Scontro Turchia-Germania sul genocidio armeno. Ankara richiama l’ambasciatore da: lastampa.it

Il Bundestag: «Fu genocidio». Erdogan furioso: «Ci sarà un impatto serio sulle nostre relazioni». Il primo ministro: «Avete commesso un errore storico»
AP

Berlino, protesta in piazza contro la risoluzione del Bundestag che definisce “genocidio” lo sterminio degli armeni

02/06/2016
alessandro alviani
berlino

Il Parlamento tedesco ha approvato oggi una mozione che etichetta come “genocidio” la strage di armeni compiuta dai turchi ottomani un secolo fa. “Völkermord”, la parola al centro dell’ennesimo scontro tra Berlino e Ankara compare già nel titolo della risoluzione passata a stragrande maggioranza nonostante le minacce giunte dalla Turchia. Un testo di quattro pagine, sottoscritto da Cdu/Csu, Spd e Verdi, nel quale i parlamentari tedeschi definiscono “genocidio” lo sterminio ad opera dell’Impero ottomano di cui un secolo fa rimasero vittime fino a un milione e mezzo di armeni.

 

“Genocidio”: una definizione che Ankara ha sempre rifiutato. Alla vigilia il presidente turco Recep Tayyip Erdogan aveva telefonato ad Angela Merkel, manifestando la sua «preoccupazione» per un testo che «potrebbe danneggiare le nostre future relazioni diplomatiche, economiche, politiche, commerciali e militari» e appellandosi «al buon senso» della Germania. E oggi il presidente ha fatto di più richiamando l’ambasciatore e tuonando contro Berlino: «Questa decisione avrà un impatto molto serio sulle relazioni tra la Turchia e la Germania», ha detto. Durissimo anche il primo ministro turco, Binali Yildirim, secondo cui la mossa del Parlamento tedesco «è stata un errore storico». Il presidente armeno, Sersch Sargsjan, ha invece chiesto ai deputati, attraverso il quotidiano Bild, di non lasciarsi intimorire da Ankara.

 

Già un anno fa il presidente tedesco, Joachim Gauck, e quello del Bundestag, Norbert Lammert, avevano parlato di “genocidio”. Inoltre la risoluzione contiene non solo (per quattro volte in tutto) la parola “genocidio”, ma anche un’ammissione della «corresponsabilità» e del «ruolo inglorioso» del Reich tedesco nella vicenda: il principale alleato militare dell’Impero ottomano, pur sapendo cosa stesse accadendo, «non provò a fermare questi crimini contro l’umanità».

 

Probabilmente sarebbe stato tutto più semplice se il Bundestag avesse approvato il testo circa un anno fa, come inizialmente previsto prima che la risoluzione fosse spedita su un binario morto per paura delle reazioni turche. Nel frattempo Ankara è diventata per Berlino un alleato ancora più indispensabile, alla luce dell’accordo Ue-Turchia sui rifugiati, fortemente voluto da Merkel. Il timore è che Erdogan possa reagire alla votazione facendo saltare quell’intesa.

 

Oggi la cancelliera non sarà al Bundestag, per ragioni di agenda. In una votazione di prova interna al suo partito ha detto sì al testo. La sua non sarà l’unica poltrona vuota sui banchi del governo: anche il vice cancelliere Sigmar Gabriel (impegnato con gli imprenditori edili) e il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier (in viaggio in America Latina) non saranno presenti.

Roma, il centro antiviolenza rischia la chiusura da: ilmanifesto.info

Campidoglio. Le operatrici della cooperativa BeFree oggi volantinano al presidio in memoria di Sara, l’ultima uccisa dall’ex fidanzato

«Chi colpisce una donna, colpisce tutte noi»: è il logo con cui è stato organizzato il tam tam su internet per il presidio di donne che stamattina si ritroveranno a partire dalle 10 nel parcheggio di via della Magliana dove solo quattro giorni fa è stata uccisa Sara Di Pietrantonio, studentessa universitaria di 22 anni, tramortita, strangolata e arsa – così dice il primo referto autoptico – nell’auto della madre dall’ex fidanzato, reo confesso, Vincenzo Paduano, senza che nessuno dei passanti intervenisse per soccorrerla.

L’uomo la seguiva da giorni grazie a una app sul telefonino e lei si sentiva minacciata, ma anche volendo chiedere aiuto una ragazza nella stessa situazione di rischio dal prossimo luglio nella capitale non avrebbe più a chi rivolgersi. Tra le donne che stamattina saranno al presidio in memoria di Sara ci saranno anche quelle della cooperativa BeFree con un volantino di denuncia: l’unico centro antiviolenza che esiste a Roma, gestito da loro, rischia seriamente di chiudere i battenti. Non solo, anche il servizio di telefono aperto Sos Donna, gestito invece da Telefono Rosa, rischia di essere disattivato. Buio e silenzio dove dovrebbe esserci una voce, un consiglio, un supporto psicologico e un riparo protetto, all’occorrenza.

Il centro antiviolenza e casa protetta – intitolata a Donatella Colasanti e Rosaria Lopez, le due vittime del Circeo – in attività dal 1997 ha aiutato e dato accoglienza in tutti questi anni a quasi 10 mila donna – circa 500 l’anno – spesso con bambini, per lo più minacciate da mariti, fidanzati e ex. La cooperativa BeFree è subentrata nella gestione del centro soltanto da un anno ma ora rischia, alla scadenza del bando il prossimo 30 luglio, di non avere nessuna possibilità di continuare il servizio a causa di una situazione kafkiana ereditata dal passato che il commissariamento del Campidoglio intende risolvere con un taglio netto.

In pratica la cooperativa ha scoperto che l’edificio che ospita il centro antiviolenza – un palazzo di sette piani chiamato «ex Bruno Buozzi» – insieme ad altri servizi tra cui case-famiglia e centri anziani, non è di proprietà del Comune ma della Regione Lazio. E l’ufficio Patrimonio regionale reclama ora il pagamento di affitti inevasi della durata di vent’anni, poco meno di un milione e mezzo di euro.

La giunta regionale di Nicola Zingaretti ieri ha chiarito di non aver mai richiesto la riconsegna dei locali e si è detta disponibile fin da subito all’apertura di un tavolo con tutti i soggetti interessati «per scongiurare l’interruzione del servizio».

Ma in assenza di assessori e sindaco che possano intervenire assumendosi la responsabilità politica e amministrativa di un accordo con gli uffici della Regione, la dirigente capitolina Maria Antonietta Del Grosso non se la sente di mettere la sua firma per mantenere il centro aperto, teme di esporsi in prima persona per un danno erariale che si troverebbe a dover pagare di tasca propria. Inoltre, senza un esplicito mandato del commissario Francesco Paolo Tronca – del tutto silente – non avrebbe titolo per negoziare un patteggiamento per una cifra inferiore. È il paradosso di Tronca, che tiene le redini della città da dopo il defenestramento del sindaco Ignazio Marino, quasi che tagliare, chiudere, sgombrare sia il suo unico compito. Con buona pace, in questo caso, della lettera che BeFree gli ha inviato, della petizione online sulla piattaforma charge.org e ora della richiesta delle candidate del Pd.

L’unica soluzione – dice la presidente della cooperativa Oria Gargano – «sarebbe che dopo le elezioni di domenica e il ballottaggio, appena insediata la nuova giunta capitolina come primo atto si occupasse di questa questione, in modo da tutelare le donne e garantire la continuità del servizio», rinnovando o prorogando il bando. «Speriamo – conclude Oria – che qualcuno dei candidati sindaco raccolga il nostro appello».

Quanto agli altri servizi, tra cui Sos Donna – il tele-aiuto h24 per le vittime di maltrattamenti e stalking -, Casa Internazionale dei diritti umani delle Donne e la Casa di Semiautonomia «Giardino dei Ciliegi» gestito dal Ceis, per la proroga del bando in base alle nuove disposizioni di Cantone serve una dichiarazione anticorruzione, ma non si può fare perché il governo non ha stabilito il come con un decreto applicativo del nuovo codice degli appalti.
Kafka qui è in salsa renziana.

“La Costituzione ha riscattato l’Italia” Partigiano ‘Corsaro’ difende la Carta

di Francesco Lamiani

Nel 1946 Nicolò Di Salvo aveva 22 anni e votò per la Repubblica e alla Costituente per i socialisti. Ma sulle spalle e dentro gli scarponi, c’erano già la guerra combattuta nel regio esercito fino all’8 settembre 1943 e soprattutto la Resistenza dove per tutti era ‘Corsaro’. Oggi Cola è un ragazzo di 92 anni, vive nella sua Palagonia, e difende la memoria di quei giorni che cambiarono l’Italia.

“Difendo la Costituzione – precisa subito Di Salvo – perché come partigiano sento di aver partecipato personalmente insieme a coloro che l’hanno fatta, quindi al referendum voterò No”.

Ha energie da vendere ‘Corsaro’ che con una lucidità rara anche a tanti ragazzi di oggi, ricorda che il documento è nato ‘in un momento antifascista e fatto da antifascisti’ e non ha dubbi sul percorso compiuto dall’Italia: “Ha camminato bene con questa Costituzione, si è riscattata divenendo modello di democrazia”.

Di Salvo questi concetti li ha ripetuti per una vita ed è logico che in casa sua, anche in queste settimane in cui infiamma il dibattito politico sul referendum, si respiri ancora il profumo del momento storico che ha generato la Costituzione, quelle condizioni irripetibili che l’hanno resa pilastro della nostra democrazia: “Gli uomini di oggi possono solo sciuparla”, dicono.

Nessun accenno, invece, alla querelle che ha trascinato anche l’Associazione partigiani. Santina Sconza è una donna forte, sanguigna e ne parla per difendere innanzitutto l’Anpi di cui è presidente della sezione di Catania, ma premette: “Basta con questa polemica sterile. Fa solo male”.

“La cosa che mi ha fatto più male – spiega – sono stati certi attacchi al nostro presidente nazionale Carlo Smuraglia. Uno che la guerra l’ha fatta davvero, che ha combattuto per la libertà e per la Costituzione. Non si possono tollerare attacchi da parte di persone senza alcuna conoscenza della Resistenza, né si può accettare che si dica che esitano partigiani veri e non veri”.

La polemica che sembra essere sopita dopo i botta e risposta della scorsa settimana, oggi, in occasione del 70esimo anniversario della nascita della Repubblica rischia di infiammarsi nuovamente.

Nei giorni scorsi il ministro Graziano Delrio, commentando quanto sta avvenendo nel Pd ha auspicato che “non sia accettata” l’adesione di dem ai comitati per il no. Anche se Renzi ribadisce che non espellerà nessuno: “Chi vuole votare no ha tutto il diritto di farlo…”.

“La chiama democrazia questa? – dice Sconza – Mi piace ricordare il pensiero di Togliatti che affermava all’interno della cabina elettorale ciascuno vota secondo coscienza”.

Quindi?

“Quindi, noi siamo per il No, ma se ci sono tesserati Anpi che voteranno in altro modo ne risponderanno alla propria coscienza e alla democrazia che toglieranno alle generazioni future”.

Santina Sconza è critica anche con i giovani e soprattutto con gli studenti universitari. Ricorda il suo ’68 e fa il confronto con quanto accaduto in occasione della visita del ministro per le Riforme, Maria Elena Boschi, alla Scuola superiore di Catania: “A parte l’intervento di due ragazzi non c’è stato nulla. Ma dico – tuona – stiamo parlando della Costituzione che è in pericolo, della democrazia… e non si fa almeno un sit-in!?”

Della questione referendaria ne abbiamo parlato anche con Giovanni Burtone, deputato del Pd, sostenitore del Sì, ma soprattutto figlio del partigiano Capitano Morello. “Ho tanto parlato con Giovanni, ma…”, dice Sconza ridendo.

Ma?

“Ma queste sono considerazioni che tengo per me. Per favore”

Femminicidio, Feltri (direttore di Libero) rischia la radiazione per il titolo su Sara Fonte: ansaAutore: redazione

L’Ordine dei giornalisti interviene sul direttore di ‘Libero’ Vittorio Feltri per il titolo di apertura del quotidiano in edicola ieri, 31 maggio (“…e per gradire nella capitale arrostiscono una ragazza di 22 anni”). L’Ordine dei giornalisti della Lombardia, anche su segnalazione del Consiglio nazionale, rende noto di aver formalmente trasmesso la documentazione sul caso in questione al Consiglio di disciplina territoriale che, per competenza, ha aperto un’istruttoria. Gabriele Dossena, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, in una nota spiega che numerose altre segnalazioni e proteste, tra cui una raccolta di firme promossa da Change.org, sono pervenute all’Ordine, sollecitando la radiazione di Vittorio Feltri dall’Albo.

Bonus 80 euro, quel meccanismo infernale di Renzi & Co. che beffa gli italiani Fonte: help consumatoriAutore: redazione

Un milione e mezzo di italiani ha ricevuto per errore il bonus di 80 Euro ed ora è chiamato a restituirlo. Questa l’amara scoperta per molti contribuenti, che ne sono venuti a conoscenza solo quando hanno presentato la dichiarazione dei redditi. Il bonus viene infatti attribuito dal datore di lavoro direttamente sulla busta paga, mese per mese, sulla base del reddito da lavoro del dipendente. Sta al contribuente dichiarare la presenza di altri redditi (pensioni, rendite da locazione o altro) che comportano uno sforamento dei parametri di accesso al bonus. Questo meccanismo ha fatto sì che a causa di errori, mancate comunicazioni o entrate impreviste, molti cittadini che non ne avevano diritto hanno ricevuto il bonus. Federconsumatori e Adusbef sottolineano che “ciò che è grave, è che non solo il Governo avrebbe dovuto prevenire la possibilità del verificarsi di simili errori e mancati adeguamenti reddituali, ma soprattutto non può e non deve pretendere la restituzione in unica tranche di tali importi”.

Ma ci sono anche i casi di chi è risultato incapiente, con un reddito sotto gli 8 mila euro. Sono circa 341mila i contribuenti incapienti, che guadagnano talmente poco che non pagano imposte perché la detrazione fiscale per il reddito da lavoro dipendente supera l’ammontare di tasse che dovrebbero pagare, che non avrebbero dovuto ricevere il bonus e ora sono chiamati a restituirlo, per una cifra pari a circa 160 Euro a testa. Una situazione insostenibile per quello che doveva essere un bonus per aiutare i cittadini si è trasformato nell’ennesimo salasso.

“Riteniamo che il Governo, responsabile di non aver previsto un meccanismo in grado di evitare questi gravi errori, debba farsi carico prima di tutto della situazione degli incapienti, senza addebitare loro alcun importo. Inoltre è fondamentale prevedere un sistema automatico di rateizzazione blanda per chi ha ricevuto indebitamente il bonus”, commentano Rosario Trefiletti ed Elio Lannutti.

Non solo Marò: sono tremila gli italiani nelle carceri straniere. In moltissimi casi una vera e propria odissea Autore: fabrizio salvatori da: controlacrisi.org

Sono circa 3 mila italiani detenuti nelle carceri di Paesi esteri. Non ci sono solo i Marò, quindi. Alcuni di questi stanno affrontando peripezie giudiziarie complesse o si stanno confrontando con sistemi legali che non riconoscono i più elementari diritti e le basilari garanzie. Il caso più recente è quello di Cristian Giuliano Provvisionato. Quarantaduenne di Cornaredo, in provincia di Milano, è stato fermato nell’agosto 2015 in Mauritania, con l’accusa di essere parte di una banda internazionale di truffatori informatici che avrebbero attentato alla sicurezza dello Stato.
Provvisionato ha scritto nelle scorse settimane al presidente della Repubblica, raccontando la concatenazione degli eventi che lo ha trasformato in un detenuto di un Paese in cima alle classifiche mondiali per violazioni dei diritti umani.
Nella sua lettera a Mattarella sostiene di esser stato mandato allo sbaraglio in Mauritania dalla società straniera per la quale lavorava, che è specializzata nella fornitura di software finalizzati alla protezione dalle minacce informatiche e che avrebbe architettato, a sua insaputa, una truffa contro il governo africano.
Provvisionato era convinto di sostituire un collega, ma è stato arrestato due settimane dopo il suo arrivo.
Da allora è iniziata una detenzione senza garanzie. Solo lo scorso 17 maggio l’uomo è stato portato davanti a un giudice. Non si sa se sia stato formalizzato un capo di imputazione.
Sofferente di diabete, Provvisionato avrebbe già perso più di 30 chili senza aver mai avuto la possibilità di accedere ad assistenza medica.