da: 2016 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE-Linglorioso museo di Predappio

Linglorioso museo di Predappio
– Enzo Collotti, 05.04.2016
Memoria. No a un museo del fascismo come quello che si vorrebbe realizzare con la complicità del
ministro Franceschini e purtroppo dell’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione
I musei storici non hanno mai rappresentato un momento di eccellenza nella politica culturale del
nostro paese. A deprimerne ulteriormente le sorti circola adesso l’idea di insediare a Predappio un
museo del fascismo, con la complicità del ministro Franceschini e purtroppo dell’Istituto Nazionale
per la Storia del Movimento di Liberazione, che non meriterebbe di suggellare il suo declino con
questa ingloriosa iniziativa.
Non si nega, sia ben chiaro, la necessità che il sindaco di Predappio prenda tutte le iniziative che
ritiene opportune per impedire che la località rimanga ostaggio del pellegrinaggio di irriducibili
nostalgici. Ma se già per lui sarà difficile, al di là dei migliori propositi, allontanare dalla località il
motivo al quale deve la sua fama, ben diversa si prospetta la sorte per una iniziativa di carattere
nazionale che dovesse in essa realizzarsi.
L’idea di un Museo del Fascismo, come luogo di rappresentazione a fini di conoscenza di una
stagione storico-politica che ha segnato il nostro recente passato e che in parte segna ancora il
nostro presente, arriva certamente in ritardo in un paese che si è inspiegabilmente attardato in una
discussione spesso insensata su memoria divisa e memoria comune. Chi si richiama a iniziative come
quella del Museo del Nazional Socialismo inaugurato un anno fa a Monaco di Baviera sottovaluta che
alle spalle di questa iniziativa vi sono stati decenni di vive discussioni che hanno riflettuto l’iter della
storiografia tedesca sul nazismo e il percorso di una memoria pubblica che ha accettato di fare i
conti con il passato, in un processo che peraltro non è mai venuto meno. Anche per noi prescindere
da un processo storico politico-culturale di tale portata sarebbe incomprensibile.
Proprio per questo l’idea di approfittare dell’occasione Predappio per dare luogo ad una iniziativa
come quella prospettata appare quantomeno frettolosa e improvvisata. In primo luogo no a
Predappio significa svincolare una iniziativa seria dall’ipoteca di una sede che è non solo provinciale
ma che rischia di renderla prigioniera del luogo, che resta inevitabilmente evocativo, simbolico e
celebrativo e che ad onta delle migliori intenzioni non può non ricondurre ad una visione riduttiva
del fascismo come mussolinismo.
In secondo luogo questo rifiuto è un invito a ripensare senza l’urgenza di una scadenza da non
perdere ad una iniziativa di cui finalmente si riconosce l’opportunità, ma a condizione che se ne
valutino opportunamente la scelta della sede (che non può non essere Roma o Milano) e soprattutto
le grandi linee interpretative e i criteri informatori per farne realmente uno strumento di conoscenza
critica e di consapevolezza storica e civile.
© 2016 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

Invito tutte e tutti i tesserati e simpatizzanti ANPI a partecipare

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Il governo SYRIZA-ANEL ha ratificato l’abbietto accordo della UE con la classe dominante turca da: www.resistenze.org – osservatorio – europa – politica e società – 04-04-16 – n. 583

Partito Comunista di Grecia (KKE) | kke.gr
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

02/04/2016

Il 1° aprile 2016 è stato discusso e approvato nel Parlamento greco il progetto di legge relativo alla ratifica dell’accordo dell’Unione europea con la Turchia sulla questione dei rifugiati e degli immigrati. In questo modo sono state integrate nella legislazione greca tutte le decisioni reazionarie dell’Unione Europea assunte da settembre 2015 fino al recente vertice, co-firmate dal governo SYRIZA-ANEL.

Gli stati borghesi europei adeguano, in linea con queste decisioni e nella direzione maggiormente reazionaria, le loro disposizioni su asilo e tutela internazionale. Questo va in completa contraddizione con il diritto internazionale in materia di rifugiati, nonostante i riferimenti ipocriti e le invocazioni della convenzione di Ginevra.

La realtà è che a causa delle decisioni dell’Unione europea, espresse nello specifico progetto di legge, i diritti dei rifugiati vengono calpestati. Dopo la chiusura delle frontiere a nord, i profughi si trovano intrappolati in modo sempre crescente, in Grecia: secondo le statistiche ufficiali, oltre 50.000 rifugiati sono costretti nel nostro paese dove tentano di sopravvivere in condizioni miserabili.

Ieri il Fronte militante di tutti i lavoratori (PAME) ha organizzato un raduno a Propilei nel centro di Atene e una marcia fino piazza Syntagma di fronte al Parlamento, nel momento in cui veniva discusso e votato il disegno di legge del governo sui rifugiati e gli immigrati. I sindacati e le organizzazioni del movimento popolare denunciano la linea politica del governo, dell’UE e delle organizzazioni imperialiste, il loro antagonismo e i loro accordi. Si tratta delle organizzazioni imperialiste che hanno intrapreso la guerra e sradicato migliaia di persone dalle loro terre e costrette a diventare rifugiati.

I deputati del KKE, intervenuti in Parlamento, hanno evidenziato il carattere pericoloso e reazionario del progetto di legge del governo. Il Segretario generale del CC del KKE, Dimitris Koutsoumpas, ha osservato nel suo discorso che il disegno di legge si basa sulle decisioni del vertice UE e sancisce l’abbietto accordo dell’Unione con la classe dominante della Turchia. Non risolve il problema delle persone intrappolate in Grecia.

E’ lampante che la situazione disumana creatasi, proseguirà con il sigillo del governo SYRIZA-ANEL. Gli operai e gli strati popolari devono continuare ad esprimere la loro solidarietà con queste persone intrappolate nel paese, alla luce della situazione esplosiva. Come ha sottolineato D. Koutsoumpas nel suo intervento: “Il movimento operaio e popolare deve esigere misure immediate di soccorso ai profughi e piani di trasporto verso i paesi di destinazione, in opposizione alle decisioni inaccettabili della UE. Il movimento deve isolare le voci razziste e fasciste e rafforzare la lotta e la solidarietà del popolo contro la guerra imperialista e il marcio sistema di sfruttamento che la causa”.

Il Jobs Act e il costo della nuova occupazione: una stima da:www.resistenze.org – osservatorio – italia – politica e società – 05-04-16 – n. 583

Marta Fana e Michele Raitano |  eticaeconomia.it

03/04/2016

Marta Fana e Michele Raitano si propongono di stimare quanto inciderà sul bilancio pubblico la decontribuzione sul costo del lavoro prevista dalla Legge di Stabilità per il 2015. A questo scopo, essi formulano diverse ipotesi su variabili rilevanti fini del calcolo, come la durata media dei nuovi contratti e la distribuzione delle retribuzioni. La conclusione alla quale giungono è che il costo lordo per il bilancio pubblico nel triennio di sgravio oscillerà, a seconda delle ipotesi, tra i 22 e i 14 miliardi.

Gli ultimi dati amministrativi forniti dall’INPS relativi ai contratti di lavoro stipulati tra dicembre 2015 e gennaio 2016 hanno riacceso il dibattito politico e mediatico sull’efficacia delle misure contenute nel Jobs Act e degli sgravi contributivi per gli assunti a tempo indeterminato (ovvero, dal 7 marzo 2015, a tutele crescenti) previsti della Legge di Stabilità per il 2015. A gennaio 2015, prima del Jobs Act, sono entrati in vigore gli sgravi triennali sul totale dei contributi a carico del datore, con un tetto massimo di 8,060 euro, per ogni assunzione a tempo indeterminato o trasformazione di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. La misura è stata prorogata nella Legge di Stabilità per il 2016 con alcune modifiche: la decontribuzione è ora pari al 40% del totale dei contributi a carico del datore, con un tetto massimo pari a 3,250 euro e la nuova decontribuzione durerà 24 mesi, anziché 36 come per gli assunti nel 2015.

A un anno dall’entrata in vigore degli sgravi, si discute se la crescita del numero di contratti a tempo indeterminato registrata nel 2015 sia legata, oltre che alla modifica del quadro macroeconomico, alla decontribuzione piuttosto che alle nuove norme sul licenziamento contenute nel Jobs Act. L’esplosione del numero di contratti a tempo indeterminato e di trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato attivati a dicembre 2015 – ultimo mese in cui si poteva usufruire della decontribuzione totale – e il conseguente calo di gennaio hanno rafforzato la tesi secondo cui la dinamica del mercato del lavoro nel 2015 sia stata “drogata” dalla corposa, e temporanea, riduzione del costo del lavoro legata alla decontribuzione. La distribuzione mensile dei contratti beneficiari degli sgravi, mostrata nella Fig. 1, sembra ribadire tale tesi: nel 2015 i contratti che hanno beneficiato dello sgravio, incluse le trasformazioni di rapporti a termine, sono stati 1.547.935, di cui un quarto (379.243) nel solo mese di dicembre.

Figura 1. Numero di contratti che hanno usufruito dell’esonero contributivo nel 2015, distribuzione mensile.

Fonte: elaborazioni su dati INPS

Non basta tuttavia guardare al solo numero dei contratti attivati e all’aumento dell’occupazione netta a tempo e indeterminato per valutare l’efficacia della misura di decontribuzione. Occorre anche un’analisi dei costi e dei benefici. Se i benefici possono essere rappresentati dall’aumento occupazionale – nonostante rimanga aperto il dibattito sulla qualità della nuova occupazione e sulle prospettive di lunga durata dei contratti, una volta che si siano esauriti gli sgravi – la valutazione dei costi risulta essere più problematica.

Il governo con la Legge di Stabilità per il 2015 ha stanziato 11,8 miliardi per il triennio 2015-2017 (1,886 miliardi di euro per il 2015, 4,885 per il 2016 e 5,030 per il 2017, a cui vanno aggiunti i costi da corrispondere tra il 2018 e il 2019), stimando in fase di programmazione un aumento di contratti a tempo indeterminato pari a circa un milione. La stima del costo complessivo nel triennio dipende, però, non solo dal numero di contratti stipulati in regime di decontribuzione, ma anche: i) dal mese in cui questi sono stati avviati (cruciale per valutare l’impatto per il 2015), ii) dalla loro durata, iii) dalle retribuzioni lorde dei nuovi contratti, su cui incide anche la tipologia oraria (a tempo pieno o parziale).

I dati pubblicati dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps sui contratti che hanno usufruito dell’esonero contributivo non contengono tutte le informazioni necessarie per effettuare una stima puntuale del costo della misura. La stima del costo totale degli sgravi nel periodo in cui le imprese potranno avvantaggiarsene va, pertanto, condotta tramite una serie di ipotesi.

Il costo complessivo per il bilancio pubblico varia a seconda di come si distribuiscono i contratti rispetto alle retribuzioni lorde. Va infatti ricordato che l’esonero contributivo è pari a circa il 31% della retribuzione fino ad un tetto di 8.060 euro, che si raggiunge per retribuzioni annue lorde di 26.000 euro (per importi maggiori di 26.000 euro l’impresa deve versare la contribuzione sulla retribuzione eccedente). L’INPS fornisce l’informazione sulla distribuzione per classe retributiva del totale dei contratti a tempo indeterminato stipulati nel 2015. Ipotizzando che quelli attivati con l’esonero seguano la stessa distribuzione per classe retributiva, la tabella 1 riporta gli importi degli sgravi di cui beneficia l’impresa per classe retributiva. Come si nota, la decontribuzione aumenta al crescere della retribuzione fino a un massimo di 671 euro mensili (incorporando nello sgravio il rateo della tredicesima mensilità) per i contratti con retribuzione lorda mensile superiore ai 2.200 euro.

Tabella 1. Distribuzione dei contratti a tempo indeterminato che hanno beneficiato degli sgravi per classe di retribuzione lorda e relativa decontribuzione.

Fonte: elaborazioni su dati Inps

Per determinare il costo complessivo “di competenza” per il bilancio pubblico nel 2015 bisogna incrociare l’informazione sul numero di contratti stipulati nei diversi mesi alla distribuzione per classe retributiva. Assumendo che per ogni mese di attivazione la distribuzione per classe retributiva sia la stessa, ed ipotizzando che tutti i contratti attivati siano rimasti in vigore fino al termine del 2015, è possibile calcolare il costo imputabile al 2015 sulla base del numero di contratti stipulati in ogni mese.

Analogamente, per calcolare l’onere per il bilancio pubblico per l’intero triennio in cui si applicano gli sgravi previsti dalla legge di Stabilità per il 2015, è necessario considerare quanti dei contratti attivati nel 2015 avranno una durata di almeno 36 mesi (il periodo massimo di corresponsione dell’esonero). Il dato sulla durata dei contratti è, al momento, mancante: le informazioni sulle cessazioni dei contratti a tempo indeterminato nel corso del 2015 fornite dall’INPS non riportano, ad esempio, quante cessazioni si riferiscono a contratti stipulati nell’anno. Per tale ragione, la valutazione del costo per le finanze pubbliche dipende in modo cruciale dall’ipotesi sulla durata di questi contratti. Dapprima ipotizziamo che tutti i contratti stipulati nel 2015 sopravvivano al triennio di decontribuzione. Successivamente, assumiamo una durata inferiore ai 36 mesi per una quota dei nuovi contratti a tempo indeterminato attivati.

Sulla base delle ipotesi fatte e dei dati a disposizione nella tabella 2 viene riportato il costo per il bilancio pubblico imputabile al 2015 (colonna2) e per l’intero periodo di vigore degli sgravi (colonna 3).

Tabella 2: Costo della decontribuzione al lordo delle maggiori entrate Ires.

Fonte: elaborazioni su dati Inps

Il costo “di competenza” per il 2015 per le casse dello stato relativo alla decontribuzione, al lordo delle maggiori entrate Ires, ammonta a 3,422 miliardi. Ipotizzando che tutti i contratti durino per l’intera durata degli sgravi, quindi 36 mesi, il costo complessivo della misura, per l’intero periodo in cui resterà in vigore, ammonterebbe a circa 22,6 miliardi di euro.

Considerando che i contributi fiscalizzati non sono più deducibili dal costo del lavoro, il gettito pubblico aumenterebbe per le maggiori entrate dovute ai versamenti Ires, riducendo in parte l’onere per il bilancio pubblico. Di conseguenza, il costo netto ci competenza per il 2015 della decontribuzione ammonterebbe a 2,5 miliardi, mentre per l’intero triennio di durata dello sgravio – incorporando la prevista riduzione dell’aliquota IRES – il costo netto sarebbe pari a 16,950 miliardi. In base annua, l’impatto netto sul bilancio pubblico della decontribuzione sarebbe dunque pari a circa 5,7 miliardi di euro.

Fin qui, si è ipotizzato che tutti i contratti beneficiari dell’esonero contributivo durino almeno per l’intero periodo di fruizione, cioè 36 mesi. Sfruttando l’evidenza storica sulla durata dei contratti a tempo indeterminato derivanti da trasformazioni di contratti a termine, pubblicate nel rapporto annuale sulle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro, è possibile modificare in modo più realistico l’ipotesi sulla durata dei contratti. Da tale rapporto emerge che il 41% dei contratti trasformati da tempo determinato a tempo indeterminato fra il 2012 e il 2014 sono cessati entro i tre anni. In particolare, il 13,0% è cessato entro il primo anno, il 17,7% entro il secondo e il 10,3% entro il terzo anno. Sulla base di queste informazioni, mantenendo l’ipotesi che tutte le attivazioni di nuovi contratti a tempo indeterminato durino almeno 36 mesi, si può ricalcolare il costo complessivo della decontribuzione, assumendo che i contratti trasformati nel 2015 si comportino allo stesso modo, in termini di durata, di quelli registrati nel 2012-2014 e seguendo le ipotesi precedenti sulla distribuzione per classe di retribuzione.

In questo secondo scenario, il costo complessivo lordo per l’intero periodo di vigore della decontribuzione ammonterebbe a poco più di 18 miliardi, circa quattro miliardi in meno rispetto all’ipotesi in cui le trasformazioni di contratti a termine durino 36 mesi (tabella 3, scenario 2). Cambiando anche le ipotesi circa la durata assunzioni delle nuove attivazioni a tempo indeterminato (scenario 3), e mantenendo l’ipotesi sulla durata dei contratti trasformati così come nel secondo scenario analizzato (oltre che le ipotesi sulla distribuzione delle retribuzioni), i risultati cambiano. Ad esempio, ipotizzando che il 20% delle assunzioni a tempo indeterminato duri 18 mesi mentre il restante 80% raggiunga i 36 mesi, l’onere lordo per il bilancio pubblico per l’intero periodo sarebbe pari a circa 14,6 miliardi. La tabella 3 riassume i costi totali e medi per anno al lordo e al netto dell’Ires nei tre scenari ipotizzati rispetto alla durata dei contratti.

Tabella 3: Sintesi del costo della decontribuzione nei diversi scenari relativi a diverse ipotesi sulla durata dei contratti.

Fonte: elaborazioni su dati Inps

Sulla base degli scenari di costo qui delineati è allora possibile stimare quanto è costato alla collettività ogni nuovo posto di lavoro a tempo indeterminato creato nel 2015. A tal fine basta dividere il costo totale (lordo o netto) della decontribuzione per il numero di nuovi lavoratori a tempo indeterminato. In base ai dati mensili dell’indagine sulle forze di lavoro dell’Istat, la variazione dell’occupazione a tempo indeterminato tra dicembre 2015 e lo stesso mese dell’anno precedente è pari a 225.000 unità. Se i nuovi contratti che hanno beneficiato dell’esonero contributivo nel 2015 avessero una durata di almeno 36 mesi, il costo per anno per singolo occupato in più, al netto dell’Ires, risulterebbe dunque pari a 25.000 euro. Però la stima della crescita occupazionale non è univoca. In base agli stessi dati dell’Istat, si può misurare l’incremento occupazionale netto come la differenza tra la media dello stock di occupati nel 2015 e quella relativa al 2014. In questo caso l’aumento occupazionale a tempo indeterminato risulta nettamente inferiore ed è pari a 114.000 e il costo netto annuo per singolo occupato risulterebbe pari a circa 50.000 euro.

Processo Lombardo, Nizza: “Compravamo voti con droga” da:livesiciliacatania

di

Ascoltati in udienza Giuseppe Scollo, Fabrizio Nizza, Palma Biondi e Francesco Campanella.

CATANIA- Udienza fiume del processo d’appello che vede imputato Raffaele Lombardo per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Collegati in videoconferenza dai siti riservati, i collaboratori giustizia hanno risposto alle domande dei pm Agata Santonocito e Sabrina Gambino. Il primo è Giuseppe Scollo, santapaoliano che operava col gruppo di Lineri. Proveniente dalla diaspora dei malpassoti – ovvero di tutti quelli che transitarono in altre famiglie dopo il pentimento del patriarca Giuseppe Pulvirenti “u malpassotu”- Scollo riferisce in udienza di essere stato contattato  da Vincenzo Sapia, anch’egli appartenente al clan Santapaola-Ercolano, per cercare voti  a Raffaele Lombardo, il quale – nelle parole del collaboratore – “si diceva essere vicino alla famiglia Santapaola”. Per Scollo quella che proviene da Sapia nel 2010 era una conferma di quello che aveva già sentito in carcere dai fratelli Mario e Alessandro Strano: “Eravamo nella stessa cella a Bicocca – dichiara Scollo di fronte al collegio presieduto dalla giudice Tiziana Carrubba – e in un’occasione che lo abbiamo visto in televisione, Mario Strano esclamò: ‘chistu è manciatariu, ha a che fare con i Mirabile”. Scollo colloca l’episodio riferito in un lasso temporale che va dall’agosto 2007 al dicembre 2009. La difesa, rappresentata in aula dagli avvocati Filippo Dinacci e Alessandro Benedetti, a questo punto richiede l’acquisizione dei certificati di detenzione e di co-detenzione e l’audizione di Mario Strano. Raffaele Lombardo rende dichiarazioni spontanee.

Ma la vera scossa al processo la dà Fabrizio Nizza di Librino quando riesce a circostanziare temporalmente i ricordi relativi ai racconti del fratello Daniele, ritenuto dagli inquirenti il reggente della famiglia egemone nel traffico di stupefacenti a Librino in quel momento. Un fiorente mercato che consentiva anche di effettuare investimenti, come nel caso dell’utilizzo dei proventi dell’attività di spaccio a fini politici: “Compravamo i voti con la marijuana – afferma Nizza in udienza – questo a Librino, in altri quartieri venivano dati direttamente soldi o spesa dei supermercati della famiglia nella zona degli Angeli Custodi”. Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, presumibilmente a Marzo, Fabrizio ricorda un episodio: “Mio fratello Daniele mi disse si doveva votare Angelo Lombardo per il partito di Raffaele – dichiara – in un’altra occasione mio fratello Giovanni stava raccontando a Daniele di un cugino di Lombardo che diceva essere dei caccagnusi, una storia che secondo mio fratello Daniele non poteva essere visto che Lombardo era nelle mani di Enzo Aiello”. “Che significa ‘nelle mani’ – chiede l’accusa – Sig. Nizza?”, “Che gli gestiva gli appalti”, risponde. “Mio fratello Daniele mi disse che l’appoggio gliel’aveva chiesto Angelo Lombardo direttamente – specifica Nizza – io chiesi a Daniele: Se questo politico sale, noi cosa ne abbiamo in cambio? Avrai il suolo pubblico per il rifornimento, mi rispose”. Nizza si riferisce al progetto di realizzare un rifornimento di carburante nel quartiere di Librino, attività mai sorta: “Comu finiu co suolo pubblico? Ho chiesto a Daniele dopo le elezioni – racconta – ma mi disse che era ancora troppo presto. Poi gliel’ho richiesto nel 2010 e mi ha risposto: nta stu momentu su tutti indagati. In compenso Angelo gli aveva dato 30 mila euro, mi disse mio fratello”. “Come?”, chiede la difesa, “Ci resi i soddi, soddi liquidi avvocato”. Alla fine della deposizione la difesa cerca di far emergere la parziale ritrattazione contenuta nel verbale delle dichiarazioni del 9 giugno 2015, relative a Nino Strano: “Avvocato non mi sto buttando a negativa, non lo ricordo”.

È il turno di Palma Biondi, collaboratrice di giustizia e moglie di Eugenio Sturiale. Molto vicina a Santina Rapisarda moglie dello “zio Nino Santapaola, fratello di Nitto”, accompagnava spesso il marito alle riunioni: “Sentivo parlare dei Lombardo solo per il ruolo che ricoprivano, per quello che ne so io – afferma – erano appoggiati dai Santapaola”. “Fu Santo Russo, nell’estate del 2008, a raccontarmi dell’episodio del pestaggio subito da Angelo Lombardo. Russo era uno che ammirava il nostro ambiente e chiese a mio marito di fargli da padrino di cresima. Era inoltre molto legato a Santo Castiglione che in un determinato momento aveva tante deleghe assessoriali, io e mio marito incontrammo Castiglione in una legatoria di via Ventimiglia”.

L’ultimo in rassegna è Francesco Campanella, collaboratore ed ex esponente della famiglia di Villabate: “Io fui reclutato proprio perché ero un politico, Cosa nostra infiltra i suoi uomini all’interno dei partiti e dei movimenti per guidare e influenzare le decisioni e le strategie elettorali dall’interno – afferma Campanella – io mi interessai per far incontrare Paolo Marussig con Raffaele Lombardo che conoscevo da tempo per militanza politica, l’imprenditore cercava di trovare sponsor politici capaci di neutralizzare quelli dei suoi competitor negli affari dei centri commerciali. Lo accompagnai a Catania ma non ricordo i dettagli dell’incontro”. Alla domanda dei pm su Mario Ciancio Sanfilippo afferma: “Questo nome non mi dice nulla”.

Si continua il 19 aprile prossimo dove verrà sentito Rosario Di Dio boss di Palagonia, principale accusatore di Raffaele Lombardo che nei verbali pubblicati dalla nostra testata riferisce di aver fatto incontrare l’ex presidente della Regione e  Angelo Santapaola

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale di Catania (CDC) apre la campagna referendaria sabato 9 aprile 2016 con un banchetto in Piazza Stesicoro, alle ore 10,30.

Comunicato Stampa apertura campagna referendaria

9 aprile 2016

A questo appuntamento cui invitiamo la stampa, le televisioni, i mezzi di comunicazione on line, saranno presenti i vari componenti dei comitati (associazioni, partiti, comitati, movimenti ) e saranno esposte le linee generali della campagna referendaria e distribuiti materiali del Comitato nazionale.

L´azione del CDC si svolge su due fronti: abrogazione delle parti incostituzionali della legge elettorale Italicum e della controriforma del Senato e di un terzo degli articoli della Costituzione repubblicana. Il combinato disposto della riforma elettorale , un premio di maggioranza che consente ad una minoranza il controllo complessivo dei poteri statali e di garanzia e di eliminazione del Senato elettivo, muta la forma di governo della Repubblica, impedisce il controllo dell´esecutivo, costituisce in forma indiretta, un meccanismo presidenziale in una Repubblica che si è  era voluta parlamentare.