Sinistra, miracolo a Roma da: ilmanifesto.info

Elezioni. Sembrava quasi impossibile, ma la lista unitaria per Stefano Fassina ci sarà. Nei prossimi mesi si dovrà collaudare questo tentativo di rimonta politica: c’è bisogno che tutti contribuiscano

Stefano Fassina

La sinistra romana c’è riuscita. Finalmente. Alle prossime elezioni comunali ci sarà una lista unitaria: si chiamerà Sinistra per Roma. Esito tormentatissimo di interminabili discussioni, confronti, litigi e qualche dolorosa recriminazione. Esprime quel che è: un progetto di riaggregazione materiale e ideale di quanti, solo fino a qualche settimana fa, apparivano distinti, divisi, reciprocamente ostili, e comunque indisponibili a riconoscersi l’un l’altro, perfino a immaginarsi insieme. E che ora decidono di presentarsi alle elezioni, sostenendo come candidato sindaco Stefano Fassina: con lui impegnandosi a proseguire anche oltre, nel tentativo di rianimare e ricostruire il senso, le ragioni e le aspirazioni di una sinistra che molti in città vorrebbero estinta.

Miracolo a Roma, verrebbe impudicamente da dire, scusandoci per l’involontaria eco zavattiniana.
Tra dritti e rovesci, la maglia della sinistra romana sembra insomma riannodarsi intorno alla proposta di avviare un’alternativa politica. In discontinuità con le amministrazioni del passato, di centrodestra e di centrosinistra, compresa l’ultima del sindaco Marino. Compresa quella attuale, che Pasquino definirebbe “in mano ai preti e alle guardie”. Un’alternativa che si concretizzi nella difesa dei diritti sociali, nella salvaguardia del territorio, nella disobbedienza ai vincoli del debito, nella battaglia contro la corruzione, nel rafforzamento dei servizi pubblici, nella valorizzazione della cultura. Un programma che raccoglie e rilancia il valore della città pubblica, in contrasto con le privatizzazioni, gli affarismi e le pratiche illegali.

Benché convinto e generoso, è tuttavia un progetto ancora iniziale, di sicuro imperfetto e anche parziale. Non comprende per esempio tutti quelli che dovrebbero esserne protagonisti. O almeno non ancora. O non esplicitamente. Una parte della sinistra sociale, movimenti, associazioni e comitati, ha scelto di non parteciparvi direttamente: chi mostrandosi comunque interessato e sensibile, chi rivolgendosi ad altri interlocutori, chi rifiutandosi aprioristicamente, chi rassegnandosi a un’agnostica estraneità. E’ un limite non essere riusciti a coinvolgere tutte quelle esperienze che in città agiscono conflitti e interpretano sentimenti liberatori, scoraggiate forse da qualche eccesso di politicismo che ha finito per renderle diffidenti.

Ma in ogni caso approssimare questo primo composto unitario a Roma è indubbiamente un successo politico. Realizzarlo è stato difficile, più che difficile. Sembrava anzi impossibile. Oltre alle divisioni politiche, c’erano da superare le tante riserve soggettive che negli ultimi anni si erano largamente diffuse e che non di rado avevano alimentato risentimenti e rancori. Ci si è scontrati con arroganze e settarismi, pregiudiziali e discriminanti. Si è passati attraverso un’estenuante schermaglia negoziale, che spesso è apparsa più rituale che sostanziale. Incoraggiando gli abbattuti e placando gli eccitati, consolando i delusi e contrastando i prepotenti.

Ma quel che ha infine indotto a decidersi è stato il sentirsi parte di un processo unitario più largo. Un processo che ha già superato le angustie di chi si sente autosufficiente o di chi aspira a malintese egemonie. Un processo che ambisce a rigenerare la sinistra italiana, in contrapposizione a chi l’ha invece ridotta a strumento di gestione di un potere politico sempre più autoritario e di complicità con interessi economici sempre più invasivi.

C’è un triste vuoto a sinistra. Che in parte è stato già impropriamente occupato. Prima che si chiudano definitivamente le possibilità di riprenderselo, è necessario al più presto imprimere un’accelerazione politica, uno slancio ideale.
Le elezioni di giugno possono costituire un primo passo, oltreché un viatico alla battaglia referendaria dell’autunno. E’ nei prossimi mesi che si dovrà collaudare questo tentativo di rimonta politica. Non sfugge dunque a nessuno quanto sia importante che tale tentativo si sviluppi e si rafforzi. C’è bisogno che tutti partecipino, tutti contribuiscano.

Autore: fabio sebastiani Metalmeccanici, buona l’adesione allo sciopero. Landini: “Il contratto di Federmeccanica non lo firmeremo mai”. Una tuta blu di Torino su Bertinotti: “Formigoni è una cattiva compagnia” da: controlacrisi.org

 

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E’ stato Maurizio Landini a concludere gli interventi dal “camion-palco” davanti alla sede di Assolombarda  Milano nel corso dello sciopero unitario dei metalmeccanici (quattro ore) svolto in tutta Italia. “Siamo in questa piazza unitariamente – ha esordito il segretario generale della Fiom – per cambiare le politiche sbagliate di Federmeccanica e del Governo. Federmeccanica ci ha spiegato di aver commissionato un sondaggio da cui risultava che i metalmeccanici sono d’accordo con il suo contratto. Noi non abbiamo bisogno di pagare qualcuno per sapere cosa pensano i lavoratori, noi li ascoltiamo, facciamo le assemblee. Federmeccanica – ha proseguito Landini – deve mettersi in testa che deve riaprire la trattativa perché noi il contratto sulla base delle sue proposte non lo firmeremo mai e il Governo deve smettere di dare soldi alle imprese, le risorse vanno date al lavoro, non a chi porta i soldi nei paradisi fiscali. Pensavano di dividerci e non ci sono riusciti – ha concluso il segretario della Fiom – oggi le fabbriche si sono fermate e le piazze si sono riempite. Non ci fermeranno”.

Lo sciopero è andato molto bene un po’ in tutte le piazze dell’iniziativa. Al Nord l’astensione dal lavoro si è fatta ovviamente sentire di più che al Sud. In qualche caso al lavoro non si è presentato nemmeno un addetto.

Federmeccanica ha messo in campo una proposta sul salario che riconosce aumenti del contratto nazionale solo al 5% dei lavoratori, e quindi per i sindacati si tratta di “riprendere al più presto la trattativa per arrivare al rinnovo, che riguarda 1,6 milioni di lavoratori”.

Tra i lavoratori di Torino, c’è la testimonianza di Pasquale Lojacono, tuta blu della Fiat. Secondo Lojacono, che ha accettato anche di commentare alcune affermazioni di Fausto Bertinotti sulla fine della classe operaia, è chiaro che di fronte alla rigidità di Federmeccanica la lotta va portata avanti fino in fondo e non lasciata a metà. “C’è il rischio che Federmeccanica ci dia le briciole e chiuda la partita in poco tempo”. Su Bertinotti, Lojacono ha detto: “Non si è messo in buona compagnia se preferisce Formigoni ai lavoratori”.

Infine, il commento del Prc. “La grande adesione allo sciopero dei metalmeccanici oggi in tutta Italia è un’ottima notizia. Si è trattato infatti di una mobilitazione unitaria molto importante per fermare l’attacco al contratto collettivo nazionale di lavoro. Le manifestazioni odierne sono la migliore risposta dei lavoratori al modello contrattuale che Federmeccanica e Confindustria, spalleggiate dal governo, vorrebbero imporre”, si legge in una nota.

I dati delle adesioni regione per regione

Abruzzo: Denso 91%;
Alto Adige: Acc. ValBruna 90%;
Valle D’Aosta: Cogne 70%;
Basilicata: Aziende indotto Melfi 55%;

Calabria: Hitachi e Nuovo Pignone 100%;
Campania: Aziende Finmeccanica di Napoli oltre 80%; Hitachi 75%;
Emilia Romagna: Lamborghini 89%, GD 80%, Ducati energia 70%;
Friuli Venezia Giulia: Electrolux 70%;

Lombardia: Acciaierie Arvedi 90%, ST Microelectronics 60%, Tenaris Dalmine 90%, Brembo 80% e Kone 100%, AgustaWestland 90%, Whirpool 65%, Beretta 80%; Marche: Whirpool 90%, Fincantieri 90%;
Piemonte: Alstom 85%, SKF 70%, GE Avio 90%, Marcegaglia 90%, Finmeccanica 80%;
Lazio: ABB Sace 80%, Finmeccanica 75%, Almaviva 60%, Vitrociset 55%, Liguria: Ansaldo 75%, ILVA 85%, Esaote 80%;
Puglia: ILVA 40%, Finmeccanica Foggia 90%, Finmeccanica Brindisi-Taranto 70%, BOSCH 90%;
Sicilia: ST Microeloctronics 60%, Indotto petrolchimici Siracusa-Milazzo-Gela 90%, Fincantieri 80%,

Toscana: Piaggio 80%, Finmeccanica 96%, Hitachi Rail 80%, Bekaert 66%;
Trentino: Gruppo DANA 56%. Umbria: AST 80%, OMA 90%; Umbria Cuscinetti 60%;
Veneto: Electrolux 90%, Carraro 66%, Fincantieri 97%, Ferroli 82%, Valbruna 80%, Riello 85%, Alcoa 91%;
Sardegna: Appalto Saras 90%, Cosmin 90%, Remosa Service 90%.

Autore: fabrizio salvatori 25 aprile, nelle piazze i banchetti per il No allo stravolgimento della Costituzione della Repubblica. Intervista (audio) ad Arturo Salerni da: controlacrisi.org

Riforma costituzionale, il 25 aprile – 71esimo anniversario della Liberazione – inizia la raccolta delle firme per chiedere il referendum: “Siamo nella fase decisiva per fermare questo stravolgimento delle regole istituzionali che cambia profondamente la natura della democrazia italiana e la Costituzione nata dalla Resistenza e dalla vittoria sul fascismo”, si legge in un nota del Comitato per il No nel referendum costituzionale, che nei giorni scorsi ha depositato il quesito referendario.Sui banchetti per la raccolta delle firme i moduli saranno quindi tre: uno per arrivare al referendum costituzionale, due per l’abrogazione di norme fondamentali della legge elettorale (premio di maggioranza e candidati bloccati).

Il Comitato per il No nel referendum costituzionale ha deciso di raccogliere le firme per arrivare al referendum costituzionale perché vuole far vivere nella futura campagna referendaria non solo la presenza di chi in Parlamento si è espresso contro questa deformazione della Costituzione, ma soprattutto punta a far sentire con forza la volontà dei cittadini. Il referendum costituzionale è uno strumento importante, che si può usare quando il Parlamento non arriva all’approvazione delle modifiche con i 2/3 dei votanti. Senza dimenticare che in questo caso la risicata maggioranza parlamentare, che ha approvato la più vasta revisione della Costituzione che ci sia mai stata, è divenuta tale, pur avendo riportato una minoranza di voti, in virtù dei meccanismi del “porcellum” che distorcono la volontà popolare e che la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimi. A questo punto è doveroso dare la parola alle elettrici e agli elettori.

In questa intervista audio le ragioni del No alla “deforma” Renzi-Boschi espresse dall’avvocato Arturo Salerni