
«Tra Italicum e plebiscito Renzi vuole un potere ancor più illimitato», scrive il professore. E il “no” alla riforma deve dunque restare nel merito della crisi democratica, visto che «già ora non esiste più un controllo di partito, il parlamento è sfibrato e delegittimato, non si avverte una stampa libera e plurale»
Invece ottenendo di espellere dall’agenda lo spettro del rischio del dispotismo di minoranza, il governo intasca una carta pesante e costringe i sostenitori del no a cimentarsi su questioni tecniche poco rilevanti. La malattia mortale delle riforme è l’Italicum e vano sarebbe limitarsi, come vuole il governo, a parlare solo di dettagli relativi all’organizzazione del Senato, lasciando così fuori dal confronto pubblico il nodo più grande del contendere.
Una questione democratica è infatti aperta ab origine, da quando il governo ha monopolizzato il lavoro per le riforme come affare di partito. Renzi dichiara esplicitamente di aver avuto il mandato dal Quirinale: ma può il Capo dello Stato conferire un incarico di parte per le riforme, appaltando così la Carta al governo? Il pericolo per la democrazia non è dunque consegnato in un indistinto futuro, ma è percepibile già ora una temibile regressione della cultura delle regole.
La Costituzione appare come una Carta deprivata di ogni normatività, ridotta a volontà di potenza che erode il sistema delle garanzie. Non a caso Renzi fa prove muscolari, respinge il dialogo e poi si gioca il suo destino personale, la sua leadership, con il referendum. Con questa esasperazione, la Costituzione stessa diventa oggetto di competizione. E per il premier è il terreno perfetto. La Costituzione smarrisce ogni normatività e si scioglie nel processo politico. Ma se il governo impone le riforme e il referendum diventa l’occasione per legittimare il titolare del potere, cade già il senso minimo delle istituzioni in uno Stato costituzionale di diritto.
Spinose questioni di democrazia sono dunque già aperte. E se chi è contrario alle decisioni del governo è assimilato ai fascisti del terzo millennio, il potere compie una operazione tipica delle mentalità autoritarie: delegittimare l’altro, negare cittadinanza al diverso, che diventa il radicale nemico, la forza estranea che sta fuori dalla norma. E la norma non è la Carta, ma ciò che il potere ritiene utile ai propri disegni. Quando si dice che a Renzi non ci sono alternative, si completa un cortocircuito molto preoccupante. Una democrazia senza alternative non è più tale. Ma nel tombale silenzio dei custodi, nell’afonia dei presidenti delle camere, l’inquilino di palazzo Chigi può permettersi di affermare: «I parlamentari della Lega e M5s li capisco, rischiano il posto. Sono terrorizzati dalla idea mistica di tornare a lavorare».
In un sistema di pesi e contrappesi, con meccanismi di controllo e argini operanti, queste parole verrebbero stigmatizzate come attentati all’autorevolezza, alla dignità delle istituzioni repubblicane. E invece tutto il populismo di governo viene tollerato quando aggredisce le prerogative di istituzioni essenziali della Repubblica. Senza ricevere alcun richiamo formale, Renzi presenta i candidati delle liste d’opposizione alla stregua di «chi firma un contratto della Casaleggio, come fosse un co.co.pro». E come fa il presidente del Consiglio a garantire la normalità della competizione elettorale se l’opposizione viene delegittimata, e addirittura, come soggetto non libero, viene raffigurato chiunque la voti?
Ma in una democrazia già minore, nessuno osa difendere gli organi della Repubblica e Renzi – che nessuno ha mai eletto in cariche di rappresentanza – si può proporre come il vero rappresentante degli umori del popolo, mentre i deputati d’opposizione, che sono stati regolarmente eletti, non sono ritenuti rappresentativi del vero animo della gente. Anzi. Sono soltanto delle inutili figure incollate alle poltrone e operano contro gli autentici impulsi popolari.
Questa sottrazione di rappresentanza a chi svolge la funzione di opposizione è di una estrema pericolosità. Renzi attacca il decoro delle funzioni pubbliche e quindi mina alla radice la dignità delle istituzioni differenziate. A nessuno sfugge che con l’Italicum e il plebiscito d’autunno Renzi tende ad assumere un potere ancor più illimitato. Già ora non esiste un controllo di partito, il parlamento è sfibrato da operazioni di quotidiano trasformismo e delegittimato, non si percepisce la sorveglianza degli organi di garanzia, non si avverte una stampa libera e plurale.
Il “no”, in questo quadro, nel merito, è un estremo tentativo di proteggere la normatività della Carta, la rigidità della Costituzione. La difesa della democrazia dagli appetiti del governo personale sregolato, è la vera posta in gioco del referendum. Democrazia o forme postmoderne di autocrazia: torna d’attualità il dilemma di Kelsen.
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