Gelindo, Antenore, Aldo, Ovidio, Fernando, Agostino, Ettore, questi i nomi dei 7 fratelli Cervi, ammazzati dai fascisti, insieme al loro compagno Quarto Camurri, nel poligono di tiro di Reggio Emilia, esattamente 72 anni fa: il 28 dicembre 1943. Noi non dimentichiamo

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Salvatore Quasimodo:

“Ai fratelli Cervi, alla loro Italia”

In tutta la terra ridono uomini vili,
principi, poeti, che ripetono il mondo
in sogni, saggi di malizia e ladri
di sapienza. Anche nella mia patria ridono
sulla pietà, sul cuore paziente, la solitaria
malinconia dei poveri. E la mia terra è bella
d’uomini e d’alberi, di martirio, di figure
di pietra e di colore, d’antiche meditazioni.
+++
Gli stranieri vi battono con dita di mercanti
il petto dei santi, le reliquie d’amore,
bevono vino e incenso alla forte luna
delle rive, su chitarre di re accordano
canti di vulcani. Da anni e anni
vi entrano in armi, scivolano dalle valli
lungo le pianure con gli animali e i fiumi.
+++
Nella notte dolcissima Polifemo piange
qui ancora il suo occhio spento dal navigante
dell’isola lontana. E il ramo d’ulivo è sempre ardente.
Anche qui dividono in sogni la natura,
vestono la morte, e ridono, i nemici
familiari,. Alcuni erano con me nel tempo
dei versi d’amore e solitudine, nei confusi
dolori di lente macine e lacrime.
+++
Nel mio cuore e finì la loro storia
quando caddero gli alberi e le mura
tra furie e lamenti fraterni nella città lombarda.
Ma io scrivo ancora parole d’amore,
e anche questa terra è una lettera d’amore
alla mia terra. Scrivo ai fratelli Cervi,
non alle sette stelle dell’Orsa: ai sette emiliani
dei campi. Avevano nel cuore pochi libri,
morirono tirando dadi d’amore nel silenzio.
+++
Non sapevano soldati, filosofi, poeti,
di questo umanesimo di razza contadina.
L’amore, la morte, in una fossa di nebbia appena fonda.
Ogni terra vorrebbe i vostri nomi di forza, di pudore,
non per memoria, ma per i giorni che strisciano
tardi di storia, rapidi di macchine di sangue.

4 dicembre 1955

Femminismo e tecnologia? Si può fare… e arriva la App da: ndnoidonne

Un nuovo strumento per conoscere le lotte delle donne. Si chiama Herstory, lo propone Archivia ed è una App

Tiziana Bartolini

/www.herstory.it

Metti la storia de femminismo e i materiali di un archivio con decine di migliaia di documenti, metti la memoria storica e la passione per le lotte delle donne, miscela energicamente con dosi di tecnologia e il risultato è una “speciale guida ai luoghi di attività e mobilitazione delle donne di Roma e del Lazio che offre un primo censimento localizzato di gruppi, collettivi, Centri e Associazioni delle donne”. Si chiama Herstory. I  luoghi delle donne ed è una App realizzata grazie ad un progetto finanziato dalla Regione Lazio (bando “Innovazione sostantivo femminile”) ideato da Valeria Santini e Giovanna Olivieri. Quest’ultima spiega come orientarsi nella navigazione. “Le carte interattive sono organizzate cronologicamente. Le Mappe degli anni ’70 e ’80 individuano la posizione di oltre 300 sedi e la ‘Mappa anni successivi’ contiene anche segnalazioni di attività commerciali attualmente gestite da donne. Cliccando su ciascun segnaposto delle mappe si può raggiungere il luogo tramite navigatore e consultare una scheda informativa sintetica che rimanda alle pagine del sito, www.herstory.it”. La App è dunque uno strumento che propone una sorta di visita guidata attraverso i luoghi che hanno fatto la storia del movimento delle donne romane. “Sì e c’è anche la ‘Mappa Manifestazioni’ che propone una panoramica fotografica delle mobilitazioni, contro o a favore di”.

Giovanna Olivieri

Quali documenti avete maggiormente usato? “Soprattutto le fotografie di eventi e manifestazioni – selezionate fra le 35mila del nostro archivio – mettono in scena il cambiamento dei modelli di rappresentazione del femminile prodotti dalla conquista del diritto alla parola nello spazio pubblico; richiamano alla memoria momenti dimenticati o cancellati del protagonismo femminile; costruiscono di per sé un racconto, grazie alle/i fotografe/i che con professionalità straordinaria per rigore e bellezza formale hanno messo una passione particolare e caparbia nell’indagare un femminile poco o male rappresentato. Però sono stati selezionati anche documenti, volantini, ritagli e manifesti conservati ad Archivia con l’obiettivo di delineare le caratteristiche, o testimoniare l’esistenza, dei gruppi della mappa, proponendo contestualmente una scheda di approfondimento”. Che tipi di documenti conserva Archivia? “A partire dalla comune rivendicazione di una nuova soggettività, le tracce conservate negli Archivi che sono poi confluiti in Archivia, sono diverse: i collettivi femministi più forti, perché più eterogenei e longevi, più decisi nell’intervento all’esterno o più consapevoli dell’importanza della comunicazione scritta, hanno lasciato più testimonianze, pubblicazioni etc e assumono quindi una maggiore rilevanza”. Una App che guida ad una visita – o ad una rivisitazione – del patrimonio ideale e culturale con cui il femminismo ha vivificato la Capitale, soprattutto in alcuni decenni. Un patrimonio da scoprire o ripercorrere scaricando gratuitamente la App e visitando il sito collegato.

ARCHIVIA
Archivia – associazione di volontariato fondata nel 2003 – ha sede nella Casa Internazionale delle donne di Roma, Via della Lungara, 19 e conserva più di 20mila volumi e 700 testate giornalistiche consentendone la consultazione gratuita (catalogo su opacuniroma1.it) e realizza attività di valorizzazione e diffusione della cultura e della storia delle donne anche con prodotti multimediali e varie iniziative.

Prostitute a Marrakech da: ndnoidonne

Much loved, In Italia il film scandalo del regista marocchino Nabil Ayouch, bandito dalle autorità

Elisabetta Colla

Much loved, Nabil Ayouch

PROSTITUTE A MARRAKECH

In Italia il film scandalo marocchino, bandito dalle autorità, Much loved
Acclamato alla Quinzaine des Realizateurs di Cannes 2015, il film Much loved del regista marocchino Nabil Ayouch ha sfidato la censura delle autorità marocchine che ne hanno vietato la visione, ritenendo che il film offenda gravemente i valori morali e la donna marocchina oltre che l’immagine del paese. Ciò che ha scandalizzato di più è senz’altro la crudezza della descrizione e delle immagini di come un gruppo di prostitute, in cerca di ricchi clienti spesso individuati fra i ‘religiosi’, si guadagnano da vivere, senza infingimenti e senza giudizi. Le quattro protagoniste Noha, Randa, Soukaina e Hlima, nella Marrakech dei giorni nostri, vivono di amori mercenari, vendono il proprio corpo al miglior offerente e sono oggetto dei più segreti desideri. Allegre, vivaci e complici, piene di dignità ed emancipate nel loro regno al femminile, queste donne, conducendo lo spettatore nel loro regno notturno fatto di violenza, umiliazioni ma anche risate e tenerezza, superano la violenza della società marocchina che, pur condannandole, le sfrutta. Il regista di questo film vive oggi sotto scorta e gli attori hanno subito minacce, mentre in Europa il mondo del cinema, dai fratelli Darnenne a Costa Gavras, si è sollevato per lanciare un appello di solidarietà.

Nuovi modelli di famiglia da. ndnoidonne

La nuova famiglia e il riconoscimento dell’assegno di divorzio, una recente pronuncia della Suprema Corte

Simona Napolitani

È molto recente la pronuncia della Suprema Corte, secondo cui l’instaurazione di una famiglia di fatto da parte dell’ex coniuge fa venir meno ogni legame con il tenore ed il modello di vita che hanno caratterizzato la precedente fase matrimoniale e, pertanto, fa venir meno il riconoscimento dell’assegno di divorzio a carico dell’altro ex coniuge. La Cassazione ha affermato che il diritto del coniuge titolare dell’assegno non entra in uno stato di “quiescenza”, pronto a rivivere nel caso in cui la famiglia di fatto venisse meno, ma resta definitivamente escluso.
Secondo i Giudici, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 2 della Costituzione come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione degli effetti del precedente rapporto matrimoniale e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero da ogni obbligo. La decisione è innovativa laddove afferma che la mera convivenza di per sé non influisce sull’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile, se non quando assuma i connotati di una vera e propria “famiglia di fatto”, ossia la stabilità e la continuità, in un contesto in cui i partner elaborino un progetto e un modello di vita comune, tale da costituire arricchimento e potenziamento reciproco della personalità oltre che la trasmissione dei valori educativi ai figli.
Non esiste un solo tipo di famiglia, cosicché accanto a quello coniugale, regolato dall’art. 29 della Costituzione, possono coesistere altri modelli, rilevanti in quanto “formazioni sociali”, protette dall’art. 2 della Costituzione.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha di recente affermato che il diritto al rispetto della vita privata e familiare, per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali impone la qualifica di famiglia anche alle unioni formate da persone dello steso sesso. Si è così giunti all’elaborazione di un concetto di famiglia assai ampio, per cui sia che si tratti di unione omosessuale, sia che si tratti di unione tra soggetti di sesso diverso, è in ogni caso doveroso preoccuparsi della tutela dei singoli componenti all’interno del modello famiglia, prendendosi cura anche degli stessi rapporti interpersonali, a prescindere dal legame genetico eventualmente intercorrente tra padre e figlio e a prescindere dal tipo e dalle modalità dell’unione.
Un cammino che ci porta verso nuove frontiere del diritto, verso nuovi principi che fanno propri l’evoluzione ed i cambiamenti dei modelli sociali e della società tutta, come è giusto che sia.

avvocatonapolitani@gmail.com

Un giallo botanico da: ndnoidonne

‘ La ladra di piante’ è il romanzo d’esordio della giornalista Daniela Amenta è una storia toccante contro il cinismo dei nostri tempi

Flavia Matitti

Daniela Amenta, La ladra di piante, Baldini&Castoldi

Anna, la “ladra di piante”, è una trentenne precaria. Abita a Roma all’ultimo piano di un palazzo nel quartiere di Monteverde Vecchio. L’appartamento è piccolo ma ha una grande terrazza, dove trovano asilo piante maltrattate di ogni genere. Le sue preferite sono le Aspidistre, piante ornamentali dalle foglie color smeraldo a forma di spada che andavano di moda negli anni Sessanta e oggi nessuno vuole più. “La gente è irriconoscente verso la bellezza. Non ha poesia, non ha ruggiti, non ascolta, non vede. È svagata, incoerente, modaiola”. Anna però resiste al cinismo dei tempi e alla solitudine prendendosi cura delle piante abbandonate. Le raccoglie dimenticate sul marciapiede dopo un trasloco, buttate nel cassonetto dell’immondizia passato il Natale, lasciate ad appassire negli androni o sui pianerottoli di vecchi palazzi. Talvolta pur di salvarle le ruba. Eppure La ladra di piante, toccante e coinvolgente romanzo d’esordio di Daniela Amenta, giornalista de “L’Unità” e critica musicale, appartiene al genere del giallo, un “giallo botanico” molto ben costruito, con tanto di omicidio da risolvere. La storia di Anna si intreccia perciò con quelle di altri due personaggi principali: Riccardo, cinquantenne cronista di nera in crisi e Lanfranco, vecchio giornalista, ex informatore, amante dei gatti. Nello sfondo Roma, una città amata e detestata “per quanto è cambiata, perché ha smesso di essere sorniona e in fondo generosa e si è scoperta un cuore nero, cattivo, respingente”.

Daniela Amenta
La ladra di piante
Baldini&Castoldi, 2015, pp. 238, € 16

“Il sindacalismo giallo non tramonterà mai. Ad un passo dall’accordo sul modello contrattuale”. Intervento di Sergio Bellavita da. controlacrisi.org

Nei giorni scorsi le segreterie nazionali di Cgil Cisl e Uil hanno raggiunto un accordo su una piattaforma comune per la trattativa sul modello contrattuale per il confronto con Confindustria. Si tratterà di leggere nel dettaglio i contenuti dell’intesa ma è evidente che l’architrave su cui poggia l’unità di vertice del sindacalismo confederale è il modello definito dal Testo Unico sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014. Non ci sono buone notizie quindi. La ritrovata unità di vertice non è il frutto di un ripensamento profondo del sindacalismo confederale, né avviene sotto la spinta delle lotte. Ci sono due ragioni di fondo che segnano la fine della lunga stagione degli accordi separati. La prima è che al padronato oggi non serve più sfruttare la divisone sindacale per destrutturare il modello di tutele e diritti del mondo del lavoro. Il contratto nazionale è già largamente svuotato da ogni portato solidale, unificante, di classe e la contrattazione aziendale, anche per la crisi economica, è largamente divenuta strumento in mano alle imprese per intensificare lo sfruttamento del lavoro umano. Il diritto del lavoro è stato totalmente manomesso da ultimo con il Jobs Act del governo Renzi.

Il mondo del lavoro con cui ci si misura oggi è quindi un mondo del lavoro unificato nella precarietà, in cui lo scontro tra il potere organizzato dei lavoratori e quello dell’impresa si è risolto a favore di quest’ultima. Il padrone è l’unica indiscussa autorità in azienda: decide se mantenerti precario o stabilizzarti; decide sugli orari di lavoro; sul salario; sulla progressione di carriera e sul licenziamento. Lo spazio del potere sindacale è sempre più angusto e mortificato. Occorre tornare molto indietro nel tempo per trovare un potere così incontrastato dell’impresa. La strategia degli accordi separati ha quindi funzionato egregiamente al suo scopo, anche in virtù delle incredibili ambiguità e compromissioni di una Cgil che parlava bene ( non troppo spesso in verità) e razzolava male ( molto spesso)…Solo la Fiom ci ha provato davvero a difendere il modello contrattuale democratico.-vertenziale affermatosi negli anni settanta del secolo scorso. Ci ha provato dal 2001 fino al 2010 per poi capitolare rapidamente ed accettare anch’essa il modello prevalente. La resa della Cgil sul contratto nazionale è datata 28 giugno 2011. Con quell’accordo interconfederale si accettava, sotto la spinta di Marchionne, il principio della derogabilità dei contratti nazionali, sancendo così la fine dello strumento più importante dell’unità di classe del nostro paese. Per queste ragioni oggi è venuta meno ogni differenza tra la linea e la pratica della Cgil e quella di Cisl e Uil. Si tratta solo di definire un’ipotesi che sani ogni vecchio contenzioso e costruisca intorno al Testo Unico un modello complessivo di relazioni, contrattazione e regole. La seconda ragione per cui è finita la lunga stagione degli accordi separati , intimamente legata alla prima, è quella della crescente irrilevanza del sindacato italiano sul piano politico, economico e sociale. La competizione sindacale sul terreno della complicità e della disponibilità ai bisogni dell’impresa e del governo non serve più perché ormai il ramo su cui sedeva il sindacato è stato tagliato

Le imprese hanno tutto e per questa ragione persino il sindacalismo giallo, che pure non tramonterà mai, sul piano generale non serve più. Lo stesso governo tratta a pesci in faccia in egual misura Cgil Cisl Uil perché non sa che farsene delle diverse disponibilità o contrarietà, va avanti indisturbato. Inoltre i bilanci di Cgil Cisl Uil sono sempre più in rosso e il dato clamoroso della disaffezione sindacale da parte dei lavoratori è sempre più difficile da occultare e minimizzare. Tutte queste crisi e queste debolezze inducono all’unità della salvezza il sindacalismo confederale. Il nuovo patto corporativo che si profila dopo l’accordo unitario sul modello non riguarderà solo la contrattazione o il mero agire sindacale. Cgil Cisl Uil e Confindustria discuteranno del modello sociale di questo paese. In gioco ci sono le libertà sindacali dei singoli lavoratori, anche su rappresentanza e sciopero, profondamente lese proprio dalle regole ad excludendum del 10 gennaio 2014 che, da accordo privato, potrebbe divenire legge dello stato nei prossimi mesi. Così come si discuterà di partecipazione dei lavoratori all’impresa sul modello tedesco in salsa italiana. Il tema del welfare contrattuale è un altro dei capisaldi dell’intesa tra Cgil Cisl Uil. Organizzazioni che hanno ormai accettato di accompagnare il processo di liquidazione dello stato sociale frutto delle straordinarie conquiste di due secoli di lotte per l’emancipazione del movimento dei lavoratori. Per il padronato il welfare contrattuale è terra di conquista, sia per la riduzione del peso dello stato sul costo del lavoro, sia per gli enormi profitti che potranno realizzare sulle spalle della povera gente privatizzando sanità e previdenza.

In sostanza con il Patto che rischia di chiudersi con Confindustria il sindacalismo confederale espliciterebbe il cambio radicale della sua natura e dei suoi obbiettivi. Sindacato e padrone non rappresenterebbero più due punti di vista diversi tra loro, antagonisti, conflittuali ma concorrerebbero entrambi all’interesse univoco dell’impresa, “bene comune”. Un pezzo del corporativismo che dilaga ovunque in Europa con il corollario classico di repressione, autoritarismo e guerra. Nulla di buono sotto l’albero di natale quindi. Le segreterie Cgil Cisl Uil hanno confezionato un regalo davvero indigesto per le lavoratrici e i lavoratori, per le classi popolari. Ci sarà meno salario, meno diritti, meno sindacato. Quando qualcuno tratta per me senza chiedermelo difficilmente potrà mai rispondere ai miei bisogni. Sarebbe sufficiente denunciare il carattere occulto di questa trattativa per capire come in questi mesi si è lavorato ad un accordo a perdere. Iniziamo a denunciarlo. Il sindacalismo di classe può e deve avere un presente ed un futuro. Rifiutiamo il regalo indigesto!