono i despoti borghesi della cultura, sono loro i grandi despoti che hanno usurpato il nome del partito; essi non leggono né libri, né giornali, non hanno nessun contatto con le masse, sono privi di ogni conoscenza e fanno assegnamento soltanto sul fatto di “agire arbitrariamente e di tentare di opprimere il popolo con il loro potere”.

8. Animati da intenti inconfessabili, gli autori dello schema chiedono una “campagna di rettifica” contro la sinistra di classe in un deliberato tentativo di creare confusione, di oscurare la linea di demarcazione tra le classi e sviare il popolo dall’obiettivo della lotta. Pubblicando in fretta e furia il loro schema, lo scopo principale che si erano proposti era quello di attaccare la sinistra proletaria. Sono usciti dalla loro sfera di competenza per costruire dei dossiers sulla sinistra, hanno cercato pretesti di ogni specie per attaccarla e hanno tentato d’intensificare la loro offensiva con una “campagna di rettifica”, nella vana speranza di disgregarne le file. Si sono categoricamente opposti alla chiara politica formulata dal presidente Mao di proteggere e appoggiare la sinistra e di attribuire la dovuta importanza alla sua formazione e al suo sviluppo. D’altro lato, essi hanno conferito il titolo di “tenaci elementi di sinistra” a quei rappresentanti della borghesia, a quei revisionisti e a quei traditori che si sono infiltrati nelle file del partito e li hanno presi sotto la loro protezione. Con questi metodi hanno tentato di esaltare l’arroganza della destra borghese e di smorzare l’energia della sinistra proletaria. Essi nutrono un odio profondo per il proletariato e un amore altrettanto profondo per la borghesia. È questa, per gli autori dello schema, la concezione borghese della fratellanza.

9. Nel momento in cui il proletariato ha appena iniziato una nuova e violenta lotta contro i rappresentanti della borghesia sul fronte ideologico e bisogna aggiungere che in molti campi e in molte località la lotta non è ancora neppure partita o, anche se è iniziata, la maggioranza dei comitati di partito ha una assai scarsa consapevolezza del proprio ruolo dirigente in questa grande lotta e la sua guida è tutt’altro che cosciente ed efficace, in questo preciso momento lo schema sottolinea ripetutamente che la lotta dev’essere “guidata”, che dev’essere condotta con “accortezza” e “prudenza” e con “l’approvazione degli organismi dirigenti competenti”. Tutto ciò mira a porre alla sinistra proletaria delle restrizioni, a imporle clausole e divieti al fine di legarla mani e piedi e di frapporre ostacoli d’ogni specie sulla via della Rivoluzione culturale proletaria. Insomma, gli autori dello schema si stanno precipitando ad azionare i freni e a lanciare una controffensiva per prendersi la rivincita. Essi nutrono un odio feroce per gli articoli già pubblicati dalla sinistra proletaria contro le “autorità” borghesi reazionarie e si oppongono alla pubblicazione di quelli non ancora apparsi. Ma, in compenso, lasciano campo libero a ogni genere di spettri e di mostri che da molti anni abbondano sui nostri giornali, nelle trasmissioni, nelle pubblicazioni, nei libri, nei manuali, nelle piattaforme, nelle opere letterarie, nel cinema, nel teatro, nelle arti popolari, nelle arti figurative, nella musica, nella danza, ecc. e, facendo ciò, essi non invocano mai la dittatura proletaria né manifestano alcun bisogno di approvazione. Questo contrastante comportamento mostra chiaramente da che parte stanno gli autori dello schema.

10. La lotta attualmente in corso si incentra sul problema di applicare la linea definita dal compagno Mao Tse-tung per la Rivoluzione culturale o di opporle resistenza. Tuttavia nello schema si afferma: “Attraverso questa lotta e sotto la guida del pensiero di Mao Tse-tung dobbiamo aprire la strada a una soluzione di questo problema, ossia alla completa eliminazione delle idee borghesi nel campo del lavoro accademico”. Il compagno Mao Tse-tung ha da gran tempo aperto la via al proletariato sul fronte culturale e ideologico con le sue opere Sulla nuova democrazia (1940); Discorsi alla conferenza di Yenan sulla letteratura e l’arte (1942); Al teatro di Yenan dell’Opera di Pechino (1944); Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo (1957) e Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del partito comunista cinese (1957)2. Ciononostante lo schema di rapporto sostiene che il pensiero di Mao Tse-tung non ha ancora risolto questo problema e che sarebbe tempo di farlo. Usando come copertura l’espressione “alla luce del pensiero di Mao Tse-tung”, lo schema di fatto apre una via che è l’opposto del pensiero di Mao Tse-tung, ossia la via del revisionismo moderno, la via della restaurazione del capitalismo.

Riassumendo, lo schema si oppone all’idea di portare fino in fondo la rivoluzione socialista, si oppone alla linea stabilita per la Rivoluzione culturale dal Comitato centrale del partito con alla testa il compagno Mao Tse-tung, attacca la sinistra proletaria e protegge la destra borghese, preparando così l’opinione pubblica alla restaurazione del capitalismo. Esso è il riflesso dell’ideologia borghese in seno al partito ed è assolutamente revisionista. La lotta contro questa linea revisionista è tutt’altro che trascurabile, è anzi di capitale importanza; da essa dipende infatti il destino e il futuro del nostro partito e del nostro paese, il loro assetto futuro e il destino e il futuro della rivoluzione mondiale.

I comitati di partito a tutti i livelli devono immediatamente cessare di applicare lo Schema di rapporto sull’attuale dibattito accademico redatto dal Gruppo dei cinque incaricato della Rivoluzione culturale. Tutto il partito deve seguire le istruzioni del compagno Mao Tse-tung, tenere alta la grande bandiera della Rivoluzione culturale proletaria, denunciare a fondo la posizione reazionaria borghese di queste cosiddette “autorità accademiche” che si oppongono al partito e al socialismo, criticare a fondo e ripudiare le reazionarie idee borghesi nell’ambito del lavoro accademico, nel campo dell’educazione, del giornalismo, della letteratura, dell’arte, dell’editoria e assicurarsi la direzione in tutti questi campi della cultura. A questo scopo bisogna al tempo stesso criticare e ripudiare quei rappresentanti della borghesia che si sono infiltrati nel partito, nel governo, nell’esercito e negli ambienti culturali, per allontanarli o, in certi casi, per assegnarli ad altri compiti. Soprattutto non dobbiamo fidarci di loro e dobbiamo impedire che giungano a occupare posti direttivi nella Rivoluzione culturale. In effetti molti di loro hanno fatto e stanno ancora facendo proprio questo lavoro e ciò rappresenta un gravissimo pericolo.

Questi rappresentanti della borghesia che si sono infiltrati nel partito, nel governo, nell’esercito e nei diversi ambienti culturali, sono un’accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari. Se si presentasse l’occasione, si impadronirebbero del potere politico e trasformerebbero la dittatura del proletariato in una dittatura della borghesia. Alcuni di questi individui li abbiamo già smascherati, altri non ancora. Di alcuni di loro ci fidiamo ancora e li stiamo allevando come nostri successori; si tratta di individui che ancora si annidano tra noi come, ad esempio, Kruscev si annidava tra i comunisti sovietici. I comitati del partito a tutti i livelli devono prestare molta attenzione a questo problema.

Questa circolare, insieme al documento erroneo emesso a nome del Comitato centrale il 12 febbraio 1966, sarà inviata ai comitati distrettuali di partito, ai comitati di partito nelle istituzioni culturali e ai comitati di partito a livello di reggimento nell’esercito. Questi organismi sono invitati a discutere, per giudicare quale dei due documenti è errato e quale giusto, per approfondire la conoscenza di questi documenti e per farci conoscere i loro risultati e i loro errori.

Note:

1) Essi, cioè, mentre accettano che la borghesia comandi, non accettano che sia il proletariato a farlo.

2) Questi testi sono pubblicati rispettivamente nel vol. 7 pag. 187, 8 pag. 167, 9 pag. 29, 14 pag. 95 e pag. 197 delle Opere di Mao Tse-tung.

Lettera alle guardie rosse della scuola media dell’università Chinghua

01/08/1966

Compagni Guardie rosse della Scuola media dell’università Chinghua,

ho ricevuto sia i manifesti a grandi caratteri che mi avete mandato il 28 luglio che la lettera in cui mi chiedete una risposta.

I due manifesti a grandi caratteri che avete scritto il 24 giugno e il 4 luglio esprimono la vostra rabbia e denunciano di
tutti i proprietari terrieri, i borghesi, gli imperialisti, i revisionisti e i loro lacchè che sfruttano e opprimono gli operai, i contadini, gli intellettuali rivoluzionari e i gruppi e i partiti rivoluzionari. Voi dite che è giusto ribellarsi contro i reazionari
e io vi sostengo con entusiasmo.

Io sostengo con entusiasmo anche il manifesto a grandi caratteri del Gruppo di combattimento Bandiera rossa della Scuola media dell’università di Pechino in cui si dice che è giusto ribellarsi contro i reazionari; sostengo anche l’ottimo discorso rivoluzionario tenuto dal compagno Peng Hsiaomeng rappresentante del Gruppo di combattimento Bandiera rossa alla grande riunione del 25 luglio cui hanno partecipato tutti gli insegnanti, gli studenti, il personale amministrativo e i lavoratori dell’università di Pechino.

Qui voglio dirvi che io stesso, come tutti i miei compagni d’arme rivoluzionari, abbiamo assunto lo stesso atteggiamento. Io darò il mio entusiastico sostegno a tutti coloro che, ovunque si trovino, a Pechino o in qualsiasi altra parte della Cina, assumeranno un atteggiamento simile al vostro nel movimento della Rivoluzione culturale.

Un’altra cosa: mentre vi sosteniamo, vi chiediamo nel contempo di tenere presente la necessità di unirvi con tutti coloro  con i quali è possibile farlo. Per quanto riguarda coloro che hanno commesso gravi errori, dopo avere denunciato questi errori, voi dovreste offrir loro una via d’uscita, dando loro un lavoro da svolgere in modo che possano correggere i propri errori e diventare uomini nuovi.

Marx ha detto che il proletariato non deve emancipare solo se stesso ma tutto il genere umano. Se non riuscirà a emancipare tutto il genere umano, allora il proletariato non sarà in grado di emancipare neppure se stesso. Prego i compagni di tener presente anche questa verità.

I sedici punti

08/08/1966

Questo testo è noto anche con il titolo Risoluzione dell’undicesima sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista cinese sulla grande Rivoluzione culturale proletaria.

1. La grande Rivoluzione culturale proletaria in corso è una grande rivoluzione che tocca gli uomini nel più profondo dell’animo e rappresenta una nuova tappa dello sviluppo della rivoluzione socialista nel nostro paese, una tappa caratterizzata da una maggiore profondità e ampiezza.

Alla decima sessione plenaria dell’ottavo Comitato centrale del partito, il compagno Mao Tse-tung ha detto: “Per rovesciare un potere politico è sempre necessario, anzitutto, preparare l’opinione pubblica e lavorare in campo ideologico. Ciò è vero sia per le classi rivoluzionarie che per quelle controrivoluzionarie”. La pratica ha dimostrato che questa tesi del compagno Mao Tse-tung è assolutamente giusta.

Benché sia stata rovesciata, la borghesia sta ancora tentando di usare le vecchie idee, la vecchia cultura, i vecchi costumi e le vecchie abitudini delle classi sfruttatrici per corrompere le masse, conquistarne la mente e preparare così il terreno per la propria restaurazione. Il proletariato deve fare proprio il contrario: deve rispondere colpo su colpo a ogni sfida lanciata dalla borghesia in campo ideologico e usare le nuove idee, la nuova cultura, i nuovi costumi e le nuove abitudini proletarie per trasformare la concezione del mondo dell’intera società. Attualmente il nostro obiettivo è quello di combattere e annientare quei dirigenti che hanno imboccato la via del capitalismo, criticare e ripudiare le “autorità” accademiche reazionarie della borghesia, l’ideologia della borghesia e di tutte le altre classi sfruttatrici e trasformare l’istruzione, la letteratura, l’arte e tutte le altre branche della sovrastruttura che non corrispondono alla base economica socialista, in modo da favorire il consolidamento e lo sviluppo del sistema socialista.

2. Le masse degli operai, dei contadini, dei soldati, degli intellettuali rivoluzionari e dei quadri rivoluzionari formano la forza principale di questa grande Rivoluzione culturale. Un gran numero di giovani rivoluzionari, prima sconosciuti, ne sono divenuti i coraggiosi e audaci pionieri. Essi sono vigorosi nell’azione e intelligenti. Attraverso manifesti murali a grandi caratteri e ampi dibattiti esprimono liberamente le loro opinioni, denunciano e criticano le cose a fondo e lanciano risoluti attacchi contro i rappresentanti della borghesia che agiscono allo scoperto o di nascosto. In un movimento rivoluzionario di tale ampiezza, è quasi inevitabile che essi mostrino questa o quella insufficienza, ma il loro orientamento rivoluzionario fondamentale è stato giusto fin dall’inizio. Questa è la corrente principale della grande Rivoluzione culturale proletaria. È la direzione principale lungo la quale la grande Rivoluzione culturale proletaria continua ad avanzare.

Dal momento che la Rivoluzione culturale è una rivoluzione, essa incontra inevitabilmente una resistenza. Questa resistenza viene principalmente da quei dirigenti che si sono infiltrati nel partito e hanno imboccato la via del capitalismo. Viene anche dalla forza delle vecchie abitudini della società. Attualmente questa resistenza è ancora molto forte e ostinata. Ma la grande Rivoluzione culturale proletaria costituisce, dopotutto, una tendenza generale irresistibile. Un gran numero di fatti ha dimostrato che tale resistenza crolla rapidamente una volta che le masse si sono pienamente mobilitate.

Poiché la resistenza è piuttosto forte, la lotta conoscerà dei riflussi e perfino ripetuti riflussi. Ma ciò non è dannoso. Servirà a temprare il proletariato e gli altri lavoratori e specialmente le giovani generazioni, impartirà loro delle lezioni, fornirà loro dell’esperienza e li aiuterà a comprendere che la via della rivoluzione è tortuosa e tutt’altro che facile.

3. La riuscita di questa grande Rivoluzione culturale dipenderà dal fatto se la direzione del partito avrà o non avrà l’audacia di mobilitare pienamente le masse. Esistono attualmente quattro situazioni differenti per ciò che riguarda l’atteggiamento delle organizzazioni del partito ai diversi livelli nel dirigere il movimento della Rivoluzione culturale:

3.1. I dirigenti dell’organizzazione di partito stanno alla testa del movimento e osano mobilitare completamente le masse. Mettono l’audacia al primo posto, sono militanti comunisti intrepidi e buoni allievi del presidente Mao. Sono favorevoli ai manifesti murali a grandi caratteri e ai grandi dibattiti. Incoraggiano le masse a denunciare i mostri e gli spiriti maligni di tutti i generi e anche a criticare le insufficienze e gli errori nel loro lavoro. Questo giusto metodo di direzione deriva dal fatto che essi mettono al primo posto la politica proletaria e hanno come guida il pensiero di Mao Tse-tung.

3.2. In numerose organizzazioni i responsabili comprendono ancora molto male il loro ruolo di dirigenti in questa grande lotta, la loro direzione è lontana dall’essere seria ed efficace e, di conseguenza, si scoprono incompetenti e in una posizione di debolezza. Nel loro caso è la paura che prevale; si attaccano a vecchi modelli e regolamenti e si rifiutano di rompere con prassi convenzionali e di andare avanti. Essi sono stati presi alla sprovvista dal nuovo ordine di cose, l’ordine rivoluzionario delle masse, col risultato di vedere la loro direzione sorpassata dalla situazione, sorpassata dalle masse.

3.3. In alcuni organismi i responsabili, che in passato hanno commesso questo o quell’errore, sono ancora più inclini a farsi prendere dalla paura, poiché temono che le masse li colgano in fallo. In realtà, se faranno una seria autocritica e accetteranno la critica delle masse, beneficeranno della comprensione del partito e delle masse per i loro errori. Ma se non lo faranno, continueranno a commettere errori e diverranno degli ostacoli per il movimento di massa.

3.4. Altri organismi sono controllati da elementi che si sono infiltrati nel partito e hanno preso la via del capitalismo. Questi elementi, che detengono posizioni di potere, hanno un’estrema paura di essere smascherati dalle masse e quindi cercano tutti i pretesti per reprimere il movimento di massa. Ricorrono a manovre come quelle di stornare l’attacco dai veri obiettivi e di far passare il nero per bianco, nel tentativo di condurre il movimento fuori strada. Quando si trovano isolati e non possono più continuare ad agire come prima, ricorrono ad altri intrighi, pugnalando la gente alle spalle, spargendo voci tendenziose e mascherando il più possibile la distinzione fra rivoluzione e controrivoluzione, tutto ciò allo scopo di attaccare i rivoluzionari. Ciò che il Comitato centrale chiede ai comitati di partito a tutti i livelli è di continuare a dare una giusta direzione, di mettere l’audacia al primo posto, di mobilitare coraggiosamente le masse, di cambiare lo stato di debolezza e incompetenza laddove esiste, di incoraggiare i compagni che hanno commesso errori ma vogliono correggerli a liberarsi dalle loro remore mentali e a partecipare alla lotta e di destituire dalle loro cariche tutti quei dirigenti che hanno preso la via del capitalismo, in modo da rendere possibile la ripresa della direzione da parte dei rivoluzionari proletari.

4. Nella grande Rivoluzione culturale proletaria le masse possono liberarsi solo da se stesse e qualunque metodo diretto ad agire al loro posto deve essere abbandonato. Bisogna avere fiducia nelle masse, contare su di loro e rispettare la loro iniziativa. Gettate via la paura. Non vi spaventate dei disordini. Il presidente Mao ci ha spesso ripetuto che una rivoluzione non può essere raffinata, delicata, moderata, amabile, cortese, misurata e magnanima. Lasciate che le masse si educhino in questo grande movimento rivoluzionario e imparino a distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ciò che è un modo di agire corretto da ciò che non lo è. Fate il più ampio uso di manifesti murali a grandi caratteri e di vasti dibattiti per discutere i problemi, in modo che le masse possano esprimere le loro giuste vedute, criticare quelle sbagliate e denunciare tutti i mostri e gli spiriti maligni. In questo modo le masse potranno elevare la loro coscienza politica nel corso della lotta, accrescere le loro capacità e le loro attitudini, distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato e tracciare una netta linea di demarcazione fra il nemico e loro.

5. Chi sono i nostri nemici? Chi sono i nostri amici? Questa è una questione di fondamentale importanza per ogni rivoluzione ed è una questione di fondamentale importanza anche per la grande Rivoluzione culturale. La direzione del partito dev’essere in grado di stabilire con esattezza qual è la sinistra, di allargare e rafforzare le sue file e fare risoluto affidamento sulla sinistra rivoluzionaria. Solo così nel corso del movimento potrà isolare completamente gli elementi più reazionari della destra, guadagnare dalla propria parte il centro e unirsi alla grande maggioranza in modo da realizzare alla fine di questo processo l’unità di oltre il 95 per cento dei quadri e di oltre il 95 per cento delle masse. Concentrate tutte le vostre forze per colpire il piccolo gruppo ultrareazionario di elementi borghesi di destra e di revisionisti controrivoluzionari, denunciate e criticate a fondo i loro crimini contro il partito, contro il socialismo e contro il pensiero di Mao Tse-tung in modo da isolarli al massimo. L’attuale movimento mira a colpire soprattutto coloro che detengono posti di direzione nel partito e che hanno imboccato la via del capitalismo. Bisogna aver cura di fare una netta distinzione fra gli elementi di destra antipartito e antisocialisti e coloro che, pur sostenendo il partito e il socialismo, hanno detto o fatto qualcosa di sbagliato, oppure hanno scritto qualche brutto articolo o altre cose del genere. Bisogna aver cura di fare una netta distinzione fra i “signori della cultura” reazionari e le “autorità” reazionarie borghesi da un lato e coloro che hanno la normale mentalità accademica borghese dall’altro.

6. Bisogna fare una netta distinzione fra i due differenti tipi di contraddizione: le contraddizioni in seno al popolo e quelle fra il nemico e noi. Le contraddizioni in seno al popolo non devono essere trasformate in contraddizioni fra il nemico e noi; né le contraddizioni fra il nemico e noi devono essere considerate come contraddizioni in seno al popolo. È normale che ci siano opinioni differenti fra le masse. Il confronto fra opinioni diverse è inevitabile, necessario e utile. Nel corso di un normale e aperto dibattito le masse sapranno affermare ciò che è giusto, correggere ciò che è sbagliato e raggiungere gradualmente l’unanimità. Il metodo da usare nei dibattiti è quello di presentare dei fatti, ragionarci sopra e persuadere attraverso il ragionamento. Qualunque metodo diretto a forzare una minoranza che ha opinioni differenti a sottomettersi non è ammissibile. La minoranza deve essere protetta, poiché talvolta la verità è dalla sua parte. Ma anche se ha torto, bisogna sempre permetterle di sostenere la propria causa e di conservare le proprie opinioni. In un dibattito bisogna ricorrere al ragionamento e non alla coercizione o alla forza. Nel corso del dibattito ogni rivoluzionario deve essere in grado di riflettere da solo e deve sviluppare lo spirito comunista di osare pensare, osare parlare e osare agire. Premesso che essi hanno lo stesso orientamento generale, i compagni rivoluzionari, per rafforzare l’unità, devono evitare di fare discussioni senza fine su questioni secondarie.

7. In alcune scuole, alcuni responsabili di organismi o gruppi di lavoro della Rivoluzione culturale hanno organizzato contrattacchi nei confronti delle masse che hanno affisso manifesti murali a grandi caratteri contro di loro. Hanno perfino lanciato parole d’ordine come queste: opporsi ai dirigenti di un organismo o a un gruppo di lavoro significa opporsi al Comitato centrale del partito, significa opporsi al partito e al socialismo, significa fare una controrivoluzione. In questo modo, è inevitabile che essi finiscano per colpire degli autentici attivisti rivoluzionari. Questo è un errore d’orientamento, un errore di linea ed è assolutamente inammissibile. Alcune persone che risentono di gravi errori ideologici e, in particolar modo, alcuni elementi antipartito e antisocialisti di destra, approfittano di alcune insufficienze e di alcuni errori nel movimento di massa per spargere voci tendenziose e calunnie e provocare disordini, stigmatizzando deliberatamente una parte delle masse come “controrivoluzionari”. È necessario stare in guardia contro questi “borsaioli” e denunciare in tempo i loro trucchi. Nessuna misura deve essere presa contro studenti di università, istituti, scuole secondarie e primarie per questioni che sorgono nel corso del movimento, eccezion fatta per i controrivoluzionari attivi contro i quali ci siano prove evidenti di assassinio, incendio, avvelenamento, sabotaggio o furto di segreti di Stato e i cui casi dovranno essere trattati secondo la legge. Per evitare che la lotta sia deviata dal suo obiettivo principale, non è permesso incitare, qualunque ne sia il pretesto, una parte delle masse a lottare contro un’altra parte o un gruppo di studenti contro un altro gruppo di studenti. Anche se si tratta di provati elementi di destra, i loro problemi devono essere trattati caso per caso in una successiva fase del movimento.

8. I quadri rientrano grossomodo nelle quattro categorie seguenti:
.1. buoni;
.2. relativamente buoni;
.3. coloro che hanno commesso errori gravi ma che non sono diventati elementi di destra antipartito e antisocialisti;
.4. un piccolo numero di elementi di destra antipartito e antisocialisti.
In linea di massima, le prime due categorie (i buoni e i relativamente buoni) costituiscono la grande maggioranza.

Gli elementi di destra antipartito e antisocialisti devono essere completamente smascherati, colpiti duramente, criticati e completamente screditati e la loro influenza deve essere eliminata. Allo stesso tempo, però, deve essere lasciata loro la possibilità di riprendere la giusta via.

9. Molte cose nuove sono cominciate ad apparire nel corso della grande Rivoluzione culturale proletaria. I gruppi e i comitati della Rivoluzione culturale e le altre forme d’organizzazione create dalle masse in numerose scuole e in numerosi organismi costituiscono qualche cosa di nuovo e di grande importanza storica.

Questi gruppi, questi comitati della Rivoluzione culturale e i loro congressi sono le eccellenti nuove forme d’organizzazione nelle quali le masse si educano sotto la direzione del partito comunista. Essi sono un ponte eccellente che permette al nostro partito di mantenere uno stretto contatto con le masse. Sono organi di potere della Rivoluzione culturale proletaria.

La lotta del proletariato contro le vecchie idee, la vecchia cultura, i vecchi costumi e le vecchie abitudini tramandate da tutte le classi sfruttatrici nel corso di millenni, richiederà necessariamente un periodo di tempo estremamente lungo. Di conseguenza, i gruppi, i comitati e i congressi della Rivoluzione culturale non devono essere organizzazioni temporanee ma permanenti, organizzazioni di massa permanenti che rimarranno in funzione per lungo tempo. Essi sono adatti non solo agli istituti d’insegnamento e agli organismi statali, ma generalmente anche alle fabbriche, alle miniere e alle altre imprese, ai quartieri delle città e ai villaggi.

È necessario istituire un sistema di elezioni simile a quello della Comune di Parigi per eleggere i membri dei gruppi e dei comitati e i loro delegati ai congressi della Rivoluzione culturale. Le liste dei candidati devono essere proposte dalle masse rivoluzionarie dopo ampie consultazioni e le elezioni si dovranno tenere solo dopo che le masse avranno discusso ripetutamente queste liste.

Le masse hanno in ogni momento il diritto di criticare i membri dei gruppi e dei comitati e i loro delegati ai congressi della Rivoluzione culturale. Se questi membri o delegati si dimostrano incapaci, possono essere sostituiti mediante elezioni o destituiti dalle masse dopo opportune discussioni.

I gruppi, i comitati e i congressi della Rivoluzione culturale negli istituti scolastici devono essere composti essenzialmente da rappresentanti degli studenti rivoluzionari. Devono però comprendere anche un certo numero di rappresentanti degli insegnanti e dei lavoratori rivoluzionari.

10. Trasformare il vecchio sistema d’istruzione, i vecchi principi e metodi d’insegnamento è uno dei compiti più importanti della grande Rivoluzione culturale proletaria.

In questa grande rivoluzione, il fenomeno del dominio degli intellettuali borghesi nelle nostre scuole deve essere completamente eliminato.

In ogni tipo di scuola bisogna applicare a fondo la politica formulata dal compagno Mao Tse-tung secondo la quale l’istruzione deve essere al servizio della politica proletaria e deve combinarsi con il lavoro produttivo, in modo da mettere in grado coloro che ricevono un’istruzione di svilupparsi moralmente, intellettualmente e fisicamente e diventare dei lavoratori con una coscienza e una cultura socialiste.

La durata degli studi deve essere ridotta. I programmi devono essere ridotti e migliorati. Le materie d’insegnamento devono essere radicalmente trasformate, cominciando col semplificare in certi casi le materie più complesse. Pur dedicandosi principalmente agli studi, gli studenti devono apprendere anche altre cose. Devono cioè non solo istruirsi culturalmente, ma apprendere anche il lavoro industriale, agricolo e l’arte militare, devono partecipare alle lotte della Rivoluzione culturale per criticare la borghesia.

11. Nel corso del movimento di massa della Rivoluzione culturale, dobbiamo combinare nel modo giusto la critica dell’ideologia borghese e feudale con la propaganda della concezione proletaria del mondo, del marxismo-leninismo e del pensiero di Mao Tse-tung. Bisogna organizzare la critica ai rappresentanti tipici della borghesia che si sono infiltrati nel partito e alle “autorità” accademiche reazionarie della borghesia; questa critica deve includere quella di tutte le idee reazionarie nella filosofia, nella storia, nell’economia politica, nella pedagogia, nelle teorie e nelle opere letterarie e artistiche, nelle scienze naturali e in altri campi ancora.

Qualsiasi critica apertamente diretta contro qualcuno a mezzo stampa deve essere prima discussa dal comitato di partito allo stesso livello e, in alcuni casi, sottoposta all’approvazione del comitato di partito del livello superiore.

12. Nel corso dell’attuale movimento dobbiamo continuare ad applicare la politica di “unità-critica-unità” nei confronti degli scienziati, dei tecnici e del personale ordinario, purché siano patrioti, lavorino attivamente, non si oppongano al partito e al socialismo e non mantengano traffici illeciti con l’estero. Particolare attenzione deve essere rivolta agli scienziati e ai membri del personale tecnico e scientifico che hanno dato importanti contributi. Dobbiamo sforzarci di aiutarli a trasformare gradualmente la loro concezione del mondo e il loro stile di lavoro.

13. L’attuale Rivoluzione culturale proletaria in corso ha il suo centro catalizzatore nelle istituzioni culturali ed educative e negli organi dirigenti del partito e del governo nelle città grandi e medie. La grande Rivoluzione culturale ha arricchito il Movimento di educazione socialista sia nelle città che nelle campagne e l’ha portato a un livello più alto. Dobbiamo sforzarci di condurre questi due movimenti combinandoli strettamente l’uno con l’altro. A questo scopo le varie zone e i vari dipartimenti devono prendere opportuni provvedimenti alla luce delle condizioni specifiche.

Il Movimento di educazione socialista attualmente in corso nelle campagne e nelle imprese situate nelle città non dovrà essere modificato laddove le disposizioni iniziali risultano appropriate e il movimento procede bene, ma deve anzi continuare secondo le direttive originarie. Tuttavia i problemi che stanno sorgendo nel corso di questa grande Rivoluzione culturale proletaria devono essere sottoposti al momento opportuno alla discussione delle masse, in modo da rafforzare ulteriormente l’ideologia proletaria e liquidare l’ideologia borghese.

In alcuni posti la grande Rivoluzione culturale proletaria viene usata come un centro motore per dare impulso al Movimento di educazione socialista e condurre un’opera di risanamento in campo politico, ideologico, organizzativo ed economico. Ciò può essere fatto se il comitato locale di partito lo ritiene opportuno.

14. Lo scopo della grande Rivoluzione culturale proletaria è rivoluzionare l’ideologia del popolo in modo da ottenere in tutti i campi della produzione risultati maggiori, più rapidi, migliori e più economici. Se le masse sono pienamente mobilitate e si prendono disposizioni adeguate, si può assicurare lo sviluppo sia della Rivoluzione culturale che della produzione senza che l’una ostacoli l’altra e garantire la buona qualità del lavoro in tutti i campi.

La grande Rivoluzione culturale proletaria costituisce una potente forza motrice per lo sviluppo delle forze produttive sociali del nostro paese. Ogni idea diretta a contrapporre la grande Rivoluzione culturale allo sviluppo della produzione è sbagliata.

15. Nelle forze armate la Rivoluzione culturale e il Movimento di educazione socialista devono essere condotti secondo le istruzioni della Commissione militare del Comitato centrale del partito e del Dipartimento politico generale dell’Esercito popolare di liberazione.

16. Nella grande Rivoluzione culturale proletaria è indispensabile tenere alta la grande bandiera rossa del pensiero di Mao Tse-tung e mettere la politica proletaria al posto di comando. Il movimento per lo studio e l’applicazione creativa delle opere del presidente Mao deve diffondersi fra le masse degli operai, dei contadini, dei soldati, dei quadri e degli intellettuali e il pensiero di Mao Tse-tung deve essere preso come guida per l’azione nella Rivoluzione culturale.

In questa grande e complessa Rivoluzione culturale i comitati di partito ai diversi livelli devono studiare e applicare nel modo più coscienzioso e creativo le opere del presidente Mao. In particolare essi devono studiare e ristudiare più volte gli scritti del presidente Mao sulla Rivoluzione culturale e sui metodi di direzione del partito, quali Sulla nuova democrazia, Discorsi alla conferenza di Yenan sulla letteratura e l’arte, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, Discorso alla Conferenza nazionale di propaganda del Partito comunista cinese, Alcune questioni riguardanti i metodi di direzione, Metodi di lavoro dei comitati di partito.

I comitati di partito a tutti i livelli devono uniformarsi alle istruzioni che il presidente Mao ha dato da anni, in particolare quella di applicare rigorosamente la linea di massa, “dalle masse alle masse” e di essere allievi delle masse prima di esserne i maestri. Devono sforzarsi di evitare le vedute unilaterali o limitate. Devono incoraggiare la dialettica materialista e opporsi alla metafisica e alla scolastica.

Sotto la guida del Comitato centrale del partito diretto dal compagno Mao Tsetung, la grande Rivoluzione culturale proletaria riporterà sicuramente una brillante vittoria.

La Francia e noi. 5 brevi riflessioni da: www.resistenze.org

Clash City Workers | clashcityworkers.org

27/05/2016

Al momento in cui scriviamo quest’articolo, la Francia è bloccata: le manifestazioni e gli scioperi settoriali e generali contro il progetto di riforma del diritto del lavoro si contano a decine e non accennano a finire.

Lo sciopero delle raffinerie ha lasciato a secco la maggior parte dei distributori di carburante, e quello delle centrali nucleari rischia di lasciare senza corrente il paese. Nel frattempo il governo ricorre ad una sorta di fiducia per blindare il provvedimento, mostrando contemporaneamente deboli segni di apertura al solo scopo di smontare una protesta enorme, la cui grandezza però non riesce ad attraversare le Alpi: sui nostri giornali, infatti, nessuna traccia. Sui social, intanto, decine e decine di lavoratori si disperano: perché loro sì e noi no? Per evitare di cadere in spiegazioni di ordine antropologico su una presunta “incapacità” degli italiani a mobilitarsi, proviamo a condividere alcune riflessioni, allo scopo di capire tutti insieme una cosa semplice: solo chi non lotta perde, e solo chi si arrende in partenza è sconfitto.

1. i sindacati francesi e quelli italiani. L’OCSE riporta, per il 2013, una percentuale di lavoratori iscritti al sindacato pari al 7,7% in Francia, a oltre il 37% in Italia. La CGT, principale sindacato francese, paragonabile anche per storia politica alla nostra CGIL, nel lavoro privato conta l’1-2% di iscritti al massimo. Del resto anche i numeri italiani vanno ridimensionati, dal momento che degli oltre cinque milioni di tesserati dichiarati dalla CGIL per il 2015 quasi tre milioni sono pensionati, quindi non fanno parte della popolazione attiva. La copertura sindacale, invece, ovvero la quantità di lavoratori coperti da contrattazione collettiva, si aggira tra l’80% e il 90% in entrambi i paesi; sempre al di qua e al di là delle Alpi vigono norme simili sulla rappresentanza, quantificata sulla base del numero di iscritti e dei risultati elettorali delle diverse sigle. Insomma, la differenza fondamentale risiederebbe nella maggiore debolezza dei sindacati francesi rispetto a quelli italiani, dovuta al minor numero di iscritti. Ma è l’unica differenza?

2. lotta e concertazione. I sindacati francesi, a differenza di quelli italiani, non “cogestiscono” insieme ai padroni il mondo del lavoro. Tra le cause non vi è solo la relativa debolezza, ma anche il fatto che in Francia la legge, storicamente, è più “forte” della contrattazione: i sindacati e le associazioni padronali, nei contratti di categoria, possono “deliberare” su molte meno cose rispetto all’Italia, e hanno quindi meno poteri. Inoltre in Italia i sindacati più grandi gestiscono direttamente fondi pensione, CAF, siedono nei cosiddetti organismi bilaterali, nel CNEL, hanno insomma un ruolo che va ben oltre la rivendicazione e il conflitto, un ruolo anzi che vede questi ultimi due aspetti minoritari. A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 sia in Italia che in Francia una buona parte del mondo sindacale – in Italia la CGIL, in Francia la CFDT, simile alla CISL – ha abbracciato la linea della “compatibilità” con gli interessi dei padroni; l’Italia, però, è andata molto oltre, e i sindacati più grandi hanno progressivamente rinunciato alla lotta in cambio di un maggior potere di cogestione nel mondo del lavoro. Risultato: benché in linea con tutti i paesi industrializzati, le ore di sciopero sono calate molto più in Italia che in Francia. Nel 2008, secondo l’ILO, in Francia si è scioperato quasi il doppio che in Italia, e anche nel 2010, confrontando diversi studi, in Italia abbiamo fatto circa un milione di ore in meno di sciopero. Perché? Lo abbiamo appena detto: così come dei sindacati coinvolti (complici) nella gestione del lavoro hanno interesse a scioperare il meno possibile, allo stesso modo dei sindacati più deboli, come quelli francesi, hanno interesse, per questione di sopravvivenza e di appeal, ad assumere posizioni più radicali e a portare avanti le rivendicazioni con maggior determinazione. Va aggiunto, inoltre, che proprio per assecondare le esigenze “soporifere” dei nostri sindacati, negli ultimi 25 anni circa le leggi sullo sciopero in Italia sono diventate molto meno permissive e più severe.

3. Non c’è più niente da fare? Per nulla, anzi: dopo aver elencato alcuni degli elementi che rendono oggettivamente più difficile la lotta in Italia, ricordiamoci quanto è stato difficile, per i padroni, portare a casa il risultato. 13 anni ci sono voluti per cancellare l’articolo 18; un quindicennio circa per riformare le pensioni; ancora oggi, in alcune grandi aziende, il Jobs Act è stato disapplicato grazie alla forza dei lavoratori, che hanno pressato i loro rappresentanti sindacali. Ancora oggi si strappano notevoli aumenti salariali e si fanno cancellare licenziamenti, come nella logistica; ancora oggi i lavoratori in lotta ottengono di essere assunti dal pubblico e non essere più precari. Non c’è da disperarsi, quindi, né da pensare che altrove si vince magari perché gli altri “hanno le palle” e noi no: queste sono frasi di merda che abbiamo sentito dire da diversi sindacalisti per giustificare il loro opportunismo o inettitudine. La verità è che molto spesso i lavoratori che vogliono lottare devono scontrarsi prima col sindacalista, poi col padrone: due nemici al posto di uno! Tutto sta, invece, nel rendersi conto di quali sono i nostri punti di forza, da valorizzare, e le nostre debolezze da superare: il resto verrà facile, tanto finché ci saranno schiavi ci saranno rivolte. Per capire queste cose, guardiamo di nuovo a quello che succede al di là delle Alpi.

4. Notti in piedi, giorni in sciopero! Ha fatto tanto scalpore, e giustamente, il movimento di occupazione delle piazze che sta coinvolgendo centinaia di migliaia di cittadini francesi, un’ondata di partecipazione democratica che ha rotto il clima di isolamento e paura che era seguito agli attentati di Novembre. Nell’analizzare l’efficacia delle proteste, rendiamoci conto però che la loro principale forza sta nel gioco di sponda che sono riuscite a costruire con le mobilitazioni dei lavoratori. Ne hanno rilanciato e generalizzato i contenuti, sollevando la molteplicità di temi e problemi che si intrecciano a quelli dello sfruttamento nel luogo di lavoro. Sono così riusciti a dare risonanza e legittimazione alle forme di lotta più dure, dai cortei agli scioperi ai blocchi. Lotte spesso difficili da portare avanti, ma in grado di far paura realmente ai padroni e di toccare i gangli del potere. I lavoratori dei trasporti, dell’energia, della logistica, della meccanica, dei servizi pubblici, della grande distribuzione, per citare i principali settori essenziali della società contemporanea, quando decidono di astenersi dal lavoro, e di farlo in modo da creare un danno – quindi senza preavviso, il più a lungo possibile, etc etc – iniziano a fare una danno, crescente di minuto in minuto, alla sola cosa che interessa ai padroni dopo ma forse più della loro stessa vita: le loro tasche. Non solo: quando l’astensione dal lavoro rende un paese ingovernabile, chi governa quel paese è costretto ad intervenire perché il controllo gli può sfuggire rapidamente di mano. La risposta repressiva è sempre possibile, ma certamente non facile come quando una protesta non comporta nessun disagio; inoltre uno sciopero in un settore strategico – ad esempio i trasporti – è in grado di moltiplicare il danno: tutti i settori che sono infatti collegati ai trasporti vedranno i loro guadagni diminuiti a cascata! Il potere dei lavoratori è enorme, ed è necessario ricostruire la consapevolezza della nostra forza.

5. Il punto debole delle lotte in Francia (e in Spagna, Grecia, Portogallo…). Prima o poi questa lotta finirà, portando a casa un risultato proporzionato all’intensità del combattimento che, crediamo, sarà positivo, qui ed ora, per i lavoratori francesi. Possiamo dire però da ora che non risolverà il nodo centrale, quello contro il quale si sono scontrati, negli scorsi anni, anche i lavoratori di altri paesi, e anche noi. È evidente, infatti, guardando il succo delle riforme in atto in Europa, che la direzione dei padroni è unica: farci lavorare più tempo, pagarci di meno, licenziarci quando vogliono. Il Jobs Act andava in questa direzione, la legge El-Khomri va in questa direzione, la riforma in discussione proprio in questi giorni in Belgio va in questa direzione, l’unica possibile per i padroni oggi. L’attacco è lo stesso, ma la risposta è stata sempre separata: oggi, ad esempio, il punto debole dei francesi…siamo noi! Una nuova stagione di lotte in Italia, ad esempio contro il Jobs Act, significherebbe riaprire il conflitto in un paese che, ancora oggi, è uno dei giganti mondiali della produzione di merci, il secondo paese produttore in Europa dopo la Germania. Unire le lotte e le vertenze dei lavoratori in Italia significherebbe alzare enormemente il livello di conflitto in Europa. Il secondo paese produttore è, ovviamente, un sorvegliato speciale: non è un caso che da noi lottare è diventato così difficile, i sindacati così corrotti, la sfiducia così generalizzata. Ma niente, nella società, è incontrovertibile, soprattutto quando si parla di lavoro. Il meglio che possiamo fare, quindi, è generalizzare il conflitto; parlarci tra lavoratori; liberarci dei sindacalisti inutili, codardi e corrotti ricostruendo le nostre organizzazioni e dandoci nuovi rappresentanti; individuare dei temi generali – la cancellazione del jobs act, ad esempio – e concentrare le lotte su obiettivi unitari; guardare a chi lotta fuori dai nostri confini, o a chi lo fa qui da noi senza essere nato in Italia, come ad un fratello, non ad un nemico. La vittoria di un singolo lavoratore in un qualunque paese del mondo è una vittoria per tutti noi!

Ma l’ANPI lo sa che sta usando il “centralismo democratico”? da:www.resistenze.org –

Tiziano Tussi

30/05/2016

Ma l’ANPI lo sa che sta usando il “centralismo democratico” per la questione che la vede interessata in queste settimane e cioè la posizione da tenere in vista del referendum costituzionale di ottobre.

Ricapitoliamo. Il ministro Boschi ha dichiarato, qualche settimana fa, nel programma, in Mezz’ora, condotto da Lucia Annunziata sulla rete Tre della televisione statale che i “veri partigiani voteranno sì al referendum di ottobre”. Non l’avesse mai detto. Grande polemica e disvelamento di alcuni “veri partigiani” che si sono palesati come campioni del SI al referendum prossimo venturo. E subito il Comitato nazionale ANPI ha ribadito, per la bocca e la penna del suo presidente attuale, Carlo Smuraglia, che ognuno poteva avere la posizione che voleva ma che non poteva fare campagna per il SI facendo valere le medaglie ed gli incarichi tenuti nell’ANPI che aveva deciso, a maggioranza, nei suoi organi centrali, dopo profonda e decisamente lunga discussione, di aderire al comitato per il NO.

Decisione chiara ma col sapore di altri tempi, appunto centralismo democratico. E subito sul Corriere della Sera, Gian Antonio Stella lo ha prontamente sottolineato in un articolo di spalla, il 16 maggio, articolo   che reclama la tristezza di tale imposizione: Fila compatta! Avanti, marsch! Centralismo referendario. E Stella dice che questo è peggio dell’altro, del centralismo democratico di secchiana memoria.

Si potrebbe dire ben gli sta all’ANPI; allineata da anni su posizioni politiche del Partito Democratico (PD) ora si scopre orfana di sponde partitiche e cerca di arrangiarsi come può. Si potrebbe dire ben gli sta all’ANPI che, almeno al vertice, non ammette altro che accodamenti al capo, leggi Smuraglia, e coltiva il culto della personalità e della piaggeria. Ma al di là di limiti evidenti in quella organizzazione, l’ANPI, volente o nolente, riveste un ruolo, è depositaria di un patrimonio importantissimo.
E al di là dei suoi leader che possono esser considerati più o meno in grado di rappresentare tanta storia, non si può non schierarsi con la stessa contro le piccinerie del governo e dei suoi corifei.

L’attacco all’ANPI, se passasse, aprirebbe una voragine, l’ennesima, sotto la nostra storia patria, sotto l’unica recente pagina importante, sotto l’unica “rivoluzione francese” tentata in Italia: tale fu appunto la Resistenza. Naturalmente i nostri governanti neppure sanno cosa voglia dire aprire con insofferenza e leggerezza il registro storico contemporaneo e mandare all’aria la sua organizzazione popolare più importante. Non riescono a capire che mettendo a soqquadro l’ANPI si rimette in gioco l’interpretazione della nostra storia recente. Ora è chiaro che questo si può fare, sempre. La storia rimette sempre in discussione il passato. Questi cambia sempre. Ma occorrono grandi capacità e grande cultura e presenza di qualità quali non paiono proprio alla portata di giovani ragazzini e ragazzine che giocano con la storia come un bambino imbronciato. Occorre la lungimiranza dello studioso.

Sarebbe il caso che l’ANPI sapesse con chi ha veramente a che fare, sarebbe il caso che i nostri governanti fossero più circospetti e lungimiranti.
Se poi invece sanno benissimo quello che stanno facendo, allora la questione è ancora più spessa ed allora ancora di più occorre difendere l’ANPI da questi attacchi.

Prepariamoci a vincere il referendum di ottobre per ristabilire un minimo livello di democrazia nel nostro Paese, un minimo di decenza. Usiamo pure tutti gli strumenti che ci possono essere utili. Usiamo l’intelligenza.

Il ritorno dei mercenari da:www.resistenze.org

Carlos Lopes Pereira * | odiario.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

24/05/2016

Uno dei paesi più grandi e più ricchi paesi dell’Africa, la Repubblica del Congo è anche di conseguenza e sin dalla sua indipendenza nel 1960, uno di quelli che l’imperialismo nord-americano ed europeo hanno più destabilizzato e saccheggiato.

Stanno avvenendo nuovi episodi di interferenza degli Stati Uniti e del Belgio negli affari interni della Repubblica Democratica del Congo (RDC). Il governo di questo paese rifiuta le ingerenze e le pressioni, dando l’allarme sulla presenza di mercenari stranieri nel proprio territorio.

Il ministro della giustizia congolese Alexis Thambwe Mwamba ha invitato l’ambasciata degli Stati Uniti a Kinshasa a “non sostituirsi ai tribunali” e a non intervenire nel processo sul reclutamento di mercenari stranieri, in particolare americani, nella antica provincia di Katanga, nel sud della paese.

Al centro del caso è la detenzione da parte dei servizi di sicurezza congolesi, di un cittadino statunitense, Darryl Lewis, che è stato arrestato il 24 aprile, insieme a tre guardie del corpo, durante una manifestazione di sostenitori di Moïse Katumbi, candidato dell’opposizione alle elezioni presidenziali previste per novembre di quest’anno. La manifestazione a Lubumbashi, capitale katanghese, è stata dispersa dalla polizia con i gas lacrimogeni.

Per le autorità giudiziarie congolesi, tale cittadino nordamericano fa parte “di una rete di collegamento a una società con sede in Virginia, Stati Uniti, che assicura il reclutamento di mercenari specializzati nel campo della formazione, compresa la gestione delle armi, degli agenti di sicurezza e delle guardie del corpo”. Inoltre, Lewis ha ottenuto il visto nella RDC dichiarandosi “esperto agrario” e avrebbe riconosciuto dopo il suo arresto di aver reso false dichiarazioni e di essere in realtà un esperto di armi e di questioni di sicurezza. Ci sarebbero tra i 400 e i 600 mercenari, americani e sudafricani che lavorano per Katumbi, in Katanga.

Secondo l’ambasciata degli Stati Uniti a Kinshasa, che si mostra “profondamente preoccupata” a riguardo, il tizio non era armato quando è stato arrestato e le accuse in cui è stato coinvolto rispetto alle attività mercenarie sono false. Stava solamente lavorando “per una società privata statunitense che fornisce servizi di consulenza a clienti in tutto il mondo.” E sarebbe un “consulente di sicurezza” che stava lavorando nella squadra di Moïse Katumbi.

Questo ricco uomo d’affari, 51 anni, presidente del popolare club di calcio TP Mazembe ed ex governatore del Katanga, fino a pochi mesi fa alleato del presidente Joseph Kabila, ha deciso alla fine del 2015 di rompere con il partito al potere e annunciare la sua candidatura a capo dello Stato.

Per quanto riguarda l’accusa di reclutamento di mercenari stranieri, sulla quale è stato sentito dalle autorità giudiziarie, parla di “manovre politiche” e per cautela ha chiesto alla MONUSCO, la missione delle Nazioni Unite nella RDC, di assicurare la sua protezione, mentre ha suggerito un’indagine internazionale sul caso.

D’altra parte è noto che il ministro degli Esteri belga Didier Reynders ha telefonato questa settimana al primo ministro congolese, Augustin Matata Ponyo, esprimendo la sua “preoccupazione” per la sicurezza di Katumbi e che sarà anche chiesta “protezione” al Belgio.

In Congo, ex colonia di questo paese, vivono poche migliaia di espatriati belgi, che si dedicano a vari affari, in particolare a Kinshasa e Lubumbashi.

In difesa di Katumbi si è pronunciata anche Human Rights Watch, un’organizzazione non governativa con sede a New York, “specializzata” nella denuncia della violazione dei diritti umani – in altri paesi e in generale in conformità agli interessi occidentali. HRW assolve l’ex governatore katanghese e denuncia “intimidazioni nei confronti di un candidato alla presidenza”.

Motivi di apprensione nella patria di Lumumba

Questo reclutamento mercenario ha tutti gli ingredienti per causare apprensione ai congolesi e ai loro amici.

La Repubblica Democratica del Congo, uno dei maggiori paesi africani con enormi risorse naturali, ha una storia di interventi stranieri, omicidi di dirigenti, colpi di Stato, regimi autoritari e conflitti armati.

Indipendente dal 1960, il Congo ha assistito mesi dopo a una secessione della ricca regione del Katanga, guidata da Tshombe e sostenuta dal colonialismo belga in seguito repressa e nei primi mesi del 1961 al rapimento e all’omicidio da parte di agenti dell’imperialismo nordamericano, del Primo ministro Patrice Lumumba, leader politico progressista e oggi eroe della sua patria e di tutta l’Africa.

Tra il 1965 e il 1997, ribattezzato Zaire, il Congo ha vissuto la dittatura filo-occidentale di Mobutu. Fu rovesciato da Laurent-Désiré Kabila che governò la RDC fino al 2001 quando venne assassinato da una guardia del corpo e cui successe il figlio, Joseph Kabila, l’attuale presidente, legittimato poi con le elezioni.

* Giornalista.

Questo testo è stato pubblicato su Avante n 2215 del 12 Maggio 2016.

E sulle pensioni Camusso e Renzi scrissero, dopo tante fatiche, il nuovo “patto sociale” Autore: fabio sebastiani da: controlacrisi.org

Sulle pensioni arriva la seconda convocazione da parte del Governo. Il 14 giugno ci si ritrova con Poletti e con il sottosegretario Nannicini. Il copione sembra già scritto. Per il momento non si arriverà ad alcun accordo perché tutto si trascinerà in uno stanco tira e molla. In un secondo momento potrebbe venir fuori Renzi che con il classico colpo di teatro rimetterà tutto in riga richiamandosi alla necessità di un nuuovo patto sociale. Il Governo non ha una lira. E, come scrivono diversi commentatori, quello che farà è proporre soluzioni tampone per le uscite anticipate, senza però cambiare la legge Fornero, come richiesto dai sindacati che su questo punto hanno lanciato una grande mobilitazione nazionale di cui la manifestazione di Roma del 19 maggio organizzata dai sindacati dei pensionati è stata una tappa decisiva. Il governo pensa ad una serie di formule con penalizzazioni diversificate per poter andare in pensione dai 63 anni e 7 mesi. Prendere o lasciare.
A Renzi interessa la firma, tutta politica, a un nuovo “patto sociale” fatto di promesse e fumoserie varie. Camusso e gli altri sono cotti al punto giusto per accettare qualsiasi cosa eviti lo scontro frontale, per il quale non sono attrezzati. Ce li vedete voi a fare l’autunno caldo mentre ci sono i referendum costituzionali?
La Cgil, che ha valutato positivamente l’apertura del confronto con il governo, ora si attende il suo sviluppo effettivo per dare un giudizio sulle proposte ma è chiaro che si tratta solo di azzeccare la formula giusta per una uscita onorevole. “La notizia è che oggi, dopo lungo tempo, il governo ha proposto di avviare un confronto di merito su due grandi temi: previdenza e lavoro”, aveva detto il 24 maggio il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, secondo la quale il confronto è ill risultato dell’iniziativa della Cgil, “innanzitutto quella sulla piattaforma delle pensioni, e di aver tenuto sempre alta la pressione. Non é una novità da poco”. Poi però, fin qui, il confronto “è stato sostanzialmente sulla compilazione dell’agenda” che verrà poi discussa.
Per il segretario generale dello Spi Cgil, Ivan Pedretti, addirittura ci troviamo di fronte  una sostanziale marcia indietro rispetto al muro iniziale: “Vi informo – scrive Pedretti – che il governo ha presentato l’emendamento che stralcia l’intervento sulle pensioni di reversibilità. Ci sono voluti cinque mesi ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Se il governo avesse ascoltato subito le nostre ragioni sarebbe stato tutto più semplice e veloce. Ma questo è un nostro risultato, frutto della pressione che siamo riusciti a mettere in campo e della grande manifestazione del 19 maggio”.